Italia: ripensando al Governo Monti (ed al Governo Draghi)
 

Per molti dei nostri lettori risulterà sorprendente la nostra scelta di parlare oggi, a dodici anni di distanza, dell’esperienza di Governo dell’economista Mario Monti.

Specie in ragione dell’ampia maggioranza parlamentare che sostiene l’attuale Governo.

Noi però oggi vediamo in questa maggioranza alcune fragilità, e rischi per la coesione.

Ma soprattutto (a differenza della grande maggioranza dei media) noi di Recce’d vediamo le enormi difficoltà e fragilità dell’economia del nostro Paese, che proprio a causa del whatever it takes e del QE della BCE ha visto crescere a dismisura i propri squilibri.

Oggi, come spieghiamo in un altro Post, sia il whatever it takes sia la stessa politica di QE sono … passati di moda. Siamo in una Nuova Era. Chi in passato ha beneficiato in misura maggiore del whatever it takes oggi deve prepararsi a pagare un prezzo proporzionalmente più elevato.

E per questo, noi di Recce’d non ci sentiamo di escludere del tutto una nuova formulazione del “Governo dei tecnici” nel prossimo futuro dell’Italia, magari con una coloritura più vicina alla nuova maggioranza politica, e nel caso in cui si dovesse fare fronte a determinate condizioni dell’ambiente economico e finanziario (che ci pare però di capire che l’attuale Governo ha già preso, e molto seriamente, in esame).

Per conseguenza, leggere con attenzione questa intervista, di pochi giorni fa, del professor Monti al quotidiano Libero è, a nostro giudizio, di grande utilità. E’ molto utile farlo proprio oggi: e non quando Monti, eventualmente, fosse ritornato (in una qualche modalità anche nuova) al Governo dell’Italia.

Questo articolo di qualche giorno fa non è, a parere di noi di Recce’d, una semplice … intervista come tante altre. Anche per il quotidiano che la ha pubblicata, e per il periodo nel quale è stata pubblicata.

Un breve premessa, per chiarire: noi di Recce’d non siamo a favore dei “Governi tecnici”, e giudichiamo entrambe le due esperienze (Monti prima e Draghi poi) come “occasioni perse per l’Italia”.

Detto questo, resta che in molte occasioni di emergenza la cosa migliore da fare è scegliere il male minore.

Tra gli obiettivi di legislatura della maggioranza c’è la riforma presidenzialista. Pensa che sarebbe utile all’Italia, e in che termini?
«La considererei molto pericolosa, non tanto per il rischio di derive autoritarie, ma semplicemente perché avrebbe effetti opposti a quelli auspicati dai fautori. Con il presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo e al tempo stesso capo dell’esecutivo, l’Italia diventerebbe un Paese più conflittuale e meno governabile».

Sembra un paradosso a dirsi...
«Più conflittuale perché toglierebbe di scena l’unica figura, il presidente della Repubblica eletto dal Parlamento a larga maggioranza, che a prescindere dal suo passato viene rispettato e riconosciuto da tutte le parti politiche ed esercita un ruolo di moderazione. Meno governabile, perché una piena contrapposizione tra maggioranza e opposizioni, come si osserva spesso negli Stati Uniti e in Francia – le due più collaudate repubbliche presidenziali – rende quasi impossibile trovare quel consenso su misure necessarie e urgenti in situazioni di emergenza, che in repubbliche parlamentari come la Germania o l’Italia è stato più volte possibile ricorrendo a governi di grande coalizione odi unità nazionale».

Come si può allora rendere più incisiva e indipendente l’azione di governo?
«Sono favorevole a un rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio. Anzitutto, come ho ricordato in Senato nel dibattito sulla fiducia al governo Meloni, il premier già oggi ha il diritto-dovere di “dirigere la politica generale del Governo”, anche perché “ne è responsabile” (articolo 95 della Costituzione). Sarebbe inoltre opportuno rendere più agevole la rimozione di singoli ministri da parte del premier, prevedere il voto di sfiducia costruttiva come ad esempio in Germania, Belgio e Spagna, e magari considerare l’ipotesi, più impegnativa, che il premier sia eletto direttamente dal popolo».

Come mai Macron in Francia non riesce a portare l’età pensionabile a 64 anni, aumentandola di fatto di un anno, e a lei riuscì di alzarla di cinque in due settimane?
«In effetti, malgrado l’ascendente personale e la capacità politica che tutti gli riconoscono, Emmanuel Macron in sei anni (il primo mandato e il primo anno del secondo mandato) non è ancora riuscito a fare una riforma delle pensioni sensibilmente meno profonda di quella varata dall’Italia in due settimane nel novembre-dicembre 2011. Elsa Fornero e io siamo stati spesso invitati a discutere questo tema in Francia. In queste occasioni, la professoressa Fornero illustra i contenuti della riforma da lei predisposta, le ragioni di equilibrio finanziario ma soprattutto di maggiore equità tra le generazioni che l’hanno ispirata. Da parte mia, ricordo in quale contesto di sfiducia dei cittadini verso la politica e di crisi finanziaria acuta ci venne chiesto di intervenire con urgenza».

Ma è una questione di abilità vostra e scarsa incisività di Macron o di contingenze?
«Faccio, in modo rispettoso, un paragone con la Francia. La loro è una Repubblica presidenziale: il presidente ha grande forza in teoria, ma ben difficilmente può mettere in campo l’unità nazionale, come noi nella nostra modesta e imperfetta repubblica parlamentare riuscimmo a fare, su impulso del presidente Napolitano e con il più ampio voto di fiducia che il Parlamento abbia mai espresso e con le parti sociali dimostratesi molto responsabili. Inoltre, da noi la riforma delle pensioni non sarebbe bastata: per agire con equità (forse un governo “tecnico” non dovrebbe curarsi di questo, ma per i miei colleghi e per me era fondamentale) e per ricostruire la fiducia dei mercati verso l’Italia, varammo – sempre in quelle due settimane - un ampio pacchetto con varie altre riforme, che gravassero in modo equilibrato sulle diverse parti politiche e sociali. Dovendo noi scontentare un po’ tutti, lo scontento riguardante le pensioni non aveva altrettanto spazio nelle prime pagine. Macron invece ha dovuto concentrarsi “solo” sulle pensioni. Ha avuto la fortuna di creare meno infelicità complessiva di noi, ma più concentrata su una sola parte. Infine, Macron non ha avuto l’ “aiuto”, il terribile aiuto, di una crisi finanziaria che stava per portarci al default».


Per il presidente Mario Monti è quasi un momento di rivincita personale. Il partito fondato da Giorgia Meloni anche in opposizione a Gianfranco Fini, che di lì a poco si sarebbe presentato alleato di Lista Civica, la forza fondata dal senatore a vita, è al potere dopo dieci annidi opposizione.
Ma si mostra prudente nei conti e in politica estera, quasi come se lo spirito del professore bocconiano aleggiasse ancora a Palazzo Chigi.

Sostenuto da tutti i partiti tranne la Lega (i grillini non erano ancora in Parlamento) lei di fatto ebbe una forza di governo paragonabile a quella di un presidente eletto e riuscì a imporre misure gravose: come fu possibile?
«Ho cercato di spiegarlo sopra, paragonando la situazione dell’Italia di allora a quella francese. Dovrei però aggiungere una difficoltà ulteriore, a carico nostro. Il mio governo - entrato in carica nel novembre 2011 dopo le dimissioni del presidente Berlusconi dovute all’uscita della Lega dalla sua maggioranza, e con l’appoggio parlamentare dello stesso Berlusconi e del Popolo della Libertà, oltre che del Pd e del Terzo Polo - sapeva che avremmo governato al massimo per un anno e mezzo, fino al termine della legislatura. Ma talune parti della maggioranza non ci facevano mancare ammonimenti frequenti sul fatto che avrebbero potuto “staccare la spina” in qualsiasi momento. Ma anche questo svantaggio rispetto al presidente francese, se certo non accresceva la nostra serenità, può avere contribuito a non farci perdere neppure uno dei giorni, non sapevamo quanti, in cui ci veniva chiesto di salvare il nostro Stato dal default».

Anche Draghi era sostenuto da ampia maggioranza ma la sua azione è stata meno incisiva. Perché condizionato dal perseguimento di altri obiettivi?
«Non mi permetto di fare confronti con il governo Draghi, più autorevole del mio sia per la personalità del premier sia perché i partiti che l’hanno sostenuto hanno fatto a gara nel fare entrare come ministri i loro esponenti migliori. Questo a me i partiti lo rifiutarono, probabilmente non desiderosi di esporsi in prima persona nelle decisioni impopolari che in quella fase – a differenza che in quella affidata a Draghi, di impiego dei fondi europei – sapevano sarebbero state inevitabili. Vorrei invece affermare, senza riferimento a nessun governo in modo specifico, una convinzione profonda maturata in me prima, durante e dopo la mia esperienza di governo. Soprattutto in momenti di grandi difficoltà, chi governa politico o tecnico che sia - non può fare davvero l’interesse del Paese se non è pronto a perderci personalmente, in immagine, popolarità, consenso.

Guardiamo alle leadership recenti in Italia, anche dopo Berlusconi: dalla Meloni alla Schlein, con le appendici di Salvini e Conte: significa che il Centro in Italia è impossibile o che i consensi del Terzo Polo si impenneranno?
«Può darsi che, dal punto di vista elettorale, le vittorie del cosiddetto “Centro” diventino sempre più difficili. Ma c’è una sorta di contrappasso. Forse il Centro non vince le elezioni, ma poi nel governare di fatto convergono tutti su politiche di “Centro”, abbandonando le sirene con cui alle elezioni ammaliano gli elettori di destra odi sinistra. Pensiamo, in ordine di ingresso, a Sánchez, Scholz, Meloni, Sunak e allo stesso Macron».

Che giudizio dà dell’ascesa e dei primi passi da premier della Meloni?
«Da quando governa ho espresso più volte, in Senato e altrove, giudizi positivi, soprattutto in materia di rapporti con l’Europa e di bilancio pubblico (con l’importante eccezione a questo riguardo del tema delle diseguaglianze). Certo, anche Giorgia Meloni ha dato prova di grande trasformismo, rispetto alle posizioni tenute (e usate come clava, anche verso di me) nei dieci anni precedenti. Ma, a differenza di altri trasformisti che hanno cambiato posizioni mantenendo però la stessa rozzezza e cinismo, il che rende poco credibili le loro trasformazioni, la presidente Meloni mi dà l’impressione di ragionare davvero, e a fondo, sulla complessità dei problemi, sulla difficoltà delle soluzioni e di credere genuinamente in quel che dice e cerca di fare. Spero che questo mio giudizio si confermi fondato».

