Una situazione già vista
 

La situazione dei mercati finanziari internazionali nel luglio 2023 non è nuova: al contrario, ricorda per molti aspetti situazioni già viste nel passato, anche recente.

Come già facemmo sette giorni fa, anche oggi ripartiamo dai rendimenti delle obbligazioni: sette giorni fa, il decennale USA stava al 4,066%, mentre venerdì 14 luglio ha chiuso al 3,83%.

Il calo del rendimento delle obbligazioni nell’ultima settimana è stato ampio (20 punti base, come vedete) ma ci lascia sempre sui livelli di inizio anno. Le previsioni di un un “anno delle obbligazioni” fino a questo momento sono state smentite dai mercati.

Allo stesso tempo, anche le previsioni di un “primo semestre difficile per le Borse” sono state smentite, e proprio ieri, venerdì 14 luglio 2024, l’indice S&P 500 della Borsa a New York ha chiuso sopra quota 4500 punti.

Nulla di nuovo, come dicevamo, per i mercati finanziari internazionali: tutto ciò che vediamo è spiegato dal (periodico e ricorrente) tema del “soft landing”, cn il quale noi investitori ci siamo confrontati almeno una decina di volte nell’ultimo anno e mezzo.

Ed ogni volta, sempre con il medesimo esisto: il “soft landing” non esiste.

Il calo del tasso di inflazione registrato questa settimana negli Stati Uniti ha acceso gli animi di una parte degli investitori: Recce’d con largo anticipo aveva annunciato questo calo (anche qui, attraverso il nostro sito), un calo che

  • è spiegato unicamente dal cosiddetto “effetto base” ed è quindi “transitorio”

  • lascia comunque al 5% il dato che viene chiamato “core”.

Ne abbiamo scritto anche alla nostra pagina TWIT - TWOO.

L’eccitazione e l’euforia delle Borse non è, quindi, spiegata dal recente dato CPI pubblicato mercoledì 12 luglio: quel dato è stato utilizzato come spunto, dalla potente macchina di vendita, che (come da noi spiegato in più occasioni durante gli ultimi anni turbolenti) attira investitori piccoli, medi e grandi nella speciale “tonnara”.

La tonnara ha funzionato in modo perfetto con le obbligazioni: soltanto due anni fa, nel 2021, una buona parte degli investitori era convinta che

i tassi al 5% non li vedremo più per tutta la nostra vita

mentre oggi, nel luglio 2023, si è sostituito un nuovo tema di vendita, che per il momento regge, ed è quello che dice

in Borsa non si corre alcun rischio, chiudete gli occhi e buttatevi senza paura

E’ la nuova tonnara. Questa seconda affermazione vale quanto valeva la prima, quella dei “tassi di interesse che non torneranno mai al 5%”.

Come quella prima, illusoria, affermazione, anche questa seconda verrà spazzata via dai fatti nello spazio di poche settimane.

Nel nostro nuovo Post, per conseguenza, noi intendiamo richiamare l’attenzione del lettore su ciò che davvero conta, per la gestione del portafoglio, contrastando in questo modo l’eccitazione e l’agitazione degli animi di quella parte degli investitori che è più sensibile a questo tipo di sbandamenti emotivi.

I prezzi di Borsa che vediamo oggi esprimono una visione dello stato delle economie che si può riassumere così:

il rialzo dei tassi di interesse dallo zero al 5% non ha cambiato nulla e non avrà alcun effetto sulle economie

Anche il più ingenuo ed il meno informato degli investitori realizza, immediatamente, che una affermazione come questa è del tutto slegata dalla realtà, ed è quindi insostenibile.

Per fare un esempio concreto, di come la cosa sia insostenibile. Ieri venerdì 15 abbiamo letto i risultati di alcune grandi banche, risultati che il mercato ha accolto in modo freddo, pur risultando gli utili “superiori alle attese”: e questa è una sorpresa, in un mercato che in questi giorni è (decisamente) orientato sull’entusiasmo.

Questi risultati, questi numeri delle banche, devono essere intesi come numeri artefatti: sono numeri falsi. Si può affermare che sono falsi, senza dubbio, per la ragione che tutti sono a conoscenza del fatto che nei risultati delle banche non sono conteggiate le perdite sui portafogli di obbligazioni che sono la maggior parte degli attivi delle banche medesime.

Si tratta di perdite enormi: tanto che c’è chi parla di “disastro ferroviario”.

Il mercato di Borsa sceglie, temporaneamente, di ignorare la presenza di queste fragilità del sistema economico: e sceglie invece di enfatizzare il ribasso del tasso di inflazione (solo nella versione “headline”).

Non è difficile spiegare il perché di questo atteggiamento.

Una parte degli operatori punta tutto (con un atteggiamento di disperazione che abbiamo già commentato proprio qui nel Blog) sul fatto che

la Federal Reserve NON ha fino ad oggi un atteggiamento autenticamente restrittivo (immagine sotto); e non avrà il coraggio di andare fino in fondo

Questo (lo capite bene da soli) NON è un atteggiamento da “investitore”: questo è il classico “all in” dello scommettitore che fa la mossa disperata.

Tutto questo, sul piano della nostra operatività, è positivo: ed è positivo perché ci avvicina alla soluzione del problema, proprio attraverso il fatto che esalta ed esaspera la situazione di euforia, e di cosiddetto “ipercomprato”.

Ogni investitore che sia competente e informato e in controllo dei propri nervi sa come si sfruttano situazioni come queste.

Si tratta di situazioni che noi di Recce’d abbiamo già visto, ed attraversato con successo, in passato. Situazioni che sono state etichettate come

Minsky moments.

Non c’è tempo né spazio per approfondire in questo Post: lo faremo durante la prossima settimana, ogni mattina, nel nostro The Morning Brief.

Nel Post che state leggendo, ci limitiamo a mettere alla vostra attenzione che la situazione attuale è proprio quella che noi avevamo anticipato il 2 giugno scorso qui nel Blog: è stata fatta la scelta di “lasciare correre l’inflazione per non frenare la crescita delle economie.

Il sogno è come sempre quello del “soft landing”: ma a tutti noi investitori il sogno non interessa, ed interessa invece la realtà: la realtà di oggi ma soprattutto la realtà che vedremo tra tre mesi, sei mesi, dodici mesi.

la scelta di lasciare correre l’inflazione fu già fatta, ad esempio, nei primi Anni Settanta, e le implicazioni di quella scelta Recce’d le ha già ricordate qui nel Blog. Si tratta di implicazioni che ebbero, ed avranno nuovamente, sui mercati finanziari. Con una rilevante differenza: negli Anni Settanta i bilanci di tutte le Banche Centrali stavano a zero, oggi hanno dimensioni abnormi.

Il nostro suggerimento, che abbiamo già espresso in precedenti occasioni, ai nostri lettori è di riflettere con massima attenzione su alcuni aspetti della realtà attuale: tra questo, i livelli di disoccupazione negli Stati Uniti (immagine) ed in Europa.

Non serve il nostro aiuto per collegare questo dato, le prospettive future dell’inflazione e le prospettive future del costo del denaro.

Il fatto che le Autorità di Governo, insieme con le banche Centrali, abbiamo deciso di “fare finta di non vedere” non è una novità: si replicano le scelte del 2021, quando si fece “finta di non vedere” l’inflazione.

Le ricadute sui vostri portafogli le state vedendo ancora oggi.

I due grafici che seguono fornisce sostanza alla nostra affermazione: che le Bnache Centrali, fino ad oggi, hanno scelto di “fare finta di non vedere”, lasciando quindi andare l’inflazione.

Ingannando, in sostanza, il pubblico: ed in modo particolare il pubblico degli investitori.

In che modo questi fatti incidono:

  • sul comportamento dei mercati oggi?

  • sulla performance dei vostri investimenti domani?

Partiamo dall’andamento dei mercati oggi: l’euforia che periodicamente investe le Borse è spiegata dall’atteggiamento di una parte degli investitori, che sono pronti a tutto, indifferenti al rischio, e disperati. Nelle loro tasche, tra il 2020 ed il 2021, gli Stati hanno messo soldi mai guadagnati, soldi a cui non corrisponde alcuna produzione di valore, e da qui deriva lo “eccesso di risparmio” che vedete sotto nel grafico.

Questo “eccesso di risparmio” che avete visto nel grafico sopra determina comportamenti nel pubblico che sono allo stesso tempo spregiudicati e disperati: come la folle corsa del pubblico dei piccoli investitori USA alle opzioni, che nel Blog abbiamo già evidenziato.

Da qui poi le periodiche ondate di eccitazione di una parte degli investitori in Borsa.

Nulla di nuovo: come dicevamo già all’inizio del nostro Blog: e non sarà nuovo neppure l’esito di questa vicenda: possiamo e potete esserne certi, per le ragioni che vengono (in modo sintetico) esposte nell’immagine sotto.

Cme potete verificare facilmente mentre siete in spiaggia, non è possibile tenere un palloncino sott’acqua per sempre.

Noi di Recce’d da molti anni siamo impegnati ad offrire un punto di riferimento ai nostri lettori: noi siamo stato per più di dieci anni, il punti di riferimento di chi cerca un solido ancoraggio con la realtà (dei fatti, delle economie, della politica, dei rischi reali) a fronte del sempre più tumultuoso e caotico comportamento dei mercati finanziari internazionali.

Ci sembra utile, oggi, sottoporre all’attenzione dei nostri lettori il recente intervento del Presidente della Federal Reserve, sede di New York, sul Financial Times.

Ci sembra utile perché trovate, in questo intervento, una chiara esposizione della “linea ufficiale”. L’articolo è una eccellente rappresentazione del “cantare vittoria prima che la battaglia è finita”.

A noi investitori, sia gestori professionali di portafoglio, sia investitori individuali, spetta poi il compito di decidere dei nostri investimenti e produrre risultati.

Possiamo farlo andando diretto alla “linea ufficiale” che viene esposta in questo articolo.

Oppure in alternativa possiamo fare un confronto tra questa linea ufficiale e la linea della “inflazione transitoria” di due anni fa, e poi agire in modo conseguente.

Dopo una lunga battaglia contro un'inflazione ostinatamente alta, la banca centrale statunitense si trova in una fase critica. In qualità di presidente della Federal Reserve di New York, John Williams è una figura centrale nelle discussioni sulla prossima fase della storica campagna di inasprimento monetario della Fed.

Dopo aver aumentato il tasso d'interesse di riferimento di 5 punti percentuali in poco più di un anno, i funzionari della Fed sono ora impegnati in un lungo dibattito su quanto ancora si debba colpire l'economia più grande del mondo in un momento di grande incertezza. Le incognite includono il ritmo con cui le pressioni sui prezzi si ridurranno, le conseguenze economiche delle azioni intraprese dalla banca centrale fino ad oggi e lo spettro dell'instabilità finanziaria dopo un breve periodo di turbolenze nel settore bancario all'inizio di quest'anno.

Per fare il punto su questi fattori, il mese scorso la Fed ha adottato un approccio più paziente, scegliendo di rinunciare ad aumentare il tasso di riferimento dopo 10 aumenti consecutivi. Ora, la Fed sembra pronta a riprendere questi rialzi nella riunione politica di fine mese, per sondare il livello dei costi di finanziamento ritenuto "sufficientemente restrittivo" per garantire un tempestivo rientro dell'inflazione verso l'obiettivo del 2%.

Williams, membro permanente del Federal Open Market Committee e stretto alleato del presidente Jay Powell, ha già ammesso che la Fed ha "ancora molto da fare" in termini di aumento dei tassi di interesse. In questa discussione, rivela come determinerà quando la Fed avrà fatto abbastanza e il potenziale dolore associato alla riduzione dell'inflazione.

Colby Smith: A giugno abbiamo registrato un altro solido mese di aumento dei posti di lavoro, anche se a un ritmo più lento, e una disoccupazione stabile. È questo il tipo di rapporto che permette di tirare un piccolo sospiro di sollievo o ci sono ancora punti di preoccupazione?

John Williams: Ovviamente non si tratta di un solo rapporto, ma dell'insieme dei dati. Credo che questo rapporto sia coerente con quanto abbiamo visto, ovvero segnali di squilibri nel mercato del lavoro che si stanno gradualmente riducendo e di un avvicinamento tra domanda e offerta nel mercato del lavoro.

Si tratta ancora chiaramente di un mercato del lavoro molto forte, con un'ottima crescita dei posti di lavoro, e questo non è cambiato. Come abbiamo visto, il tasso di disoccupazione oscilla da tempo intorno al 3,5%. Altri indicatori, come la partecipazione alla forza lavoro, sono molto forti.

Non ci sono quindi segnali di debolezza, ma sicuramente segnali di rallentamento in termini di direzione della domanda di lavoro. Abbiamo visto che la crescita dei posti di lavoro nel settore non governativo o privato è stata di circa 150.000 unità. Si considerano sempre le revisioni, per un totale di 110.000 posti di lavoro in meno.

Lo inserisco nel contesto più ampio di ciò che stiamo vedendo con le aperture di posti di lavoro, i dati sulle dimissioni e alcuni altri indicatori, tutti che indicano mercati del lavoro ancora molto forti ma che si stanno muovendo gradualmente nella giusta direzione.

CS: Pensa che l'accumulo di manodopera stia avendo un impatto in questo senso?

JW: Quando la domanda di lavoro era molto forte e c'è stata una carenza di manodopera nel 2021 e nel 2022, la settimana lavorativa è aumentata di molto perché i datori di lavoro cercavano di portare a termine il lavoro in ogni modo possibile. Abbiamo visto che la settimana lavorativa è tornata a livelli più normali, quindi questo potrebbe essere un altro segno di un maggiore equilibrio tra domanda e offerta.

Ci si chiede se i datori di lavoro stiano ancora trattenendo i dipendenti di cui non sono sicuri di aver bisogno, ma sanno quanto sia stato difficile coprire quelle posizioni. Non credo che ci siano prove convincenti che sia una parte importante della storia, ma sicuramente può essere una parte della dinamica.

L'aumento della partecipazione alla forza lavoro è stato un importante contributo al miglioramento dell'offerta, ma non so se possiamo ricavare molto di più da questo dato.

Se si guarda alle ore di lavoro aggregate nell'economia, queste sono cresciute molto poco nei primi sei mesi dell'anno. Penso che questo sia un altro segno che, sebbene la crescita del prodotto interno lordo sia stata piuttosto forte nel primo trimestre e ci siano altri segnali di forza nell'occupazione a libro paga, la crescita complessiva del numero di ore di lavoro svolte nella nostra economia non sta crescendo così velocemente.

CS: In termini di partecipazione, lo scorso autunno c'era molto scetticismo sul fatto che non avremmo ottenuto un grande aiuto in termini di ingresso di più persone nella forza lavoro per contribuire a riequilibrare il mercato del lavoro, ma da allora abbiamo assistito a un aumento della partecipazione della prima età. Questo ha cambiato la sua percezione dell'aiuto che potremmo ottenere da un aumento della partecipazione?

JW: I dati sulla partecipazione sono stati molto positivi, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 25 e i 54 anni. Abbiamo visto che la partecipazione è tornata ai livelli o addirittura, in alcuni casi, a livelli più alti di quelli registrati prima della pandemia. Un anno fa la preoccupazione era: avremmo assistito a una riduzione a lungo termine dell'offerta di lavoro nella nostra economia dopo la pandemia? Almeno in questo gruppo, non ne vediamo i segni.

La politica monetaria è parte della storia per far muovere la domanda verso l'offerta, ma ogni aiuto che possiamo ottenere dall'aumento dell'offerta è una buona notizia.

