Detox. In stile Wimbledon: la nostra risposta vincente
 

A Wimbledon, vince uno solo (o una sola, nel torneo femminile): il riferimento è al Torneo di tennis..

Nel mondo degli investimenti, vale la medesima regola: al primo turno, tutti sembrano potenziali vincitori. Ma il torneo è lungo, ed alla fine è uno solo a vincere. Il vincitore sarà quello che ha il migliore stile, i colpi migliori, il migliore allenamento, il migliore fisioterapista, e la migliore strategia di gioco.

Sono molti, gli elementi del successo, e il successo si costruisce con il lavoro, con l’allenamento e lo studio delle tattiche, giorno dopo giorno: improvvisare, andare per tentativi, cercare il colpo di fortuna, basarsi sulle intuizioni è la strada dei perdenti.

Nel torneo degli investimenti edizione 2025, siamo appena a metà percorso. I vincitori potenziali oggi sembrano essere molti.

Ma alla fine del torneo, sarà una sola la strategia vincente. Ed è proprio la nostra, la strategia di Recce’d, illustrata con dettaglio, e gratuitamente, anche qui nel Blog dallo scorso mese di marzo e per quattro mesi, settimana dopo settimana.

Prima regola della nostra strategia: inutile perdere il vostro e nostro tempo sulle tariffe: lo scriviamo da inizio 2025, anche qui nel Blog, e la strategia di investimento per i nostri portafogli non attribuisce al fattore “tariffe” alcun peso: tutte le nostre attuali scelte nei portafogli modello sono del tutto indipendenti dal tema “tariffe”.

Il perché lo abbiamo spiegato: anche qui nel Blog, in tutti i Post precedenti della nostra serie di successo che si chiama Detox.

Detox è il solo ed unico tema di investimento del 2025, e del 2026, e del 2027. Il resto, è confusione. la confusione non produce risultati: produce danni.

Le tariffe, come avete visto il 9 luglio, semplicemente non esistono. Gli annunci (come quello che è arrivato oggi, 12 luglio 2025, e che leggete sopra nella nostra immagine) sono una cosa, mentre le vere tariffe sono una cosa diversa, che al 12 luglio 2025 semplicemente non esiste. Sono chiacchiere da bar: armi di distrazione di massa.

Nonostante questa premessa (ovvero che le tariffe, sul piano della pratica, e della gestione del portafoglio titoli, contano nulla), noi di Recce’d per disciplina professionale scegliamo di riportare qui, per quei lettori che proprio non riescono a fare a meno di “tariffe” una efficace ricapitolazione dello stato delle cose ad oggi, con qualche spunto interessante che poi voi lettori potrete sviluppare con i vostri mezzi.

Tutto è iniziato con un doppio avvertimento a Giappone e Corea del Sud. Poi è arrivata una bordata contro le importazioni di rame e droga. Infine, un brutale rimprovero al Brasile. Molti altri partner commerciali degli Stati Uniti si trovano ad affrontare dazi punitivi con una nuova scadenza al 1° agosto.

Questa è stata la settimana in cui Donald Trump ha ripreso la sua guerra commerciale globale dopo una pausa di tre mesi sui dazi drastici annunciati il ​​"Giorno della Liberazione" all'inizio di aprile.

Il ritorno del sedicente "uomo dei dazi" arriva mentre i governi stranieri si trovano ad affrontare la prospettiva di raggiungere rapidamente un accordo commerciale con il volubile presidente degli Stati Uniti o di tornare ai dazi punitivi annunciati ad aprile, una volta scaduto il periodo di sospensione.

Questo segue settimane in cui il nazionalismo commerciale ed economico è stato sostituito in cima all'agenda di Trump dai tentativi di far approvare a forza la sua legge di punta su tasse e spesa, un Campidoglio diviso, e da una guerra in Medio Oriente che rischiava di trascinare gli Stati Uniti in un più ampio conflitto regionale.