La posizione ultra-atlantista della Meloni è dovuta solo alla necessità di accreditarsi presso la comunità internazionale o è anche legata alla sua ricerca di una nuova strada in Europa, alternativa all’asse franco-tedesco?
«Penso che sia una posizione che il premier Meloni abbia per convinzione. Non credo che la viva come una via alternativa a quella di un’alleanza con Francia e Germania: non è necessario e sarebbe un grande errore. Il posto dell’Italia in Europa è li, a fianco di quei due, ma anche per incalzarli e far modificare all’una, all’altra o a entrambe determinate posizioni».


Però Berlino e Parigi spesso sembrano avere un atteggiamento ostile nei nostri confronti...
«Quando è toccato a me lavorare con loro, pur dalla posizione debolissima di Paese sull’orlo del default, siamo riusciti a rompere per una volta l’asse franco-tedesco, portando il presidente Hollande dalla nostra parte e inducendo la cancelliera Merkel ad ammettere che la BCE avrebbe potuto sostenere i titoli di Paesi soggetti ad attacchi speculativi. A proposito di trasformisti, in quel tempo Meloni (che di recente ha smesso), Salvini (che continua imperterrito ancor oggi, forse per sovrano disinteresse per la realtà), nonché Grillo e un’intera genìa di grillini mi additavano ai nostri concittadini come il “cameriere” della Merkel, ben assecondati dai giornali vicini a loro».

Recentemente ha fatto discutere una dichiarazione del ministro Valditara. Lei riterrebbe giusto aumentare gli stipendi dei prof che insegnano al Nord per tappare i buchi di organico, come suggerito dal ministro?
«Non sempre apprezzo le dichiarazioni, o i silenzi, del ministro Valditara. Su questo, non ha torto. Sul tema dei differenziali retributivi pesa da settant’anni l’infelice termine “gabbie salariali”. In realtà, la pretesa di disconoscere il diverso costo della vita nelle varie regioni ha l’effetto, non solo nella scuola ma in generale nell’economia e nella società, di ingabbiare il potenziale di occupazione e di crescita del Sud. Certo, si abbandonarono le gabbie salariali in nome dell’equità. Purtroppo, però, di un’equità falsa perché si esprime in termini puramente nominali, non reali».

Crede che il governo della Meloni rappresenti una svolta culturale per il Paese, o meglio la Nazione?
«Se posso concludere questa intervista con un’osservazione più generale, direi che l’attuale governo di destra ha un contributo importante da dare alla crescita culturale ed economica dell’Italia, così come in altri modi e pur con errori hanno fatto per decenni i governi di Centro-sinistra e di Centro-destra. Se non erode la propria credibilità in tesi bizzarre, come quella su Dante padre del pensiero di destra, questo governo potrebbe aiutare l’Italia a riconsiderare posizioni che fecero la loro irruzione nel 1968 e poi si rivelarono (accanto ad altre che hanno contribuito in modo positivo alla società italiana) nocive per l’effettivo sviluppo economico-sociale. Di solito, ciò è avvenuto perché si è data preminenza all’etica delle intenzioni rispetto all’etica della responsabilità, come avrebbe detto Max Weber. Politiche ispirate a valori elevati, ma disattente alla loro applicazione concreta e agli effetti indiretti sulle condizioni effettive di vita e di lavoro di quei soggetti deboli che si volevano tutelare, hanno spesso comportato che proprio tali soggetti hanno subito le conseguenze più negative».

L’opposizione non sarà felice di questa affermazione...
«L’Italia è entrata in una fase nuova, ricca di potenziale per il Paese. La Destra riassume sicurezza e un certo vigore intellettuale e la Sinistra si dota, con Elly Schlein, di una forte personalità ancorata ai principi, come è giusto, ma non ancora alla realtà, come è necessario. Secondo me, questa nuova fase potrebbe, e certo dovrebbe, vedere un grande confronto di idee, anche aspro, che porti entrambe le parti a depurare le proprie posizioni tradizionali da dogmi legati ad altre epoche storiche.
E a ricercare un minimo comune denominatore più pragmatico, che avvicini l’Italia a politiche più adatte ai giovani e alle generazioni future». 

Valter Buffo
Chi è “contrarian” adesso”?
 

La fretta e la concitazione che hanno dominato, sia sui mercati finanziari, sia nel mondo dei media, sia tra gli investitori, negli ultimi nove giorni, ha fatto crescere in grande misura la confusione tra gli investitori, già decisamente confusi dal fatto che si era passati nello spazio di soli 60 giorni dalla certezza del soft landing e della immacolata disinflazione ad un nuovo scenario, dai tratti poco chiari.

Poi, è arrivata SVB. Poi è arrivato Credit Suisse. Poi è arrivata First Republic.

Come dicevamo, tutti, ma proprio tutti tutti tutti (anche chi non ne ha capito nulla) si sono sentiti in dovere di dire, e scrivere, qualche cosa al proposito dei fallimenti delle banche.

Noi di Recce’d ne abbiamo scritto, ogni giorno, nel Bollettino quotidiano che è riservato ai Clienti che sottoscrivono la gestione dei nostri portafogli modello. Ma ne abbiamo scritto anche (e molto) qui sul sito, in forma pubblica. Offrendo indicazioni chiarie, giudizi senza paura di essere smentiti a distanza di 48 ore, e indicazioni pratiche (queste ultime in particolare attraverso la nuova pagina NEL MOTORE DELLA PERFORMANCE che abbiamo aggiunto il giorno 1 marzo).

Noi ne abbiamo scritto molto: e lo abbiamo fatto per una ragione ben precisa, ovvero che tutti gli investitori possono ricavare dagli ultimi nove giorni una serie di utilissime indicazioni pratiche.

Prima di ogni altra cosa, possono ricavare indicazioni pratiche su come investire il proprio risparmio. Più precisamente, su quali criteri utilizzare per scegliere un gestore che abbia poi la capacità di tradurre in pratica sia le vostre preferenze sia i vostri obbiettivi, su quale ruolo svolgono le cosiddette Autorità di Vigilanza (che anche questa volta però NON avevano vigilato) e sul ruolo delle Banche Centrali in questa Nuova Era (del tutto nuova) dei mercati finanziari.

Anche oggi, in Italia, sono moltissimi gli investitori che si lasciano ingannare dalla facciata (in senso letterale: dalla facciata del palazzo dove hanno sede gli uffici) e dalle apparenze (il torneo i golf, la carta patinata di documenti che vengono presentati come “ricerca”, il logo sulla carta intestata con quel nome roboante, la “rete internazionale di uffici” che poi al Cliente non serve a un bel nulla), e continuano a perdersi per strada ciò che a loro serve realmente, ovvero la competenza e la trasparenza.

Anni ed anni fa, noi in Recce’d scegliemmo la strada giusta: mettere del tutto da parte la facciata e concentrare ogni sforzo sulla qualità ed i contenuti del servizio. E’ stato un prezioso e pieno successo, sia per noi sia per i nostri Clienti.

In aggiunta a questo argomento (la necessità di una radicale revisione del proprio modo di operare sul proprio portafoglio e con i propri risparmi) noi di Recce’d abbiamo regalato anche precise indicazioni su come vanno utilizzate queste vicende nel 2023 per ottenere il massimo possibile dai propri investimenti.

E’ possibile, infatti, ottenere molto sfruttando il riordino che è iniziato.

Al tempo stesso, non si può discutere il fatto che il rischio sui mercati finanziari è decisamente aumentato. Non il rischio delle azioni, oppure delle obbligazioni, oppure delle valute, oppure delle materie prime. Quello che è aumentato è il rischio dell’intero portafoglio.

Spieghiamo con maggiore dettaglio: è ovvio che, a fronte di eventi che mettono in discussione (è evidente) il fondamento principale sul quale è fondato il moderno sistema dei pagamenti, tutti gli asset finanziari diventano più rischiosi, nel senso che immediatamente lo spazio di massimo ribasso (maximum drawdown) di tutte le azioni, di tutte le obbligazioni, e così via, aumenta e questo aumento va ad influenzare anche i vostri ragionamento con riferimento ai rischi che avete voglia di sopportare nel vostro portafoglio. Ma questo NON è sufficiente: non è tutto.

Nei vostri ragionamenti, nel vostro esame del portafoglio e delle prossime operazioni, adesso dovete considerare anche un altro tipo di rischio: eventi come questi cambiano le relazioni tradizionali tra gli asset finanziari. Non è questa la sede per entrare nel dettaglio (lo facciamo ogni mattina in The Morning Brief), e ci limitiamo qui a segnalarvi che ci sono una serie di domande che non potete trascurare, come ad esempio:

  • il fatto che ci sono stati altri salvataggi è positivo per le azioni, come è stato in passato?

  • i nuovi salvataggi faranno scendere oppure salire i tassi a lungo termine?

  • il futuro valore del dollaro USA, in particolare contro euro, sarà modificato dal cambiamento delle attese per i tassi (sia a breve, sia a lungo termine?) ed in quale direzione?

  • le materie prime reagiranno come hanno fatto in passato alla nuova iniezione di liquidità?

Niente è come prima (siamo in una Nuova Era, come vi è stato spiegato sia dai fatti di SVB sia dai fatti di Credit Suisse), e sarebbe utile che voi lettori vi rivolgeste immediatamente al vostro wealth manager, al private banker oppure al financial advisor per farvi spiegare

in che modo SVB e Credit Suisse hanno modificato le tradizionali relazioni tra azioni, obbligazioni ed altre asset class.

Veniamo adesso ai mercati, ed ai nostri portafogli modello.

Come dicevamo sopra, Recce’d negli ultimi 9 giorni non ha fatto mancare attenzione e presenza, e tutti ve ne siete resi conto. Abbiamo già scritto e detto tutto ciò che a noi sembrava rilevante.

Da ultimo, ieri 17 marzo abbiamo spedito ai nostri Clienti una nuova Lettera al Cliente, che (tra gli altri argomenti) affrontava anche il tema della gestione dei portafogli modello alla luce di queste vicende. In quella Lettera abbiamo illustrato al nostro Cliente le (fortissime) ragioni che ci portano a considerare il grafico che segue come il grafico che, da solo, sintetizza l’intera situazione ad oggi.

