Una situazione già vista
La situazione dei mercati finanziari internazionali nel luglio 2023 non è nuova: al contrario, ricorda per molti aspetti situazioni già viste nel passato, anche recente.
Come già facemmo sette giorni fa, anche oggi ripartiamo dai rendimenti delle obbligazioni: sette giorni fa, il decennale USA stava al 4,066%, mentre venerdì 14 luglio ha chiuso al 3,83%.
Il calo del rendimento delle obbligazioni nell’ultima settimana è stato ampio (20 punti base, come vedete) ma ci lascia sempre sui livelli di inizio anno. Le previsioni di un un “anno delle obbligazioni” fino a questo momento sono state smentite dai mercati.
Allo stesso tempo, anche le previsioni di un “primo semestre difficile per le Borse” sono state smentite, e proprio ieri, venerdì 14 luglio 2024, l’indice S&P 500 della Borsa a New York ha chiuso sopra quota 4500 punti.
Nulla di nuovo, come dicevamo, per i mercati finanziari internazionali: tutto ciò che vediamo è spiegato dal (periodico e ricorrente) tema del “soft landing”, cn il quale noi investitori ci siamo confrontati almeno una decina di volte nell’ultimo anno e mezzo.
Ed ogni volta, sempre con il medesimo esisto: il “soft landing” non esiste.
Il calo del tasso di inflazione registrato questa settimana negli Stati Uniti ha acceso gli animi di una parte degli investitori: Recce’d con largo anticipo aveva annunciato questo calo (anche qui, attraverso il nostro sito), un calo che
è spiegato unicamente dal cosiddetto “effetto base” ed è quindi “transitorio”
lascia comunque al 5% il dato che viene chiamato “core”.
Ne abbiamo scritto anche alla nostra pagina TWIT - TWOO.
L’eccitazione e l’euforia delle Borse non è, quindi, spiegata dal recente dato CPI pubblicato mercoledì 12 luglio: quel dato è stato utilizzato come spunto, dalla potente macchina di vendita, che (come da noi spiegato in più occasioni durante gli ultimi anni turbolenti) attira investitori piccoli, medi e grandi nella speciale “tonnara”.
La tonnara ha funzionato in modo perfetto con le obbligazioni: soltanto due anni fa, nel 2021, una buona parte degli investitori era convinta che
i tassi al 5% non li vedremo più per tutta la nostra vita
mentre oggi, nel luglio 2023, si è sostituito un nuovo tema di vendita, che per il momento regge, ed è quello che dice
in Borsa non si corre alcun rischio, chiudete gli occhi e buttatevi senza paura
E’ la nuova tonnara. Questa seconda affermazione vale quanto valeva la prima, quella dei “tassi di interesse che non torneranno mai al 5%”.
Come quella prima, illusoria, affermazione, anche questa seconda verrà spazzata via dai fatti nello spazio di poche settimane.
Nel nostro nuovo Post, per conseguenza, noi intendiamo richiamare l’attenzione del lettore su ciò che davvero conta, per la gestione del portafoglio, contrastando in questo modo l’eccitazione e l’agitazione degli animi di quella parte degli investitori che è più sensibile a questo tipo di sbandamenti emotivi.
I prezzi di Borsa che vediamo oggi esprimono una visione dello stato delle economie che si può riassumere così:
il rialzo dei tassi di interesse dallo zero al 5% non ha cambiato nulla e non avrà alcun effetto sulle economie
Anche il più ingenuo ed il meno informato degli investitori realizza, immediatamente, che una affermazione come questa è del tutto slegata dalla realtà, ed è quindi insostenibile.
Per fare un esempio concreto, di come la cosa sia insostenibile. Ieri venerdì 15 abbiamo letto i risultati di alcune grandi banche, risultati che il mercato ha accolto in modo freddo, pur risultando gli utili “superiori alle attese”: e questa è una sorpresa, in un mercato che in questi giorni è (decisamente) orientato sull’entusiasmo.
Questi risultati, questi numeri delle banche, devono essere intesi come numeri artefatti: sono numeri falsi. Si può affermare che sono falsi, senza dubbio, per la ragione che tutti sono a conoscenza del fatto che nei risultati delle banche non sono conteggiate le perdite sui portafogli di obbligazioni che sono la maggior parte degli attivi delle banche medesime.
Si tratta di perdite enormi: tanto che c’è chi parla di “disastro ferroviario”.
Il mercato di Borsa sceglie, temporaneamente, di ignorare la presenza di queste fragilità del sistema economico: e sceglie invece di enfatizzare il ribasso del tasso di inflazione (solo nella versione “headline”).
Non è difficile spiegare il perché di questo atteggiamento.
Una parte degli operatori punta tutto (con un atteggiamento di disperazione che abbiamo già commentato proprio qui nel Blog) sul fatto che
la Federal Reserve NON ha fino ad oggi un atteggiamento autenticamente restrittivo (immagine sotto); e non avrà il coraggio di andare fino in fondo
Questo (lo capite bene da soli) NON è un atteggiamento da “investitore”: questo è il classico “all in” dello scommettitore che fa la mossa disperata.
