Oltre "beyond stupid": il 2023
L’immagine qui sopra è tratta da Bloomberg ed è datata 4 luglio 2022
L’espressione americana “beyond stupid” (in italiano “oltre lo stupido”) è perfetta per definire alcuni recenti eventi osservati sui mercati finanziari ed intorno ai mercati finanziari.
La gestione del proprio portafoglio di investimenti, in fasi di caos crescente come quella generata già nel 2020 dai gravi errori di politica economica commessi allora da Banche Centrali e Governi richiede, in primo luogo, di disporre delle capacità di riconoscere ciò che è vero e ciò che è falso. I falsi segnali, come ci racconta la storia di questo 2022, sono il 90% del totale dei segnali che ci arrivano dai mercati finanziari.
Per questo, da molti mesi Recce’d suggerisce: lasciate perdere gli alti e bassi degli indici, non perdeteci altro tempo. Concentrate invece la vostra attenzione sulla realtà FUORI dai mercati finanziari, oppure perderete (inevitabilmente) ancora altri soldi.
E’ comprensibile che i mercati finanziari oggi mostrino un comportamento isterico, Sono dominati da ansia, paura ed anche dalla follia collettiva: nel 2022 è saltato del tutto per aria il quadro di riferimento, e non ci sono più ancoraggi né porti sicuri.
Sono tanti oggi, a ritrovarsi sulla barca alla deriva dei disperati. Pensate ad esempio:
alle banche globali di investimento, tutte fallite nel 2008, tutte salvate solo dal denaro dello Stato, ed oggi nuovamente pericolanti, di fronte ad un mercato finanziario che una settimana sì ed una no rischia il collasso;
alle Reti italiane di promotori finanziari, che oggi sopravvivono ancora grazie ai “bei momenti 2021” del dopo pandemia, ed alla “bolla di tutto”, ma che per il prossimo decennio non hanno assolutamente idea di come sopravvivere: non si potranno più vendere polizze assicurative di tipo UCITS, non si venderanno più così facilmente i Fondi Comuni tradizionali, in un mercato destinato a restare debole per almeno un decennio, e loro, le Reti ed i promotori finanziari, non hanno né le capacità né gli strumenti per generare risultati in un contesto di questo tipo
ai cosiddetti investitori “retail”, illusi da Banche Centrali e governi, nel 2020, che “per diventare ricchi basta un attimo”, e costretti a constatare solo 18 mesi dopo che quella era una Grande Menzogna, una Grande Balla, la Grande Bolla; ed ora lasciati orfani, senza un padre che li protegge, dalla crisi delle Banche Centrali, con in mano solo un pugno di Bitcoin che però potrebbero anche non valere più nulla
Tutti i soggetti che abbiamo appena elencato sono disperati, e disperatamente si aggrappano ad ogni più piccolo pretesto: e non importa, che sia insufficiente ed inconsistente. Ne parlammo già mesi fa: sono costretti a tentare il cosiddetto “tiro dell’Ave Maria”. Non hanno altre scelte che possono fare.
Ecco spiegata la ragione per la quale in noi non c’è in noi alcuna sorpresa, e non proviamo la minima emozione, a fronte di improvvisi rialzi come quello delle Borse del giovedì 10 novembre, e lo stesso succede nel caso di improvvisi crolli, come quello delle cryptovalute e di FTX, spazzata via in 24 ore mercoledì 9 novembre (ed il collegato problema della liquidità in circolazione sui mercati finanziari).
Lo sappiamo che il periodo è questo, ed è caratterizzato da improvvisi cambiamenti non solo di umore, ma pure di valore, delle cose.
Dalla stupidità degli altri ci si salva unicamente utilizzando la propria testa: un investitore oggi deve tenere a mente che Enron era regolata dalla SEC (la CONSOB americana), così come Lehman Brothers e Bear Sterns, mentre Bankman Fried e la sua FTX erano supervisionati da CFTC.
In questo contesto va collocato anche il violento rialzo delle Borse del giovedì 10 novembre: non è il primo, del 2022, e non sarà l’ultimo, del 2022 e del 2023.
Ce ne importa?
Ce ne importa tanto quanto a fine luglio ci importava del movimento che vedete sopra nel grafico: in tre sedute da 3900 punti a 4150 punti dell’indice S&P 500. Il 27, e 28, e 29 luglio 2022. E poi?