"Si è trattato di un esercizio di severità proprio il giorno in cui si sta semplicemente prolungando la pausa", ha affermato Michael Smart, amministratore delegato di Rock Creek Global Advisors.

Rilanciando la sua guerra commerciale questa settimana, Trump ha annunciato un nuovo dazio del 50% sulle importazioni di rame e ha affermato di stare valutando l'ipotesi di colpire i prodotti farmaceutici con un'imposta del 200%.

Giovedì sera, ha pubblicato una lettera in cui minacciava il Canada – uno dei maggiori partner commerciali degli Stati Uniti – con dazi del 35%. In un'intervista rilasciata la stessa sera, ha avvisato i paesi dell'UE di aspettarsi un annuncio simile entro poche ore.

La raffica di lettere è iniziata lunedì, stabilendo nuovi dazi tra il 25 e il 40% per paesi come Giappone e Corea del Sud, pur concedendo al mondo un'ulteriore proroga di tre settimane per concludere accordi.

Inviate a poco più di 20 paesi – tra cui Sudafrica, Thailandia, Tunisia e Bangladesh – le lettere di Trump delineavano aliquote che corrispondevano o erano vicine ai dazi "reciproci" originali stabiliti ad aprile.

Il presidente ha affermato che i paesi che non riceveranno lettere dovranno pagare un'aliquota forfettaria più elevata, dal 10% al 15%.

Ma la politica del rischio calcolato delle minacciose notifiche e scadenze di Trump è stata indebolita dalla difficoltà di raggiungere accordi commerciali molto limitati.

Lungi dal garantire 90 accordi in 90 giorni, come promesso da Peter Navarro, uno dei principali consiglieri commerciali di Trump, gli Stati Uniti ne hanno già ottenuti tre, secondo i loro calcoli.

Tra questi, un accordo limitato con il Regno Unito che offre quote tariffarie ridotte da entrambe le parti, una delicata tregua commerciale con la Cina e l'annuncio di Trump di applicare dazi tra il 20% e il 40% sulle merci provenienti dal Vietnam, un importante esportatore degli Stati Uniti. Ha affermato che Hanoi avrebbe permesso agli Stati Uniti di vendere merci nel suo mercato senza dazi.

I colloqui con altri paesi, inclusi i principali partner commerciali e alleati degli Stati Uniti come Giappone, Corea del Sud, India e UE, non si sono conclusi prima della pausa di 90 giorni.

Wendy Cutler, ex negoziatrice commerciale statunitense e ora vicepresidente dell'Asia Society Policy Institute, ha dichiarato: "Le lettere tariffarie sembrano indicare la frustrazione del presidente per la mancanza di progressi nei negoziati commerciali, unita al desiderio di accendere un fuoco tra i nostri partner per offrire di più".

Un funzionario statunitense ha affermato che Trump ha cambiato idea e ora deciderà un'aliquota tariffaria e un termine che definirà "un accordo".

"Sta definendo queste lettere come: 'possiamo semplicemente stabilire gli accordi commerciali qui. Non abbiamo bisogno di negoziare'", ha affermato il funzionario. "O otteniamo un accordo e lo negoziamo, o lo stabilisco io".

Un'eccezione è stata la lettera al Brasile, che Trump ha minacciato di colpire con dazi del 50%, accusandolo di attentare alla libertà di parola in quella che sembrava una critica al trattamento riservato all'ex presidente Jair Bolsonaro.

Il real brasiliano è sceso del 2,3% rispetto al dollaro e il presidente Luiz Inácio Lula da Silva ha minacciato di reagire con dazi a sua volta.

A differenza di aprile, quando i dazi di Trump hanno causato una svendita globale dei mercati azionari, Wall Street ha ignorato le nuove minacce tariffarie, poiché gli investitori hanno scommesso che il presidente avrebbe nuovamente rinunciato ad applicare i suoi doveri più punitivi.