Tutto questo, sul piano della nostra operatività, è positivo: ed è positivo perché ci avvicina alla soluzione del problema, proprio attraverso il fatto che esalta ed esaspera la situazione di euforia, e di cosiddetto “ipercomprato”.
Ogni investitore che sia competente e informato e in controllo dei propri nervi sa come si sfruttano situazioni come queste.
Si tratta di situazioni che noi di Recce’d abbiamo già visto, ed attraversato con successo, in passato. Situazioni che sono state etichettate come
Minsky moments.
Non c’è tempo né spazio per approfondire in questo Post: lo faremo durante la prossima settimana, ogni mattina, nel nostro The Morning Brief.
Nel Post che state leggendo, ci limitiamo a mettere alla vostra attenzione che la situazione attuale è proprio quella che noi avevamo anticipato il 2 giugno scorso qui nel Blog: è stata fatta la scelta di “lasciare correre l’inflazione per non frenare la crescita delle economie.
Il sogno è come sempre quello del “soft landing”: ma a tutti noi investitori il sogno non interessa, ed interessa invece la realtà: la realtà di oggi ma soprattutto la realtà che vedremo tra tre mesi, sei mesi, dodici mesi.
la scelta di lasciare correre l’inflazione fu già fatta, ad esempio, nei primi Anni Settanta, e le implicazioni di quella scelta Recce’d le ha già ricordate qui nel Blog. Si tratta di implicazioni che ebbero, ed avranno nuovamente, sui mercati finanziari. Con una rilevante differenza: negli Anni Settanta i bilanci di tutte le Banche Centrali stavano a zero, oggi hanno dimensioni abnormi.
Il nostro suggerimento, che abbiamo già espresso in precedenti occasioni, ai nostri lettori è di riflettere con massima attenzione su alcuni aspetti della realtà attuale: tra questo, i livelli di disoccupazione negli Stati Uniti (immagine) ed in Europa.
Non serve il nostro aiuto per collegare questo dato, le prospettive future dell’inflazione e le prospettive future del costo del denaro.
Il fatto che le Autorità di Governo, insieme con le banche Centrali, abbiamo deciso di “fare finta di non vedere” non è una novità: si replicano le scelte del 2021, quando si fece “finta di non vedere” l’inflazione.
Le ricadute sui vostri portafogli le state vedendo ancora oggi.
I due grafici che seguono fornisce sostanza alla nostra affermazione: che le Bnache Centrali, fino ad oggi, hanno scelto di “fare finta di non vedere”, lasciando quindi andare l’inflazione.
Ingannando, in sostanza, il pubblico: ed in modo particolare il pubblico degli investitori.
In che modo questi fatti incidono:
sul comportamento dei mercati oggi?
sulla performance dei vostri investimenti domani?
Partiamo dall’andamento dei mercati oggi: l’euforia che periodicamente investe le Borse è spiegata dall’atteggiamento di una parte degli investitori, che sono pronti a tutto, indifferenti al rischio, e disperati. Nelle loro tasche, tra il 2020 ed il 2021, gli Stati hanno messo soldi mai guadagnati, soldi a cui non corrisponde alcuna produzione di valore, e da qui deriva lo “eccesso di risparmio” che vedete sotto nel grafico.
Questo “eccesso di risparmio” che avete visto nel grafico sopra determina comportamenti nel pubblico che sono allo stesso tempo spregiudicati e disperati: come la folle corsa del pubblico dei piccoli investitori USA alle opzioni, che nel Blog abbiamo già evidenziato.
Da qui poi le periodiche ondate di eccitazione di una parte degli investitori in Borsa.
Nulla di nuovo: come dicevamo già all’inizio del nostro Blog: e non sarà nuovo neppure l’esito di questa vicenda: possiamo e potete esserne certi, per le ragioni che vengono (in modo sintetico) esposte nell’immagine sotto.
Cme potete verificare facilmente mentre siete in spiaggia, non è possibile tenere un palloncino sott’acqua per sempre.
Noi di Recce’d da molti anni siamo impegnati ad offrire un punto di riferimento ai nostri lettori: noi siamo stato per più di dieci anni, il punti di riferimento di chi cerca un solido ancoraggio con la realtà (dei fatti, delle economie, della politica, dei rischi reali) a fronte del sempre più tumultuoso e caotico comportamento dei mercati finanziari internazionali.
Ci sembra utile, oggi, sottoporre all’attenzione dei nostri lettori il recente intervento del Presidente della Federal Reserve, sede di New York, sul Financial Times.
Ci sembra utile perché trovate, in questo intervento, una chiara esposizione della “linea ufficiale”. L’articolo è una eccellente rappresentazione del “cantare vittoria prima che la battaglia è finita”.