Non credo che ci sia molto spazio per continuare a essere un grande motore del riequilibrio tra domanda e offerta. La partecipazione alla forza lavoro, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 25 e i 54 anni, potrebbe aumentare ancora un po', ma non aumenterà così tanto come negli ultimi due anni. E poi per le persone di 55 o più anni, soprattutto per gli over 65, la partecipazione è più bassa. In parte ciò è dovuto all'invecchiamento della popolazione.

La mia conclusione è che l'aumento della partecipazione alla forza lavoro ha contribuito in modo significativo a migliorare l'offerta, ma non so se possiamo ricavare molto di più da questo dato.

Ora, c'è una seconda parte di questa storia, ovvero l'immigrazione e la crescita della forza lavoro grazie alle persone che entrano negli Stati Uniti e si aggiungono alla capacità produttiva della nostra economia. Durante la pandemia questo fenomeno ha subito un rallentamento. Abbiamo assistito a una ripresa, e a una ripresa piuttosto robusta.Questo è un altro fattore che contribuisce ad aumentare l'offerta di lavoro e a riportare l'equilibrio nella nostra economia.

CS: Quindi, considerando tutto questo, come è cambiato il suo pensiero su quanto deve aumentare il tasso di disoccupazione per far scendere l'inflazione?

JW: Si discute molto su come si combinano i diversi fattori. Un modo per pensare a questo aspetto, di cui hanno parlato anche alcuni miei colleghi, è in termini di curva di Beveridge.Finora abbiamo assistito soprattutto a un movimento verso il basso della curva di Beveridge, il che significa che abbiamo assistito a una riduzione significativa dei posti di lavoro disponibili e a un aumento minimo della disoccupazione.

A mio avviso, questo è un ottimo segnale dell'eccesso di domanda di lavoro. Il tasso di disoccupazione ha toccato il fondo intorno al 3,5%, ma abbiamo assistito a una coda in termini di offerte di lavoro e di posti vacanti. Ora i posti vacanti stanno scendendo a livelli più normali e la domanda aperta è: quando la domanda e l'offerta di lavoro torneranno in equilibrio, cosa dovremo vedere in termini di situazione e per assicurarci che l'inflazione scenda fino al 2%? Finora è andato tutto secondo i piani.

La situazione del settore bancario si è davvero stabilizzata. Ciò significa chiaramente che, dal punto di vista della gestione del rischio, alcuni dei rischi negativi sono a mio avviso minori.

Per quanto riguarda l'inflazione, spero che continueremo a vedere alcuni dei fattori che stanno contribuendo a ridurre l'inflazione.I prezzi del petrolio e del gas sono scesi senza bisogno di un aumento della disoccupazione nella nostra economia.Abbiamo assistito a un calo dei prezzi dei beni e, ancora una volta, ciò non richiede un rallentamento del mercato del lavoro.Si tratta di un'inversione di tendenza di alcuni effetti legati alla pandemia e di un allentamento delle strozzature della catena di approvvigionamento. È un pranzo gratis.

Per portare l'inflazione al 2%, sarà necessario non solo ridurre ulteriormente la domanda di lavoro, ma anche aumentare la disoccupazione. Secondo le mie previsioni, il tasso di disoccupazione dovrebbe salire a circa il 4% entro la fine dell'anno e arrivare al 4,5% entro la fine del prossimo anno.

CS: Il timore è quello di riportare l'inflazione dall'attuale livello al 2%, questa è la parte difficile, ma sembra che i funzionari siano diventati più ottimisti nell'evitare una recessione. In termini di stime di crescita, quali sono le sue previsioni per quest'anno e per il prossimo?

JW: È chiaro che il fatto che la crescita del primo trimestre sia stata del 2% deve influenzare la mia visione. Anche sei mesi fa, pensavo che la crescita di quest'anno sarebbe stata inferiore e ora ho alzato le mie previsioni probabilmente all'1% o poco più per i quattro trimestri del 2023.

Ho abbassato un po' le mie previsioni per il prossimo anno. Penso che l'inasprimento della politica monetaria e alcuni effetti della stretta creditizia peseranno sulla domanda nel 2024. Se si guarda alle mie previsioni trimestre per trimestre, il secondo trimestre sembra ancora abbastanza positivo e poi [vedremo] sicuramente una crescita più lenta nella seconda metà di quest'anno e nella prima metà del prossimo.

Non prevedo una recessione. La crescita è piuttosto lenta. Ovviamente le recessioni sono molto difficili da prevedere. Continuo a ritenere che questo sia lo scenario di base corretto, ma anche in questo caso dipenderà da tutti i fattori che influiscono sull'inflazione e se si verificherà ciò che prevedo, ovvero che l'inflazione complessiva della spesa per consumi personali (PCE) scenderà a circa il 3% nei quattro trimestri di quest'anno e poi al 2,5% l'anno prossimo.In questo caso, ovviamente, non ci sarà bisogno di un aumento del tasso di disoccupazione o di ulteriori costi per l'economia.

CS: Per quanto riguarda la stretta creditizia di cui ha parlato, si tratta solo di un riflesso della stretta che la Fed ha già messo in atto, o si tratta di una stretta aggiuntiva legata alle tensioni bancarie di quest'anno?

JW: Penso a entrambe le cose. L'inasprimento delle condizioni finanziarie comprende gli effetti dell'inasprimento della politica della Fed, ma anche l'inasprimento della politica monetaria nella maggior parte dei Paesi del mondo negli ultimi due anni. A questo si aggiunge un ulteriore inasprimento, forse degli standard di prestito e della disponibilità di credito, soprattutto per le banche. Abbiamo assistito a un calo dei prezzi dei beni e, ancora una volta, questo non implica un allentamento del mercato del lavoro. Si tratta di un'inversione di tendenza di alcuni effetti legati alla pandemia e di un allentamento delle strozzature della catena di approvvigionamento. È un pranzo gratis.

Nel sondaggio sull'opinione dei senior loan officer, è chiaro che le banche ci stanno dicendo da tempo che stanno inasprendo gli standard e, storicamente, questo porta a un restringimento della disponibilità di credito da parte del settore bancario, che influisce in qualche misura sulla spesa delle imprese e delle famiglie.

La parte difficile è che si stanno verificando entrambe le cose e, ovviamente, l'inasprimento della politica monetaria porterà anche a un irrigidimento della disponibilità di credito. Questo fa parte del suo funzionamento. Perciò è difficile per me sapere quanto siano grandi gli effetti aggiuntivi della stretta creditizia da parte delle banche, ma, in linea di massima, peserà in qualche modo sull'economia. Ci sono ritardi nella politica monetaria e nella stretta creditizia, quindi è ancora presto per capire quanto saranno grandi questi impatti.

CS: Direbbe però che forse è meno pronunciato di quanto si temeva in occasione della riunione di marzo?

JW: Se si torna a marzo, la distribuzione dei possibili risultati in termini di stress bancario era piuttosto ampia. Avrebbe potuto verificarsi un effetto di contagio dello stress bancario su altre istituzioni e sulla fiducia nell'economia. Non è successo, quindi è una buona notizia. La situazione del settore bancario si è davvero stabilizzata... Questo significa chiaramente che, dal punto di vista della gestione del rischio, alcuni dei rischi negativi a mio avviso sono minori.

CS: Le banche regionali hanno subito una fuga di depositi, i loro prezzi azionari sono scesi e c'è anche lo spettro di cambiamenti normativi. Se la Fed continua ad alzare i tassi d'interesse, quanto è preoccupato che le altre banche possano cedere sotto la pressione?

JW: Gli eventi di marzo sono stati sicuramente un campanello d'allarme per tutti, soprattutto per le banche stesse, che devono assicurarsi di avere accesso alla liquidità, di prendere buone decisioni di gestione del rischio sui tassi d'interesse che hanno e di posizionarsi per questo.Per molte banche, l'aumento dei tassi di interesse incide sui margini di interesse netti. Per molte banche si tratta di un effetto positivo, ma per altre forse non tanto o addirittura negativo.Le banche si sono concentrate molto sulla capacità di gestire questo tipo di cose.

Una parte importante di questa capacità è rappresentata dallo strumento di finanziamento a termine creato dalla Fed, che offre alle banche la possibilità di contrarre prestiti utilizzando garanzie del Tesoro e titoli garantiti da ipoteca. Quindi non solo possono agire per assicurarsi di avere una liquidità adeguata e fonti di liquidità e prendere decisioni corrette, ma anche questo strumento è a loro disposizione.

CS: Per quanto riguarda le prospettive della politica monetaria, lei ha detto di dipendere dai dati. La domanda principale è: cosa significa esattamente "sufficientemente restrittivo"? Come applica l'approccio dipendente dai dati per capirlo?

JW: Mi concentro su: "Continuiamo a vedere i segnali che indicano che la domanda e l'offerta si stanno riequilibrando?". Non può essere un ritmo glaciale. Deve essere un progresso costante e chiaro. Penso che lo stiamo vedendo e voglio che continui.

Per quanto riguarda l'inflazione, oltre agli effetti dei prezzi delle materie prime e dei prezzi dei beni di base, che stanno scendendo, per la politica monetaria dobbiamo concentrarci sui prezzi dei servizi di base. Ciò significa i prezzi degli alloggi. E anche i servizi di base [esclusi i costi legati all'abitazione]. Entrambi sono influenzati dalla domanda e dall'offerta complessiva.

Abbiamo parlato molto degli alloggi perché negli ultimi anni sono stati di gran lunga il principale motore dell'inflazione di base. È anche uno dei fattori che hanno fatto scendere l'inflazione di fondo e mi aspetto che continui a farlo. Ma lo farà solo se la domanda e l'offerta nell'economia si riequilibreranno.

Oltre ad altri elementi del quadro dell'inflazione che continuano a muoversi nella giusta direzione, vorrei che l'inflazione degli alloggi continuasse a muoversi verso livelli coerenti con l'inflazione complessiva del 2% e che ciò avvenisse anche nei servizi essenziali al di fuori degli alloggi. Questa è forse la parte più difficile e anche quella che potrebbe richiedere più tempo.

CS: Sembra che i rialzi dei tassi si fermeranno molto prima di tornare a un'inflazione del 2%, quindi c'è un certo tasso di inflazione core mensile per un certo periodo di tempo che è il vostro indicatore per un tasso di federal funds sufficientemente restrittivo, o un tasso di crescita mensile dei posti di lavoro che sia coerente con il ritorno dell'inflazione all'obiettivo?

JW: Sul fronte dell'occupazione, gli indicatori del mercato del lavoro si sono comportati in modo molto diverso, visto l'eccesso di domanda di lavoro che abbiamo avuto durante la pandemia. Se si guarda al tasso di disoccupazione, si potrebbe dire: "Beh, non sta succedendo nulla", ma se si guardano altri [indicatori come il tasso di licenziamento e il tasso di apertura], è chiaro che ci stiamo muovendo nella giusta direzione. Si tratta quindi di considerare la totalità dei dati, ma anche gli indicatori di squilibrio. Questo include i salari. I salari si muovono per molte ragioni, quindi è difficile sapere esattamente cosa li guida, ma è chiaramente uno dei segnali degli squilibri del mercato del lavoro.

Se qualcuno è in grado di spiegarmi cosa stanno facendo i prezzi delle auto usate e perché, mi piacerebbe saperlo, perché è stato uno dei principali fattori di aumento e diminuzione dell'inflazione.

Per quanto riguarda l'inflazione, non si tratta di considerare un tasso d'inflazione semestrale, ma di osservare come i pezzi stanno lavorando insieme.Vi sembra coerente con gli obiettivi che stiamo cercando di raggiungere?Nei dati dell'inflazione core ci saranno sempre elementi difficili da spiegare perché si muovono per motivi idiosincratici.Stiamo ancora sperimentando i postumi della pandemia sulla domanda di beni e servizi e gli spostamenti tra di essi. Se qualcuno è in grado di spiegarmi cosa stanno facendo i prezzi delle auto usate e perché, mi piacerebbe saperlo, perché è stato uno dei principali fattori di aumento e diminuzione dell'inflazione.

CS:In un certo senso dobbiamo guardare oltre.

JW: Dobbiamo cercare di capirlo perché il mercato delle auto nuove è una componente fondamentale della domanda dei consumatori. Si vede dal lato della domanda, si vede dal lato dell'inflazione. Penso sempre al mercato delle auto usate come a un mercato secondario e a un derivato del mercato delle auto nuove. In un certo senso, è un po' separato, ma è anche una misura basata sul mercato della domanda e dell'offerta.

Un altro aspetto importante è come gli effetti della politica monetaria e dell'inasprimento delle condizioni finanziarie si ripercuotono sull'economia, perché la politica monetaria non ha un solo ritardo. La politica monetaria non ha un solo ritardo, ma si manifesta a velocità diverse e in diversi settori dell'economia nel corso del tempo.

CS:Abbiamo visto che il solo accenno al tapering degli acquisti di obbligazioni ha contribuito a inasprire le condizioni finanziarie già nel 2021, e poi ancora, prima di qualsiasi aumento dei tassi nel 2022, c'è stato il segnale che i tassi di interesse sarebbero aumentati. Alcuni suoi colleghi hanno recentemente espresso scetticismo sul fatto che ci sarà un grande impatto derivante da ritardi successivi, e mi chiedo cosa ne pensi di questa preoccupazione.

JW: È difficile da misurare e da dire con certezza, ma almeno le ricerche e le prove che ho visto non suggeriscono che i ritardi della politica monetaria rispetto all'economia reale - PIL, occupazione e inflazione - siano cambiati radicalmente negli ultimi decenni. È chiaro che tutto ciò che abbiamo fatto per aumentare la trasparenza negli ultimi decenni influisce sulla capacità dei mercati finanziari di rispondere alla politica monetaria, ma non è così evidente che abbia avuto un effetto di primo ordine sui ritardi della politica monetaria rispetto all'economia reale... 

Nell'ultimo anno siamo passati da una politica ancora accomodante a una politica neutrale, per poi arrivare a una politica restrittiva.

L'economia che osserviamo oggi è un misto di effetti ritardati della politica monetaria accomodante e di molti stimoli fiscali, e ora cominciamo a vedere che entrambi i fattori hanno cambiato rotta nel tempo.La politica fiscale non sta aggiungendo quasi più stimoli alla crescita e la politica monetaria sta rallentando la crescita.

Non stiamo ancora ottenendo tutti gli effetti della politica restrittiva che abbiamo attuato. Questi sono ancora di là da venire, anche se alcuni effetti si sono già manifestati in alcuni settori sensibili ai tassi d'interesse.

CS: Un anno fa, a Sintra, il presidente Jay Powell ha dichiarato che il tempo a disposizione per rimanere in un regime di bassa inflazione sta per scadere. Con l'inflazione di fondo al punto in cui si trova, anche se le aspettative di inflazione sono ben ancorate, quanto tempo pensa che ci rimanga?

JW: Dovevamo agire in modo aggressivo. Le azioni che abbiamo intrapreso e la velocità con cui le abbiamo intraprese lo scorso anno erano essenziali. Non vogliamo che ci si chieda seriamente se siamo impegnati a raggiungere la stabilità dei prezzi. Dobbiamo garantire e assicurare ai cittadini che raggiungeremo la stabilità dei prezzi e che lo faremo in modo tempestivo.

La rapidità con cui siamo passati da una politica espansiva a una politica restrittiva, e ora abbiamo indicato attraverso le nostre proiezioni e le nostre comunicazioni che pensiamo di avere ancora un po' di strada da fare per portare la politica a una posizione sufficientemente restrittiva per portare l'inflazione al 2%, tutto ciò riflette un impegno a raggiungere la stabilità dei prezzi non in 10 anni, ma in pochi anni.

