Longform'd. Il tema del giorno: "financial instability".
Nelle ultime settimane, due eventi (Banca di Inghilterra e Credit Suisse) hanno messo all’attenzione di operatori e commentatori il tema della “financial instability”, che era scomparso da anni.
Tutti i nostri lettori hanno notato che sui media aumenta ogni giorno il numero di riferimenti al 2007, ed alla Grande Crisi Finanziaria 2007 - 2009, ed a Lehman Brothers e Bear Sterns.
Brevemente ne parliamo in questo Post, per approfondire poi durante la settimana nel nostro quotidiano The Morning Brief, dove trovate una messa a punto quotidiana dei nostri portafogli modello (davvero indispensabile in una fase di “financial instability”).
Che cosa intendono operatori e commentatori quando usano questa espressione?
Quando si parla di “financial instability” si fa riferimento ad episodi di instabilità che si presentano, in genere in modo improvviso (per il pubblico), all’interno del settore “banche e finanza”, che include banche, non-banche che fanno credito, banche di investimento, Società di gestione dei Fondi Comuni, Fondi Hedge, e Reti di promotori finanziari, wealth managers, private bankers, robo-advisors, eccetera.
Questi episodi di instabilità ovviamente sono il riflesso di errori nella gestione delle Istituzioni che abbiamo appena elencato, errori che però vengono nascosti al pubblico per un lungo periodo (spesso con la collaborazione delle Autorità, come abbiamo visto in passato), e che spesso vengono ampliati facendo il tentativo di correggerli e salvare la baracca.
Un esempio della settimana scorsa: negli ultimi dieci anni, l’errore delle Banche centrali, che hanno schiacciato per anni il costo del denaro a zero, ha costretto i Fondi Pensione all’utilizzo degli strumenti derivati per aumentare il rendimento dei loro investimenti. I Fondi Pensione a loro volta hanno fatto alcuni errori, utilizzando in modo eccessivo i derivati.
E così siamo arrivati molto vicino ad una situazione di critica: stava per saltare in aria tutto, come ha spiegato la stessa Banca di Inghilterra giovedì 5 ottobre.
Questo fatto, e i fatti di Credit Suisse (Credit Suisse che noi commenteremo poi in una sede diversa) hanno riportato all’attenzione di tutti il concetto di “financial instability”.
In modo esplicito, in settimana ne ha parlato ad esempio Neil Kashkari.
Kashkari, come tutti ricordate, è quel membro della Federal Reserve che in data 8 aprile 2021 diceva “Se vedessi l’inflazione al 4% non ne farei un dramma” (nell’immagine che segue). Dodici mesi dopo, lui come noi ha visto l’inflazione al 9%.
Ma questo, oggi, non c’entra. Oggi ci interessa invece la frase dell’immagine qui sopra, che dice: “Mi aspetto di vedere rotture nei mercati finanziari, ma l’asticella per avere un cambiamento nella politica monetaria è posizionata molto in alto”.
Ecco spiegata la ragione immediata che rende importantissimo il dibattito sulla “financial instability”.
Il tema della “financial instability”, nell’immediato, è rilevante per i mercati finanziari e per gli investitori in ragione del fatto che potrebbe provocare un cambiamento nell’indirizzo della politica monetaria.
Lo abbiamo appena visto tutti, nel Regno Unito: la BoE è ritornata a fare QE, acquistando Titoli di Stato, a sei giorni di distanza dall’annuncio del QT, ovvero della politica di VENDITA dei Titoli di Stato già oggi nell’attivo della Banca Centrale.
Quindi: la “financial instability” può determinare un cambiamento della politica monetaria SENZA che ci siano novità sul fronte dell’inflazione, oppure dell’occupazione, oppure della crescita delle economie.
Kashkari, sopra, ha detto ai mercati: attenzione, per arrivare ad un cambiamento della politica monetaria, l’asticella sta molto in alto. Ovvero: è necessario che il problema della “stabilità finanziaria” si presenti in una forma molto grave. E’ necessaria una crisi molto grave: come fu ad esempio la crisi 2007 - 2009 di cui tanto si scrive e si parla sui media.
Anche Waller, oltre a Kashkari, ha voluto mandare ai mercati il medesimo messaggio.
Waller si è spiegato con maggiore dettaglio: ve lo documentiamo con l’immagine che segue, che però in questo Post non abbiamo lo spazio ed il tempo di approfondire.