Fatti come questi hanno importanza pari a zero, per ciò che riguarda la gestione dei portafogli modello, e quindi le prospettive di rendimento e di rischio per gli asset finanziari: ha nessuna rilevanza il fatto che il dato per l’inflazione USA di giovedì 10 ottobre sia risultato inferiore alle previsioni (si attendeva 7,9% ed è uscito 7,7%). Non cambia nulla, nella realtà dei fatti: non cambiano gli utili societari e i modelli di business, non cambia l’inflazione, oppure la produzione, così come non cambia l’occupazione, nei prossimi tre - sei - dodici mesi e tanto meno nei prossimi 10 anni.
In questo 2022, abbiamo già visto episodi come quello del giovedì 10 novembre: una amplificazione insensata di un dato insignificante. Ne scrivemmo, in modo abbondante, anche in questo Blog, dalla fine di luglio alla metà di agosto. Perdendo così tempo ed energie su una vicenda del tutto improduttiva: perché non contava nulla.
Abbiamo scritto, da mesi e mesi, che seguire gli alti e bassi degli indici di mercato, in questo specifico momento di mercato, è tempo buttato nella spazzatura. Per una ennesima volta, il nostro suggerimento a tutti gli investitori è quello di NON perdere il loro tempo a vedere “come ha chiuso oggi”, perché quel dato è privo di significato. Nelle fasi come quella in corso, le oscillazioni giornaliere sono frutto di paura, ansia e stress, e di niente altro. Non vi aiuteranno, e non aiutano nessuno, a fare soldi: mentre invece sono un ottimo modo per perdere soldi.
Non vogliamo ripetere l’errore di agosto, e scrivere di cose insignificanti, e fare perdere al nostro lettore altro tempo su queste oscillazioni di brevissimo termine: per questo nel post che state leggendo non analizzeremo la questione del “pivot” in quanto tale, ma unicamente le implicazioni psicologiche e quello che se ne ricava sullo stato attuale dei mercati finanziari. E questo non per l’immediato (nulla è cambiato), bensì per ciò che implica per la strategia di investimento nel 2023.
Non è insolito, in fasi di mercato come quella attuale, vedere gli indici di mercato muoversi come cavalli scossi del palio: è successo in più occasioni, anche nel 2022. Proprio per questo, noi nel Blog abbiamo messo in grande evidenza il fatto che i mercati dei Paesi Sviluppati nel 2022 (e nel 2023) mostrano comportamenti che sono tipici dei Mercati Emergenti.
Un gestore di portafoglio competente ed esperto deve dimostrare lucidità, e capacità di vedere attraverso. Un esempio concreto? Avete notato quota 24000 della Borsa di Milano? Allora vi farà bene, vi sarà utile, rileggere ciò che noi scrivemmo il 2 febbraio 2020 a proposito proprio di quota 24000 (e sono trascorsi quasi tre anni!). Di questo è fatta una gestione del portafoglio efficiente e produttiva di risultati.
Oggi qualcuno vorrebbe provare a cavalcare il cavallo scosso del Palio? Mostrarsi un fenomeno? I fantini del Palio non ci provano, e noi in Recce’d neppure. Non è certo quella, la nostra strategia di investimento: e la sconsigliamo, caldamente, al nostro lettore.
Per l’immediato, e nell’ambito della nostra strategia di gestione dei portafogli modello, questo episodio del 10 novembre conta nulla: e come detto non vi faremo perdere altro tempo.
Così come non faremo perdere del tempo ai lettori sul tema “prospettive per l’inflazione”, in questo Post: il nostro suggerimento all’investitore è semplicemente quello di NON parlare di un tema complesso come l’inflazione “come se fossimo al bar”.
Anche nel nostro Blog, abbiamo da molti mesi sottolineato il fatto che non è consigliabile sottoporsi ad un intervento chirurgico chiedendo consigli all’amico del bar, oppure ad un collega di lavoro, oppure ad un venditore rappresentate di commercio incompetente su materie come queste.
Tutto ciò che importa, tutto ciò che ha un senso sull’inflazione, Recce’d lo ha già detto molti mesi fa, e per riassumere è più che sufficiente l’immagine qui sopra. Si tratta di uno scambio di tweet tra due personaggi molto noti nel mondo della Finanza: in basso, il primo ipotizza che “nel giro di due anni scopriremo che l’inflazione era davvero transitoria come si diceva tempo fa”. La risposta che riceve è un grafico: che ci ricorda che, sulla base delle previsioni cosiddette “di consenso” (ovvero quelle di Goldman Sachs e JP Morgan, avallate dalla Federal Reserve) l’inflazione negli Stati Uniti aveva iniziato a scendere già quindici mesi fa, e poi quattordici mesi fa, e poi tredici mesi fa, e poi dodici mesi fa, e poi undici mesi fa, e anche dieci mesi fa … volete che li elenchiamo proprio tutti?