"Sembra che stiamo oscillando tra escalation e de-escalation", ha affermato Myron Brilliant, consulente senior del DGA-Albright Stonebridge Group. "Credo che la strategia dello shock e del terrore sia meno efficace ora e ciò che tutti dovremmo desiderare è una maggiore prevedibilità attraverso accordi che spostino la situazione e ci lascino l'incertezza alle spalle".

Tuttavia, un ex funzionario statunitense ha ipotizzato che la combinazione di gravi minacce e la concessione di più tempo ai paesi da parte di Trump fosse un tentativo deliberato di evitare le turbolenze del mercato, tra cui una forte svendita di titoli del Tesoro statunitensi, innescate ad aprile.

"Trump deve fare due cose qui: deve implementare i dazi, ma deve farlo in un modo che non inneschi l'inflazione, non inneschi una recessione e non inneschi una svendita a Wall Street", ha detto l'ex funzionario. "Quindi lo sta facendo un po' alla volta".

Altri hanno avvertito che il presidente stava diventando impaziente e non avrebbe prorogato la scadenza per la seconda volta.

Qualsiasi alleato che si aspettasse una seconda proroga "commetterebbe un grosso errore", ha detto Wilbur Ross, che è stato Segretario al Commercio di Trump durante la prima amministrazione. "Penso che abbia chiarito abbastanza chiaramente che non vuole che la situazione si protragga ancora a lungo".

Tutte parole, solo chiacchiere: è solo bla-bla-bla, ad oggi 12 luglio 2025.

Pe noi investitori, c’è un solo spunto interessante, sul piano operativo che può diventare utile ed aiutarci a guadagnare di più: si tratta di cercare, e possibilmente trovare, le forti ragioni, le improrogabili necessità, la grandi pressioni, che impongono a Trump di insistere con forza sul tema tariffe (nelle sue dichiarazioni) ed allo stesso tempo lo obbligano, quando arriva quella scadenza che lui stesso aveva annunciato, a fare non un passo indietro ma una capriola e una giravolta a 180 gradi.

Cosa che ha fatto anche questa settimana, e precisamente lo scorso 9 luglio 2025.

Che cosa agita Donald J. Trump? Che cosa lo opprime? Di che cosa ha paura? Anzi, terrore?

Con l’IRAN se la è cavata con un bombardamento notturno: per quale ragione non agisce allo stesso modo anche con le tariffe? Perché scappa e si nasconde sempre dietro a “ne riparliamo tra un mese”? E per quale ragione lui, Trump, ha così tanto bisogno di queste tariffe?

Per quale ragione lui, Trump, in questo ambito non agisce come Superman, e sembra invece Forrest Gump?

Trump ha forse impostato le sue tattiche sul fattore “confusione”? Trump vuole la confusione?

Ci sono commentatori autorevoli che la pensano proprio in questo modo: che si tratta di una “densa cortina fumogena”.

E se fosse, che cosa deve nascondere la cortina di fumo?

Ci sono molte ragioni per sentirsi confusi dall'attuale politica americana. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump continua a lanciare minacce tariffarie "definitive", per poi fare marcia indietro.

La Casa Bianca vuole creare posti di lavoro nell'industria, ma sta smantellando l'Inflation Reduction Act che stava proprio facendo questo, soprattutto negli stati repubblicani. Scott Bessent, Segretario al Tesoro, vuole il dominio del dollaro, ma ha presieduto una caduta del 10% del suo valore. E così via.

Tuttavia, se volete sentirvi ancora più perplessi, guardate i mercati. Questo mese il mercato degli swap a un anno sta scontando modesti tagli dei tassi da parte della Federal Reserve, che normalmente implicano una crescita e un'inflazione inferiori.

Tuttavia, i prezzi delle azioni suggeriscono un miglioramento dell'economia: i mercati azionari americani sono a massimi storici e gli analisti di Wall Street prevedono continui guadagni in un contesto di solide previsioni sugli utili. Inoltre, i cosiddetti titoli ciclici (che beneficiano della crescita) stanno sovraperformando significativamente quelli difensivi, osserva Torsten Sløk, capo economista di Apollo, il gruppo di capitali privati.