Una cosa che ci si chiede è quando smetteremo [di ridurre il bilancio]. Penso che questo sia molto lontano nel tempo.

Non si può dare per scontato l'ancoraggio delle aspettative di inflazione, ma possiamo, attraverso le nostre azioni, rafforzare non solo i risultati coerenti con la stabilità dei prezzi, ma anche, credo, rafforzare la comprensione della gente che questo è ciò che stiamo facendo e che raggiungeremo.... Il FOMC ha dimostrato un forte e unito sostegno a questo proposito.

CS: Con le preoccupazioni per la stabilità finanziaria che si sono fatte sentire quest'anno, si è discusso se il programma di riduzione del bilancio debba essere modificato o se stia funzionando come previsto?

JW: Ha funzionato come previsto in tutte le sue dimensioni. Nel 2020 abbiamo aumentato drasticamente le dimensioni dei nostri asset per un'ottima ragione, viste le perturbazioni del mercato dei Treasury e dei mercati collegati, ma ciò ha creato un bilancio molto più ampio di quello necessario per condurre e attuare la politica monetaria.

Il FOMC ha pianificato e comunicato in modo molto ponderato e attento, per un periodo piuttosto lungo, la riduzione delle nostre attività.È andata esattamente come previsto. Credo che i nostri strumenti di controllo dei tassi di interesse siano andati esattamente come previsto, in termini di interessi sulle riserve e di programma di pronti contro termine overnight.

Se si dice: "Qual è l'obiettivo del FOMC?", ovvero mantenere il tasso dei fondi federali stabile all'interno della fascia target, questo obiettivo è stato centrato in pieno, nonostante il fatto che nel 2020 ci siano state parecchie perturbazioni sui mercati finanziari. Abbiamo chiaramente avuto tensioni nel sistema bancario.

Uno degli effetti desiderati della riduzione dei titoli del Tesoro a più lunga scadenza e dei titoli garantiti da ipoteca è che ci aspettiamo che il premio a termine su questi titoli aumenti e che ciò contribuisca a inasprire le condizioni finanziarie. È difficile misurarlo con precisione, ma credo che questi effetti vadano nella giusta direzione e non abbiamo riscontrato alcun segno di turbativa nei mercati finanziari a causa della riduzione del bilancio.

Ci si chiede quando ci fermeremo.Penso che questo sia un momento molto lontano nel tempo.

CS:Un'altra potenziale fonte di turbativa è stata la fine del Libor. Finora le cose sembrano stabili, ma sono curioso di sapere se questo è ciò che vede dal suo punto di vista e se è preoccupato per altre vulnerabilità derivanti da questo?

JW: C'è stata un'enorme preparazione da parte del settore privato, dei mutuatari, dei prestatori, del settore ufficiale - cioè della Federal Reserve e di altre agenzie che hanno lavorato insieme - e poi a livello internazionale. A un certo punto avevamo più di 200 miliardi di dollari di contratti Libor basati sul dollaro. Il nostro sistema finanziario era costruito su qualcosa di fondamentalmente insicuro e non solido, e dovevamo sostituirlo. In alcuni momenti di questo percorso, sembrava impossibile, ma ancora una volta rendo merito a tutti coloro che hanno lavorato insieme capendo che non c'era davvero alcuna opzione. Dovevamo passare a una base più sicura per il sistema finanziario. Non volevamo aggiustarlo. Volevamo avere una nuova base.

CS: Manca ancora molto tempo alla revisione della politica del 2025, ma si è speculato molto sulla necessità di rivedere il quadro del 2020. Se la revisione avvenisse oggi, cosa proporrebbe?

JW: Abbiamo un periodo di revisione di cinque anni e credo che sia una cosa molto salutare. Non si vuole cambiare radicalmente il quadro e la strategia ogni anno o qualcosa del genere.

Abbiamo riflettuto molto sui fattori che hanno portato al quadro di riferimento per il 2020, come abbiamo fatto per quello del 2012, quindi penso che vogliamo davvero prenderci il tempo necessario per valutare, [soprattutto] come siamo usciti dalla pandemia. Al momento, l'inflazione di fondo si aggira intorno al 4,5% e non è chiaro come sarà tra due anni.

Abbiamo parlato delle nostre previsioni, ma forse le cose non si svilupperanno come ci aspettiamo.Voglio davvero riflettere a fondo sugli insegnamenti tratti dall'andamento dell'economia, dell'inflazione e della politica monetaria e su quali siano le implicazioni per la riflessione sul quadro di riferimento.

Le nostre azioni in termini di acquisti di asset nella primavera del 2020 sono state straordinarie .La velocità e l'ampiezza con cui lo abbiamo fatto sono state senza precedenti. Non si è trattato di un caso di gradualità, né di cautela, ma di un'azione decisa.

Il quadro di riferimento del 2012, quello del 2020 e tutti gli altri hanno sempre sottolineato l'importanza della stabilità dei prezzi e l'importanza di aspettative inflazionistiche ben radicate. . . Mi limiterò a dire che il quadro 2020 non ha ostacolato in alcun modo la decisione di prendere decisioni politiche in termini di inasprimento della politica monetaria come era necessario, la velocità con cui lo abbiamo fatto, l'adeguamento del programma di acquisto di obbligazioni. Credo che lo abbiamo dimostrato aumentando il tasso dei fondi federali di 75 punti base per ogni riunione e di 50 punti base per ogni riunione.

Ci siamo mossi più velocemente di quanto sia mai stato fatto da decenni a questa parte.Non sono d'accordo con alcuni commenti che sostengono che in qualche modo il quadro di riferimento ostacolava la nostra capacità di intraprendere azioni forti per affrontare l'inflazione quando ritenevamo che fosse la cosa giusta da fare.CS: Il biasimo si è concentrato anche sulle indicazioni fornite all'epoca. Quali sono gli insegnamenti che avete tratto dal dover passare da una politica accomodante a un aumento molto aggressivo dei tassi di interesse?

JW: Siamo tutti consapevoli di lavorare in un mondo di estrema incertezza. Lo sapevamo nel marzo 2020, nel 2021 e in seguito.

Se penso a come prendere decisioni politiche in un contesto di estrema incertezza, non credo ci sia una risposta giusta o sbagliata. Una delle conclusioni teoriche di alcune parti della letteratura è che si è più cauti, mentre in altre parti della letteratura si agisce in modo più aggressivo e deciso.

La lezione che ne traggo è che quando si ha a che fare con l'incertezza estrema e la gestione del rischio, si devono prendere decisioni basate su ciò che si pensa siano i rischi peggiori.

Le nostre azioni in termini di acquisti di asset nella primavera del 2020 sono state straordinarie.La velocità e la scala con cui lo abbiamo fatto sono state senza precedenti.Non si è trattato di gradualità, né di cautela, ma di un'azione decisa. Non era chiaro in tempo reale quanto fosse necessario fare o quanto tempo ci sarebbe voluto per farlo, ma era chiaro che dovevamo farlo.

Il rischio di coda nel 2020 e nel 2021 era un'economia che non si riprendeva. Ovviamente, alla fine dei conti, l'economia si è ripresa e questo è fantastico, anche se il costo è stato che l'inflazione è decollata più velocemente e molto più in alto di quanto la maggior parte delle persone si aspettasse e noi dovevamo cambiare marcia. Questo è stato il rischio che abbiamo dovuto affrontare.

Valter Buffo
Performances: primo semestre 2023 e secondo semestre 2023. Poi il 2024.

Avrebbe dovuto essere un anno facile: ed anzi, facilissimo.

“Con quello che hanno perso nel 2023” si diceva, “le obbligazioni possono solo salire”.

E poi, per il secondo semestre 2023, “le azioni possono solo solo salire” perché “tanto l’inflazione scende”.

La realtà. La realtà dei fatti ha messo tutto questo in discussione già a metà anno.

Il passato, il primo semestre, non è stato quello che ci era stato raccontato.

Neppure il secondo semestre lo sarà.

E questa realtà avrà un forte impatto sui risultati del vostro portafoglio titoli, e dei vostri investimenti sui mercati finanziari.

La tabella qui sopra ci racconta il primo semestre dei Fondi di tipo Hedge.

Recce’d fa riferimento a quei risultati, perché sono significativi: i risultati dei Fondi Comuni di Investimento tradizionali, invece, non dicono nulla. Seguono, passivamente, gli alti e i bassi degli indici di mercato. Quello dei Fondi Comuni tradizionali NON è il risultato di un lavoro di gestione. Chi investe nei Fondi Comuni viene lasciato in balia delle correnti: va su coi mercati e giù coi mercati. Senza mai capire il perché.

La performance dei Fondi Hedge è invece significativa: almeno a parole, questi gestori si impegnano a GENERARE la performance attraverso le loro scelte di gestione.

Si impegnano a gestire in modo ATTIVO il portafoglio.

Nel riquadro blu, i loro risultati del primo semestre, che vanno da +3,5% a -3,5%.

Risultati coerenti con la assoluta mancanza di movimenti significativi nel primo semestre 2023. Nonostante Nvida, nonostante i Big Tech: che tutti hanno in portafoglio, ma nessuno ha in portafoglio per il 100%. Come è giusto e naturale che sia.

Per ciò che riguarda il confronto con i risultati di noi di Recce’d, con i nostri portafogli modello, il nostro obbiettivo è fare meglio della terza colonna: le performances a 36 mesi.

Nello specifico di questa (stranissima) fase di mercato, noi con i nostri Clienti facciamo i confronti con la fase di mercato che è in corso: fase che iniziò nel gennaio 2020.

Il confronto è per noi FAVOREVOLE, a tutto oggi. Ed è questo che noi ci impegniamo a fare per il Cliente.

Aggiungete poi una cosa: le caratteristiche di questa fase iniziata nel 2020 sono, per le nostre strategie di gestione, decisamente AVVERSE. E fare bene quando tutto ti gioca contro è la migliore garanzia di risultato.

Ed ora passiamo al secondo semestre.

Nel Post non forniamo indicazioni di dettaglio sui portafogli modello. Nel Post non scriviamo:

  • il cosa

  • il quando

  • il quanto

  • il dove

  • il con chi

Le informazioni operative sui nostri portafogli ottimizzati sono riservate ai Clienti.

Mentre invece ai lettori del sito offriamo, gratuitamente, una serie di concrete indicazioni: il lettore dovrà poi risolvere da sé i problemi di scelta di:

il cosa

  • il quando

  • il quanto

  • il dove

  • il con chi

Qui sopra, la prima indicazione di massima: l’errore più grande, che un investitore oggi possa fare, è pensare che “tutto tornerà come prima”: sono accadute cose che non accadevano da 100 anni, e chi vi dice che “tutto ritornerà a funzionare come prima” può essere solo molto (molto molto) ingenuo oppure molto (molto molto (malintenzionato).

Lo dicono i Governi, e lo dicono le Banche Centrali: ma loro hanno il dovere istituzionale di rassicurare sempre. Lo leggeremo anche più in basso in chiusura di Post.

Qui sotto, invece, vi ricordiamo che tra le ragioni per cui non tutto “tornerà come prima” c’è il fatto che nel 2020 le cose non stanno “come stavano prima”. Sono molto (molto molto) diverse.

Passiamo adesso dalle regole generali al particolare.

Ecco nell’immagine: vi anticipiamo uno dei fattori che avranno maggiore influenza sui vostri risultati di investimento da qui alla fine del 2023. E poi nel 2024.

Un secondo tema di mercato che avrà una grande influenza sui vostri risultai (possibilmente positivi, ma forse negativi) del secondo semestre lo vedete raccontato dalla prossima immagine.

Il medesimo tema di investimento lo potete leggere nella prossima immagine. E poi, se per caso avete interesse, noi di Recce’d siamo qui per approfondire: come sempre siamo a disposizione di voi lettori, e lo saremo per tutta l’estate.

Non intendiamo perderci neppure un solo minuto.

Tra i nuovi temi di mercato dell’estate, che decideranno se nel 2023 avrete vinto oppure perso (soldi) , l’attualità dell’ultima settimana ci ha segnalato l’Asia. Ed in particolare la Cina.

Nelle valutazioni che facciamo noi di Recce’d però il Giappone risulterà anche più importante della Cina, per le ragioni che ci vengono ricordate dal titolo qui sotto.

Proprio dal Giappone dipenderà una parte dei vostri risultati: anche se non avete neppure una posizione in Giappone!

Se volete approfondire, ci trovate ai recapiti della pagina CONTATTI del sito.

Usciamo dal particolare, e ritorniamo un attimo alle regole generali della gestione del portafoglio titoli.

Vi suggeriamo, per questo 2023, di tenere bene a mente che si può avere la sensazione che “oggi tutti pensano che le cose andranno così” … ma non sono mai “tutti”, nella realtà.

C’è sempre chi ha una visione diversa.

E soprattutto, vi ricordiamo che questa “opinione di tutti”, nel corso delle settimane e dei mesi, a volte si ribalta. Come vi racconta l’immagine sotto.

E quella famosa “opinione di tutti” cambia di continuo non soltanto a proposito dei “tagli dei tassi”, che vedete sopra nell’immagine. Anche per ciò che riguarda il comportamento degli indici dei mercati, quello che a voi viene raccontato con la premessa che “è sempre andata così in passato, ed andrà così anche questa volta”.

Ma … davvero voi vi ricordate bene come è andata in passato? Amici lettori, davvero voi ricordate (ad esempio) che cosa succede alle Borse quando la Bnaca Centrale smette di alzare i tassi di interesse ufficiali? Davvero lo sapete?

Oppure credete di saperlo, ma invece non lo sapete per nulla?

Fermatevi a leggere il grafico che segue. Ve lo avevano spiegato, questo, i vostri venditori di polizze e Fondi Comuni di Investimento e UCITS?

Recce’d è qui per scambiare con voi alcuni punti di vista, anche sul grafico qui sotto.

Restando sulle regole generali dell’investimento, non dimenticate mai che, negli ultimi quindici anni, la macchina che si chiama Industria del Risparmio (Fondi Comuni e Reti di promotori che guadagnano sulle retrocessioni dei “prodotti finanziari”) ha spinto in modo disperato e spregiudicato sul pedale dello “ottimismo senza limiti e senza ragione”.

Le fasi di ottimismo senza freni si sono succedute nel tempo, seguendo sempre più o meno il medesimo andamento (sotto):

Mai prima, però, la fase attuale di “insensato ottimismo” è cresciuta anche sotto la spinta dei Governi e delle Banche Centrali.

Anche per questa ragione noi oggi siamo in una Nuova Era. Dobbiamo affrontare la Nuova Era. Dobbiamo investire i nostri soldi in una Nuova Era: e guadagnare il giusto. fare meglio dei Fondi hedge.

Noi, in Recce’d, sappiamo come si fa. A voi interessa capire meglio?

Per concludere con le regole generali dell’investimento (per oggi) vi suggeriamo di NON dimenticare di guardare sempre con attenzione ai dati: ad esempio, chi oggi vi parla di Borsa, senza conoscere i dati del grafico che vedete qui sotto, non sa che cosa di che cosa sta parlando. Oppure sta cercando di fregarvi.

Noi di Recce’d siamo invece qui, a vostra disposizione, proprio per parlare con voi. Anche di questo grafico.

Di regole generali dell’investimento Recce’d scrive nella pagina dedicata, che si chiama SCELTE DI PORTAFOGLIO.