Lo faremo in una sede diversa.
Se avete interesse a comprendere più a fondo questo aspetto dell’attualità dei mercati finanziari (aspetto che a giudizio di Recce’d oggi è decisivo per azioni, obbligazioni, materie prime e valute) ci potete contattare attraverso i canali del nostro sito.
Oppure, potete concentrarvi sulla lettura dell’articolo che abbiamo scelto per voi e che trovate qui sotto.
L’articolo di Bloomberg riassume un recente documento della Federal Reserve, articolo che spiega che esistono due diversi “tassi di interesse di equilibrio” per la Banca Centrale:
uno che fa riferimento all’economia reale (inflazione, occupazione, salari, crescita del PIL, bilancia commerciale, eccetera)
un secondo che fa riferimento alla “stabilità finanziaria”
L’argomento sembra molto tecnico, ma al contrario è di immediata utilità per la gestione delle vostre posizioni di portafoglio.
Questo perché, se è vero che esistono due tassi di equilibrio, allora è possibile che la Banca Centrale decida di interrompere la fase di rialzo dei tassi ufficiali, privilegiando quindi il “tasso di equilibrio per la stabilità finanziaria” rispetto al “tasso di equilibrio per l’economia reale”.
Ne riparleremo più in basso, dopo che avrete letto l’articolo che segue.
Il documento della Federal Reserve, a cui fa riferimento l’articolo che segue, è nel nostro archivio e può essere richiesto con una e-mail.
The concept of R** presented in a paper at the New York Fed last week explains the issue facing the Federal Reserve as the market desperately tries to identify the ingredients for a pivot by the central bank.
The paper lays out:
R* = neutral rate for the REAL ECONOMY where supply=demand and there’s no inflation, our well-known Goldilocks scenario
R** = neutral rate for FINANCIAL STABILITY
The authors argue that after a period of sustained low rates, similar to our current situation, the gap between R** and R* widens, with R** falling below R*. This means with excess leverage built up, the neutral rate for the financial system drops below that of the real economy.
There are parallels to today’s backdrop: real yields have begun to climb, but core PCE is still too high and the labor market is still too strong.
Yet financial stability at these rate levels is already becoming a problem: credit markets are freezing up, liquidity in Treasuries is deteriorating and dollar funding is stretched.
What does this widening gap between R* and R** mean? The financial system becomes unstable before the Fed is able to raise rates high enough to impact the labor market. In effect, the Fed will fail to rein in inflation before it’s forced to pause to tackle financial instability at home.
This is the same situation that the Bank of England blew wide open last week with their emergency QE operation.
The next scenario for markets to grapple with: how to price a Fed that attempts to manage financial stability concerns (akin to the BOE’s liquidity operations) alongside rate hikes? Perhaps there’s another bout of risk assets plummeting and yields rising before we get to this point.
But Friday’s non-farm payrolls could be a test; a hot print could push this narrative to the next level.
Take a look at the two previous Fed hiking cycles in 2004-2006 and in 2015-2019. Back then maybe the gap between R* and R** was small, so it didn’t matter. We saw cracks in the financial system appear around the same time as the general economy. And, lets be honest, we didn’t have a real inflation fight back then, so the urgency to raise rates into restrictive territory was absent. But with this new, wider gap between the two, could financial instability take center stage before the inflation fight even truly begins?
Ora che abbiamo capito meglio che cosa è la “financial instability”, e che cosa implica per la politica delle Banche Centrali, cerchiamo di fare luce sulle ricadute per noi investitori.
Lo facciamo proponendovi in lettura un secondo articolo, che abbiamo tradotto. E’ assolutamente necessario, per tutti noi investitori, collocare nel modo corretto il fenomeno della “instabilità finanziaria” nel contesto del “cambiamento di regime” del quale questo Blog ha parlato mesi fa.
In aggunta, è necessario legare il tema della “instabilità finanziaria” al tema della “liquidità dei mercati”.
Trovate entrambe le cose proprio nell’articolo che chiude il Post.
I frequent flyer sono abituati alle turbolenze su alcuni voli. Anzi, molti se le aspettano. Tuttavia, nonostante l'attesa, ogni tanto le turbolenze possono creare ansia anche nei viaggiatori più esperti.
È quello che è successo sui mercati la scorsa settimana. Le turbolenze "attese", legate in gran parte a tre continui cambiamenti di paradigma, sono state amplificate da due fattori meno attesi, la cui durata avrà un ruolo importante nel determinare l'ordinato funzionamento dei mercati.