A noi investitori, sia gestori professionali di portafoglio, sia investitori individuali, spetta poi il compito di decidere dei nostri investimenti e produrre risultati.
Possiamo farlo andando diretto alla “linea ufficiale” che viene esposta in questo articolo.
Oppure in alternativa possiamo fare un confronto tra questa linea ufficiale e la linea della “inflazione transitoria” di due anni fa, e poi agire in modo conseguente.
Dopo una lunga battaglia contro un'inflazione ostinatamente alta, la banca centrale statunitense si trova in una fase critica. In qualità di presidente della Federal Reserve di New York, John Williams è una figura centrale nelle discussioni sulla prossima fase della storica campagna di inasprimento monetario della Fed.
Dopo aver aumentato il tasso d'interesse di riferimento di 5 punti percentuali in poco più di un anno, i funzionari della Fed sono ora impegnati in un lungo dibattito su quanto ancora si debba colpire l'economia più grande del mondo in un momento di grande incertezza. Le incognite includono il ritmo con cui le pressioni sui prezzi si ridurranno, le conseguenze economiche delle azioni intraprese dalla banca centrale fino ad oggi e lo spettro dell'instabilità finanziaria dopo un breve periodo di turbolenze nel settore bancario all'inizio di quest'anno.
Per fare il punto su questi fattori, il mese scorso la Fed ha adottato un approccio più paziente, scegliendo di rinunciare ad aumentare il tasso di riferimento dopo 10 aumenti consecutivi. Ora, la Fed sembra pronta a riprendere questi rialzi nella riunione politica di fine mese, per sondare il livello dei costi di finanziamento ritenuto "sufficientemente restrittivo" per garantire un tempestivo rientro dell'inflazione verso l'obiettivo del 2%.
Williams, membro permanente del Federal Open Market Committee e stretto alleato del presidente Jay Powell, ha già ammesso che la Fed ha "ancora molto da fare" in termini di aumento dei tassi di interesse. In questa discussione, rivela come determinerà quando la Fed avrà fatto abbastanza e il potenziale dolore associato alla riduzione dell'inflazione.
Colby Smith: A giugno abbiamo registrato un altro solido mese di aumento dei posti di lavoro, anche se a un ritmo più lento, e una disoccupazione stabile. È questo il tipo di rapporto che permette di tirare un piccolo sospiro di sollievo o ci sono ancora punti di preoccupazione?
John Williams: Ovviamente non si tratta di un solo rapporto, ma dell'insieme dei dati. Credo che questo rapporto sia coerente con quanto abbiamo visto, ovvero segnali di squilibri nel mercato del lavoro che si stanno gradualmente riducendo e di un avvicinamento tra domanda e offerta nel mercato del lavoro.
Si tratta ancora chiaramente di un mercato del lavoro molto forte, con un'ottima crescita dei posti di lavoro, e questo non è cambiato. Come abbiamo visto, il tasso di disoccupazione oscilla da tempo intorno al 3,5%. Altri indicatori, come la partecipazione alla forza lavoro, sono molto forti.
Non ci sono quindi segnali di debolezza, ma sicuramente segnali di rallentamento in termini di direzione della domanda di lavoro. Abbiamo visto che la crescita dei posti di lavoro nel settore non governativo o privato è stata di circa 150.000 unità. Si considerano sempre le revisioni, per un totale di 110.000 posti di lavoro in meno.
Lo inserisco nel contesto più ampio di ciò che stiamo vedendo con le aperture di posti di lavoro, i dati sulle dimissioni e alcuni altri indicatori, tutti che indicano mercati del lavoro ancora molto forti ma che si stanno muovendo gradualmente nella giusta direzione.
CS: Pensa che l'accumulo di manodopera stia avendo un impatto in questo senso?
JW: Quando la domanda di lavoro era molto forte e c'è stata una carenza di manodopera nel 2021 e nel 2022, la settimana lavorativa è aumentata di molto perché i datori di lavoro cercavano di portare a termine il lavoro in ogni modo possibile. Abbiamo visto che la settimana lavorativa è tornata a livelli più normali, quindi questo potrebbe essere un altro segno di un maggiore equilibrio tra domanda e offerta.
Ci si chiede se i datori di lavoro stiano ancora trattenendo i dipendenti di cui non sono sicuri di aver bisogno, ma sanno quanto sia stato difficile coprire quelle posizioni. Non credo che ci siano prove convincenti che sia una parte importante della storia, ma sicuramente può essere una parte della dinamica.
L'aumento della partecipazione alla forza lavoro è stato un importante contributo al miglioramento dell'offerta, ma non so se possiamo ricavare molto di più da questo dato.
Se si guarda alle ore di lavoro aggregate nell'economia, queste sono cresciute molto poco nei primi sei mesi dell'anno. Penso che questo sia un altro segno che, sebbene la crescita del prodotto interno lordo sia stata piuttosto forte nel primo trimestre e ci siano altri segnali di forza nell'occupazione a libro paga, la crescita complessiva del numero di ore di lavoro svolte nella nostra economia non sta crescendo così velocemente.