Visto che i dettagli tutti li avete già letto, e visto che di commenti ne avete già letti anche troppi, noi abbiamo scelto di aiutarvi portando questo discorso ad un livello più alto.

Ovvero, il livello della Politica, quella con la “p” maiuscola.

E come lo facciamo?

Nei giorni scorsi, i due più influenti quotidiani al Mondo, che sono il New York Times ed il Wall Street Journal, hanno dedicato a questa vicenda un articolo firmato dallo Editorial Borad che è il Comitato Editoriale. Questa firma significa che l’articolo riassume la linea ufficiale del quotidiano.

Ora noi li abbiamo prima letti ed analizzati, e poi abbiamo deciso di riproporli nel nostro Blog.

Vi facciamo osservare, prima di iniziare la lettura, che i due quotidiano hanno orientamenti politici opposti fra loro.

Eppure, su questa specifica vicenda, come leggerete i due quotidiani sono nella sostanza sulla medesima linea. Il salvataggio NON è una buona notizia. Per nessuno.

La lettura dei due articoli, che noi nel Post vi proponiamo già tradotti, intende aiutare i lettori a comprendere che il problema, adesso, è un problema politico. Non è corretto parlare di “fallimenti bancari”, bensì occorre occuparsi del “fallimento di una politica”.

Ci risiamo. Il governo federale sta salvando il settore bancario e il popolo americano, che ha assistito a questo spettacolo fin troppo spesso, ha tutto il diritto di essere furioso.

L'obiettivo giusto per questa rabbia, tuttavia, non è il salvataggio in sé, ma la sua necessità.

La decisione del governo di garantire l'intero ammontare dei depositi assicurati e non assicurati della Silicon Valley Bank e della Signature Bank di New York è la migliore scelta disponibile per preservare la salute dell'economia in generale. Anche un nuovo programma della Federal Reserve che offra prestiti agevolati alle banche è una buona idea, date le circostanze. La promessa del Presidente Biden di lunedì, secondo cui "faremo tutto il necessario", era necessaria.

Ma l'intervento ad ampio raggio è necessario solo perché le banche chiuse di recente - le seconde e le quarte più grandi banche fallite nella storia americana - non erano eccezioni a un modello di probità generale. Proprio come prima della crisi finanziaria del 2008, le banche sono riuscite ancora una volta ad accumulare miliardi di profitti facendo scommesse rischiose, per poi correre a chiedere l'aiuto del governo quando quelle scommesse hanno iniziato ad inasprirsi. Alla fine del 2022, l'industria bancaria statunitense era seduta su un totale di circa 620 miliardi di dollari di perdite non realizzate, come risultato di investimenti compromessi dall'aumento dei tassi di interesse.

L'ultima volta che l'opinione pubblica americana ha ingoiato l'amara pillola del salvataggio delle banche, i politici hanno promesso di regolamentare il settore in modo più rigoroso per porre fine al lungo ciclo di profitti privatizzati e perdite assorbite dal pubblico.

Questi cambiamenti, comprese le misure di salvaguardia imposte dalla legge Dodd-Frank del 2010, sono stati in gran parte positivi. In media, tra il 1980 e il 1994 è fallita una banca americana ogni tre giorni. Il ritmo dei fallimenti ha raggiunto livelli simili nel periodo immediatamente successivo alla crisi finanziaria del 2008, ma da allora i fallimenti sono stati molto meno frequenti. I fallimenti degli ultimi giorni hanno posto fine al secondo periodo più lungo senza fallimenti bancari dai tempi della Grande Depressione.

Eppure i dettagli dell'ascesa e della caduta della Silicon Valley Bank sono tristemente noti. La banca ha corso grandi rischi per crescere rapidamente raccogliendo e investendo denaro da un'ampia gamma di start-up tecnologiche; i suoi azionisti hanno esultato e i suoi revisori e le autorità di regolamentazione non hanno fatto nulla per interferire. Anzi, le autorità di regolamentazione hanno trattato la strategia principale della Silicon Valley Bank, che consisteva nell'investire in titoli di Stato, come sostanzialmente priva di rischi, non vedendo i pericoli posti da un rapido aumento dei tassi di interesse. Le autorità di regolamentazione avrebbero dovuto anche limitare il pericoloso affidamento della banca su grandi depositi non assicurati.

I responsabili politici - del Congresso, del Dipartimento del Tesoro e della Federal Reserve - hanno il dovere di spiegare all'opinione pubblica americana come è stato possibile che le cose siano andate così fuori controllo. Le banche sono diverse dalla maggior parte delle aziende del settore privato. Sono isolate dalla disciplina di mercato da varie forme di protezione federale perché, come le aziende elettriche che tengono accesa la luce, forniscono un servizio pubblico essenziale per un'economia moderna. Le autorità di regolamentazione hanno la responsabilità di garantire che le banche non abusino di questi privilegi.

Nel caso della Silicon Valley Bank, le autorità di regolamentazione non hanno svolto questo compito. Il ruolo della Federal Reserve come agenzia leader nella risposta a questa crisi ha oscurato i suoi fallimenti come agenzia responsabile della supervisione della banca in primo luogo. "Avrebbero dovuto fermarli mesi fa", ha dichiarato Anat Admati, professore di finanza alla Stanford University. "È questo il mio problema con la Fed: Se fossero onesti, ammetterebbero i propri errori".

Anche il Congresso ha le sue responsabilità. Nel 2018, un disegno di legge bipartisan ha indebolito la supervisione normativa dei prestatori di medie dimensioni come la Silicon Valley Bank, invertendo parti chiave della legge Dodd-Frank. La nuova legge ha aumentato la soglia per la categoria più severa di controllo normativo a 250 miliardi di dollari da 50 miliardi. Greg Becker, amministratore delegato della Silicon Valley Bank, nel 2015 ha testimoniato davanti al Congresso che il suo istituto, come altri delle sue dimensioni, "non presenta rischi sistemici". Anche i funzionari della Signature Bank hanno esercitato pressioni e beneficiato delle modifiche del 2018.

Il Congresso dovrebbe ora correggere il suo errore ripristinando la soglia di 50 miliardi di dollari.

I politici devono anche riconoscere i limiti della supervisione governativa come sostituto della disciplina di mercato. Le banche dovrebbero essere obbligate a raccogliere più denaro dagli azionisti, che hanno un forte incentivo a tenere d'occhio il modo in cui il denaro viene utilizzato, dato che possono perderlo tutto. Il denaro raccolto dagli azionisti si chiama capitale, e le banche ne hanno molto meno rispetto ad altri tipi di società. Possono prendere in prestito la maggior parte del denaro che utilizzano da prestatori e depositanti. Se, ad esempio, le banche fossero obbligate a raccogliere il 20% dei fondi dagli azionisti, si tratterebbe comunque di una percentuale molto inferiore alla norma per altri tipi di aziende, ma sufficiente a coprire le perdite della Silicon Valley Bank e a salvare la banca.

Il Congresso dovrebbe anche richiedere la restituzione dei compensi dei dirigenti e dei dividendi delle banche fallite. Se in futuro i banchieri dovessero essere obbligati a restituire parte di ciò che hanno guadagnato grazie alle loro decisioni sbagliate, ciò potrebbe avere un effetto di ammonimento.

Il governo non vuole descrivere le sue azioni come un salvataggio perché agli elettori non piacciono i salvataggi. I clienti della Silicon Valley Bank, in particolare, sono stati fortemente contrari a essere descritti come i beneficiari di un salvataggio, perché è una cosa imbarazzante; è in contrasto con la mitologia della Silicon Valley come una frontiera da strapazzo dove le persone costruiscono il futuro senza l'aiuto o la supervisione del governo.

Ma il successo dell'industria finanziaria e della Silicon Valley è sempre dipeso dagli aiuti del governo e da una regolamentazione prudente. Questo salvataggio è necessario perché il governo non ha prestato sufficiente attenzione. I politici dovrebbero essere onesti su questi errori e chiarire le misure che adotteranno per evitare che si ripetano.

I quotidiani, ed in particolare i quotidiani in Italia, da sempre e per sempre accolgono i soldi pubblici con grande entusiasmo, e si atteggiano come “i tifosi delle Banche Centrali”. Ci raccontano che “le Banche Centrali hanno salvato il Mondo”: anche se poi a tutti noi la realtà racconta una storia ben diversa.

L’articolo del New York Times, come avete letto, offre ai lettori una visione diversa. Ci racconta una realtà diversa. L’articolo NON esulta per i salvataggi bancari, come ci si poteva aspettare.

Non solo: se leggete attentamente, l’articolo NON dice quello che, in particolare in Italia, i politici ed i quotidiano sempre vi raccontano: ovvero che

è stato fatto per il benessere di tutti e non c’era alternativa.

A differenza del 2008, nessuno più pensa che “le Banche Centrali hanno salvato il Mondo”.

Questa settimana, in Twit-Twoo, Recce’d aveva preso una posizione chiara e forte (come facciamo sempre), ovvero:

adesso, anche basta!

Abbiamo ritrovato un simile modo di vedere le cose anche nell’articolo del Wall Street Journal che abbiamo poi tradotto per voi e che leggete di seguito.

Più in basso, poi, Recce’d vi propone di vedere con attenzione un contenuto video.

Il Tesoro e la Federal Reserve sono intervenuti nella tarda serata di domenica per contenere i danni finanziari causati dalla chiusura di venerdì della Silicon Valley Bank, garantendo anche i depositi non assicurati e offrendo prestiti ad altre banche affinché non debbano subire perdite sulle loro attività a reddito fisso.

Si tratta di un salvataggio de facto del sistema bancario, anche se i regolatori e i funzionari di Biden ci hanno detto che l'economia va benissimo e che non c'è nulla di cui preoccuparsi. La sgradevole verità - che Washington non ammetterà mai - è che il fallimento della SVB è il conto da pagare per anni di errori monetari e normativi.

***

Nel fine settimana Wall Street e la Silicon Valley erano in pieno panico e chiedevano l'intervento del Tesoro e della Fed per salvare la situazione. È interessante vedere chi è in grado di mantenere il sangue freddo in una crisi, e non sono stati il miliardario gestore di fondi speculativi Bill Ackman o l'investitore di venture David Sacks, entrambi frenetici seminatori di panico.