La maggior parte degli economisti, degli investitori e dei trader ha ormai ampiamente compreso che l'economia globale e i mercati finanziari stanno attraversando tre cambiamenti di regime:
Le prevedibili iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali e i tassi d'interesse al ribasso sono stati sostituiti da un inasprimento generalizzato della politica monetaria a livello globale.
La crescita economica sta rallentando in modo significativo, poiché le tre regioni dell'economia globale più importanti dal punto di vista sistemico stanno perdendo slancio allo stesso tempo.
La natura della globalizzazione si sta spostando dalla presunzione di una sempre più stretta integrazione economica e finanziaria a una maggiore frammentazione, in parte a causa delle persistenti tensioni geopolitiche.
Questi tre cambiamenti, sia da soli che collettivamente, comportano un aumento della volatilità economica e finanziaria. In termini di distribuzione dei possibili esiti economici e finanziari, lo scenario di base diventa meno attraente e più incerto, mentre aumenta la possibilità di scenari altamente negativi.
Gli sviluppi del mercato della scorsa settimana, tra cui le impressionanti oscillazioni dei prezzi del reddito fisso e dei cambi, sono andati oltre il fatto che gli investitori e i trader hanno dovuto affrontare questi tre scomodi cambiamenti di paradigma. Due ulteriori fattori hanno reso la settimana particolarmente inquietante.
Il primo è stata l'accelerazione della perdita di fiducia nei confronti della politica. I mercati, che per anni hanno apprezzato la Federal Reserve statunitense e il governo britannico come soppressori della volatilità, sono passati a considerarli come fonti significative di instabilità inquietante.
Dopo essersi lasciata sedurre dalla nozione di inflazione "transitoria" e essersi addormentata al volante della politica, la Fed sta giocando un enorme recupero per contrastare un'inflazione elevata e dannosa. Ma essendo rimasta così indietro, è ora costretta ad alzare aggressivamente i tassi in un'economia nazionale e globale in rallentamento. In questo modo, la finestra un tempo spalancata per un atterraggio morbido è stata sostituita dalla scomoda probabilità che la banca centrale faccia precipitare gli Stati Uniti in una recessione, con danni che si estendono ben oltre l'economia nazionale.
Nel Regno Unito, il nuovo governo del Primo Ministro Liz Truss ha optato non solo per le riforme strutturali e la stabilizzazione dei prezzi dell'energia, ma anche per tagli fiscali non finanziati di una portata mai vista negli ultimi 50 anni. Preoccupati dalle implicazioni per l'inflazione e il fabbisogno di prestiti, i mercati hanno fatto scendere il valore della sterlina a un livello mai visto prima nel 1985. Inoltre, hanno provocato la più grande impennata di sempre dei costi di finanziamento, misurata dal rendimento dei titoli di Stato a cinque anni.
Entrambi questi sviluppi sono intrinsecamente destabilizzanti, dal punto di vista economico e finanziario. Ed entrambi sono difficili da invertire nel breve periodo.
Il secondo fattore aggiuntivo riguarda i flussi di fondi e le implicazioni per la liquidità del mercato.
Secondo i dati compilati da Bank of America, circa 30 miliardi di dollari sono usciti dai fondi azionari e obbligazionari al dettaglio per passare alla liquidità. Questo e altri indicatori, come l'aumento record delle opzioni di protezione contro i ribassi azionari, indicano la possibilità di grandi riallocazioni di asset che hanno messo a dura prova l'ordinato funzionamento dei mercati.
Quanto maggiori sono le tensioni sul funzionamento dei mercati, tanto più i trader e gli investitori si preoccupano di non essere in grado di riposizionare i loro portafogli come desiderato. E più non riescono a fare ciò che desiderano, più aumenta il rischio di contagio. Questo vale in particolare per il reddito fisso, dove molte obbligazioni risiedono ora nei bilanci delle banche centrali.
Come illustrato nelle precedenti rubriche di Bloomberg Opinion, mi aspettavo già un aumento della volatilità e un calo dei prezzi mentre i mercati attraversavano i tre grandi cambiamenti di paradigma. Gli sviluppi della scorsa settimana evidenziano il rischio di un'ulteriore instabilità di facciata che complica un viaggio già accidentato verso nuovi equilibri economici e finanziari, rendendo più probabili gli errori di investimento comportamentali.