CS: In termini di partecipazione, lo scorso autunno c'era molto scetticismo sul fatto che non avremmo ottenuto un grande aiuto in termini di ingresso di più persone nella forza lavoro per contribuire a riequilibrare il mercato del lavoro, ma da allora abbiamo assistito a un aumento della partecipazione della prima età. Questo ha cambiato la sua percezione dell'aiuto che potremmo ottenere da un aumento della partecipazione?
JW: I dati sulla partecipazione sono stati molto positivi, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 25 e i 54 anni. Abbiamo visto che la partecipazione è tornata ai livelli o addirittura, in alcuni casi, a livelli più alti di quelli registrati prima della pandemia. Un anno fa la preoccupazione era: avremmo assistito a una riduzione a lungo termine dell'offerta di lavoro nella nostra economia dopo la pandemia? Almeno in questo gruppo, non ne vediamo i segni.
La politica monetaria è parte della storia per far muovere la domanda verso l'offerta, ma ogni aiuto che possiamo ottenere dall'aumento dell'offerta è una buona notizia.
Non credo che ci sia molto spazio per continuare a essere un grande motore del riequilibrio tra domanda e offerta. La partecipazione alla forza lavoro, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 25 e i 54 anni, potrebbe aumentare ancora un po', ma non aumenterà così tanto come negli ultimi due anni. E poi per le persone di 55 o più anni, soprattutto per gli over 65, la partecipazione è più bassa. In parte ciò è dovuto all'invecchiamento della popolazione.
La mia conclusione è che l'aumento della partecipazione alla forza lavoro ha contribuito in modo significativo a migliorare l'offerta, ma non so se possiamo ricavare molto di più da questo dato.
Ora, c'è una seconda parte di questa storia, ovvero l'immigrazione e la crescita della forza lavoro grazie alle persone che entrano negli Stati Uniti e si aggiungono alla capacità produttiva della nostra economia. Durante la pandemia questo fenomeno ha subito un rallentamento. Abbiamo assistito a una ripresa, e a una ripresa piuttosto robusta.Questo è un altro fattore che contribuisce ad aumentare l'offerta di lavoro e a riportare l'equilibrio nella nostra economia.
CS: Quindi, considerando tutto questo, come è cambiato il suo pensiero su quanto deve aumentare il tasso di disoccupazione per far scendere l'inflazione?
JW: Si discute molto su come si combinano i diversi fattori. Un modo per pensare a questo aspetto, di cui hanno parlato anche alcuni miei colleghi, è in termini di curva di Beveridge.Finora abbiamo assistito soprattutto a un movimento verso il basso della curva di Beveridge, il che significa che abbiamo assistito a una riduzione significativa dei posti di lavoro disponibili e a un aumento minimo della disoccupazione.
A mio avviso, questo è un ottimo segnale dell'eccesso di domanda di lavoro. Il tasso di disoccupazione ha toccato il fondo intorno al 3,5%, ma abbiamo assistito a una coda in termini di offerte di lavoro e di posti vacanti. Ora i posti vacanti stanno scendendo a livelli più normali e la domanda aperta è: quando la domanda e l'offerta di lavoro torneranno in equilibrio, cosa dovremo vedere in termini di situazione e per assicurarci che l'inflazione scenda fino al 2%? Finora è andato tutto secondo i piani.
La situazione del settore bancario si è davvero stabilizzata. Ciò significa chiaramente che, dal punto di vista della gestione del rischio, alcuni dei rischi negativi sono a mio avviso minori.
Per quanto riguarda l'inflazione, spero che continueremo a vedere alcuni dei fattori che stanno contribuendo a ridurre l'inflazione.I prezzi del petrolio e del gas sono scesi senza bisogno di un aumento della disoccupazione nella nostra economia.Abbiamo assistito a un calo dei prezzi dei beni e, ancora una volta, ciò non richiede un rallentamento del mercato del lavoro.Si tratta di un'inversione di tendenza di alcuni effetti legati alla pandemia e di un allentamento delle strozzature della catena di approvvigionamento. È un pranzo gratis.
Per portare l'inflazione al 2%, sarà necessario non solo ridurre ulteriormente la domanda di lavoro, ma anche aumentare la disoccupazione. Secondo le mie previsioni, il tasso di disoccupazione dovrebbe salire a circa il 4% entro la fine dell'anno e arrivare al 4,5% entro la fine del prossimo anno.
CS: Il timore è quello di riportare l'inflazione dall'attuale livello al 2%, questa è la parte difficile, ma sembra che i funzionari siano diventati più ottimisti nell'evitare una recessione. In termini di stime di crescita, quali sono le sue previsioni per quest'anno e per il prossimo?
JW: È chiaro che il fatto che la crescita del primo trimestre sia stata del 2% deve influenzare la mia visione. Anche sei mesi fa, pensavo che la crescita di quest'anno sarebbe stata inferiore e ora ho alzato le mie previsioni probabilmente all'1% o poco più per i quattro trimestri del 2023.