Nel corso dell’estate 2023, proprio attraverso quella pagina, ai nostri lettori metteremo a disposizione dei nostri lettori un certo numero di significative sorprese, che abbiamo sviluppato nel dettaglio nel corso del primo semestre 2023 (sacrificando nel primo semestre in parte le nuove pubblicazioni dedicate a questa pagina).

Una, in particolare, è del tutto inattesa: e costituisce un vero e proprio salto di qualità per l’intera storia di questa iniziativa che si chiama Recce’d.

Vi suggeriamo di tenervi informati, sia attraverso la HOME PAGE sia attraverso la pagina MERCATI del sito, oltre che (ovviamente) seguendo la pagina SCELTE DI PORTAFOGLIO del nostro sito nelle prossime settimane.

Per concludere questo Post di metà luglio 2023, vi proponiamo un gioco, divertente ed utile al medesimo tempo.

Nelle ore calde, prima della siesta pomeridiana, sdraiati sul lettino dopo l’insalata caprese, fermatevi a leggere l’articolo che segue.

Noi ora non vi diremo in che data è stato pubblicato, né chi è l’autore dell’articolo.

Solo alla fine, dopo averlo letto, vi diremo chi e quando.

L’articolo risulta, al tempo stesso, divertentissimo ed … inquietante.

Molto, molto divertente, ma allo stesso tempo disturbante, proprio per la sua precisione.

Il sell-off di questo mese sui mercati obbligazionari è già un evento storico.

Il calo dei prezzi delle obbligazioni, sia negli Stati Uniti che in Europa, è stato così forte come mai si era visto in questo decennio. Il conseguente aumento dei rendimenti ha costretto gli investitori a riesaminare le ipotesi ottimistiche che hanno sostenuto i finanziamenti a basso costo disponibili in tutto il mondo negli ultimi anni. Ora si tratta di vedere quanto sarà grande l'impatto.

I rendimenti dei titoli del Tesoro USA stabiliscono di fatto il tasso "privo di rischio" utilizzato per valutare i titoli - dal credito alle imprese, ai contratti derivati, alle azioni - in tutto il mondo. Essi costituiscono l'espressione più chiara del rischio nel mondo finanziario. Albert Edwards, noto stratega azionario globale di Dresdner Kleinwort, dichiara: "Questo è il momento più importante This is the big one". Descrivendo i tassi di interesse fissati dal mercato obbligazionario come la "pietra angolare" per la valutazione delle azioni e di altri titoli, avverte che se il mercato obbligazionario è davvero entrato in una nuova era di tassi a lungo termine in costante aumento, "tutti i portafogli di investimento saranno ridotti a brandelli".

Cosa ha generato l'agitazione e quali sono le prospettive? In un mercato già nervoso da qualche settimana, gli operatori si sono allarmati il 7 giugno quando il rendimento del titolo decennale del Tesoro statunitense ha superato il 5,05%. Il motivo: l'interruzione di una costante tendenza al ribasso dei rendimenti obbligazionari che durava dal 1987. Nel corso di ripetuti cicli economici, i rendimenti obbligazionari avevano raggiunto picchi progressivamente più bassi, riflettendo il crescente ottimismo per il fatto che l'inflazione era stata definitivamente eliminata dal sistema mondiale. La rottura del trend implicava, agli occhi degli operatori, l'abbandono dell'ipotesi di un'inflazione in continuo calo. Il mercato è così entrato in una caduta libera che lo ha portato a superare altri importanti punti di riferimento.

Una volta che i rendimenti decennali hanno superato il 5,25%, i tassi decennali sono stati superiori al tasso sui Fed funds, che la Federal Reserve applica alle banche per i prestiti overnight. Ciò ha posto fine a quasi un anno in cui questi tassi obbligazionari erano stati più bassi. Normalmente, i tassi a breve termine sono inferiori a quelli a lungo termine, poiché gli investitori chiedono un rendimento più elevato per assumersi il rischio maggiore di concedere prestiti per periodi più lunghi. Anche il rendimento a 10 anni ha raggiunto il livello più alto dal 2002. (Anche se la Fed ha aumentato ripetutamente i tassi overnight, dall'1% nel 2004 fino al 5,25%, i rendimenti delle obbligazioni a lungo termine si sono mossi appena.

Alan Greenspan, ex presidente della Fed, ha definito l'incapacità dei tassi a lungo termine di reagire come un "enigma conundrum". Quell'enigma conundrum potrebbe ora essere superato. I bassi tassi obbligazionari a lungo termine hanno coesistito con finanziamenti a basso costo per alimentare un boom immobiliare negli Stati Uniti e hanno permesso alle società di private equity di effettuare acquisizioni sempre più ambiziose.

Con la facilità di reperire denaro, sono diminuite le vendite forzate di attività e quindi la volatilità dei prezzi. I rendimenti obbligazionari si sono così mantenuti ben saldi e gli investitori hanno creduto che l'era dei finanziamenti a basso costo sarebbe continuata all'infinito.

A sua volta, è diventato conveniente assicurarsi contro la volatilità attraverso i derivati, che hanno registrato un boom.

L'improvviso sell-off mette in discussione la longevità di quest'epoca di denaro a buon mercato e bassa volatilità.

"Con la liquidità globale che diventa meno abbondante (a testimonianza dell'aumento dei tassi d'interesse e dei rendimenti obbligazionari), una conseguenza potrebbe essere l'aumento della volatilità", afferma Paul Jackson di Société Générale a Londra, che sottolinea il costante aumento del costo dell'assicurazione contro la volatilità attraverso le opzioni azionarie. "I mercati azionari possono salire, ma il percorso sarà più accidentato e le opzioni non saranno mai più così a buon mercato (o non in questo ciclo)".

Stephen Roach, capo economista di Morgan Stanley, vede il ritiro dei prezzi delle obbligazioni come il secondo atto di una "normalizzazione" in tre atti iniziata con il rialzo dei tassi da parte delle banche centrali. Il terzo atto, a suo avviso, porterà a una svendita del credito societario e del debito dei mercati emergenti, che attualmente richiedono spread insolitamente bassi nei loro tassi di interesse rispetto ai Treasury per compensare il rischio aggiuntivo. "Con spread ancora insolitamente bassi in entrambe le aree, il sipario su questo atto finale deve ancora alzarsi", afferma. "Inoltre, nella misura in cui i livelli più elevati dei tassi reali a breve e a lungo termine iniziano a pesare sulle aspettative di attività economica reale, i tassi di default attesi sui crediti nazionali dovrebbero aumentare".

È difficile, tuttavia, spiegare perché le obbligazioni abbiano iniziato a scendere, soprattutto perché questo sell-off non assomiglia molto a nessuno dei suoi più recenti predecessori, nel 1994 e nel 2003. Nel 1994, il mercato ribassista delle obbligazioni fu innescato quando la Fed iniziò ad aumentare i tassi dal 3% con un incremento di un quarto di punto a febbraio. Nel giro di un anno, il tasso sui Fed funds era raddoppiato al 6%. I trader hanno rapidamente maturato l'idea che la Fed avesse mantenuto i tassi troppo bassi e che l'inflazione fosse destinata ad accelerare. Il rendimento dell'obbligazione decennale raggiunse un picco superiore all'8% nel novembre 1994, dal 5,74% di gennaio. Ciò comportò gravi perdite per gli investitori obbligazionari, mentre le ripercussioni portarono una serie di crisi nei mercati più rischiosi del mondo, a partire dal Messico. Ma i mercati sviluppati ne sono usciti indenni. I rendimenti obbligazionari sono saliti ma, a differenza del sell-off di questo mese, si sono mantenuti all'interno di una tendenza al ribasso di lunga durata. Le azioni statunitensi sono rimaste ferme nel 1994 e hanno poi messo a segno il più grande rally dagli anni Venti.

Ma il sell-off di oggi non è un allarme inflazione come quello del 1994. Gli operatori misurano le aspettative di inflazione attraverso l'analisi dei titoli del Tesoro protetti dall'inflazione, e questi non hanno riflesso una paura pronunciata dell'aumento dei prezzi. I prezzi implicano un tasso di inflazione statunitense del 2,45% nei prossimi 10 anni, in aumento rispetto al 2,35% previsto un mese fa, ma ben al di sotto del picco dello scorso anno, pari a circa il 2,75%. Questo non può spiegare l'impennata dei rendimenti obbligazionari. Il più recente sell-off del 2003 è avvenuto quando, dopo due anni di tagli successivi dei tassi, la Fed li ha mantenuti fermi. Le vendite sono state innescate dai detentori di portafogli ipotecari, che si aspettavano ulteriori tagli e sono stati colti di sorpresa.

Questa volta non sembra essere successo nulla di simile. Gli investitori in mutui ipotecari hanno venduto, ma sono stati meglio preparati a un balzo dei rendimenti. "La nostra sensazione è che questa volta la comunità dei mutui sia stata abbastanza ben coperta e che i prezzi dei mutui si siano mossi in sincronia con quanto previsto dai modelli", afferma Dominic Konstam, responsabile della strategia dei tassi del Credit Suisse. "È difficile sostenere che siano stati gli investitori in mutui a guidare il sell-off".

Cosa spiega allora quello che è successo? Colin Lundgren, responsabile del reddito fisso istituzionale di RiverSource Institutional Advisors, afferma: "Si è trattato di una combinazione di fattori: dati economici più solidi, rimozione delle aspettative di taglio dei tassi e assenza di acquisti asiatici". La migliore spiegazione potrebbe essere che il mercato obbligazionario abbia improvvisamente riconosciuto di essere diventato troppo compiacente nei confronti del rischio. "C'è un'ottima ragione per cui le curve dei rendimenti sono inclinate verso l'alto", afferma Mark Kiesel, gestore di portafoglio presso Pimco, uno dei maggiori gestori di fondi obbligazionari al mondo, con sede a Los Angeles, che è stato uno dei tanti investitori ad iniziare a vendere obbligazioni a lunga scadenza. "Un investitore dovrebbe ricevere un rendimento più elevato per compensare il maggior rischio di possedere un'obbligazione a tasso fisso per un certo periodo di tempo".

Anche le aspettative sulla Fed sono cambiate. Tre mesi fa, i futures sui tassi di interesse prezzavano l'aspettativa di un calo di 60 punti base del tasso sui Fed funds entro la fine dell'anno. Il mercato ha quindi ipotizzato che due tagli dei tassi di interesse da parte della Fed fossero una certezza. Questa prospettiva è stata ora abbandonata. I mercati dei futures implicano addirittura un piccolo rischio di rialzo dei tassi. "I tagli dei tassi sono stati inseriti nella torta e noi abbiamo dovuto prendere la palla al balzo per tirarli fuori", afferma Lundgren. Per gli investitori in obbligazioni a lungo termine, i rendimenti ben al di sotto del tasso sui Fed funds del 5,25% hanno improvvisamente iniziato a sembrare molto rischiosi. "I Treasury non erano competitivi rispetto alle azioni e ad altri asset, e possedere obbligazioni a lunga scadenza comporta un forte rischio di tasso d'interesse", afferma Kiesel. "Con un tasso sui fondi al 5,25%, gli investitori avrebbero fatto meglio a mettere i loro soldi in contanti". Il problema è che l'uscita dal mondo dell'"enigma conuncdrum" - in cui i tassi d'interesse a lungo termine non salgono - implica che i prezzi delle obbligazioni devono scendere ancora molto e i rendimenti salire ancora.

Alan Ruskin, strategist di RBS Greenwich Capital, afferma che i rendimenti a 10 anni sono stati storicamente superiori di circa 0,8 punti percentuali rispetto al tasso sui Fed funds. Ciò significherebbe rendimenti decennali superiori al 6% - un ulteriore aumento di oltre tre quarti di punto - anche se la Fed non dovesse intervenire. Altre spiegazioni generano maggiore preoccupazione. Lo stesso Greenspan ha spiegato il suo enigma conundrum con una "carenza di risparmio".

La Cina e altre economie asiatiche stavano generando risparmi in eccesso e li stavano parcheggiando in obbligazioni statunitensi. E se dovessero vendere? "Una minore sponsorizzazione asiatica dei Treasury è una nuvola che incombe sulle obbligazioni", afferma Lundgren. Gli ultimi dati ufficiali del Tesoro statunitense, relativi al mese di aprile, mostrano che gli acquirenti asiatici hanno effettivamente smesso di comprare obbligazioni lunghe e hanno invece acquistato azioni e obbligazioni societarie. Gli operatori hanno notato che nelle due settimane precedenti i prezzi delle obbligazioni sono scesi durante le ore di contrattazione asiatiche. "I trader con sede negli Stati Uniti arrivavano ogni mattina e vedevano che il mercato era stato scambiato molto male durante la notte", afferma Konstam. "La mancanza di acquisti negli scambi notturni ha creato una frenesia di vendita tra la folla londinese e asiatica". Un altro timore è l'inflazione.

L'evidenza di un aumento delle pressioni sui prezzi potrebbe far schizzare i tassi molto più in alto - anche se gli ultimi dati statunitensi, pubblicati mentre il mercato cominciava a calmarsi alla fine della scorsa settimana, sono ambivalenti, con i prezzi "core", escluso il carburante, che sembrano ancora sotto controllo. Qualsiasi chiaro segnale di ritorno dell'inflazione potrebbe portare i rendimenti molto più in alto durante l'estate. Un altro elemento imponderabile è rappresentato dai mutui per l'acquisto di abitazioni, il cui prezzo si basa sui rendimenti del Tesoro. Con i mutui a tasso variabile sempre più diffusi tra gli americani, questo sell-off obbligazionario potrebbe ripercuotersi sul mercato immobiliare più rapidamente dei suoi predecessori. Più di 1.000 miliardi di dollari (506 miliardi di sterline, 747 miliardi di euro) di mutui a tasso variabile scadono nel prossimo anno. "Il problema degli alloggi è già presente ed è diventato meno accessibile, dato che il tasso dei mutui a 30 anni è salito al 6,7% nell'ultimo mese", afferma Kiesel di Pimco. "Il salto dei tassi significa che il costo di un mutuo è aumentato di oltre l'8%".

Gli ottimisti suggeriscono che il mercato immobiliare metterà naturalmente un freno ai tassi d'interesse: la Fed non può aumentare i tassi e rischiare un crollo su larga scala dei prezzi delle case, dicono. Se l'aumento dei rendimenti rende più difficili le condizioni per i mutuatari, la risposta potrebbe essere addirittura un taglio dei tassi. Il punto di vista più temibile è che le contraddizioni dell'economia statunitense stiano per manifestarsi, dato che il boom immobiliare ha richiesto finanziamenti a prezzi insostenibili. Secondo questa lettura, un rendimento del 5,15%, per quanto basso rispetto agli standard storici, potrebbe provocare un crollo economico. Così come il mercato obbligazionario è improvvisamente uscito da anni di compiacenza senza una specifica causa scatenante, anche i detentori di molti asset più rischiosi potrebbero fare la stessa cosa, se i timori si intensificassero. Che gli investitori in attività rischiose siano "straordinariamente resistenti o straordinariamente compiacenti", afferma Lundgren, "se i rendimenti obbligazionari salgono ancora, la mandria potrebbe iniziare a correre".

Ed eccovi come promesso, firma e data di pubblicazione.

L’articolo fu pubblicato dal Financial Times, a firma Michael Mackenzie e John Authers, quasi esattamente sedici anni fa. Il 17 giugno 2007.

Siamo certi che tutti i nostri lettori ricordano il 2007.

Ricordano anche il 2008.

E il 2009.

Tutti ricordano tutto, fino al 2011.

