La batteria, il contrabbasso eccetera: strumenti che proteggono dall'inflazione
Riprendiamo, in questo Post, un tema che abbiamo più volte trattato, nel nostro quotidiano The Morning Brief, e poi accennato alla pagina TWIT- TWOO del nostro sito, e in alcuni Post precedenti.
Il tema è: come investire in periodi di inflazione elevata? Quali sono gli strumenti finanziari che proteggono dall’inflazione?
Recce’d ha già chiarito, e ripete in questo Post che non esistono specifici strumenti che proteggono dall’inflazione.
Come si investe in un periodo di alta inflazione? Rinunciando alla pigrizia. L’investitore deve rinunciare al divano ed allo smartphone, e più che mai occuparsi in modo attivo dei propri investimenti.
Questo perché gli strumenti che garantiscono la protezione del proprio patrimonio dall’inflazione non esistono: non cercateli neppure.
Negli anni Settanta ed Ottanta, gli investitori italiani trovavano rifugio nel marco tedesco. Oggi, una alternativa di investimento di quel tipo non esiste più. Ha poco senso (per non dire nessuno) cercare oggi una protezione di quel tipo. La realtà si è evoluta, è cambiata, nel profondo, e non offre all’investitore “beni rifugio di medio/lungo termine”.
Il rifugio, bisogna darselo da soli. Si può trovare la protezione che cinquanta anni fa offriva il marco tedesco soltanto se si gestisce, in modo attivo, il proprio denaro: oggi tutti noi investitori non possiamo concederci il lusso di dire
mi metto in oro per due anni, oppure in BOT per 12 mesi, oppure in dollari USA, e per uno o due anni io non ci penso più.
In un contesto come quello degli Anni Duemilaventi, caratterizzato da un cambiamento profondo che investe sia le Istituzioni, sia le economie, sia i mercati finanziari, illudersi di trovare una soluzione per non pensarci più è inutile, oppure peggio ancora dannoso.
Ve lo dimostriamo con questo Post, che riprende un tema che noi abbiamo già trattato, e che oggi riprendiamo anche grazie ad un articolo di questa settimana del Corriere della Sera dedicato ai titoli obbligazionari indicizzati all’inflazione. Ulteriore spunto è il nuovo BTp indicizzato che verrà emesso la settimana prossima.
In più occasioni abbiamo commentato, sia per i nostri Clienti sia sul sito, l’atteggiamento della stampa italiana verso le emissioni del Tesoro e il debito pubblico, denunciando e documentando un atteggiamento “da tifoso”, parziale, quasi da “promotore finanziario per conto del tesoro”, atteggiamento che fa il danno dei lettori dei quotidiani, e che è chiaramente motivato da interessi che non vengono dichiarati.
Con riferimento a questo specifico articolo, che più in basso riportiamo, va sottolineato che si registra uno scatto verso l’alto, un miglioramento nella qualità dell’informazione, rispetto alla media degli articoli che abbiamo letto sul Corriere della Sera. Mettendo da parte l’intenzione promozionale (ricorrente sul Corriere della Sera), il notissimo giornalista Ferruccio de Bortoli (due volte Direttore, e competente di cose economiche e finanziarie) esamina in modo analitico, e in una certa (non grande) misura anche critico, le missioni indicizzate dello Stato italiano.
Insomma, per una volta, con questo articolo si prende cura degli interessi del lettore, e non dell’emittente.
L’articolo di de Bortoli, che leggeremo insieme più in basso, non svela cose che non fossero già conosciute: potete trovare sul Web, ad esempio utilizzando questo link, un buon numero di analisi che documentano la “protezione soltanto parziale” offerta dai titoli obbligazionari indicizzati.
Che cosa significa “protezione soltanto parziale”? Significa che i titoli obbligazionari indicizzati, sia quelli emessi dallo Stato sia quelli emessi da Enti e Società, in alcuni periodi funzionano bene, in altri periodi funzionano meno bene, in altri periodi ancora non funzionano proprio. La storia dei CCT italiani lo documenta, in modo non controvertibile.
Il recente articolo di de Bortoli non è una novità assoluta: in alcune precedenti occasioni, la stampa quotidiana aveva già raccontato queste cose, come potete leggere ad esempio utilizzando questo link.
E tuttavia, a noi è sembrato utile riproporre questo recente articolo, perché il tema è di grande attualità e perché la qualità dell’intervento è elevata, cosa che lo rende utile per i lettori. Anche per i lettori di Recce’d.