La Federal Deposit Insurance Corp. ha chiuso la SVB e la soluzione più pulita sarebbe quella di trovare un acquirente privato per la banca. Questa è stata la prima soluzione nella maggior parte dei panici finanziari precedenti, e la FDIC ha organizzato un'asta che si è conclusa domenica pomeriggio.

Ma Rohit Chopra, l'accolito di Elizabeth Warren nel consiglio di amministrazione della FDIC, è ostile alle fusioni bancarie per motivi ideologici, e le condizioni di acquisto potrebbero essere troppo onerose per alcuni potenziali acquirenti. Le banche più grandi sono ora le più sicure e i depositi si stanno riversando su di esse. J.P. Morgan può parcheggiare il denaro presso la Federal Reserve e guadagnare interessi sulle sue riserve. Perché farsi carico di un nuovo grattacapo politico?

I dirigenti della SVB hanno commesso degli errori, che pagheranno, ma sono stati incoraggiati dal denaro facile e da una regolamentazione sbagliata. Mentre la Fed inondava il mondo di liquidità in dollari, il denaro affluiva alle startup di rischio che costituivano la base di clienti della SVB. I depositi della banca si sono impennati, ben al di là di quanto potesse prestare con sicurezza.

In un mondo di tassi d'interesse prossimi allo zero, SVB ha investito il denaro in attività a reddito fisso di lunga durata alla ricerca di un rendimento più elevato. Dopo la crisi del 2008, le autorità di regolamentazione avevano considerato questi titoli del Tesoro e i titoli garantiti da ipoteca quasi privi di rischio ai fini della misurazione del capitale bancario. Se i regolatori dicono che sono privi di rischio, le banche e i depositanti possono essere meno prudenti.

Ma questi titoli sono diminuiti di valore quando la Fed ha aumentato rapidamente i tassi d'interesse per frenare l'inflazione che aveva contribuito a provocare. SVB avrebbe avuto enormi perdite di capitale se fosse stata costretta a liquidare tali attività prima della scadenza. È esattamente quello che è successo quando i clienti della SVB hanno ritirato i loro depositi. La Fed di San Francisco regolamenta la SVB e in qualche modo non ha notato questa crescente vulnerabilità. La Fed e il Tesoro cercheranno di incolpare i banchieri, ma la colpa è altrettanto, se non di più, loro. L'idea di elevare la presidente della Fed di San Francisco Mary Daly al Consiglio dei Governatori sembra assurda dopo la SVB.

Tanto più che il rischio di duration delle banche potrebbe non essere limitato alla SVB, come dimostra il crollo dei titoli delle banche regionali della scorsa settimana. La FDIC ha creato un ente per proteggere i depositanti assicurati di SVB fino al limite legale di 250.000 dollari. Ma qualcosa come l'85-90% dei depositi della SVB non sono assicurati. La preoccupazione è che i depositanti delle altre banche fuggano.

Per questo si invoca l'intervento federale. Il Segretario del Tesoro Janet Yellen ha dichiarato domenica che non ci sarà alcun "salvataggio" per la SVB, ma si tratta di un'operazione semantica. I federali hanno dichiarato che garantiranno anche i depositi non assicurati della SVB e della Signature Bank di New York. In genere, in caso di fallimento di una banca, i depositanti avrebbero riavuto i loro soldi con uno scarto del 15%-20%. Questo sarebbe senza dubbio un problema per molti clienti, ma il limite di 250.000 dollari era noto.

Il prossimo passo sarà una garanzia universale sui depositi non assicurati? Si tratterebbe di una resa politica monumentale, ammettendo in sostanza che l'apparato normativo istituito nel 2010 dalla Dodd-Frank ha fallito. Forse siamo gli unici al mondo a preoccuparci ancora del "rischio morale". Ma una garanzia a livello nazionale per i depositi non assicurati, anche se per un periodo limitato, significa che questa diventerà la politica di default ogni volta che ci sarà un panico finanziario.

C'è anche una questione di legalità di tale garanzia. La FDIC ha creato un programma di "garanzia dei conti di transazione" durante il panico del 2008, ma il Congresso lo ha esplicitamente lasciato scadere nella Dodd-Frank. Il Congresso ha fissato il limite di 250.000 dollari per proteggere gli americani medi, non gli investitori della Silicon Valley.

La FDIC potrebbe aver fatto ricorso alla sua "eccezione di rischio sistemico" per SVB e Signature, ma è una forzatura considerando le loro dimensioni. La dichiarazione congiunta dei regolatori ha dichiarato di aver ricevuto il voto richiesto dei due terzi dei consigli di amministrazione della FDIC e della Fed, e ci piacerebbe vedere il lavoro legale creativo dell'Office of Legal Counsel del Dipartimento di Giustizia.

La Fed si sta comportando come dovrebbe, in quanto fornitrice di liquidità a tutti gli operatori. Ma si sta spingendo oltre, offrendo prestiti a un anno alle banche a fronte di garanzie collaterali di Treasury e altri asset a reddito fisso. La Fed valuterà queste attività alla pari, il che significa che le banche non dovranno vendere le loro attività in perdita. La Fed sta essenzialmente garantendo gli asset bancari che stanno subendo perdite perché le banche hanno assunto rischi di durata incoraggiati dalle politiche della Fed. Anche questo è un salvataggio.

Come vedete, il Wall Street Journal non contesta l’intervento effettuato a poche ore di distanza dal fallimento della Banca SVB, ma arriva a scrivere che si tratta

del prezzo da pagare per anni di errori monetari e normativi.

Noi tutti, investitori e cittadini, dobbiamo realizzare, nel minore tempo possibile, non solo il fallimento di quindi anni di una politica economica dissennata, e dannosa (come è dimostrato dalle crisi ricorrenti, e sempre più frequenti). Oggi, noi dobbiamo avere ben chiaro nella mente che la Federal Reserve e la BCE hanno perso ogni supporto, sono isolate.

Questo porterà non solo a cambiamenti nel modo di condurre la politica monetaria, ma pure a cambiamenti nello stesso modo di funzionare di queste Istituzioni.

Anche per questo, è più che lecito utilizzare la definizione di Nuova Era.

Questi cambiamenti, che abbiamo appena indicato, non sono più evitabili: le cose sono andate troppo oltre, il picco è stato la reazione alla pandemia, e quella specie di slogan

“liberi tutti, si può fare tutto e non ci sono freni”

che poi si è rivoltato contro chi lo aveva utilizzato e (purtroppo) anche contro gli interessi di noi cittadini ed investitori finali.

Lo stato delle cose è questo, ed è evidente sia al New York Times, sia al Wall Street Journal. Ci auguriamo che oggi risulti evidente anche a quei lettori che ci seguono con maggiore attenzione.

Una ulteriore testimonianza, di una situazione che risulta a dire poco imbarazzate, e di tensione che sfiora il conflitto aperto, ci arriva direttamente dal Ministro USA del Tesoro, ed ex capo della Federal Reserve, Janet Yellen.

L’intervento del Ministro del Tesoro USA al Congresso di giovedì 16 marzo lo si può rivedere e riascoltare nel video che vi mettiamo a disposizione qui vicino.

Dura più di due ore. Noi lo abbiamo ascoltato per intero. E noi suggeriamo a chi investe sui mercati finanziari di ascoltare questo intervento per intero.

Ma se siete pigri, oppure di fretta, oppure infastiditi dalla lingua inglese, allora il nostro suggerimento è: iniziate da quando il timer segna 1 ora 30 minuti e 15 secondi, e ascoltate almeno per tre minuti.

In questi tre minuti, le domande a Yellen arrivano dal Senatore Lankford dello Stato di Oklahoma.

Non limitatevi ad ascoltare: approfittatene e guardate con la massima attenzione anche l’espressione del viso di chi parla, guardate gli occhi: le espressioni facciali, e più in generale quello che ormai tutti chiamano “body language”, a volte come tutti sappiamo esprimono più di ciò che viene spiegato con le parole.

Osservate con grande attenzione: vi saranno chiari in soli tre minuti

  • il grado di competenza delle persone

  • il grado di conoscenza della materia in questione; la misura nella quale si domina la materia, la sensazione di avere (oppure NON avere) tutto sotto controllo

  • il grado di apprensione sull’esito della vicenda della quale si parla

Ne potete ricavare utili, e partiche, informazioni, su come va gestito il portafoglio titoli nel 2023, e poi nel 2024, e poi nel 2025.

Noi, di Recce’d, il nostro l’abbiamo fatto. Ora, sta a voi di decidere liberamente, del destino dei vostri risparmi. A che cosa date importanza? Al grattacielo, alla carta intestata ed al logo colorato, all’invito alla mostra d’arte?

E allora … buona fortuna.

Valter Buffo
Che cosa ci aspetta al di là della Silicon Valley?
 

Non troverete, in questo Post, quello che vi aspettate.

Non troverete, in questo Post una dettagliata analisi di ciò che è successo alla Silicon Valley Bank. Del perché è successo. Non troverete succosi retroscena. Non troverete una previsione di quante altre banche verranno coinvolte. Non troverete una previsione delle future ricadute per il mercato di Borsa, oppure per le obbligazioni, oppure delle valute, oppure delle materie prime.

Se cercate questo tipo di informazioni, vi invitiamo a leggere il Sole 24 Ore, Milano Finanza, la Repubblica, Il Corriere della Sera.

In quelle sedi, potete leggere tutti i “coccodrilli” che volete: nel gergo del giornalismo, il “coccodrillo” è l’articolo che piange la scomparsa di un personaggio pubblico, del quale peraltro il decesso era stato da mesi anticipato.

Ma se cercate questo tipo di informazioni, voi come investitori siete già in grave ritardo.

Per la gestione dei propri investimenti, e del proprio portafoglio titoli, cose come queste vanno anticipate, almeno di sei mesi; ed è per questo che, nella parte finale del 2022, anche qui nel nostro Blog noi scrivemmo di “tre grandi rischi 2023”. Ed uno era esattamente questo.

Proprio per questa ragione, oggi, i portafogli di Recce’d sono (e da mesi) strutturati in un certo modo: con una data composizione di asset finanziari, con una certa distribuzione tra le macro-classi di asset, e con una certa distribuzione tra posizioni LONG e posizioni SHORT.