Eppure (un fatto clamoroso, ed anche inquietante) come avete certamente capito l’articolo potrebbe essere stato scritto proprio questa settimana di inizio luglio 2023. Senza modificare, praticamente, nulla.

“Agghiacciante” come disse quel tale in TV.

Un pensiero conclusivo: 16 anni buttati via ricorrere un miraggio.

Sedici anni di storia economica del Mondo Sviluppato sprecati da chi ha deciso come segue:

riproviamoci ma dieci volte più forte, e magari questa seconda volta funziona

Valter Buffo
Longform’d. Macro 2023
 

There’s a well known joke about a tourist in Ireland who asks one of the locals for directions to Dublin. The Irishman replies: ‘Well sir, if I were you, I wouldn’t start from here’. Being Irish, I can tell that joke with impunity! Indeed, like some others in this category, it’s hard to tell whether the joke is actually racist, since there is something of the ‘Wise Fool’ in the Irishman’s response. After all, if you want to get somewhere, then it’s better to start from a place where you have a good chance of reaching your goal. How does this relate to education? In precisely this way: if your goal is a new way of teaching, then it may be better to start afresh, rather than attempting to tweak a system you have inherited. As Ken Robinson puts it, educational ‘reform’ is simply tinkering with a broken model, when what is required is a revolution.

 

Abbiamo già trattato nel nostro Blog, ed in modo ampio, le prospettive per i mercati finanziari e per i nostri portafogli modello nel secondo semestre 2023.

Tutto ciò che avete visto nell’ultima settimana è una conferma, sostanziale, di questo stato delle cose.

Ciò che vi è stato raccontato dei mercati finanziari a gennaio 2023 da private bankers, financial advisors e wealth managers era falso. Ciò che dicevano a gennaio Goldman Sachs, JP Morgan, UBS e BNP Paribas, Amundi e Blackrock era sbagliato.

Di tutta quella “narrativa” di gennaio 2023, non è rimasto nulla a giugno 2023. Tutta la prospettiva, tutta la “narrativa” è stata ribaltata dai fatti.

La realtà dello 1 luglio è invece coerente con ciò che potete leggere, andando a ritroso, nel nostro Blog, partendo da gennaio 2023: non abbiamo altro da aggiungere, a questo proposito, e non esiste nulla di significativo nel breve termine, nel panorama dei mercati finanziari allo 1 luglio 2023, con la sola eccezione della curva dei rendimenti.

Per tutte queste ragioni, oggi quindi noi lasciamo da parte i mercati finanziari (se non per una parte dedicata alle obbligazioni, che leggerete in chiusura del Longform’d) e dedichiamo il nuovo Longform’d agli aspetti macroeconomici: ci stacchiamo quindi dalla stretta attualità dei mercati finanziari.

Nel Blog torneremo sui mercati finanziari la settimana prossima: dopo avere visto i dati USA per gli occupati ed i salari, dopo avere ascoltato le anticipazioni per la nuova stagione degli utili trimestrali, e dopo avere letto dalla Federal Reserve le anticipazioni sulla riunione di luglio.

Per questa settimana, mettiamo quindi da parte la strettissima attualità dei mercati. Lo facciamo perché riteniamo che in questo preciso momento, all’inizio del nuovo semestre e con un tasso di eccitazione elevato tra gli investitori, sia ancora più importante avere chiara la visione, e la strategia di investimento.

Per iniziare, colleghiamoci però al precedente Post di sette giorni fa.

Quello che vedete qui sotto nel grafico è il maggiore cambiamento dell’intera vostra vita economica, in quanto cittadini ed in quanto investitori allo stesso tempo. E’ anche il dato che maggiormente condiziona la gestione del portafoglio, e la nostra strategia di investimento per i portafogli modello.

Dodici anni fa, nel 2023, questo numero che vedete nel grafico era di DIECI volte più piccolo.

Nel 2020, ovvero solo tre anni fa, era la metà: questo numero è RADDOPPIATO in soli due anni.

Perché è raddoppiato: lo spiega l’immagine qui sotto.

Ora, vediamo di capire perché questo numero (quello del primo grafico) è importante per noi investitori: anzi, nel 2023, forse è il numero più importante, per tutti quanti.

Lo facciamo rileggendo (in sintesi) uno degli interventi al recente Forum di Sintra, organizzato questa settimana dalla BCE, poi anche una successiva dichiarazione di un membro della BCE, ed infine una dichiarazione di Powell (Federal Reserve) al medesimo Forum. Nelle tre immagini che seguono.

Questo punto, come dicevamo, è oggi il punto chiave. Se ne parlerà con sempre maggiore frequenza, nel secondo semestre del 2023, sui mercati finanziari (ma pure nei Parlamenti)..

Recce’d ve lo spiega in questo Post, Post nel quale spieghiamo inoltre che:

  1. è impossibile gestire un portafoglio titoli senza conoscere la macroeconomia; chi è esperto solo di “vendere i Fondi e le polizze” non può rendersi utile e creare valore indirizzando la gestione dei portafogli; non dovrebbe farlo; e non dovrebbe essere autorizzato a farlo; la macroeconomia ha le sue regole di funzionamento, ed è necessario conoscerle bene

  2. è sempre la realtà a dominare sui mercati finanziari: è sempre lì che si torna, è inevitabile; e vale per le azioni, per le obbligazioni, per le valute e per le materie prime; Goldman Sachs e BNP Paribas e tutte le altre possono inventare tutte le favole che vogliono, ma poi è alla realtà che si ritorna, sempre

  3. le due regole precedenti sono dieci volte più importanti proprio nel 2023: perché abbiamo superato il punto di svolta e siamo entrati (come dice anche la BCE) in una Nuova Era, che (come ci ha detto anche Powell) “durerà per anni”.

Come sempre, noi di Recce’d vi dimostriamo il tutto: utilizzando esempi concreti e calati nella realtà attuale, di inizio luglio 2023.

Partendo, in questo nostro nuovo Longform’d, dalle valutazioni della Banca dei Regolamenti Internazionali che sono state pubblicate proprio la settimana scorsa.


LONDRA, 25 giugno (Reuters) - La Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), organismo ombrello delle banche centrali mondiali, ha chiesto domenica altri aumenti dei tassi d'interesse, avvertendo che l'economia mondiale si trova ora a un punto cruciale mentre i paesi lottano per contenere l'inflazione.

Nonostante l'inarrestabile aumento dei tassi negli ultimi 18 mesi, l'inflazione in molte delle principali economie rimane ostinatamente alta, mentre il balzo dei costi di finanziamento ha innescato i più gravi crolli bancari dalla crisi finanziaria di 15 anni fa.

"L'economia globale si trova in una fase critica. È necessario affrontare le sfide più difficili", ha dichiarato Agustin Carstens, direttore generale della BRI, nel rapporto annuale dell'organizzazione pubblicato domenica.

"Il tempo di perseguire ossessivamente la crescita a breve termine è passato. La politica monetaria deve ora ripristinare la stabilità dei prezzi. La politica fiscale deve consolidarsi".

Claudio Borio, capo dell'unità monetaria ed economica della BRI, ha aggiunto che c'è il rischio che si instauri una "psicologia inflazionistica", anche se i rialzi dei tassi più consistenti del previsto in Gran Bretagna e Norvegia la scorsa settimana hanno dimostrato che le banche centrali si stanno impegnando "per portare a termine il lavoro" per affrontare il problema.

Tuttavia, le loro sfide sono uniche per gli standard del secondo dopoguerra. È la prima volta che, in gran parte del mondo, un'impennata dell'inflazione coesiste con una diffusa vulnerabilità finanziaria.

Più a lungo l'inflazione rimane elevata, più forte e prolungato sarà l'inasprimento delle politiche necessarie, si legge nel rapporto della BRI, che avverte che la possibilità di ulteriori problemi nel settore bancario è ormai "concreta".

Se i tassi di interesse dovessero raggiungere i livelli della metà degli anni '90, l'onere complessivo del servizio del debito per le principali economie sarebbe, a parità di condizioni, il più alto della storia, ha affermato Borio.

"Credo che le banche centrali riusciranno a tenere sotto controllo l'inflazione. Questo è il loro compito: ripristinare la stabilità dei prezzi", ha detto a Reuters. "La domanda è quale sarà il costo".

La BRI, con sede in Svizzera, ha tenuto nei giorni scorsi la propria riunione annuale, durante la quale i banchieri centrali hanno discusso degli ultimi mesi turbolenti.

I mesi di marzo e aprile hanno visto il fallimento di alcune banche regionali statunitensi, tra cui la Silicon Valley Bank, e poi il salvataggio d'emergenza del Credit Suisse nel cortile di casa della BRI.

Storicamente, circa il 15% dei cicli di rialzo dei tassi scatena gravi tensioni nel sistema bancario, secondo il rapporto della BRI, anche se la frequenza aumenta considerevolmente se i tassi di interesse sono in aumento, l'inflazione è in crescita o i prezzi delle case hanno subito un forte incremento.

La frequenza può addirittura raggiungere il 40% se il rapporto debito privato/PIL si trova nel quartile superiore della distribuzione storica al momento del primo rialzo dei tassi.

"Livelli di debito molto elevati, una notevole impennata dell'inflazione globale e il forte aumento dei prezzi delle case, tipico dell'era della pandemia, sono tutti fattori che rientrano in questa categoria", ha affermato la BRI.

La BRI ha inoltre stimato che il costo del sostegno all'invecchiamento della popolazione crescerà di circa il 4% e il 5% del PIL rispettivamente nelle economie avanzate (AE) e in quelle emergenti (EME) nei prossimi 20 anni.

Se i governi non stringeranno la cinghia, il debito supererà il 200% e il 150% del PIL entro il 2050 nelle AE e nelle EME e potrebbe essere ancora più alto se i tassi di crescita economica diminuiranno.

Una parte del rapporto, pubblicato la scorsa settimana, ha anche delineato un progetto "rivoluzionario" per un sistema finanziario evoluto in cui le valute digitali delle banche centrali e gli asset bancari tokenizzati accelerano e rendono più intelligenti le transazioni e il commercio globale.

Commentando ulteriormente il quadro economico, Carstens, ex capo della banca centrale messicana, ha affermato che ora spetta ai responsabili politici agire.

"Le aspettative irrealistiche emerse dopo la Grande Crisi Finanziaria e la pandemia COVID-19 circa il grado e la persistenza del sostegno monetario e fiscale devono essere corrette", ha affermato.

La BRI ritiene che un atterraggio economico "morbido, o quasi" - in cui i tassi aumentano senza innescare recessioni o gravi crolli bancari - sia ancora possibile, ma ammette che si tratta di una situazione difficile.

Gli analisti di Bank of America hanno calcolato che negli ultimi due anni ci sono stati ben 470 aumenti dei tassi di interesse a livello globale, a fronte di 1.202 tagli dal crollo finanziario.

La Federal Reserve statunitense ha alzato i tassi di 500 punti base da un livello prossimo allo zero, la Banca Centrale Europea ha aumentato quelli della zona euro di 400 punti base e molte economie del mondo in via di sviluppo hanno fatto molto di più. Anche le impostazioni monetarie ultra-allentate della Banca del Giappone potrebbero avvicinarsi a un bivio.

Resta da chiedersi cosa sarà necessario fare di più, soprattutto in presenza di segnali che indicano che le imprese stanno cogliendo l'opportunità di aumentare i profitti e che i lavoratori chiedono salari più alti per evitare un'ulteriore erosione del loro tenore di vita.

"I guadagni facili sono stati raccolti e l'ultimo miglio sarà più difficile", ha detto Borio, riferendosi alle sfide che i banchieri centrali devono affrontare per riportare l'inflazione a livelli sicuri. "Non sarei sorpreso se ci fossero altre sorprese".

Servizio di Marc Jones; montaggio di Emelia Sithole-Matarise e Catherine Evans

Ci sono numerosi spunti, che possono esservi utili per comprendere meglio ciò che sta accadendo intorno a tutti voi investitori alla metà del 2023:

  1. la crescita economica di breve termine non è l’obbiettivo primario

  2. il peso del debito sul PIL

  3. i rischi di fallimento nel settore bancario

  4. l lotta all’inflazione e “l’ultimo miglio”

  5. ma soprattutto la parte sulle “aspettattive irrealistiche” che ancora oggi, nel giugno del 2023, si vedono nei prezzi degli asset finanziari (attenzione! opportunità di guadagni facili!)

Ma ciò che a noi di Recce’d preme di mettere alla vostra attenzione, delle analisi della BRI, è il rapporto, oggi molto più stretto, fra le scelte della politica monetaria e le scelte della politica fiscale (grafico sopra). Le analisi della BRI vengono riproposte dall’articolo che segue, dove abbiamo enfatizzato i passaggi più significativi.

Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, i governi di tutto il mondo dovrebbero aumentare le tasse o tagliare la spesa pubblica per aiutare le banche centrali a contenere l'inflazione e mitigare il rischio di una crisi finanziaria. La banca dei banchieri centrali, che spesso opera come portavoce informale delle istituzioni, ha affermato che i governi stanno "testando i confini di quella che potrebbe essere definita la regione della stabilità" lasciando la politica fiscale allentata mentre l'inflazione rimane alta e i tassi di interesse aumentano rapidamente. "Il consolidamento fiscale fornirebbe un sostegno fondamentale nella lotta all'inflazione", ha affermato la BRI nel suo rapporto annuale, pubblicato domenica. "Ridurrebbe inoltre la necessità per la politica monetaria di mantenere i tassi di interesse più alti più a lungo, riducendo così il rischio di instabilità finanziaria".

Tradizionalmente esiste una separazione tra la politica fiscale, stabilita dai governi, e la politica monetaria, stabilita dalle banche centrali e mirata a controllare l'inflazione, tenendo conto dei livelli di spesa pubblica e di tassazione. I banchieri centrali hanno ribadito di essere fiduciosi nella loro capacità di separare le decisioni di politica monetaria dalle preoccupazioni relative alla stabilità finanziaria, ma la preoccupazione della BRI contrasta con queste rassicurazioni. Secondo la BRI, le probabilità di una crisi finanziaria sono significative, dato che i tassi di interesse sono elevati e ancora in aumento. Tuttavia, la BRI ha aggiunto che questi rischi potrebbero essere ridotti se i governi adottassero una politica fiscale più restrittiva, togliendo un po' di pressione ai tassi d'interesse come strumento di politica primaria e rafforzando le finanze pubbliche dei Paesi. I tassi d'interesse elevati hanno già causato gravi turbolenze finanziarie nell'ultimo anno, ha affermato la BRI, citando la crisi dei titoli di Stato e dei fondi pensione del Regno Unito dello scorso ottobre e il fallimento delle banche regionali statunitensi e di Credit Suisse questa primavera.

Agustín Carstens, direttore della BRI, ha affermato che l'inflazione sta scendendo nella maggior parte dei Paesi, ma "l'ultimo miglio è tipicamente il più difficile". "L'onere sta ricadendo su molte spalle, ma i rischi di una mancata azione tempestiva saranno maggiori nel lungo periodo. Le banche centrali sono impegnate a mantenere la rotta per ripristinare la stabilità dei prezzi e proteggere il potere d'acquisto dei cittadini", ha dichiarato. La BRI ha avvertito che, nel lungo periodo, i governi e le banche centrali dovrebbero evitare di cercare di risolvere tutti i problemi della società con gli stimoli economici. Ciò fa eco ai recenti consigli dell'OCSE. Secondo la BRI, i banchieri centrali hanno mantenuto i tassi troppo bassi per troppo tempo quando l'inflazione era al di sotto dell'obiettivo, perché ciò ha incoraggiato il settore privato ad accumulare debito, aumentando le eventuali vulnerabilità del settore finanziario. "Una volta ristabilita la stabilità dei prezzi, la politica monetaria potrebbe essere più tollerante nei confronti di cali moderati, anche se persistenti, dell'inflazione rispetto agli obiettivi puntuali", si legge nel rapporto. Il rapporto aggiunge che, invece di cercare di stimolare la crescita e di compensare le crisi con aumenti della spesa pubblica, i governi dovrebbero riconoscere che l'indebolimento delle finanze pubbliche finisce per limitare la loro capacità di reazione in caso di crisi.