Prima di lasciarvi alla lettura, vogliamo evidenziare alcune cose:
notate il cambiamento di tono: rispetto a decine di altri articolo che abbiamo letto sul Corriere, del tutto acritici e sempre elogiativi delle emissioni del Tesoro, in questo caso si sceglie di mettere in guardia il lettore, segnalando limiti e problemi di questi strumenti
si offre al lettore una utile analisi di episodi del passato: come sappiamo noi investitori, il passato non si ripete mai in modo identico, ma offre preziosi insegnamenti
è utile, per noi investitori, tenere sempre a mente che c’è un’intera generazione che non aveva mai visto un’inflazione a due cifre; un dato di fatto, che spiega sia la reazione dei mercati finanziari che tutti abbiamo visto fino al febbraio 2023, sia la reazione dei mercati che dobbiamo ancora vedere, nei prossimi mesi ed il prossimo anno
infine, quello che per noi è il punto di maggiore rilievo: il punto più importante: de Bortoli scrive Intento lodevole anche se, come abbiamo visto in un precedente articolo su L’Economia, l’investitore quando ragiona razionalmente è apolide. Questa è una grande novità: de Bortoli, ed il Corriere della Sera, scrivono che l’investitore italiano NON deve “fare il tifo” per gli emettenti italiani e per i titoli italiani; non deve, perché non avrebbe alcun senso; di fronte alle varie alternative disponibili, noi investitori dobbiamo effettuare un calcolo razionale, di potenziali rendimenti e potenziali rischi, e solo su quella base fare le nostre scelte di investimento
Vi lasciamo alla lettura dell’articolo di de Bortoli, per ritrovarvi poi alla fine, con alcune nostre valutazioni sullo specifico dello strumento di cui nell’articolo si parla.
La pubblicità del nuovo Btp Italia, in sottoscrizione dal 6 all’8 marzo, è accattivante. Lo spot spiega che il nuovo titolo protegge dalla «crescita dell’inflazione». Una promessa impegnativa. L’andamento dei prezzi al consumo, che è stato del 10,1% su base annua nel gennaio scorso, pur essendo in leggera diminuzione, continua a impoverire salari, stipendi e risparmi. L’inflazione attesa per il 2023 è pari al 5,2% per l’indice generale e del 3,2% la componente di fondo, cioè quella depurata dai beni energetici. Sono questi i livelli che si avrebbero a fine anno se, per i prossimi mesi, nei listini dei prezzi sui quali l’inflazione viene calcolata, vi fossero variazioni mensili nulle. Il nuovo Btp Italia, della durata quinquennale, è diretto, come altre offerte in passato, ai singoli risparmiatori e alle famiglie. E si presenta come una sorta di prodotto-simbolo nella nuova strategia, peraltro annunciata anche dalla stessa premier, Giorgia Meloni, di aumentare l’italianità del debito, già comunque per tre quarti domestico. La finalità è quella di proteggerci meglio da eventuali nuovi shock finanziari.
Intento lodevole anche se, come abbiamo visto in un precedente articolo su L’Economia, l’investitore quando ragiona razionalmente è apolide. Ma l’opportuna scelta del Tesoro di aprire di più — e direttamente cioè non attraverso gli intermediari o il risparmio gestito — alla platea cosiddetta retail, richiede un grande sforzo di chiarezza e trasparenza. Soprattutto quando si parla di titoli inflation linked che promettono una difesa dall’aumento dei prezzi che viene percepita erroneamente come totale. Ha fatto discutere nei giorni scorsi, e ne parlava un articolo del Financial Times, la decisione della ministra dell’Economia canadese, Chrystia Freeland, di togliere dal proprio paniere di offerta di titoli pubblici gli strumenti inflation linked per non suscitare troppe attese e conseguenti delusioni.
Il sottoscrittore è disabituato da anni di inflazione bassa, e tassi persino negativi, a ragionare in termini di rendimenti reali. Intere generazioni non hanno mai convissuto con l’inflazione a due cifre. Anche quando appariva nominalmente trascurabile (sotto quel 2% che è l’obiettivo di medio periodo della Bce) il suo effetto cumulato negli anni, sul valore reale dei patrimoni, era tutt’altro che irrilevante. Lontana e sbiadita è la memoria familiare dell’estrema attenzione e della forte reattività dei Bot people, del scorso secolo.
Da uno sguardo alla serie storica dei dati elaborati dalla Banca d’Italia si evince che il rendimento medio lordo dei Btp, con vita residua superiore a un anno, mostra quasi sempre un andamento favorevole rispetto alla curva dell’inflazione. Solo alla fine del 1973, all’epoca della prima crisi petrolifera, diventa negativo (7,2 contro 12,5%). E tale rimane per un decennio. La storia insegna che il recupero dei rendimenti reali accusa una discreta lentezza a fronte delle fiammate inflazionistiche.
«Se confrontiamo — sostiene Salvatore Gaziano di SoldiExpert Scf — due Btp con la stessa scadenza nel 2023, uno normale e l’altro Italia, cioè inflation linked, tenendo conto anche del valore delle cedole staccate, notiamo che solo il secondo offre una discreta protezione. Se guardiamo invece all’andamento di un Etf, con sottostanti obbligazioni governative europee collegate all’inflazione, il grado di copertura è stato deludente. La spiegazione della differenza sta nella durata media dei titoli che compongono l’Etf, che nell’esempio, è di otto anni. Tipicamente questi strumenti, e i fondi in generale, investono su titoli a scadenza più lunga. Tra i principali Etf obbligazionari quelli che si comportano meglio nelle fasi di rialzo dei tassi e di inflazione sono stati quelli con una duration inferiore, preferibili per l’investitore che non vuole sopportare un’alta volatilità. In alternativa, un risparmiatore può detenere obbligazioni con scadenze brevi, le variabili sono maggiormente controllabili».