Ho abbassato un po' le mie previsioni per il prossimo anno. Penso che l'inasprimento della politica monetaria e alcuni effetti della stretta creditizia peseranno sulla domanda nel 2024. Se si guarda alle mie previsioni trimestre per trimestre, il secondo trimestre sembra ancora abbastanza positivo e poi [vedremo] sicuramente una crescita più lenta nella seconda metà di quest'anno e nella prima metà del prossimo.
Non prevedo una recessione. La crescita è piuttosto lenta. Ovviamente le recessioni sono molto difficili da prevedere. Continuo a ritenere che questo sia lo scenario di base corretto, ma anche in questo caso dipenderà da tutti i fattori che influiscono sull'inflazione e se si verificherà ciò che prevedo, ovvero che l'inflazione complessiva della spesa per consumi personali (PCE) scenderà a circa il 3% nei quattro trimestri di quest'anno e poi al 2,5% l'anno prossimo.In questo caso, ovviamente, non ci sarà bisogno di un aumento del tasso di disoccupazione o di ulteriori costi per l'economia.
CS: Per quanto riguarda la stretta creditizia di cui ha parlato, si tratta solo di un riflesso della stretta che la Fed ha già messo in atto, o si tratta di una stretta aggiuntiva legata alle tensioni bancarie di quest'anno?
JW: Penso a entrambe le cose. L'inasprimento delle condizioni finanziarie comprende gli effetti dell'inasprimento della politica della Fed, ma anche l'inasprimento della politica monetaria nella maggior parte dei Paesi del mondo negli ultimi due anni. A questo si aggiunge un ulteriore inasprimento, forse degli standard di prestito e della disponibilità di credito, soprattutto per le banche. Abbiamo assistito a un calo dei prezzi dei beni e, ancora una volta, questo non implica un allentamento del mercato del lavoro. Si tratta di un'inversione di tendenza di alcuni effetti legati alla pandemia e di un allentamento delle strozzature della catena di approvvigionamento. È un pranzo gratis.
Nel sondaggio sull'opinione dei senior loan officer, è chiaro che le banche ci stanno dicendo da tempo che stanno inasprendo gli standard e, storicamente, questo porta a un restringimento della disponibilità di credito da parte del settore bancario, che influisce in qualche misura sulla spesa delle imprese e delle famiglie.
La parte difficile è che si stanno verificando entrambe le cose e, ovviamente, l'inasprimento della politica monetaria porterà anche a un irrigidimento della disponibilità di credito. Questo fa parte del suo funzionamento. Perciò è difficile per me sapere quanto siano grandi gli effetti aggiuntivi della stretta creditizia da parte delle banche, ma, in linea di massima, peserà in qualche modo sull'economia. Ci sono ritardi nella politica monetaria e nella stretta creditizia, quindi è ancora presto per capire quanto saranno grandi questi impatti.
CS: Direbbe però che forse è meno pronunciato di quanto si temeva in occasione della riunione di marzo?
JW: Se si torna a marzo, la distribuzione dei possibili risultati in termini di stress bancario era piuttosto ampia. Avrebbe potuto verificarsi un effetto di contagio dello stress bancario su altre istituzioni e sulla fiducia nell'economia. Non è successo, quindi è una buona notizia. La situazione del settore bancario si è davvero stabilizzata... Questo significa chiaramente che, dal punto di vista della gestione del rischio, alcuni dei rischi negativi a mio avviso sono minori.
CS: Le banche regionali hanno subito una fuga di depositi, i loro prezzi azionari sono scesi e c'è anche lo spettro di cambiamenti normativi. Se la Fed continua ad alzare i tassi d'interesse, quanto è preoccupato che le altre banche possano cedere sotto la pressione?
JW: Gli eventi di marzo sono stati sicuramente un campanello d'allarme per tutti, soprattutto per le banche stesse, che devono assicurarsi di avere accesso alla liquidità, di prendere buone decisioni di gestione del rischio sui tassi d'interesse che hanno e di posizionarsi per questo.Per molte banche, l'aumento dei tassi di interesse incide sui margini di interesse netti. Per molte banche si tratta di un effetto positivo, ma per altre forse non tanto o addirittura negativo.Le banche si sono concentrate molto sulla capacità di gestire questo tipo di cose.
Una parte importante di questa capacità è rappresentata dallo strumento di finanziamento a termine creato dalla Fed, che offre alle banche la possibilità di contrarre prestiti utilizzando garanzie del Tesoro e titoli garantiti da ipoteca. Quindi non solo possono agire per assicurarsi di avere una liquidità adeguata e fonti di liquidità e prendere decisioni corrette, ma anche questo strumento è a loro disposizione.
CS: Per quanto riguarda le prospettive della politica monetaria, lei ha detto di dipendere dai dati. La domanda principale è: cosa significa esattamente "sufficientemente restrittivo"? Come applica l'approccio dipendente dai dati per capirlo?