Per questa ragione, sul sito di Recce’d i commenti al caso della Banca della Silicon Valley saranno limitati alla pagina TWIT TWOO (dove ne avevamo già scritto giovedì scorso), alla pagina MERCATI ed alla pagina NEL MOTORE DELLA PERFORMANCE.

Perché da approfondire, qui non c’è più nulla, adesso. Perché da capire, non c’è altro: di quello che era necessario capire, noi scrivemmo già mesi fa. Perché da analizzare, c’era parecchio, ma lo si doveva fare ancora nel 2022.

Oggi, i fatti parlano e questo è sufficiente: per chi come noi gestisce i portafogli modello. Portafogli che, per quello che ci riguarda, almeno in questo momento sono posizionati in modo ideale.

Noi attraverso i nostri Post guardiamo sempre AVANTI: e scriviamo questi Post per aiutare chi ci legge a guardare insieme a noi AVANTI. Molto più in là della Silicon Valley.

Oltre la Silicon Valley.

Guardare avanti che cosa significa? Vediamolo nel concreto.

Per voi investitori significa piantarla lì. Smettere subito (finalmente) di andare dietro alle parole del financial advisor, del wealth manager, del private banker. E sarebbe anche ora!

Lui, il vostro promotore finanziario che a voi vende i Fondi Comuni e le polizze, vi aveva convinti trenta giorni fa dell’esistenza di una cosa che NON esiste, ovvero il “soft landing”. Una cosa inventata, per fare comperare a voi Fondi Obbligazionari e Fondi Azionari e polizze UCITS. Una invenzione commerciale, come “i prodotti che fanno ricrescere i capelli”.

Lui, il vostro financial advisor, il wealth manager, il private banker, vi aveva sicuramente spiegato che cose come quella che oggi leggete sul vostro quotidiano, la vicenda della Silicon Valley Bank, non possono più succedere, mai più. E i rialzi dei tassi? I rialzi dei tassi NON cambiano nulla, per NESSUNO: va tutto avanti come prima.

Questo sono baggianate, ovviamente. Sciocchezze. E voi investitori dovete smetterla: dovete farla finita di perdere il vostro tempo ad ascoltare persone che parlano di cose che non conoscono, di numeri che non conoscono, di cose che non capiscono, che non hanno mai capito in tutta la loro vita.

E’ proprio arrivata l’ora, che qualche cosa cambi, nel vostro modo di occuparvi dei vostri soldi. Non potete continuare a fare i bambini, non potete continuare a giocare con i vostri risparmi. Vi piace ascoltare le favolette? Allora rinunciate ad investire: lasciate proprio perdere del tutto. Se non intendete lasciare perdere, allora per voi è il momento di diventare grandi.

Perché quel momento è proprio adesso?

Perché proprio in questo momento, mentre voi leggete questo Post, avete davanti agli occhi rischi di una dimensione che neppure riuscite ad immaginare, ed anche opportunità di guadagno come mai ne avete viste.

Il passaggio ad una Nuova Era è sempre un grande terremoto, ma pure una grandissima opportunità.

In questo post, Recce’d ne scrisse già alla fine del 2022, anticipando a tutti i lettori come sarebbe stato, poi, il 2023: oggi noi NON ci ripeteremo.

Allo scopo di aiutare i ritardatari, però, vogliamo comunque suggerire qualche cosa di utile e di molto pratico: la lettura di un articolo che abbiamo tradotto per voi.

Abbiamo evidenziato, come sempre facciamo, passaggi e termini sui quali il nostro lettore è chiamato ad approfondire, e con urgenza data la situazione.

Ci limitiamo soltanto ad una veloce premessa: El Erian scrisse questo articolo mercoledì scorso. In quel momento, ovviamente, c’erano già molti segnali che ad un occhio attento come il suo non potevano sfuggire.

Ma sicuramente neppure un uomo di quella levatura poteva immaginare la situazione che è esplosa tra giovedì e venerdì.

E quindi (fate bene attenzione a questo fatto, nel vostro interesse) l’articolo NON parla di fallimenti bancari: l’articolo si limita ad evidenziare le (potenziali) negative conseguenze di una Banca Centrale che ha perso la rotta ed ha perso la credibilità.

L’articolo dice che, a causa di questa perdita di credibilità, aumentano i rischi di un “incidente di mercato”.

Fatti come quelli della Silicon Valley Bank (associati all’immagine di Yellen che avete visto più in alto, e che risale al 2017) aumentano la perdita di credibilità, aumentano i rischi di mercato, rendono ancora più evidente il fatto che oggi la Banca Centrale è il nostro peggiore nemico, come scrivemmo anche in questo Blog nel mese di agosto 2020.

Se avete compreso questo, allora i fatti di giovedì 9 e venerdì 10 marzo 2023 per voi non sono un problema. Per i Clienti di Recce’d, non sono un problema.

E per il benessere dei cittadini, e dei mercati finanziari (fate bene attenzione anche a questo) non sono un problema: tutto il contrario, ci avvicinano alla soluzione dei problemi che oggi tutti portiamo sulle spalle.

Questo articolo, quindi, è la dimostrazione concreta che è sempre utile mantenersi in contatto (come noi facciamo ogni giorno) con persone capaci di anticipare la sostanza di quello che poi tutti leggono sui quotidiani.

Oggi, è decisivo che noi e voi, insieme, guardiamo OLTRE la Silicon Valley Bank

Non dovrebbe essere così e non è necessario che lo sia. Eppure, ancora una volta, le dichiarazioni del presidente della Federal Reserve Jerome Powell hanno alimentato una notevole volatilità sui mercati che potrebbe mettere a rischio il benessere economico e la stabilità finanziaria. Si tratta di un fenomeno che non solo evidenzia i ripetuti slittamenti delle politiche, ma anche la mancanza di importanti basi strutturali e strategiche della Fed.

Diverse volte negli ultimi anni, i commenti alla conferenza stampa che tradizionalmente segue la conclusione delle riunioni di due giorni del FOMC hanno causato una volatilità significativamente maggiore rispetto alla precedente pubblicazione della decisione politica della banca centrale e alle osservazioni scritte di Powell. Martedì, la volatilità iniziale del mercato causata dalla pubblicazione della dichiarazione di apertura di Powell prima dell'inizio della sua testimonianza semestrale al Congresso è stata notevolmente amplificata dalle sue successive risposte alle domande dei senatori.

Le reazioni del mercato hanno incluso un'impennata dei rendimenti nella parte anteriore del mercato obbligazionario, con il tasso a due anni che ha superato il 5% per la prima volta dal 2007, un crollo generalizzato delle azioni, con l'indice S&P 500 che ha perso l'1,5%, e un'intensificazione dell'inversione della curva dei rendimenti 2s-10s, il cui spread ha superato i meno 100 punti base.

Tutti e tre i fenomeni sono stati associati a un significativo ripensamento delle aspettative della Fed in occasione della riunione di fine mese. Invece di prevedere un aumento di 25 punti base, come precedentemente segnalato dalla Fed, i mercati hanno spostato le probabilità a favore di 50 punti, che invertirebbero lo spostamento verso il basso dei rialzi che la banca centrale aveva prematuramente effettuato solo un mese fa.

C'è qualcosa che non quadra in tutto questo. L'obiettivo della maggiore trasparenza adottata dalla Fed negli ultimi due decenni è quello di consentire aggiustamenti economici e finanziari graduali ai regimi politici. In effetti, questa è l'essenza stessa della forward policy guidance. Non si tratta di minare la credibilità della banca centrale più potente del mondo.

Tre fattori contribuiscono a spiegare questa spiacevole situazione.

In primo luogo, come ho spiegato nel mio precedente articolo in cui sostenevo che la Fed non avrebbe dovuto passare da 50 a 25 punti base il 1° febbraio (come poi ha fatto), la banca centrale sembra non avere una valutazione completa dei rischi politici nell'attuale economia interna e globale, intrinsecamente fluida.

In secondo luogo, l'assenza di un ancoraggio strategico a medio termine significa che la Fed è diventata eccessivamente dipendente dai dati, con conseguenti overshoots.

In terzo luogo, il "nuovo quadro monetario" dell'agosto 2020 è più appropriato per il mondo precedente al 2020 e non per quello di oggi e di domani, ossia è stato progettato per il precedente paradigma di domanda aggregata insufficiente e non per la realtà di un'offerta aggregata insufficiente.

La cosa peggiore da fare per i politici è liquidare la volatilità del mercato di martedì come un rumore. C'è qualcosa di più sinistro in gioco. Più si verifica questa volatilità indebita, maggiore è il rischio di incidenti economici e di mercato, ovvero di una recessione causata da quelli che sono ormai tre errori di politica della Fed negli ultimi due anni e che mettono a dura prova l'ordinato funzionamento dei mercati finanziari.

Considerate il dilemma che la Fed si trova ora ad affrontare: o convalidare la mossa del mercato e, nel frattempo, negare in modo imbarazzante la forward policy guidance fornita appena un mese fa; oppure mantenere quella guidance e rimanere ancora più indietro nella lotta all'inflazione.

Entrambe le cose comportano un ulteriore rischio di reputazione. Insieme alle numerose ripetizioni di volatilità indebita, chiedono anche che la Fed e i leader politici dedichino più tempo a tre soluzioni strutturali per la Fed che includono, come sostenuto il mese scorso, "il rafforzamento della responsabilità della Fed e l'obbligo di aggiornare il suo quadro di riferimento per le politiche, nonché di seguire l'esempio della Banca d'Inghilterra nell'inserire strutturalmente opinioni esterne nel suo processo di formulazione delle politiche".

L'alternativa di continuare così aumenta le sfide per un'economia globale che deve affrontare un'importante transizione ecologica, il cambiamento della globalizzazione e delle catene di approvvigionamento, le incertezze geopolitiche e l'aggravarsi delle disuguaglianze di reddito, ricchezza e opportunità.


Mohamed A. El-Erian è un editorialista di Bloomberg Opinion. Ex amministratore delegato di Pimco, è presidente del Queens' College di Cambridge, consigliere economico capo di Allianz SE e presidente di Gramercy Fund Management. È autore di "The Only Game in Town".

Valter Buffo
La batteria, il contrabbasso eccetera: strumenti che proteggono dall'inflazione
 

Riprendiamo, in questo Post, un tema che abbiamo più volte trattato, nel nostro quotidiano The Morning Brief, e poi accennato alla pagina TWIT- TWOO del nostro sito, e in alcuni Post precedenti.