E qui, davvero, sono i fatti a dirci che siamo andati ben oltre il “oltre lo stupido”.
Il tema “inflazione”, quindi, lo si risolve e chiude con un solo grafico.
Nel Post che state leggendo, concentriamo l’attenzione su altro, e vi aiutiamo a distinguere i “falsi segnali” dai “veri segnali” che arrivano dai mercati finanziari: lo facciamo spiegandovi in che modo si possono ricavare, dalle violente ed irrazionali oscillazioni di queste settimane, concrete ed ottime indicazioni per la strategia di gestione del portafoglio, guardando alla parte finale del 2022 ed ovviamente al 2023.
In particolare, chiariremo perché i fatti dell’ultima settimana, a partire dal rialzo delle Borse del giovedì 10 novembre e dalla vicenda Bankman Fried, per una strategia di gestione come quella che applichiamo ai nostri portafogli modello sono buone, ed anzi ottime, notizie.
Sono buone notizie per tre ragioni forti:
giornate come il giovedì 10 novembre sono la più chiara espressione di un disagio profondo, e ben lontano dall’essere risolto: sono la migliore conferma che la strategia di investimento applicata ai nostri portafogli modello è tutt’ora quella vincente 8come lo è stata negli ultimi 12 mesi, negli ultimi tre anni e negli ultimi cinque anni) perché la Federal Reserve (a ancora di più alla BCE) rimane un lungo tratto di strada da percorrere, perché proprio questo è il problema della Federal Reserve oggi, quello di avere essa stessa creato una situazione nella quale dominano ansia, paura e follia; la Federal Reserve e la BCE saranno costretta, dai fatti, ad intervenire proprio su questi atteggiamenti
il mercato ha fatto una mossa, dopo alcune settimane di movimento laterale: ha preso una posizione (“il problema inflazione/tassi è risolto”) ed ha preso una posizione sbagliata: da qui, una opportunità per operare alla gestione del portafoglio titoli
giornate come il giovedì 10 novembre con confermano nella convinzione che una corretta gestione del portafoglio, in questa fase, deve preparare i portafogli stessi ad un prolungato periodo di instabilità di questo tipo: i mercati (non soltanto negli Stati Uniti, hanno “mollato gli ormeggi” e sono alla deriva; non solo nei prossimi mesi, ma pure nei prossimi anni, saprà generare una performance positiva soltanto chi ha la capacità di gestire anche il rischio di mercato, la volatilità, il ribasso invece del rialzo, mantenendo nervi saldi, autocontrollo e una prospettiva che va al di là del brevissimo termine.
Per riassumere e concludere: nei prossimi anni ci sono da cogliere le più grandi opportunità di guadagno di un secolo.
I temi sui quali si deve concentrarsi, in questa parte finale del 2022 e per tutto il 2023 (almeno) sono quanto di più distante esiste dal “pivot”: i temi che decideranno se il vostro portafoglio titoli avrà una performance positiva oppure se vi farà perdere di nuovo altri soldi sono il Bitcoin -75% e Facebook -75%, ovvero un Mondo (quello vero, non i mercati finanziari) che viene ridisegnato e che verrà ulteriormente ridisegnato. I rimbalzi degli indici di Borsa sono, in questo contesto, cose di nessuna rilevanza.
La gestione del rischio e la gestione dei possibili rendimenti, in questa specifica fase, sono una cosa sola.
Nell’articolo che leggete in chiusura di Post, questi concetti vengono calati nella realtà dei mercati e delle economie di fine 2022.
A cura di Simon White, stratega macro di Bloomberg,
Il sospirato cambio di rotta della Fed potrebbe arrivare più rapidamente del previsto - soprattutto dopo i dati molto deboli sull'inflazione di questa settimana - ma i titoli azionari rischiano di subire ulteriori ribassi se le speranze di condizioni monetarie più favorevoli si scontreranno con il rischio crescente di una recessione.
La battaglia della Fed contro l'inflazione quest'anno ha spinto il mercato azionario in uno dei cicli più ribassisti degli ultimi decenni. L'aspettativa, o la speranza, è che una volta che la Fed avrà tolto il piede dal freno, le azioni si libereranno dalle catene e un nuovo mercato toro prenderà il volo.
Questo non sembra probabile. E questo nonostante il fatto che si stiano moltiplicando le prove che la Fed ha raggiunto, o almeno è molto vicina, al picco di falco.