JW: Mi concentro su: "Continuiamo a vedere i segnali che indicano che la domanda e l'offerta si stanno riequilibrando?". Non può essere un ritmo glaciale. Deve essere un progresso costante e chiaro. Penso che lo stiamo vedendo e voglio che continui.
Per quanto riguarda l'inflazione, oltre agli effetti dei prezzi delle materie prime e dei prezzi dei beni di base, che stanno scendendo, per la politica monetaria dobbiamo concentrarci sui prezzi dei servizi di base. Ciò significa i prezzi degli alloggi. E anche i servizi di base [esclusi i costi legati all'abitazione]. Entrambi sono influenzati dalla domanda e dall'offerta complessiva.
Abbiamo parlato molto degli alloggi perché negli ultimi anni sono stati di gran lunga il principale motore dell'inflazione di base. È anche uno dei fattori che hanno fatto scendere l'inflazione di fondo e mi aspetto che continui a farlo. Ma lo farà solo se la domanda e l'offerta nell'economia si riequilibreranno.
Oltre ad altri elementi del quadro dell'inflazione che continuano a muoversi nella giusta direzione, vorrei che l'inflazione degli alloggi continuasse a muoversi verso livelli coerenti con l'inflazione complessiva del 2% e che ciò avvenisse anche nei servizi essenziali al di fuori degli alloggi. Questa è forse la parte più difficile e anche quella che potrebbe richiedere più tempo.
CS: Sembra che i rialzi dei tassi si fermeranno molto prima di tornare a un'inflazione del 2%, quindi c'è un certo tasso di inflazione core mensile per un certo periodo di tempo che è il vostro indicatore per un tasso di federal funds sufficientemente restrittivo, o un tasso di crescita mensile dei posti di lavoro che sia coerente con il ritorno dell'inflazione all'obiettivo?
JW: Sul fronte dell'occupazione, gli indicatori del mercato del lavoro si sono comportati in modo molto diverso, visto l'eccesso di domanda di lavoro che abbiamo avuto durante la pandemia. Se si guarda al tasso di disoccupazione, si potrebbe dire: "Beh, non sta succedendo nulla", ma se si guardano altri [indicatori come il tasso di licenziamento e il tasso di apertura], è chiaro che ci stiamo muovendo nella giusta direzione. Si tratta quindi di considerare la totalità dei dati, ma anche gli indicatori di squilibrio. Questo include i salari. I salari si muovono per molte ragioni, quindi è difficile sapere esattamente cosa li guida, ma è chiaramente uno dei segnali degli squilibri del mercato del lavoro.
Se qualcuno è in grado di spiegarmi cosa stanno facendo i prezzi delle auto usate e perché, mi piacerebbe saperlo, perché è stato uno dei principali fattori di aumento e diminuzione dell'inflazione.
Per quanto riguarda l'inflazione, non si tratta di considerare un tasso d'inflazione semestrale, ma di osservare come i pezzi stanno lavorando insieme.Vi sembra coerente con gli obiettivi che stiamo cercando di raggiungere?Nei dati dell'inflazione core ci saranno sempre elementi difficili da spiegare perché si muovono per motivi idiosincratici.Stiamo ancora sperimentando i postumi della pandemia sulla domanda di beni e servizi e gli spostamenti tra di essi. Se qualcuno è in grado di spiegarmi cosa stanno facendo i prezzi delle auto usate e perché, mi piacerebbe saperlo, perché è stato uno dei principali fattori di aumento e diminuzione dell'inflazione.
CS:In un certo senso dobbiamo guardare oltre.
JW: Dobbiamo cercare di capirlo perché il mercato delle auto nuove è una componente fondamentale della domanda dei consumatori. Si vede dal lato della domanda, si vede dal lato dell'inflazione. Penso sempre al mercato delle auto usate come a un mercato secondario e a un derivato del mercato delle auto nuove. In un certo senso, è un po' separato, ma è anche una misura basata sul mercato della domanda e dell'offerta.
Un altro aspetto importante è come gli effetti della politica monetaria e dell'inasprimento delle condizioni finanziarie si ripercuotono sull'economia, perché la politica monetaria non ha un solo ritardo. La politica monetaria non ha un solo ritardo, ma si manifesta a velocità diverse e in diversi settori dell'economia nel corso del tempo.
CS:Abbiamo visto che il solo accenno al tapering degli acquisti di obbligazioni ha contribuito a inasprire le condizioni finanziarie già nel 2021, e poi ancora, prima di qualsiasi aumento dei tassi nel 2022, c'è stato il segnale che i tassi di interesse sarebbero aumentati. Alcuni suoi colleghi hanno recentemente espresso scetticismo sul fatto che ci sarà un grande impatto derivante da ritardi successivi, e mi chiedo cosa ne pensi di questa preoccupazione.