"I responsabili politici devono riconoscere meglio i limiti delle politiche di stabilizzazione macroeconomica", si legge nel rapporto. "La politica monetaria e fiscale può essere una forza importante per il bene, ma, se troppo ambiziosa, può anche causare grandi danni". Monica Defend, responsabile dell'Istituto Amundi, ha dichiarato: "Abbiamo bisogno di un coordinamento di gran lunga maggiore tra la politica fiscale e monetaria, e non ci siamo ancora arrivati. L'orientamento fiscale dovrebbe essere dinamico, cioè adattarsi realmente per preservare il benessere sociale, ma allo stesso tempo essere abbastanza mirato e mirante". Questa pressione aumenterà con l'avanzare della transizione verso alternative energetiche più verdi nei prossimi anni, ha avvertito Defend. "La questione principale è: chi finanzierà tutto questo? Come possiamo intraprendere seriamente questa strada senza un coordinamento tra politica fiscale e monetaria?". James Knightley, capo economista internazionale di ING, ha dichiarato: "Non si può avere stabilità macro senza stabilità finanziaria, e se ci si concentra troppo su una a scapito dell'altra, è allora che i rischi si materializzano". Servizio aggiuntivo di Colby Smith a Washington

Recce’d attribuisce grande importanza, oggi, al tema del rapporto tra la politica-politica (dei partiti e dei Parlamenti) e la politica monetaria: ne avevamo già scritto qui nel nostro Blog, poi anche nella pagina TWIT - TWOO, e infine alla pagina NEL MOTORE DELLA PERFORMANCE.

Per ogni investitore, e per ognuna delle varie asset class, oggi diventa cruciale comprendere in che modo la politica-politica interagisce con la politica monetaria: come si spiega in modo chiaro nell’immagine sotto:

per prevedere il futuro dell’inflazione sono più importanti i dati per il deficit pubblico di quelli per i tassi ufficiali di interesse

Abbiamo già commentato, in modo ampio, le reazioni della politica-politica (non soltanto italiana) alle recenti mosse delle Banche Centrali, documentando la riduzione dell’autonomia decisionale delle stesse Banche Centrali.

Le quali, in effetti hanno goduto, ed abusato, di un potere discrezionale in sostanza illimitato per alcuni decenni, e sono (era prevedibile) arrivate ad abusarne.

Quella fase è finita, e come ha detto lo stesso Mario Draghi “siamo in una Nuova Era”.

Gli errori del passato oggi sono chiari e definiti: non è chiaro, e non è definito, ciò che accadrà nel futuro.

Di certo, noi di Recce’d possiamo anticiparvi che proprio questo è il momento nel quale è MENO auspicabile l’irruzione della politica-politica nelle Banche Centrali. Purtroppo, però, NON è evitabile.

L'autore è chief economic strategist di Netwealth

Nelle economie occidentali è necessario un periodo prolungato di tassi di interesse reali positivi. In altre parole, i tassi di interesse dovranno rimanere più alti dell'inflazione per qualche tempo. Non ora, ma quando avremo visto come si assesta l'inflazione di fondo. I mercati dovranno tenerne pienamente conto. La fine del denaro a basso costo è la questione dominante, dettata dalla necessità di ripristinare la credibilità anti-inflazionistica della politica.

Due aspetti spiccano. Il primo è dove i tassi raggiungeranno il picco e se le banche centrali hanno fatto abbastanza per contenere l'inflazione. L'inasprimento attraverso l'aumento dei tassi potrebbe finire presto.

A livello globale, le pressioni inflazionistiche stanno diminuendo. I noli e i prezzi del petrolio sono bassi. La misura dei prezzi alimentari delle Nazioni Unite è inferiore del 22,1% rispetto al massimo storico del marzo 2022. La Cina, che ha mantenuto una politica monetaria prudente durante la pandemia, ha appena allentato e probabilmente ridurrà nuovamente i coefficienti di riserva per le banche, fornendo liquidità. Mentre in molti Paesi i tassi di politica monetaria hanno probabilmente già raggiunto il massimo, le banche centrali sono riluttanti a segnalare un allentamento. Prendiamo l'India. L'inflazione è scesa a un minimo di 25 mesi, il 4,25%, ma la politica è ferma. La persistenza dell'inflazione di fondo mantiene caute le banche centrali occidentali. Le cause iniziali dell'inflazione globale si sono invertite, ovvero i fattori legati all'offerta e le politiche monetarie lassiste.

Tuttavia, gli effetti di secondo impatto sull'inflazione si ripercuotono sull'inflazione di fondo in economie come il Regno Unito. L'aumento delle aspettative di inflazione e le tensioni sul mercato del lavoro alimentano la crescita dei salari e le imprese sembrano in grado di trasferire i costi più elevati, mantenendo o incrementando i margini di profitto. Nonostante le critiche, la Federal Reserve statunitense ha fatto una pausa ragionevole. È in programma un notevole inasprimento delle politiche che rallenterà l'economia. Ma aumenterà i tassi se la stretta aggressiva attuata finora non riuscirà a frenare l'inflazione di fondo. La credibilità della Fed le consente di fare una pausa. La Banca d'Inghilterra, invece, non ha alcuna credibilità e quindi non ha potuto fare una pausa. Pertanto, sembrano probabili ulteriori aumenti, con possibilità di recessione.

La seconda questione chiave merita maggiore attenzione. La futura neutralità della politica monetaria indica la necessità di tassi di interesse reali positivi. Ciò si aggiunge alla riduzione dei bilanci delle banche centrali. I mercati potrebbero quindi non essere più in grado di fare affidamento sulla politica monetaria come inevitabile ammortizzatore, in cui i tassi vengono tagliati in risposta alla debolezza economica o allo stress finanziario. Se così fosse, aspettatevi maggiori pressioni politiche e volatilità dei mercati. È molto probabile che l'inflazione in molte economie occidentali, tra cui gli Stati Uniti, l'area dell'euro e il Regno Unito, si stabilizzi a un livello più alto rispetto a prima della pandemia, e al di sopra del 2% che i mercati sembrano sempre aspettarsi che l'inflazione ritorni. In tal caso, ci si aspetta che si parli di obiettivi più elevati. Quando il contesto dell'inflazione cambia, le aspettative possono adattarsi lentamente. È stato così negli anni '70.

Era così anche all'inizio degli anni Novanta. Allora facevo parte di un piccolo gruppo di economisti che credevano che ci stessimo avviando verso una nuova era di bassa inflazione e rimasi colpito da quanto tempo ci volle perché il mercato si adeguasse. Il mercato continuava ad aspettarsi che l'inflazione tornasse ai suoi precedenti livelli più elevati a livello globale. Lo stesso vale per ora. Il 2% è un pensiero radicato. Forse ora dovrebbe essere il 3%. Per un quarto di secolo, l'inflazione è stata bassa a causa della globalizzazione, della compressione delle quote salariali, della finanziarizzazione e della tecnologia. Due di questi quattro fattori stanno cambiando: la globalizzazione è stata sostituita dalla frammentazione e le quote salariali sono aumentate. Un articolo del 1977 dell'economista Bob Rowthorn sembra attuale, in quanto evidenzia il conflitto tra lavoratori e proprietari e il modo in cui questi ultimi anticipano l'inflazione e reagiscono. Inoltre, i mercati sono consapevoli del pensiero di gruppo che ha caratterizzato le banche centrali. Prima della pandemia c'era accordo sul fatto che il R-star, il tasso d'interesse reale neutro coerente con condizioni economiche stabili, fosse pari a zero nella maggior parte delle economie occidentali. Quindi, se l'inflazione si stabilizzasse al 3%, i tassi di policy sarebbero del 3%. Ma un R-star prossimo allo zero è un risultato politico che riflette un pensiero profondamente sbagliato a causa delle distorsioni che derivano dal denaro a basso costo. Questo modo di pensare è stato alla base dei problemi che abbiamo visto.

Il denaro a basso costo ha portato all'inflazione dei prezzi degli asset, a mercati che non valutano correttamente il rischio e a una cattiva allocazione del capitale. Ha inoltre contribuito in modo significativo alla recente ondata di inflazione. L'ultima cosa di cui l'economia mondiale ha bisogno è un ritorno al denaro a buon mercato.

Il calo dell'inflazione contribuirà a rendere positivi i tassi di policy. Ma è improbabile che sia tutto qui. Si tratta di un cambiamento di mentalità credibile che mantiene i tassi di policy più alti di quelli a cui i mercati si sono abituati dopo la crisi finanziaria globale del 2008. Copyright The Financial Times Limited 2023. Tutti i diritti riservati. Ultime notizie sulla politica monetaria

Come spiegava bene l’articolo precedente, la politica del “denaro a costo zero” ha fatto gravi danni, danni che NON scompariranno semplicemente alzando il costo ufficiale del denaro.

La politica della “liquidità a costo zero” ha a tutto oggi un grande numero di fan, di supporter, di fanatici convinti che esista una “scorciatoia a costo zero” grazie alla quale “fare tutti più ricchi senza fatica”. Stampando moneta.

Questa follia, che ha dominato per più di un decennio, è rimasta nella testa di molti: sia dei disperati che in Borsa corrono dietro alle ultime mode, alle opzioni 0DTE, ai meme stocks e a Nvidia a 25 volte il fatturato, sia a donne e uomini dei Governi e delle Banche Centrali.

Ed è anche per questa ragione che nel 2023, nonostante i rialzi dei tassi, le Banche Centrali nel loro insieme (Cina, Giappone, USA, BCE, banca di Inghilterra) hanno fatto altro QE ed aumentato ancora la liquidità in circolazione (nel grafico sotto).

Questa scelta di politica monetaria, totalmente contradditoria con i rialzi dei tassi, porterà a conseguenze negative (alcune davvero dannose, e totalmnte imprevedibili per la massa degli investitori) fin dalle prossime settimane.

L’aumento del QE nel 2023, documentato anche nel grafico che avete visto poco sopra, NON è tata una scelta deliberata: è stata piuttosto forzata, una risposta obbligata. Lo spiega, nel modo più chiaro possibile, l’articolo che leggete di seguito.


L'autore è amministratore delegato di Crossborder Capital e autore di "Capital Wars: The Rise of Global Liquidity"

L'aumento dei mercati azionari mondiali sembra confermare che la liquidità globale - il bacino di denaro e credito che si muove sui mercati finanziari - si sta nuovamente espandendo dopo la flessione dello scorso anno. Addio quindi all'inasprimento quantitativo delle banche centrali, il tanto sbandierato disinnesco dei massicci programmi di stimolo a sostegno dei mercati e delle economie. Secondo le nostre stime, il ciclo della liquidità ha toccato il fondo nell'ottobre 2022, sulla scia della "mini" débâcle del bilancio dell'ex primo ministro britannico Liz Truss, e sembra destinato a salire nei prossimi anni. Gli investitori dovrebbero quindi aspettarsi un continuo vento di coda dalla liquidità globale, invece dei forti venti contrari dello scorso anno.

Questo dovrebbe essere positivo per le azioni, ma meno per gli investitori in obbligazioni. Il sell-off dei gilt britannici dello scorso autunno ci dà un'anticipazione delle sfide future per i mercati del debito sovrano e indica alcune decisioni difficili da prendere sia per i politici che per gli investitori. L'integrità delle banche e dei mercati dei titoli sovrani è sacrosanta nella finanza moderna. Guidate dalla Federal Reserve statunitense, negli ultimi mesi le banche centrali hanno iniettato ingenti quantità di denaro nei mercati monetari, contribuendo a salvare le banche in difficoltà. Ma nei prossimi anni dovranno probabilmente salvare anche i governi, che hanno un debito elevato. In breve, i mercati hanno bisogno di sempre più liquidità da parte delle banche centrali per la stabilità finanziaria e i governi ne avranno ancora più bisogno per la stabilità fiscale. In un mondo di debito eccessivo, i grandi bilanci delle banche centrali sono una necessità. Quindi, dimenticate il QT, il quantitative easing sta tornando.

Il bacino di liquidità globale, che secondo le nostre stime è di circa 170 miliardi di dollari, non si ridurrà in modo significativo a breve. La promessa riduzione delle dimensioni del bilancio della Fed statunitense è stata tutt'altro che convincente. Il calo degli acquisti diretti di obbligazioni è stato compensato da altri programmi di creazione di liquidità della Fed, come i prestiti a breve termine alle banche commerciali. Hanno contribuito anche una riduzione del Treasury General Account, il conto degli assegni del governo presso la Fed, e piccoli ritiri di depositi presso la banca centrale. Inoltre, il Tesoro statunitense sta discutendo di riacquisti per migliorare la liquidità del mercato obbligazionario, di vendite mirate di titoli ai fondi del mercato monetario e probabilmente ridurrà la durata media dei Treasury a disposizione degli investitori privati per stimolare la domanda. Tutto ciò contribuirà ad aumentare la liquidità globale.

Aspettatevi altre svolte politiche non convenzionali in futuro. Gli ultimi due decenni di montagne russe hanno dimostrato come i mercati finanziari abbiano bisogno di liquidità per ripianare gli ingenti debiti accumulati da imprese, famiglie e governi. Secondo le nostre stime, ben sette dollari su otto che passano di mano sui mercati finanziari mondiali sono oggi utilizzati per rifinanziare i debiti esistenti. Una quota crescente del dollaro rimasto per i "nuovi" finanziamenti viene utilizzata per finanziare i crescenti disavanzi pubblici.

In prospettiva, le economie avanzate si trovano ad affrontare nuove pressioni sulle finanze pubbliche, poiché i requisiti militari e la demografia aumentano la spesa obbligatoria, mentre la base imponibile è compromessa da un maggior numero di pensionamenti di lavoratori ad alto salario. Inoltre, la concorrenza fiscale internazionale probabilmente esclude un aumento sostanziale delle aliquote marginali. Consideriamo la matematica fiscale statunitense. Nel prossimo decennio, il governo statunitense dovrà vendere in media 2 miliardi di dollari di titoli del Tesoro all'anno. E secondo le ultime previsioni del Congressional Budget Office, la Fed dovrà contribuire. Secondo le stime del CBO, le disponibilità della Fed in Treasury statunitensi dovranno salire a 7,5 miliardi di dollari entro il 2033, rispetto ai livelli attuali di quasi 5 miliardi di dollari. Non si tratta di un QT, ma peggio, queste proiezioni di spesa del CBO sono probabilmente troppo basse, soprattutto per quanto riguarda le spese per la difesa. Numeri più realistici indicano un fabbisogno di titoli del Tesoro della Fed di almeno 10 miliardi di dollari. Ciò si traduce proporzionalmente in un raddoppio dell'attuale bilancio di 8,5 miliardi di dollari e significherà diversi anni di crescita a due cifre della liquidità della Fed.