Il tema è: come investire in periodi di inflazione elevata? Quali sono gli strumenti finanziari che proteggono dall’inflazione?

Recce’d ha già chiarito, e ripete in questo Post che non esistono specifici strumenti che proteggono dall’inflazione.

Come si investe in un periodo di alta inflazione? Rinunciando alla pigrizia. L’investitore deve rinunciare al divano ed allo smartphone, e più che mai occuparsi in modo attivo dei propri investimenti.

Questo perché gli strumenti che garantiscono la protezione del proprio patrimonio dall’inflazione non esistono: non cercateli neppure.

Negli anni Settanta ed Ottanta, gli investitori italiani trovavano rifugio nel marco tedesco. Oggi, una alternativa di investimento di quel tipo non esiste più. Ha poco senso (per non dire nessuno) cercare oggi una protezione di quel tipo. La realtà si è evoluta, è cambiata, nel profondo, e non offre all’investitore “beni rifugio di medio/lungo termine”.

Il rifugio, bisogna darselo da soli. Si può trovare la protezione che cinquanta anni fa offriva il marco tedesco soltanto se si gestisce, in modo attivo, il proprio denaro: oggi tutti noi investitori non possiamo concederci il lusso di dire

mi metto in oro per due anni, oppure in BOT per 12 mesi, oppure in dollari USA, e per uno o due anni io non ci penso più.

In un contesto come quello degli Anni Duemilaventi, caratterizzato da un cambiamento profondo che investe sia le Istituzioni, sia le economie, sia i mercati finanziari, illudersi di trovare una soluzione per non pensarci più è inutile, oppure peggio ancora dannoso.

Ve lo dimostriamo con questo Post, che riprende un tema che noi abbiamo già trattato, e che oggi riprendiamo anche grazie ad un articolo di questa settimana del Corriere della Sera dedicato ai titoli obbligazionari indicizzati all’inflazione. Ulteriore spunto è il nuovo BTp indicizzato che verrà emesso la settimana prossima.

In più occasioni abbiamo commentato, sia per i nostri Clienti sia sul sito, l’atteggiamento della stampa italiana verso le emissioni del Tesoro e il debito pubblico, denunciando e documentando un atteggiamento “da tifoso”, parziale, quasi da “promotore finanziario per conto del tesoro”, atteggiamento che fa il danno dei lettori dei quotidiani, e che è chiaramente motivato da interessi che non vengono dichiarati.

Con riferimento a questo specifico articolo, che più in basso riportiamo, va sottolineato che si registra uno scatto verso l’alto, un miglioramento nella qualità dell’informazione, rispetto alla media degli articoli che abbiamo letto sul Corriere della Sera. Mettendo da parte l’intenzione promozionale (ricorrente sul Corriere della Sera), il notissimo giornalista Ferruccio de Bortoli (due volte Direttore, e competente di cose economiche e finanziarie) esamina in modo analitico, e in una certa (non grande) misura anche critico, le missioni indicizzate dello Stato italiano.

Insomma, per una volta, con questo articolo si prende cura degli interessi del lettore, e non dell’emittente.

L’articolo di de Bortoli, che leggeremo insieme più in basso, non svela cose che non fossero già conosciute: potete trovare sul Web, ad esempio utilizzando questo link, un buon numero di analisi che documentano la “protezione soltanto parziale” offerta dai titoli obbligazionari indicizzati.

Che cosa significa “protezione soltanto parziale”? Significa che i titoli obbligazionari indicizzati, sia quelli emessi dallo Stato sia quelli emessi da Enti e Società, in alcuni periodi funzionano bene, in altri periodi funzionano meno bene, in altri periodi ancora non funzionano proprio. La storia dei CCT italiani lo documenta, in modo non controvertibile.

Il recente articolo di de Bortoli non è una novità assoluta: in alcune precedenti occasioni, la stampa quotidiana aveva già raccontato queste cose, come potete leggere ad esempio utilizzando questo link.

E tuttavia, a noi è sembrato utile riproporre questo recente articolo, perché il tema è di grande attualità e perché la qualità dell’intervento è elevata, cosa che lo rende utile per i lettori. Anche per i lettori di Recce’d.

Prima di lasciarvi alla lettura, vogliamo evidenziare alcune cose:

  • notate il cambiamento di tono: rispetto a decine di altri articolo che abbiamo letto sul Corriere, del tutto acritici e sempre elogiativi delle emissioni del Tesoro, in questo caso si sceglie di mettere in guardia il lettore, segnalando limiti e problemi di questi strumenti

  • si offre al lettore una utile analisi di episodi del passato: come sappiamo noi investitori, il passato non si ripete mai in modo identico, ma offre preziosi insegnamenti

  • è utile, per noi investitori, tenere sempre a mente che c’è un’intera generazione che non aveva mai visto un’inflazione a due cifre; un dato di fatto, che spiega sia la reazione dei mercati finanziari che tutti abbiamo visto fino al febbraio 2023, sia la reazione dei mercati che dobbiamo ancora vedere, nei prossimi mesi ed il prossimo anno

  • infine, quello che per noi è il punto di maggiore rilievo: il punto più importante: de Bortoli scrive Intento lodevole anche se, come abbiamo visto in un precedente articolo su L’Economia, l’investitore quando ragiona razionalmente è apolide. Questa è una grande novità: de Bortoli, ed il Corriere della Sera, scrivono che l’investitore italiano NON deve “fare il tifo” per gli emettenti italiani e per i titoli italiani; non deve, perché non avrebbe alcun senso; di fronte alle varie alternative disponibili, noi investitori dobbiamo effettuare un calcolo razionale, di potenziali rendimenti e potenziali rischi, e solo su quella base fare le nostre scelte di investimento

Vi lasciamo alla lettura dell’articolo di de Bortoli, per ritrovarvi poi alla fine, con alcune nostre valutazioni sullo specifico dello strumento di cui nell’articolo si parla.

La pubblicità del nuovo Btp Italia, in sottoscrizione dal 6 all’8 marzo, è accattivante. Lo spot spiega che il nuovo titolo protegge dalla «crescita dell’inflazione». Una promessa impegnativa. L’andamento dei prezzi al consumo, che è stato del 10,1% su base annua nel gennaio scorso, pur essendo in leggera diminuzione, continua a impoverire salari, stipendi e risparmi. L’inflazione attesa per il 2023 è pari al 5,2% per l’indice generale e del 3,2% la componente di fondo, cioè quella depurata dai beni energetici. Sono questi i livelli che si avrebbero a fine anno se, per i prossimi mesi, nei listini dei prezzi sui quali l’inflazione viene calcolata, vi fossero variazioni mensili nulle. Il nuovo Btp Italia, della durata quinquennale, è diretto, come altre offerte in passato, ai singoli risparmiatori e alle famiglie. E si presenta come una sorta di prodotto-simbolo nella nuova strategia, peraltro annunciata anche dalla stessa premier, Giorgia Meloni, di aumentare l’italianità del debito, già comunque per tre quarti domestico. La finalità è quella di proteggerci meglio da eventuali nuovi shock finanziari.

Intento lodevole anche se, come abbiamo visto in un precedente articolo su L’Economia, l’investitore quando ragiona razionalmente è apolide. Ma l’opportuna scelta del Tesoro di aprire di più — e direttamente cioè non attraverso gli intermediari o il risparmio gestito — alla platea cosiddetta retail, richiede un grande sforzo di chiarezza e trasparenza. Soprattutto quando si parla di titoli inflation linked che promettono una difesa dall’aumento dei prezzi che viene percepita erroneamente come totale. Ha fatto discutere nei giorni scorsi, e ne parlava un articolo del Financial Times, la decisione della ministra dell’Economia canadese, Chrystia Freeland, di togliere dal proprio paniere di offerta di titoli pubblici gli strumenti inflation linked per non suscitare troppe attese e conseguenti delusioni.

Il sottoscrittore è disabituato da anni di inflazione bassa, e tassi persino negativi, a ragionare in termini di rendimenti reali. Intere generazioni non hanno mai convissuto con l’inflazione a due cifre. Anche quando appariva nominalmente trascurabile (sotto quel 2% che è l’obiettivo di medio periodo della Bce) il suo effetto cumulato negli anni, sul valore reale dei patrimoni, era tutt’altro che irrilevante. Lontana e sbiadita è la memoria familiare dell’estrema attenzione e della forte reattività dei Bot people, del scorso secolo.

Da uno sguardo alla serie storica dei dati elaborati dalla Banca d’Italia si evince che il rendimento medio lordo dei Btp, con vita residua superiore a un anno, mostra quasi sempre un andamento favorevole rispetto alla curva dell’inflazione. Solo alla fine del 1973, all’epoca della prima crisi petrolifera, diventa negativo (7,2 contro 12,5%). E tale rimane per un decennio. La storia insegna che il recupero dei rendimenti reali accusa una discreta lentezza a fronte delle fiammate inflazionistiche.

«Se confrontiamo — sostiene Salvatore Gaziano di SoldiExpert Scf — due Btp con la stessa scadenza nel 2023, uno normale e l’altro Italia, cioè inflation linked, tenendo conto anche del valore delle cedole staccate, notiamo che solo il secondo offre una discreta protezione. Se guardiamo invece all’andamento di un Etf, con sottostanti obbligazioni governative europee collegate all’inflazione, il grado di copertura è stato deludente. La spiegazione della differenza sta nella durata media dei titoli che compongono l’Etf, che nell’esempio, è di otto anni. Tipicamente questi strumenti, e i fondi in generale, investono su titoli a scadenza più lunga. Tra i principali Etf obbligazionari quelli che si comportano meglio nelle fasi di rialzo dei tassi e di inflazione sono stati quelli con una duration inferiore, preferibili per l’investitore che non vuole sopportare un’alta volatilità. In alternativa, un risparmiatore può detenere obbligazioni con scadenze brevi, le variabili sono maggiormente controllabili».