JW: È difficile da misurare e da dire con certezza, ma almeno le ricerche e le prove che ho visto non suggeriscono che i ritardi della politica monetaria rispetto all'economia reale - PIL, occupazione e inflazione - siano cambiati radicalmente negli ultimi decenni. È chiaro che tutto ciò che abbiamo fatto per aumentare la trasparenza negli ultimi decenni influisce sulla capacità dei mercati finanziari di rispondere alla politica monetaria, ma non è così evidente che abbia avuto un effetto di primo ordine sui ritardi della politica monetaria rispetto all'economia reale...
Nell'ultimo anno siamo passati da una politica ancora accomodante a una politica neutrale, per poi arrivare a una politica restrittiva.
L'economia che osserviamo oggi è un misto di effetti ritardati della politica monetaria accomodante e di molti stimoli fiscali, e ora cominciamo a vedere che entrambi i fattori hanno cambiato rotta nel tempo.La politica fiscale non sta aggiungendo quasi più stimoli alla crescita e la politica monetaria sta rallentando la crescita.
Non stiamo ancora ottenendo tutti gli effetti della politica restrittiva che abbiamo attuato. Questi sono ancora di là da venire, anche se alcuni effetti si sono già manifestati in alcuni settori sensibili ai tassi d'interesse.
CS: Un anno fa, a Sintra, il presidente Jay Powell ha dichiarato che il tempo a disposizione per rimanere in un regime di bassa inflazione sta per scadere. Con l'inflazione di fondo al punto in cui si trova, anche se le aspettative di inflazione sono ben ancorate, quanto tempo pensa che ci rimanga?
JW: Dovevamo agire in modo aggressivo. Le azioni che abbiamo intrapreso e la velocità con cui le abbiamo intraprese lo scorso anno erano essenziali. Non vogliamo che ci si chieda seriamente se siamo impegnati a raggiungere la stabilità dei prezzi. Dobbiamo garantire e assicurare ai cittadini che raggiungeremo la stabilità dei prezzi e che lo faremo in modo tempestivo.
La rapidità con cui siamo passati da una politica espansiva a una politica restrittiva, e ora abbiamo indicato attraverso le nostre proiezioni e le nostre comunicazioni che pensiamo di avere ancora un po' di strada da fare per portare la politica a una posizione sufficientemente restrittiva per portare l'inflazione al 2%, tutto ciò riflette un impegno a raggiungere la stabilità dei prezzi non in 10 anni, ma in pochi anni.
Una cosa che ci si chiede è quando smetteremo [di ridurre il bilancio]. Penso che questo sia molto lontano nel tempo.
Non si può dare per scontato l'ancoraggio delle aspettative di inflazione, ma possiamo, attraverso le nostre azioni, rafforzare non solo i risultati coerenti con la stabilità dei prezzi, ma anche, credo, rafforzare la comprensione della gente che questo è ciò che stiamo facendo e che raggiungeremo.... Il FOMC ha dimostrato un forte e unito sostegno a questo proposito.
CS: Con le preoccupazioni per la stabilità finanziaria che si sono fatte sentire quest'anno, si è discusso se il programma di riduzione del bilancio debba essere modificato o se stia funzionando come previsto?
JW: Ha funzionato come previsto in tutte le sue dimensioni. Nel 2020 abbiamo aumentato drasticamente le dimensioni dei nostri asset per un'ottima ragione, viste le perturbazioni del mercato dei Treasury e dei mercati collegati, ma ciò ha creato un bilancio molto più ampio di quello necessario per condurre e attuare la politica monetaria.
Il FOMC ha pianificato e comunicato in modo molto ponderato e attento, per un periodo piuttosto lungo, la riduzione delle nostre attività.È andata esattamente come previsto. Credo che i nostri strumenti di controllo dei tassi di interesse siano andati esattamente come previsto, in termini di interessi sulle riserve e di programma di pronti contro termine overnight.
Se si dice: "Qual è l'obiettivo del FOMC?", ovvero mantenere il tasso dei fondi federali stabile all'interno della fascia target, questo obiettivo è stato centrato in pieno, nonostante il fatto che nel 2020 ci siano state parecchie perturbazioni sui mercati finanziari. Abbiamo chiaramente avuto tensioni nel sistema bancario.
Uno degli effetti desiderati della riduzione dei titoli del Tesoro a più lunga scadenza e dei titoli garantiti da ipoteca è che ci aspettiamo che il premio a termine su questi titoli aumenti e che ciò contribuisca a inasprire le condizioni finanziarie. È difficile misurarlo con precisione, ma credo che questi effetti vadano nella giusta direzione e non abbiamo riscontrato alcun segno di turbativa nei mercati finanziari a causa della riduzione del bilancio.
Ci si chiede quando ci fermeremo.Penso che questo sia un momento molto lontano nel tempo.
CS:Un'altra potenziale fonte di turbativa è stata la fine del Libor. Finora le cose sembrano stabili, ma sono curioso di sapere se questo è ciò che vede dal suo punto di vista e se è preoccupato per altre vulnerabilità derivanti da questo?