Guardando in giro, non ci sono molte alternative a questo QE della Fed. La spesa obbligatoria è di fatto già fissata e le basi imponibili sono state prosciugate. Gli stranieri detengono circa un terzo del debito statunitense e la Cina è ancora un investitore importante, ma le crescenti tensioni geopolitiche probabilmente ridurranno il loro appetito. E le famiglie e i fondi pensione statunitensi? Il problema è che potrebbero essere necessari tassi d'interesse più elevati per attirarli verso le obbligazioni, soprattutto quando la minaccia dell'inflazione monetaria incombe. Tuttavia, tassi d'interesse più elevati fanno aumentare il deficit fiscale, richiedendo un debito ancora maggiore e aggravando così il problema. Come scherzano in Irlanda, se volete andare a Dublino, non partite da qui. Questo articolo è stato modificato in seguito a un errore di redazione per indicare la stima corretta di 170 miliardi di dollari delle dimensioni del pool di liquidità globale.

Ritornando alla prima immagine di questo nostro Longform’d: è proprio quel grafico che vi racconta quale è, oggi 1 luglio 2023, il dato più importante di tutti, per la gestione del portafoglio titoli.

Perché quel dato è un problema. Si tratta di un problema urgente. Si tratta di un problema che tocca anche la politica-politica. Si tratta di un problema che va risolto subito.

Quale strada verrà intrapresa? Chi si metterà in azione? Quali strumenti verranno usati? E quando verranno usati, in che tempi? La politica-politica che influenza avrà sulle scelte? Che tipo di ricadute avranno queste scelte sull’economia reale (PIL, occupazione, salari, profitti)?

Oggi si parla già di questo, tra Autorità di politica, investitori ed operatori di mercato. ma presto, questo diventerà il tema dominante

Quelle che Recce’d ha scritto più in alto sono le domande da mettere davanti a tutto, per le vostre scelte di portafoglio, per la gestione dei vostri investimenti, nel luglio del 2023.

Anche, e soprattutto, se avete messo altri BTp in portafoglio.

Anche e soprattutto se avete scelto Titoli di Stato a breve termine.

Lo spiega molto bene un recente articolo del Financial Times, che chiude questo Longform’d con alcune indicazioni di tipo operativo, e vi riporta al

“Whatever it takes versione 2023”

di cui abbiamo scritto anche alla pagina TWIT - TWOO oltre che ovviamente nel The Morning brief.


Quest'anno gli investitori si sono riversati sul reddito fisso, attirati dalla promessa di un ritorno delle obbligazioni dopo un anno di rendimenti miseri. Finora, questa operazione non è riuscita a garantire rendimenti elevati.

I mercati obbligazionari globali hanno perso l'1% in questo trimestre, a causa dell'inflazione ostinatamente alta su entrambe le sponde dell'Atlantico che spinge le grandi banche centrali a continuare ad aumentare i tassi di interesse. Dopo un guadagno del 3% nel primo trimestre, questa battuta d'arresto significa che l'asset class non ha finora mantenuto la promessa di un forte rimbalzo dopo la storica perdita del 16% dello scorso anno per l'indice Bloomberg Global Aggregate - un ampio indicatore del reddito fisso globale e il benchmark per molti fondi obbligazionari.

Gli investitori che hanno scommesso sul fatto che l'inflazione sta scendendo, mentre la recessione incombe, hanno investito in obbligazioni "fino al collo", ha dichiarato Jim Bianco, presidente di Bianco Research. "È stata una scommessa dolorosa. Nelle ultime cinque o sei settimane, molti di loro hanno visto la propria performance penalizzata", ha aggiunto.

Gli investitori hanno fatto il pieno di obbligazioni all'inizio dell'anno, con quasi 113 miliardi di dollari affluiti nei fondi obbligazionari imponibili nei primi cinque mesi del 2023, secondo i dati Morningstar, con una netta differenza rispetto ai 107 miliardi di dollari di deflussi dell'anno scorso nello stesso periodo. L'ondata di liquidità si è verificata quando i grandi money manager, tra cui JPMorgan, Pimco, Charles Schwab, Fidelity Investments e Amundi, hanno dichiarato che "le obbligazioni sono tornate". Gli acquirenti cercavano di ottenere i rendimenti più alti degli ultimi anni.

Ma molti scommettevano anche che il ciclo di aumenti dei tassi d'interesse da parte della Federal Reserve statunitense e di altre banche centrali - che è stato alla base del bagno di sangue del reddito fisso del 2022 - fosse quasi giunto al termine. All'inizio della primavera, gli investitori nel mercato dei futures scommettevano che la Fed sarebbe stata costretta a tagliare i tassi di interesse più volte quest'anno. Ma alla riunione della Fed di giugno, la commissione ha pubblicato il suo ultimo "dot plot" che mostrava che i funzionari prevedevano un aumento dei tassi di interesse al 5,6% quest'anno, il che implicava altri due aumenti dei tassi.

Anche la Banca Centrale Europea ha messo in guardia da ulteriori aumenti dei costi di finanziamento nella sua riunione di giugno, mentre la Banca d'Inghilterra questa settimana ha sorpreso i mercati con un aumento dei tassi di mezzo punto percentuale superiore alle attese. Queste mosse hanno rappresentato una cattiva notizia per gli investitori che hanno acquistato titoli di Stato a breve scadenza - altamente sensibili alle prospettive dei tassi di interesse - sulla base dell'aspettativa che il picco dei costi di finanziamento fosse vicino.

Venerdì il rendimento del Tesoro a due anni è salito al livello più alto degli ultimi tre mesi dopo che il presidente della Fed Jay Powell ha dichiarato, in una testimonianza davanti al Congresso degli Stati Uniti, che la lotta della banca centrale contro l'inflazione non è finita.

"Se avete puntato sui tassi a breve termine all'inizio dell'anno, probabilmente state soffrendo, perché i tassi hanno continuato a salire", ha dichiarato Jason England, gestore del portafoglio obbligazionario globale di Janus Henderson.

L'exchange traded fund di iShares che segue il segmento 1-3 anni del mercato dei Treasury statunitensi ha perso lo 0,6% a giugno e lo 0,6% a maggio. Sebbene i ribassi appaiano modesti rispetto al sell-off dello scorso anno, sembra che l'entusiasmo per il reddito fisso stia scemando. Secondo i dati di Morningstar, in aprile e maggio si sono registrati deflussi per 763 milioni di dollari dai fondi obbligazionari governativi a breve scadenza. Gli afflussi nella categoria dei fondi obbligazionari imponibili hanno subito un lieve rallentamento: 71 miliardi di dollari nel primo trimestre, solo 42 miliardi in aprile e maggio. "Non ci sarebbe bisogno di lanciare slogan come 'le obbligazioni sono tornate' se il denaro arrivasse in modo organico", ha dichiarato un analista senior di un asset manager.

Alcuni di questi deflussi possono essere attribuiti al fatto che i buoni del Tesoro - le obbligazioni statunitensi ultra-corte e ultra-sicure che scadono in un arco di tempo che va da pochi giorni a un anno - stanno offrendo i migliori rendimenti degli ultimi decenni, ben al di sopra di quelli disponibili sulle obbligazioni a più lunga scadenza che comportano maggiori rischi. "Secondo l'aneddotica, gli investitori si accontentano dei buoni del Tesoro e dei fondi del mercato monetario governativo e si accontentano di sfruttare i rendimenti, piuttosto che il reddito fisso a breve scadenza", ha dichiarato Alex Obaza, gestore di portafoglio presso T Rowe Price. "Abbiamo assistito ad alcuni deflussi dai fondi obbligazionari a breve termine".

Nonostante la performance poco brillante, molti gestori di fondi rimangono tranquilli sulle loro scommesse sul reddito fisso, sostenendo che i rendimenti più elevati offrono un margine di errore, il che significa che i detentori possono ancora ottenere un rendimento positivo anche se i prezzi scendono modestamente. Il cuscinetto offerto da rendimenti più elevati è stato "la storia delle obbligazioni in ultima analisi", ha affermato Greg Peters, co-chief investment officer di PGIM Fixed Income. "Quando i tassi erano a zero o negativi, e gli spread erano stretti, quello era il contesto peggiore perché non c'era alcun cuscinetto. Oggi mi sento molto, molto più a mio agio nel possedere obbligazioni rispetto al 2017", ha dichiarato.

Valter Buffo
Secondo semestre 2023: l'estate calda, poi l'inverno freddo
 

L’estate è iniziata: il clima si surriscalda e i media come ogni anno si buttano a capofitto sulle immagini legate appunto all’estate.

Ecco un esempio.

E’ un fatto che l’inflazione è appiccicosa, come si dice nell’immagine.

Appiccicosa per tutti: tranne che per certi “esperti delle banche di investimento”, che ogni mattina sostengono esattamente l’opposto, che l’inflazione “è finita”.

E questi “esperti delle banche di investimento” hanno sostenuto la medesima cosa, ogni giorno, da due anni. Noi ve lo documentiamo qui sotto, con un grafico che Recce’d ha già commentato in TWIT - TWOO.

Una parte degli investitori ci è anche cascata. Di nuovo. Ancora nel 2023. Sembra impossibile: eppure, è successo.

Leggono che qualcuno scrive: “L’inflazione scende” e credono che l’inflazione scende davvero. Non guardano neppure i numeri!!!

Così vanno le cose, dal 2020 ad oggi: ed è a questo che la gestione del portafoglio titoli deve adattarsi.

Ed è partendo proprio da qui, da questo mondo distorto, frenetico ed isterico, che bisogna guadagnare, fare profitti, fare performances con i propri investimenti.

Ed è possibile fare utili: ad esempio, cercando di comprendere i dati del grafico che segue.

Tutti i Governo del Mondo ci spiegano che non ci sarà la recessione. E tutte le Banche Centrali del Mondo ci spiegano che non ci sarà la recessione. Ma allora, che cosa è … questa roba qui sopra?

Una parte (solo una parte) degli investitori, quella che si fa portare per mano dalle banche globali di investimento, racconta a sé stessa una storia di questo genere:

l’economia rallenterà di poco, i prezzi scenderanno da soli senza recessione, e tutto andrà in un modo meraviglioso.

Non si tratta di una novità: da due anni, ed ogni due mesi, si ritorna sempre qui: a parlare di soft landing. Lo racconta anche l’immagine sopra.

Questo vero e proprio bombardamento è servito, all’industria del risparmio e dei “prodotti finanziari” (Fondi Comuni di Investimento, Polizze Vita, certificati ed altro trash) per “tenere su” i mercati finanziari, e continuare così a guadagnare le loro commissioni.

Il problema quale sarebbe?

Il problema sta nel fatto che i dati … non accompagnano. Non c’è un solo dato che sostiene questa visione delle cose. Il soft landing di cui leggete nell’immagine sopra NON ESISTE.

Lo scenario oggi NON è uno scenario di soft landing: lo abbiamo chiaramente spiegato già lo scorso 3 giugno proprio qui, nel Blog.

La settimana successiva, poi, ce lo hanno confermato sia Powell sia Lagarde.

Ed oggi, mentre si avvicina l’inizio del nuovo trimestre, siamo già oltre: siamo già entrati nell’estate calda.

In termini di gestione del portafoglio titoli, il nuovo scenario è chiaramente una opportunità imperdibile: le cose da fare sono molte, e offrono ampie opportunità di guadagno.

E le Borse, allora? Come le spiegate?

Come abbiamo già scritto, anche nel Blog ed anche in TWIT - TWOO, le Borse oggi sono solo un “di cui”: all’investitore, oggi le Borse hanno nulla da dire. Riflettono, in modo passivo ciò che accade fuori dalle Borse.

Ma, in primo luogo, è decisivo comprendere che parlare di “Borse”, al plurale, oggi nel giugno 2023 è un errore. Oggi esiste una sola Borsa: perché oggi le Borse europee, tanto propagandate tra gennaio e marzo, sono tornate al loro ruolo di sempre, quello di essere solo dei vagoncini trascinati su e giù dalla locomotiva. La locomotiva è New York.

Quindi, c’è una sola Borsa, da seguire, analizzare e comprendere in questo giugno 2023. Ed è quella di New York.

Che non è neppure una Borsa vera e propria, ma un vero e proprio “crash in attesa di esplodere”, come ci racconta il grafico sotto.

In The Morning Brief, due mesi fa , Recce’d ai propri Clienti ha scritto e motivato che la Borsa a new York è entrata in una fase di crisi. I dati del grafico qui sopra sono appunto un segnale di crash.

Se non lo capire, se non riuscite a vederlo nel grafico qui sopra, allora … il nostro suggerimento è di evitare del tutto le Borse, perché non le capite. Evitate proprio tutte le Borse: mettetevi tranquilli, e cominciate studiare i numeri qui sotto. Dopo che li avrete capiti per bene, allora potete cominciare a pensare di investire in Borsa. Forse.

Oppure, in alternativa potete farvi assistere: ma non da quelli che oggi si fanno chiamare “consulenti finanziari” oppure “financial advisor”, perché che capiscono quanto voi, oppure anche meno di voi, della tabella qui sopra.

Nel vostro interesse dovete cercare qualcuno di molto diverso, che non sia un promotore finanziario che deve “piazzare la merce” (vendere a voi i Fondi e le polizze), ma che abbia invece competenza di gestione del portafoglio ed esperienza nella gestione del portafoglio.

E prima di ogni altra cosa, dovete ritornare al punto di partenza di questo nostro Post, e studiare in modo attento il nuovo scenario del secondo semestre 2023.

Per fare questo, vi può essere utile dedicare la prossima mezz’ora alla lettura dei dati nel grafico che segue.

In chiusura di questo Post sul secondo semestre 2023, ci rimane da accennare al nostro amato Paese: l’Italia.

Del quale si è parlato poco (troppo poco?) nei primi sei mesi del 2023, ma del quale, ne siamo sicuri, si parlerà molto sui mercati finanziari nel secondo semestre 2023.

Il Sole 24 Ore ad esempio venerdì 23 giugno titolava sui BTp. Quelli sono i vostri BTp, che avete messo in portafoglio.

La settimana scorsa, da lunedì a venerdì, ogni mattina ne abbiamo scritto, analizzando anche i dati, per i nostri Clienti in The Morning Brief.

Valter Buffo
Di certo noi non aspettiamo che ce lo spieghi Mario Draghi

Siamo in una Nuova Era. Un Nuovo Paradigma si è già affermato. Recce’d ve lo spiegava un anno fa, e precisamente nel mese di agosto 2022

La competenza di un gestore di portafoglio si vede (anche) da questo.

Un gestore che sia competente ed attento di certo non aspetta di leggere sui giornali che “Mario Draghi annuncia una Nuova Era”.

Un gestore competente e attento mesi e mesi prima aveva già disposto le posizioni nei portafogli titoli in modo tale da ricavare un profitto da questa Nuova Era, dopo averne analizzato sia le caratteristiche sia le implicazioni.

Noi di Recce’d, come abbiamo detto sopra, ne scrivemmo in questo Blog già un anno fa: e precisamente nel mese di agosto 2022 e poi anche in numerose occasioni successive.

Gratuitamente, e per tutti i lettori.

Adesso, dopo un anno, lo dice anche Mario Draghi (insieme con Jamie Dimon, Carlo Messina ed altri che nel Blog avete già letto nelle ultime settimane).

I portafogli modello dei nostri Clienti, ovviamente, da mesi sono già orientati in quella direzione: e ci mancherebbe altro, che aspettiamo di leggerlo sui giornali!