Il Btp Italia di marzo avrà durata di cinque anni e prevede un premio di fedeltà dell’8 per mille per chi lo terrà fino al 2028. Capitale garantito, cedole pagate semestralmente. E ovviamente tassazione agevolata al 12,5 per cento. L’inflazione di riferimento è quella dell’indice Foi, calcolato sui prezzi al consumo per operai e impiegati al netto dei tabacchi che a gennaio, rispetto a 12 mesi prima, è cresciuto del 9,8 per cento. Nei Btp Italia la protezione del potere d’acquisto del capitale investito è affidata a un meccanismo apparentemente semplice. Alla fine di ciascun semestre, si calcola la variazione dell’indice dei prezzi nello stesso arco di tempo e quando essa è positiva, viene aggiunta nella stessa misura alla cedola in pagamento ed al capitale nominale investito. Il Btp Italia del prossimo marzo pagherà la prima cedola a settembre. Se in questo periodo l’indice dei prezzi sarà aumentato del 10%, il risparmiatore riceverà una cedola maggiorata nella stessa misura e un importo pari al 10 per cento del capitale nominale sottoscritto. Se, per fare un altro esempio, nel semestre successivo (settembre 2023 – marzo 2024) l’indice dei prezzi dovesse restare fermo, quel risparmiatore dovrà accontentarsi della cedola nominale prevista, senza alcuna maggiorazione sul capitale. Se, dunque, nel periodo l’indice sale, il pagamento semestrale restituirà la crescita dell’inflazione. Se, al contrario, resterà fermo o scenderà, il pagamento si limiterà al tasso minimo stabilito.

Ci sono stati, per le precedenti emissioni di Btp Italia, semestri particolarmente generosi che hanno fatto schizzare in alto i rendimenti. Ma il livello di protezione è stato sufficiente? Non sempre.

  1. Il Btp emesso nel 2015 (tasso nominale dello 0,50%) che scade il prossimo 20 aprile, ha incontrato nella sua vita sei semestri senza indicizzazione. Sull’intero periodo, ha consegnato una performance complessiva al netto delle imposte (calcolata al 17 febbraio scorso) del 16,69 per cento, pari al 2% netto l’anno. Nello stesso arco di tempo, l’indice Foi si è, invece, mosso del 18,2%. In questo caso vi è stata, dunque, una piccola erosione del suo potere d’acquisto.

  2. Per altre emissioni più recenti, il grado di copertura dell’inflazione è stato inferiore e, per il Btp che scade nel maggio del 2025, si arriva a una perdita di quasi 6 punti percentuali.

  3. Se il risparmiatore, negli stessi ultimi otto anni, avesse investito sull’indice azionario mondiale (Msci World), al contrario, si sarebbe largamente difeso dall’aumento dei prezzi. E ciò nonostante la crisi del 2018, quella pandemica, lo scoppio della guerra e una tassazione meno favorevole. Dall’aprile 2015, l’indice mondiale delle Borse ha, infatti, consegnato una performance totale in euro (al netto della tassazione) del 59 per cento, pari al 5,7 per cento annuo. Tolta la crescita dei prezzi (18,2%) resta, infatti, un apprezzabile 41%.

L’atteggiamento restrittivo della Bce sui tassi non è destinato a mutare nei prossimi mesi, aprendo altri scenari per il risparmiatore. E pone l’interrogativo se non sia preferibile, sempre nell’ottica di proteggersi dalla tassa iniqua dell’inflazione, prendere in considerazione anche i desueti Cct con cedola variabile legata al tasso Euribor semestrale (ovvero il tasso interbancario di riferimento, cui sono legati i mutui), maggiorato con un premio fisso (spread). Anche questa appare un’alternativa di una certa validità per proteggersi dall’inflazione. O meglio per proteggersi in parte. La copertura totale rimane una promessa un po’ azzardata, come forse si nota in controluce nel pensiero della ministra canadese.

Veniamo adesso ai BTp indicizzati, ed alle obbligazioni indicizzate in generale. Nei nostri portafogli modello, facemmo alcune posizioni su questi strumento anni fa, nell’epoca di tassi ufficiali a zero.

Lo facemmo, allora (in assenza di inflazione) perché allora si vedeva chiaramente, nel futuro, il rischi di una inflazione elevata, ed allora i prezzi erano molto interessanti.

Oggi l’inflazione sta sulle prime pagine dei giornali, e i prezzi delle obbligazioni indicizzate sono molto diversi. Questo richiede, a noi investitori, di fare attente valutazioni, che ovviamente portano a conclusioni diverse da quelle fatte anni fa.

Valter Buffo
Brrrrr ... che tarantella!
 

Succederà ancora. E si ripeterà ancora. Fin dalla settimana prossima, in vista della prossima riunione del Consiglio della Federal Reserve.

Sui mercati finanziari, si tornerà presto al dibattito sul “soft landing”, sul “prossimo ribasso dei tassi ufficiali”, su quella “immacolata deflazione” alla quale proprio qui nel Blog noi di Recce’d abbiamo dedicato un intero Post qualche settimana fa.

Si ripeterà per la ragione che è in corso uno scontro: non un battaglia, piuttosto una vera e propria guerra.

Una parte del settore del risparmio (banche e Reti di vendita) combatte mettendo in campo tutte le proprie forze per convincere una parte del pubblico che tutto ritornerà come era prima.

La parte del settore del risparmio (banche e Reti di vendita) che punta sul “ritorno ai bei tempi andati” non ha altre vie di uscita: tutta quella parte del sistema si regge unicamente un un contesto di tassi a zero, easy money e “bolla di tutto con tutto che sale”. Per tutti questi signori, il ritorno al passato è una questione di sopravvivenza: non sanno fare altro.

Il nostro parere, o meglio la nostra visione, come i lettori più attenti sanno, è che non succederà mai: non è possibile che tutto ritorni come prima, ed in numerose occasioni Recce’d ha evidenziato i dati di fatto che supportano questa nostra forte convinzione.

I lettori conoscono la nostra visione delle cose: in questo Post, la mettiamo a confronto con una visione diversa, che ci arriva da uno dei più noti commentatori, ex Governatore alla Federal Reserve di New York, che in un recentissimo articolo illustra le ragioni per cui è del tutto sbagliato pensare che attraverso la creazione di moneta (e, aggiunge Recce’d: anche i tassi di interesse) si possa governare l’economia e determinare la crescita del PIL, l’inflazione e la disoccupazione.

E se ve lo dice un ex Governatore della Federal Reserve …

Bill Dudley, editorialista di Bloomberg Opinion e consulente senior di Bloomberg Economics, è ricercatore senior presso il Center for Economic Policy Studies dell'Università di Princeton. È stato presidente della Federal Reserve Bank di New York dal 2009 al 2018 e vicepresidente del Federal Open Market Committee. In precedenza è stato capo economista statunitense presso Goldman Sachs.



I meme su Internet e gli opinionisti spesso mostrano una specifica concezione del funzionamento dell'economia statunitense: il volume di denaro è la determinante più importante della produzione e dei prezzi.

Seguendo la loro logica, l'espansione pandemica dell'offerta di moneta da parte della Federal Reserve ha causato l'inflazione odierna, e la sua attuale contrazione schiaccerà rapidamente l'inflazione e scatenerà una recessione.

Se solo il lavoro della Fed fosse così semplice. Questo modo di pensare è sbagliato, in almeno due modi.

In primo luogo, l'offerta di moneta è solo uno dei tanti fattori che influenzano l'economia statunitense e il suo legame con i risultati effettivi è sempre stato molto tenue. Anche la disponibilità delle persone a prendere in prestito e la disponibilità delle istituzioni finanziarie a concedere prestiti hanno la loro importanza. La circolazione del denaro - la sua velocità - dipende dalle azioni di una vasta gamma di intermediari finanziari e dei loro clienti, di cui le banche sono solo una piccola parte.

Tutto questo si riflette nella famosa equazione MV=PQ, dove M è la moneta, V è la velocità e P e Q sono il prezzo e la quantità della produzione economica. Conoscere M non aiuta molto a prevedere P o Q, perché V è molto variabile.

La Fed ha preso di mira l'offerta di moneta solo una volta, durante la battaglia di Paul Volcker contro l'inflazione dal 1979 al 1982. Anche in quel caso, la motivazione era principalmente politica: l'imperativo di rallentare la crescita della massa monetaria fornì a Volcker la copertura per spingere i tassi di interesse a livelli precedentemente insondabili. Una volta sconfitta l'inflazione, la Fed abbandonò rapidamente l'offerta di moneta come obiettivo.

In secondo luogo, la conduzione della politica monetaria da parte della Fed è cambiata radicalmente nel 2008, quando il Congresso le ha concesso il potere di pagare gli interessi sulle riserve che le banche mantengono presso la banca centrale. Questa mossa ha interrotto il legame tra l'ammontare delle riserve bancarie, che è il fattore chiave dell'offerta di moneta, e il prezzo del credito. Se, ad esempio, la Fed fissa il tasso sulle riserve al 5%, le banche non hanno motivo di concedere prestiti a un prezzo inferiore, indipendentemente dalla quantità di riserve di cui dispongono.

Questo è il motivo per cui l'inflazione non si è impennata durante i programmi di quantitative easing della Fed dal 2009 al 2014 e dal 2020 al 2021, anche se le riserve bancarie e la crescita della massa monetaria hanno raggiunto un picco rispettivamente di oltre 4.000 miliardi di dollari e del 26,9%.

La maggior parte del denaro è rimasta lì: nonostante un eccesso di depositi che ha raggiunto circa 18.000 miliardi di dollari, il totale dei prestiti e dei leasing bancari è sceso da un picco di 10.900 miliardi di dollari nel maggio 2020 a 10.400 miliardi di dollari un anno dopo.

Il fatto che le banche siano ricche di riserve e liquidità attenuerà gli effetti della stretta quantitativa della Fed. Uno dei motivi per cui sono state così lente ad aumentare i tassi di interesse sui depositi dei clienti è che non hanno bisogno di attrarre più denaro per finanziare i loro prestiti.

Da dove viene l'inflazione? L'economia si è surriscaldata per diverse ragioni:

  1. Lo spostamento della composizione della domanda verso i beni durante le prime fasi della pandemia ha portato a un blocco della catena di approvvigionamento,

  2. lo stimolo fiscale ha aumentato la capacità di spesa e la Fed ha mantenuto i tassi di interesse troppo bassi per troppo tempo.

Se i tassi fossero stati considerevolmente più alti, prima, l'economia sarebbe cresciuta più lentamente, il mercato del lavoro non sarebbe stato così rigido e l'inflazione dei salari e dei prezzi sarebbe stata più bassa.