JW: C'è stata un'enorme preparazione da parte del settore privato, dei mutuatari, dei prestatori, del settore ufficiale - cioè della Federal Reserve e di altre agenzie che hanno lavorato insieme - e poi a livello internazionale. A un certo punto avevamo più di 200 miliardi di dollari di contratti Libor basati sul dollaro. Il nostro sistema finanziario era costruito su qualcosa di fondamentalmente insicuro e non solido, e dovevamo sostituirlo. In alcuni momenti di questo percorso, sembrava impossibile, ma ancora una volta rendo merito a tutti coloro che hanno lavorato insieme capendo che non c'era davvero alcuna opzione. Dovevamo passare a una base più sicura per il sistema finanziario. Non volevamo aggiustarlo. Volevamo avere una nuova base.
CS: Manca ancora molto tempo alla revisione della politica del 2025, ma si è speculato molto sulla necessità di rivedere il quadro del 2020. Se la revisione avvenisse oggi, cosa proporrebbe?
JW: Abbiamo un periodo di revisione di cinque anni e credo che sia una cosa molto salutare. Non si vuole cambiare radicalmente il quadro e la strategia ogni anno o qualcosa del genere.
Abbiamo riflettuto molto sui fattori che hanno portato al quadro di riferimento per il 2020, come abbiamo fatto per quello del 2012, quindi penso che vogliamo davvero prenderci il tempo necessario per valutare, [soprattutto] come siamo usciti dalla pandemia. Al momento, l'inflazione di fondo si aggira intorno al 4,5% e non è chiaro come sarà tra due anni.
Abbiamo parlato delle nostre previsioni, ma forse le cose non si svilupperanno come ci aspettiamo.Voglio davvero riflettere a fondo sugli insegnamenti tratti dall'andamento dell'economia, dell'inflazione e della politica monetaria e su quali siano le implicazioni per la riflessione sul quadro di riferimento.
Le nostre azioni in termini di acquisti di asset nella primavera del 2020 sono state straordinarie .La velocità e l'ampiezza con cui lo abbiamo fatto sono state senza precedenti. Non si è trattato di un caso di gradualità, né di cautela, ma di un'azione decisa.
Il quadro di riferimento del 2012, quello del 2020 e tutti gli altri hanno sempre sottolineato l'importanza della stabilità dei prezzi e l'importanza di aspettative inflazionistiche ben radicate. . . Mi limiterò a dire che il quadro 2020 non ha ostacolato in alcun modo la decisione di prendere decisioni politiche in termini di inasprimento della politica monetaria come era necessario, la velocità con cui lo abbiamo fatto, l'adeguamento del programma di acquisto di obbligazioni. Credo che lo abbiamo dimostrato aumentando il tasso dei fondi federali di 75 punti base per ogni riunione e di 50 punti base per ogni riunione.
Ci siamo mossi più velocemente di quanto sia mai stato fatto da decenni a questa parte.Non sono d'accordo con alcuni commenti che sostengono che in qualche modo il quadro di riferimento ostacolava la nostra capacità di intraprendere azioni forti per affrontare l'inflazione quando ritenevamo che fosse la cosa giusta da fare.CS: Il biasimo si è concentrato anche sulle indicazioni fornite all'epoca. Quali sono gli insegnamenti che avete tratto dal dover passare da una politica accomodante a un aumento molto aggressivo dei tassi di interesse?
JW: Siamo tutti consapevoli di lavorare in un mondo di estrema incertezza. Lo sapevamo nel marzo 2020, nel 2021 e in seguito.
Se penso a come prendere decisioni politiche in un contesto di estrema incertezza, non credo ci sia una risposta giusta o sbagliata. Una delle conclusioni teoriche di alcune parti della letteratura è che si è più cauti, mentre in altre parti della letteratura si agisce in modo più aggressivo e deciso.
La lezione che ne traggo è che quando si ha a che fare con l'incertezza estrema e la gestione del rischio, si devono prendere decisioni basate su ciò che si pensa siano i rischi peggiori.
Le nostre azioni in termini di acquisti di asset nella primavera del 2020 sono state straordinarie.La velocità e la scala con cui lo abbiamo fatto sono state senza precedenti.Non si è trattato di gradualità, né di cautela, ma di un'azione decisa. Non era chiaro in tempo reale quanto fosse necessario fare o quanto tempo ci sarebbe voluto per farlo, ma era chiaro che dovevamo farlo.
Il rischio di coda nel 2020 e nel 2021 era un'economia che non si riprendeva. Ovviamente, alla fine dei conti, l'economia si è ripresa e questo è fantastico, anche se il costo è stato che l'inflazione è decollata più velocemente e molto più in alto di quanto la maggior parte delle persone si aspettasse e noi dovevamo cambiare marcia. Questo è stato il rischio che abbiamo dovuto affrontare.