PARIGI - Il ritorno di Mario Draghi. L’ex presidente della Bce e fino a nove mesi fa presidente del consiglio parla ai grandi investitori globali, ospite d’onore al World investment forum di Amundi. Intervistato da Valérie Baudson, ad del colosso del risparmio gestito francese, ha detto: “Non ho consigli da dare ai vertici della Bce, è molto sensato che le banche centrali continuino a combattere l’inflazione come stanno facendo finora. Non vedo neanche ragioni per cambiarne l’ancoraggio (attualmente al 2% in Europa e negli Usa, ndr). Anche a me chiedevano ogni volta di cambiare l’ancoraggio, quando l’inflazione era a zero. Ma non lo abbiamo mai fatto allora non vedo perché farlo ora: se cambi perché non sei in grado di raggiungere gli obiettivi la tua credibilità è intaccata”.

Draghi ha anche detto che il Vecchio continente, anche per affrontare l’immane esborso legato a queste sfide, deve prepararsi a una fase nuova, in cui il peso delle politiche fiscali (“intese anche come spesa pubblica, specie nella difesa e nella transizione energetica”) sarà determinante: il deficit dei Paesi sarà più alto, “e anche il livello dei tassi d’interesse lo sarà. E saranno problemi per i gestori dei conti pubblici”. Draghi ha inoltre parlato degli altri grandi “pezzi da tenere insieme” nello scenario globale. “Difficile dire come si assesteranno le cose senza avere la palla di cristallo. Le cose visibili sono guerra, inflazione, Cina e Intelligenza artificiale, come le gestiremo determinerà il nostro futuro.

Lo stesso Mario Draghi aveva già parlato della Nuova Era qualche settimana fa, parlando a MIT (Massachusetts Institute of Technology): allora aveva utilizzato una specifica espressione, che Recce’d aveva utilizzato nell’agosto del 2022: ovvero il “cambio di paradigma”..

La guerra in Ucraina e il ritorno dell’inflazione hanno causato un «cambiamento di paradigma» che «può portare a tassi di crescita potenziale più bassi» e che «richiederebbe politiche che portino a deficit di bilancio e tassi di interesse più elevati». Lo ha detto Mario Draghi al Mit dove ha ritirato il premio Miriam Posen.

«Mentre noi eravamo impegnati a celebrare la fine della storia, la storia stava preparando il suo ritorno», ha detto. «Le conseguenze geopolitiche di un conflitto prolungato al confine orientale dell'Europa sono molto significative», ha aggiunto Draghi. «In primo luogo, l'Ue deve essere disposta a rafforzare le proprie capacità di difesa». In secondo luogo, «dobbiamo essere pronti a iniziare un percorso con l'Ucraina che porti alla sua adesione alla Nato». 

In terzo luogo, «dobbiamo prepararci a un periodo prolungato in cui l'economia globale si comporterà in modo molto diverso dal recente passato».

La guerra in Ucraina ha contribuito all'aumento delle pressioni inflazionistiche a breve termine, ma è anche probabile che inneschi «cambiamenti duraturi che annunciano un'inflazione più elevata in futuro», ha detto Draghi. «Con il senno di poi, è probabile che le autorità monetarie avrebbero dovuto diagnosticare per tempo il ritorno di un'inflazione persistente. Ma soprattutto in Europa, data la natura di shock guidato dall'offerta, non è chiaro se agire più rapidamente avrebbe arginato di molto l'accelerazione dei prezzi».

Per Draghi «l’incapacità dei governi di accordarsi tempestivamente su un tetto massimo di prezzo per il gas naturale ha reso il lavoro della Bce molto più difficile. In ogni caso, quando le banche centrali sono intervenute, hanno dimostrato un forte impegno a tenere sotto controllo l'inflazione e hanno in gran parte recuperato il tempo perduto».

L'aumento dei tassi si sta ora diffondendo nell'economia e ci sono segnali di rallentamento nel settore manifatturiero, per l’ex premier italiano.

«L'inflazione si sta dimostrando più resistente di quanto le banche centrali avessero inizialmente ipotizzato». La lotta contro l'inflazione non è finita e probabilmente richiederà «una cauta continuazione della stretta monetaria, sia attraverso un ulteriore aumento dei tassi di interesse, sia allungando i tempi di inversione del loro corso».

Draghi non si aspetta che le preoccupazioni relative alla stabilità finanziaria ostacolino il processo. «Gli attuali problemi bancari non sono in alcun modo paragonabili alla crisi finanziaria e dovrebbero essere affrontati con misure ad hoc, come è stato fatto finora», ha detto. «Date le dimensioni limitate di queste crisi, i governi dovrebbero finanziare, quando necessario, ogni intervento necessario, evitando di creare un conflitto per le banche centrali tra il perseguimento degli obiettivi di politica monetaria e quelli di stabilità finanziaria».

Alla fine, secondo l’ex presidente Bce «le banche centrali riusciranno a riportare il tasso di inflazione ai loro obiettivi» ma «l'economia sarà molto diversa da quella a cui siamo abituati». I governi avranno disavanzi di bilancio «permanentemente più elevati» e «nel lungo periodo, è probabile che i tassi di interesse si mantengano più alti di quanto non siano stati nell'ultimo decennio. Allo stesso tempo, la bassa crescita potenziale, i tassi più alti e gli elevati livelli di debito post-pandemia sono un cocktail volatile, e le banche centrali che tollerano l'inflazione non saranno la soluzione».

Draghi ha osservato infine che «le banche centrali devono certamente essere molto attente al loro impatto sulla crescita, in modo da evitare inutili sofferenze. Ma il compito di ridisegnare le politiche fiscali in questo nuovo contesto spetterà principalmente ai governi».

Non servono commenti. Le cose sono molto chiare. Adesso, nel giugno 2023, sono chiare anche per La Repubblica, per il Sole 24 Ore, per il vostro financial advisor (forse, o forse ci sta per arrivare).

Questi giornali e questi personaggi (ricordatelo!) sono i medesimi soggetti che solo due anni fa a tutti voi lettori garantivano che non ci sarebbe MAI stato un problema con l’inflazione, e che il debito degli Stati non sarebbe MAI tornato ad essere un problema per i mercati finanziari.

Ed infatti oggi, nel momento in cui Mario Draghi rende ufficiale la Nuova Era, un buon gestore, ed un investitore consapevole, si stanno già occupando di altro, di nuovi temi di investimento, e di nuovi argomenti.

Nel 2023, purtroppo i giornali, le banche di investimento e le Banche Centrali non sono in grado di dare utili indicazioni a noi gestori, ed a voi investitori. Questo perché le loro parole sono condizionate dalla politica-politica, dicono ciò che “conviene dire” in quello specifico momento allo scopo di raggiungere i loro obbiettivi politici. I loro obbiettivi politici NON coincidono con quelli di noi investitori: è la storia che ce lo insegna.

Nonostante tutto questo, noi investitori possiamo trovare una utilità concreta, dalla lettura delle recenti dichiarazioni di Mario Draghi.

Le parole di oggi di Draghi ci dicono che, dal giugno del 2023, è diventato necessario “vendere al pubblico” il cambiamento di scenario. Ed ecco quindi quello che leggerete:

No, amici miei, non era vero che “l’inflazione è transitoria”; e no, amici miei, non era vero neppure che “l’inflazione se ne va perché alziamo i tassi di interesse”. Amici miei, dovete capire tutti che l’inflazione resterà con noi per un po’ di tempo. Adattatevi, e portate a casa le perdite senza discutere.

Un buon gestore, che sia attento, competente, esperto, e consapevole, questo non aspetta di sicuro di leggerlo sui giornali! Ci arriva da solo, e ci arriva molto prima.

Non è quindi questo, l‘argomento del Post che state leggendo: questo è invece solo lo spunto, uno spunto che ci offre l’occasione di parlare con i nostri lettori di qualche cosa che oggi conta davvero.

Vediamolo.

La Nuova Era di cui parla Draghi nell’immagine di apertura che cosa cambia? Cosa modifica? In che direzione si stanno muovendo oggi le cose?

La Nuova Era che Draghi ha annunciato porta con sé sia il cambiamento di scenario che è appena avvenuto in questo mese di giugno 2023 (siamo passati da quattro possibili scenari ad un solo scenario), sia nuovi, ulteriori cambiamenti di scenario che vedrete nel 2023, nel 2024, e nel 2025

Riguarderanno sicuramente le economie (crescita del PIL, inflazione, disoccupazione, utili selle Società) ed i mercati finanziari (azioni, obbligazioni, valute e materie prime: in particolare sui mercati finanziari cambieranno i livelli di riferimento (in una misura che oggi pochissimi riescono anche solo ad immaginare: vedrete mercati NUOVI).

Ma (vi chiediamo di fare attenzione a questo) cambieranno anche le Istituzioni, sotto la spinta della politica: e tra queste Istituzioni, noi investitori dobbiamo tutti fare massima attenzione alle Banche Centrali.

Le Banche Centrali pagheranno gli errori che hanno commesso: ed anzi, hanno già iniziato a pagare i loro errori. Gravi, quelli degli ultimi dieci anni. Gravissimi, gli errori dal 2020 al 2022.

In che modo pagheranno questi errori? La loro indipendenza, già oggi compromessa, sparirà del tutto: nelle Banche Centrali entrerà la politica, la politica dei partiti e dei Parlamenti.

Ne abbiamo già scritto la settimana scorsa, alla pagina TWIT - TWOO utilizzando le parole che, per vostra facilità di lettura, riportiamo qui di seguito:

Un vero e proprio diluvio di commenti: la mossa della BCE di ieri ha avuto una eco ancora superiore, rispetto ai precedenti rialzi.

In Italia, lo sappiamo, c’è una parte del mondo della politica che si caratterizza come “anti Euro”: questa parte coglie l’occasione, e attacca parlando di “danni per famiglie ed imprese”, sottolineando il tema dei mutui. Questi commenti sottintendono che, invece, l’inflazione elevata fa bene a “famiglie ed imprese”, e naturalmente questa è una sciocchezza. Ma non è una novità, e non merita altri commenti.

Ciò che invece oggi ha colpito noi di Recce’d, rispetto al recente passato, sono i toni del dibattito pubblico in Europa.

Tutti gli investitori debbono prendere nota di questo.

Per quale ragione? Dal suo inizio ad oggi, la storia della BCE è la storia di una Istituzione che nessuno ha eletto e che risponde a NESSUNO.

La storia di una Istituzione i cui Capi (il Board) decidono sul destino collettivo senza rispondere a NESSUNO.

Tutta quella illimitata libertà, da che cosa deriva, in nome di chi oppure che cosa viene esercitata, deriva da quale presunta superiorità?

Noi di Recce’d non lo abbiamo MAI capito. Si tratta di un Potere esercitato in modo ASSOLUTO. Come il Potere papale.

Grazie a questo, la BCE può sbagliare per due anni ogni previsione per l’inflazione, e non doverne rendere conto. A NESSUNO. Restano tutti lì, al loro posto: recitando assurdità del tipo l’inflazione è venuta DAL NULLA.

Vi segnaliamo che il dibattito che si è manifestato FUORI dai mercati finanziari, in questo 2023, è indicativo di un cambiamento profondo. Il pubblico (come vedete dalle immagini) discute sia di crescita economica, sia di extra profitti delle Aziende, sia di retribuzioni in termini reali, sia del prezzo degli immobili. Non più in Borsa, ma nelle strade, nelle piazze, alla radio.

La Nuova Era, che Recce’d vi ha da tempo annunciato, porta con sé anche questo cambiamento. per la BCE è finita la stagione del Potere papale e l’inflazione è diventata (ma è sempre stata) un problema della Società e dell’economia reale. Le cose stanno già cambiando: l’onda sta arrivando.

La gestione di ogni investimento finanziario deve dare la giusta rilevanza a questo fatto. Noi ne parleremo anche nel nuovo Post per il nostro Blog.

Il “potere assoluto e senza contradditorio” delle Banche Centrali è il tratto dominante della storia economica e dei mercati finanziari negli anni dopo il Duemila. E rimane, a tutto oggi, privo di una spiegazione, di una giustificazione, di un valido motivo: è un “incidente della stroria”.

Ma adesso, nel 2023, è iniziata la fase di correzione, rettifica, modifica.

Il processo è già in corso, e Recce’d ve lo documenta riproponendovi un articolo del Corriere della Sera, che racconta della guerra in corso alla BCE (guerra della quale Recce’d ha scritto molte volte nel 2023). Articolo che Recce’d commenta per voi.

Dall’avvio dell’euro, la persistenza degli schieramenti interni non ha mai aiutato la Banca centrale europea. I banchieri centrali di certi Paesi sono quasi sempre fra le «colombe», per una politica monetaria meno restrittiva (o più espansiva). Quelli di altri fra i «falchi», con idee opposte.

Spesso è stato un confronto fra Europa del Sud e del Nord, quando non proprio fra italiani e tedeschi. Nelle fasi di economia debole hanno vinto (per lo più) le colombe, in quelle di inflazione elevata i falchi.

La stessa fissità delle parti ha finito per alimentare nel pubblico l’idea che la Bce prendesse posizioni politiche — riflesso di interessi di parte — e non decisioni frutto di un’analisi indipendente e senza pregiudizi. In questo entrambi i fronti hanno delle responsabilità.

C’è una differenza però. I banchieri centrali propensi a una politica meno restrittiva da un anno sono in minoranza o si adeguano per non restare isolati.

E in parte ha senso: le «colombe» hanno sottovalutato forza e durata dell’inflazione e capito tardi il cambio di regime economico dopo un decennio di stagnazione, disoccupazione e deflazione. Ma quando hanno perso, non hanno mai agito per delegittimare la Bce o la sua presidente Christine Lagarde.

Notate, a questo punto, l’assurdo: la frase di Fubini è del tutto priva di senso. Che cosa significa “non hanno agito per delegittimare”?. In primo luogo, proprio Fubini dice hanno sottovalutato e capito tardi e quindi … che cosa dovrebbero ancora dire? Non dovrebbero invece … andarsene a casa e lasciare spazio a chi è competente? Dimettersi? Ma c’è pure una seconda cosa: che senso ha scrivere non hanno agito per delegittimare Lagarde se è proprio la stessa Lagarde ad avere sottovalutato e capito tardi?

Fubini qui perde l’orientamento.

L’ala più monetarista lo fa invece regolarmente. Lo faceva quando perdeva. E lo fa persino ora che vince.

Dopo l’ultimo vertice della Bce, giovedì, Lagarde ha detto che è presto per speculare su un nuovo aumento dei tassi in settembre. Il giorno dopo Joachim Nagel, presidente della Bundesbank, l’ha platealmente smentita dicendo che per lui invece i tassi devono salire. Anche a settembre.

E non importa il merito, perché questa è la violazione di una legge non scritta: non si parla sopra il presidente della Bce dopo i Consigli direttivi, per forzarne la mano e guidare i mercati contro di lei. Farlo è peggio che un errore di merito, perché erode la credibilità della Bce. Anche a danno dei cittadini tedeschi.

Come vedete, Fubini afferma con torno perentorio che non conta il merito. Non si può discutere l’autorità papale. Il Papa di Roma è, per definizione, infallibile. E Fubini vorrebbe imporci l’infallibilità papale anche per la Lagarde. Lagarde è infallibile, non si può discutere, e non se ne può andare, neppure quando sbaglia, neppure quando sottovaluta e neppure quando inganna il pubblico degli investitori.

Per fortuna, quella di Fubini non è la verità del Papa: ma soltanto l’opinione di un giornalista. Fubini stesso dovrà aprire gli occhi e comprendere che intorno a lui le cose stanno cambiando.

Il medesimo suggerimento ci sentiamo di darlo a tutti gli investitori.

Valter Buffo