E che dire del quantitative easing? Non ha avuto alcun effetto? Certamente ha avuto un ruolo nel rendere la politica monetaria più stimolante, facendo scendere i rendimenti obbligazionari e i tassi ipotecari, ma il suo contributo all'inflazione è decisamente esagerato. La maggior parte delle riserve e dei depositi che ha creato è rimasta nei bilanci del sistema bancario e non è stata prestata.

Allo stesso modo, l'impatto dell'inasprimento quantitativo sarà molto più modesto di quanto possa far pensare la riduzione delle riserve bancarie e della massa monetaria.

Ciò che conta davvero è il livello dei tassi di interesse a breve termine (quanto alti per quanto tempo), il loro impatto sulle condizioni finanziarie e il modo in cui questo influisce sulla disponibilità a prendere in prestito e a spendere.


Il messaggio che si ricava dall’articolo di Dudley è chiaro: ci dice che è esagerato attribuire l’inflazione esclusivamente alla crescita della massa monetaria ed alle riserve bancarie e su questo noi in Recce’d siamo d’accordo: l’inflazione è nata, e viene alimentata, anche da altri fattori (citati nell’articolo).

Ci sono però altre cose importanti, in questo articolo, con le quali Recce’d si trova in disaccordo (e i nostri portafogli modello lo dimostrano in modo concreto).

Non è questa la sede nella quale noi di Recce’d possiamo esporre nel dettaglio le nostre analisi e per questo ci limitiamo ad alcune osservazioni sintetiche:

  1. scrive Dudley che Il fatto che le banche siano ricche di riserve e liquidità attenuerà gli effetti della stretta quantitativa della Fed. Uno dei motivi per cui sono state così lente ad aumentare i tassi di interesse sui depositi dei clienti è che non hanno bisogno di attrarre più denaro per finanziare i loro prestiti.; e quindi, in modo implicito, Dudley riconosce che la liquidità abbondante (eccessiva) ha giocato, e gioca tutt’ora un ruolo importante, e riconosce che oggi la liquidità sostiene l’economia, e quindi riconosce anche che la liquidità eccessiva a tutto oggi alimenta l’inflazione

  2. scrive Dudley che non è la creazione di moneta a guidare l’economia: ma si ferma a quel punto, e non procede poi nella spiegazione del perché si è fatto ricorso a una enorme creazione di liquidità: per raggiungere quali obbiettivi?

  3. infine, Dudley scrive che Ciò che conta davvero è il livello dei tassi di interesse a breve termine (quanto alti per quanto tempo), il loro impatto sulle condizioni finanziarie e qui a nostro parere Dudley perde completamente il filo del discorso: che senso ha fare riferimento alle “condizioni finanziarie” e poi negare l’importanza del QE e della liquidità? Dudley qui va in confusione.


Queste tre contraddizioni, che a noi sembrano evidenti, sono una conferma del fatto che è impossibile ritornare alla situazione (dei mercati e delle economie) che tutti abbiamo conosciuto negli anni 2009 - 2021

Queste tre contraddizioni, però, non privano di interesse l’articolo di Dudley: che a voi e a tutti gli investitori serve per collocare nel contesto più appropriato il ricorrente dibattito sul “soft landing”, di cui abbiamo scritto in apertura, e che riprenderà già la settimana prossima.

La lettura di questo articolo per voi sarà utile ogni volta che leggerete, nei prossimi giorni, commenti e pareri sul tema “0,25% oppure 0,50%” ed argomentazioni che riguardano “il tasso terminale”.

Recce’d ha già chiarito che, a nostro giudizio, la prima questione (0,25% oppure 0,50%) è totalmente irrilevante, sia per ciò che riguarda l’andamento dell’inflazione e dell’economia, sia per ciò che riguarda la gestione del portafoglio titoli.

La seconda questione (fino a quale livello arriveranno i tassi ufficiali di interesse) è una questione puramente teorica, un gioco mentale: non ha la minima utilità pratica esercitarsi oggi con questo tipo di previsioni, dato il fatto che NESSUNO (non la Federal Reserve, non la BCE, non Goldman Sachs o JP Morgan, e nessun “esperto”) oggi ha la minima idea di quale sarà l’evoluzione dell’inflazione nel 2023.

Il fatto che oggi una grande parte degli argomenti che ascoltiamo e leggiamo sia favorevole a una discesa (più o meno veloce) dell’inflazione è molto semplicemente “la strada più comoda”, ovvero una forma di pigrizia mentale. Fa comodo, fa piacere immagine che “il problema rientrerà da solo”, ma oggi nel mese di marzo 2023 non esiste un solo indizio concreto di una discesa dell’inflazione dai livelli attuali.

Abbiamo visto in alcuni mesi un calo degli indici dai livelli massimi, ma si tratta di dati del tutto irrilevanti: non indicano una tendenza di medio termine, e nei prossimi mesi vedremo ancora in alcuni mesi un calo ed in altri mesi un aumento. Come spiega, molto chiaramente, l’articolo del Wall Street Journal che abbiamo selezionato e tradotto per voi.

Articolo che vi aiuterà a capire bene che cosa succede, non appena ripartirà la tarantella del “soft landing” e della “immacolata disinflazione”.

La Federal Reserve ha ripetuto più volte che risponde ai dati e non fissa i tassi di interesse con il pilota automatico. I dati sono cambiati radicalmente. La Fed dovrebbe dimostrare di essere convinta di ciò che dice, passando da un aumento di 25 punti base alla prossima riunione a un aumento di 50 punti. Dovrebbe anche spostare le aspettative verso un tasso terminale di circa il 6%.

La Fed non dovrebbe mai reagire in modo eccessivo a un singolo dato, ma quando il tasso annualizzato di inflazione core a tre mesi balza dal 2,9% al 4,7%, la banca centrale deve prenderne atto. Quando ciò accade dopo i forti dati sull'occupazione e l'accelerazione della crescita dei salari, la Fed deve pianificare un'azione. L'aspettativa che l'inflazione si dissolva da sola è sempre stata ingiustificata, ma i dati economici più recenti sono stati particolarmente scortesi nei confronti del team transitorio.

Una linea d'azione più aggressiva non sarebbe una reazione eccessiva ai dati volatili di gennaio, che probabilmente sono stati influenzati da un clima insolitamente caldo e da stranezze stagionali. Se la Fed credesse che i dati di gennaio - che hanno mostrato 517.000 posti di lavoro aggiunti, un aumento del 14% su base annua della spesa per consumi corretta per l'inflazione e un'inflazione di fondo del 7% su base annua - fossero la vera tendenza di fondo, allora dovrebbe alzare i tassi nella prossima riunione di 250 punti base, invece di aumentare il percorso di 50 punti. Invece, anche escludendo i dati di gennaio, le revisioni sfavorevoli degli ultimi mesi del 2022 dovrebbero modificare la percezione dell'economia.

Ciò che rende l'inflazione attuale particolarmente preoccupante è che tutti i “salvatori” sperati sono arrivati e se ne sono andati senza ridurre di molto l'inflazione sottostante. L'inflazione sarebbe dovuta scomparire quando gli effetti base si fossero ridotti, quando l'economia avesse superato le impennate di Delta e Omicron, quando i porti fossero stati sbloccati, quando i prezzi del legname fossero scesi, quando lo stimolo fiscale si fosse esaurito, quando fossero stati disponibili i microchip, quando i prezzi dell'energia fossero tornati a scendere dopo l'invasione russa. Tutto questo è accaduto, eppure il tasso di inflazione sottostante rimane superiore al 4,5% su quasi tutti gli orizzonti temporali e su tutte le misure.

L'unica notizia a cui gli ottimisti possono ancora aggrapparsi è che il rallentamento degli affitti dei nuovi contratti di locazione si manifesterà, con un certo ritardo, in un rallentamento dell'inflazione degli alloggi. Ma questo fattore probabilmente vale meno di un punto percentuale in meno rispetto al tasso d'inflazione e potrebbe essere compensato da altri fattori che vanno nella direzione opposta.

Fondamentalmente, gran parte dell'inflazione di fondo dell'economia non ha nulla a che fare con effetti base, microchip o prezzi del legname. È il prodotto di mercati del lavoro estremamente rigidi che hanno portato a rapidi aumenti salariali che si sono tradotti in un aumento dei prezzi. Questi prezzi più alti hanno portato anche ad aumenti salariali più rapidi. Alcuni la chiamano "spirale salari-prezzi", ma un termine migliore è "persistenza dei prezzi salariali", perché l'inflazione rimane alta anche dopo che l'impennata della domanda è scomparsa.

Attualmente la crescita dei salari è di circa il 5% annuo. Sostenere una tale crescita salariale con un'inflazione del 2% richiederebbe un forte aumento della crescita della produttività o un continuo calo dei margini di profitto. Farei il tifo per uno dei due risultati, ma non ci scommetterei. Un calo della crescita salariale potrebbe far scendere l'inflazione, ma in un'economia con quasi due posti di lavoro disponibili per ogni persona in cerca di occupazione, non aspettatevi che ciò accada. Il risultato più probabile è invece che, se il tasso di disoccupazione non aumenta, i salari continueranno a crescere a quel ritmo, che storicamente è associato a un'inflazione del 4% circa.

La politica monetaria opera con ritardi lunghi e variabili. Dato che la maggior parte dell'inasprimento delle condizioni finanziarie era già in atto 10 mesi fa e che, semmai, l'economia reale e la domanda si sono rafforzate negli ultimi mesi, sarebbe sciocco sedersi ad aspettare che la medicina faccia effetto. In effetti, i ritardi sono proprio il motivo per cui la Fed dovrebbe fare di più ora, considerando che ci vorranno mesi prima che qualsiasi azione della banca centrale abbia un effetto significativo sull'inflazione.

Troppi analisti si sono concentrati su ciò che è possibile per l'economia piuttosto che su ciò che è probabile. Sì, un atterraggio morbido è ancora possibile, ma rimane improbabile. Dal suo discorso di Jackson Hole in agosto, il presidente della Fed Jerome Powell si è concentrato molto di più su ciò che è probabile, avvertendo che la lotta all'inflazione sarà lunga e difficile. Non è necessario che la Fed cambi la sua politica. Dovrebbe invece continuare a seguire il suo approccio dipendente dai dati e, in assenza di una svolta molto favorevole nei dati, aumentare i tassi di altri 50 punti base alla prossima riunione.

Furman, professore di pratica della politica economica ad Harvard, è stato presidente del Consiglio dei consiglieri economici della Casa Bianca dal 2013 al 17.

Valter Buffo