Il Btp Italia di marzo avrà durata di cinque anni e prevede un premio di fedeltà dell’8 per mille per chi lo terrà fino al 2028. Capitale garantito, cedole pagate semestralmente. E ovviamente tassazione agevolata al 12,5 per cento. L’inflazione di riferimento è quella dell’indice Foi, calcolato sui prezzi al consumo per operai e impiegati al netto dei tabacchi che a gennaio, rispetto a 12 mesi prima, è cresciuto del 9,8 per cento. Nei Btp Italia la protezione del potere d’acquisto del capitale investito è affidata a un meccanismo apparentemente semplice. Alla fine di ciascun semestre, si calcola la variazione dell’indice dei prezzi nello stesso arco di tempo e quando essa è positiva, viene aggiunta nella stessa misura alla cedola in pagamento ed al capitale nominale investito. Il Btp Italia del prossimo marzo pagherà la prima cedola a settembre. Se in questo periodo l’indice dei prezzi sarà aumentato del 10%, il risparmiatore riceverà una cedola maggiorata nella stessa misura e un importo pari al 10 per cento del capitale nominale sottoscritto. Se, per fare un altro esempio, nel semestre successivo (settembre 2023 – marzo 2024) l’indice dei prezzi dovesse restare fermo, quel risparmiatore dovrà accontentarsi della cedola nominale prevista, senza alcuna maggiorazione sul capitale. Se, dunque, nel periodo l’indice sale, il pagamento semestrale restituirà la crescita dell’inflazione. Se, al contrario, resterà fermo o scenderà, il pagamento si limiterà al tasso minimo stabilito.
Ci sono stati, per le precedenti emissioni di Btp Italia, semestri particolarmente generosi che hanno fatto schizzare in alto i rendimenti. Ma il livello di protezione è stato sufficiente? Non sempre.
Il Btp emesso nel 2015 (tasso nominale dello 0,50%) che scade il prossimo 20 aprile, ha incontrato nella sua vita sei semestri senza indicizzazione. Sull’intero periodo, ha consegnato una performance complessiva al netto delle imposte (calcolata al 17 febbraio scorso) del 16,69 per cento, pari al 2% netto l’anno. Nello stesso arco di tempo, l’indice Foi si è, invece, mosso del 18,2%. In questo caso vi è stata, dunque, una piccola erosione del suo potere d’acquisto.
Per altre emissioni più recenti, il grado di copertura dell’inflazione è stato inferiore e, per il Btp che scade nel maggio del 2025, si arriva a una perdita di quasi 6 punti percentuali.
Se il risparmiatore, negli stessi ultimi otto anni, avesse investito sull’indice azionario mondiale (Msci World), al contrario, si sarebbe largamente difeso dall’aumento dei prezzi. E ciò nonostante la crisi del 2018, quella pandemica, lo scoppio della guerra e una tassazione meno favorevole. Dall’aprile 2015, l’indice mondiale delle Borse ha, infatti, consegnato una performance totale in euro (al netto della tassazione) del 59 per cento, pari al 5,7 per cento annuo. Tolta la crescita dei prezzi (18,2%) resta, infatti, un apprezzabile 41%.
L’atteggiamento restrittivo della Bce sui tassi non è destinato a mutare nei prossimi mesi, aprendo altri scenari per il risparmiatore. E pone l’interrogativo se non sia preferibile, sempre nell’ottica di proteggersi dalla tassa iniqua dell’inflazione, prendere in considerazione anche i desueti Cct con cedola variabile legata al tasso Euribor semestrale (ovvero il tasso interbancario di riferimento, cui sono legati i mutui), maggiorato con un premio fisso (spread). Anche questa appare un’alternativa di una certa validità per proteggersi dall’inflazione. O meglio per proteggersi in parte. La copertura totale rimane una promessa un po’ azzardata, come forse si nota in controluce nel pensiero della ministra canadese.
Veniamo adesso ai BTp indicizzati, ed alle obbligazioni indicizzate in generale. Nei nostri portafogli modello, facemmo alcune posizioni su questi strumento anni fa, nell’epoca di tassi ufficiali a zero.
Lo facemmo, allora (in assenza di inflazione) perché allora si vedeva chiaramente, nel futuro, il rischi di una inflazione elevata, ed allora i prezzi erano molto interessanti.
Oggi l’inflazione sta sulle prime pagine dei giornali, e i prezzi delle obbligazioni indicizzate sono molto diversi. Questo richiede, a noi investitori, di fare attente valutazioni, che ovviamente portano a conclusioni diverse da quelle fatte anni fa.