La retorica delle banche centrali ha iniziato ad ammorbidirsi, le elezioni di metà mandato sono ormai alle spalle e le aspettative del mercato sul punto in cui il tasso della Fed raggiungerà il suo picco superano ormai costantemente il punto più alto implicito nelle proiezioni del cosiddetto "dot plot". Con il mercato che ora aiuta, e non ostacola, la Fed nei suoi obiettivi monetari, la banca centrale non dovrebbe continuare ad affilare i suoi artigli ancora per molto.
Inoltre, la svolta della Fed potrebbe arrivare molto prima di quanto ci si aspetti. La durata mediana tra il picco dell'inflazione e il primo taglio dei tassi è di 22 settimane, secondo i cicli di rialzo degli Stati Uniti che risalgono al 1972. La stampa dell'IPC di giugno segna probabilmente il picco dell'inflazione complessiva di questo ciclo che, storicamente parlando, porterebbe al primo taglio in un periodo compreso tra le quattro e le otto settimane.
Non si tratta di una previsione. Ma evidenzia come un'inversione di rotta della Fed potrebbe avvenire più rapidamente di quanto il mercato si aspetti. In ogni caso, gli investitori azionari dovrebbero considerarla come una falsa alba.
In primo luogo, le condizioni finanziarie continuano a restringersi per circa cinque trimestri dopo il primo rialzo della Fed. Nell'attuale ciclo, questo ci porterebbe fino alla seconda metà del 2023. In secondo luogo, è prevista una stretta ancora maggiore sulla liquidità. Il tasso reale globale è ancora estremamente negativo e vicino ai minimi storici del -6% raggiunti nel 1974, prima di salire fino al +3% all'inizio degli anni Ottanta. Oggi è a -4,4%, appena al di sopra del suo nadir del -5,6%.
Nel complesso, le condizioni finanziarie globali, misurate dal Global Financial Tightness Indicator, rimangono molto restrittive, senza alcuna tregua all'orizzonte. Questo rimarrà un ambiente sfavorevole per le azioni e gli altri asset di rischio.
Anche in questo caso, le azioni potrebbero evitare il peggio se gli Stati Uniti evitassero la recessione, ma le possibilità di questo risultato si stanno rapidamente riducendo a causa dell'aumento dei costi di finanziamento che si ripercuotono sull'economia. Essendo uno dei settori più sensibili ai tassi d'interesse, l'edilizia residenziale è spesso il primo a sentire la pressione degli artigli della Fed.
Mentre i costi degli alloggi aumentano considerevolmente, la crescita dei prezzi si riduce rapidamente. Le vendite di case esistenti e in attesa di essere vendute sono in rapido calo. I tassi ipotecari sono saliti ai massimi da 20 anni, una tendenza che sta contribuendo anche al rapido calo della crescita dei permessi di costruzione. Quando l'edilizia residenziale rallenta, quasi sempre il mercato immobiliare si indebolisce e quindi l'economia diventa più fragile. Il calo del valore delle case in cui vivono intacca anche la fiducia dei consumatori.
I prezzi delle auto usate, il manifesto del rapido aumento dell'inflazione lo scorso anno, stanno crollando su base annua a causa del crollo della domanda. Le condizioni del credito si stanno deteriorando, con conseguente aumento degli spread, riduzione della liquidità e maggiori difficoltà per i mutuatari nel reperire fondi.
Indicatori anticipatori affidabili, come l'indice di diffusione degli Stati della Fed di Filadelfia e i saldi debitori dei conti a margine dei clienti, sono a livelli che in passato hanno sempre preceduto le recessioni. Anche se la Fed dovesse iniziare a tagliare i tassi domani, il crollo dell'economia sembra già in agguato.
Non c'è da aver paura, si potrebbe dire, con il mercato già sceso di oltre il 20% dai suoi massimi, una recessione è già nei prezzi. Ma il passato non ci dice questo.
Le azioni, infatti, sono indicatori anticipatori piuttosto scarsi e tendono a cedere maggiormente quando la recessione è effettivamente iniziata. A partire dal 1960, il sell-off mediano dell'S&P prima dell'inizio di una recessione NBER è stato del 5%, ma il mercato ha poi ceduto il doppio - 10% - nei mesi successivi alla flessione.
Le azioni potrebbero trovarsi a passare dalla padella dell'inflazione alla brace della recessione, poiché l'allentamento monetario tanto agognato dal mercato prepara il terreno per un nuovo atto, che promette di portare ancora più sofferenza.