"Questo non è coerente", aggiunge Sløk. "O il mercato obbligazionario ha torto, e i tassi devono salire a causa dell'accelerazione della crescita. Oppure, i mercati azionari hanno torto, e le azioni devono scendere perché la crescita sta rallentando". Ahi!

Perché? Ci sono almeno tre possibili spiegazioni. Una potrebbe essere un "doppio Taco trade" (mi riferisco all'idea del mio collega Robert Armstrong secondo cui "Trump si tira sempre indietro"). Più specificamente, i prezzi delle azioni potrebbero scontare l'ipotesi che le minacce tariffarie saranno annacquate, e i mercati obbligazionari potrebbero scontare la convinzione che Trump non metterà effettivamente in atto misure di espansione del debito e non spingerà gli investitori a disdegnare i titoli del Tesoro.

Non è una follia. Trump ha ripetutamente rinnegato i dazi quest'anno, insieme alle minacce di licenziare Jay Powell dalla carica di presidente della Federal Reserve, e una cosiddetta clausola della Sezione 899 che avrebbe potuto indurre gli investitori non americani a fuggire dai titoli del Tesoro è stata recentemente rimossa dal "grande, bellissimo disegno di legge" di Trump, convertito in legge la scorsa settimana. Da qui l'etichetta di Taco.

Ma c'è una spiegazione alternativa che potrebbe essere definita l'idea del "doppio genio": gli investitori credono che Trump realizzerà effettivamente i suoi piani, ma saranno così brillanti da generare una crescita maggiore, prezzi più bassi e un calo del debito, tutto in una volta.

Più specificamente, personaggi come Kevin Hassett, consigliere economico di Trump, insistono sul fatto che il BBB Act darà una spinta alla crescita, mentre l'inflazione verrà ridotta grazie alla deregolamentazione e ai prezzi dell'energia più bassi. E quando l'agenzia di rating Moody's ha tagliato il rating del credito degli Stati Uniti a causa del suo debito di 37.000 miliardi di dollari (e in aumento), Bessent ha liquidato la cosa come un "indicatore ritardato", sostenendo che le entrate aumenteranno grazie ai dazi e alla crescita.

Nel frattempo, sta adottando misure per facilitare le aste di titoli del Tesoro da 9.000 miliardi di dollari previste nei prossimi 12 mesi, come riforme per incoraggiare le banche ad acquistare più obbligazioni e ponderare l'emissione verso titoli a breve termine, non a lungo termine. (Il che è ironico, visto che il team di Bessent ha criticato aspramente la sua predecessora Janet Yellen per aver fatto proprio questo.)

E alcuni investitori accettano questa versione dei fatti, o almeno così sembra. Non c'è da stupirsi: la stima in tempo reale del PIL attuale della Fed di Atlanta è del 2,6%, e ci sono poche prove che i dazi abbiano causato significativi aumenti dei prezzi, per ora. E mentre istituzioni come la Banca Mondiale hanno tagliato le loro previsioni di crescita globale a causa dei dazi, il gruppo Oxford Economics – per citare un'entità del settore privato – ritiene che le "nuove aliquote tariffarie... e l'imposta del 50% sul rame" di questa settimana creino "solo un modesto rischio al ribasso".

In effetti, ritiene che queste misure aggiungeranno "solo" 0,08 punti percentuali all'inflazione core il prossimo anno e ridurranno il PIL reale di un misero 0,1%, e quest'ultimo sarà compensato dalla spinta fiscale del BBB. Pertanto, mentre "il mix di accordi commerciali e minacce di dazi spingerà l'aliquota tariffaria effettiva degli Stati Uniti a quasi il 20% il 1° agosto", ciò è "inferiore alla nostra soglia di recessione". Da qui la calma del mercato.

Tuttavia, un altro modo, più cinico, per spiegare la disgiunzione è che è semplicemente impossibile fare previsioni credibili – o coerenti – ora a causa della mancanza di precedenti storici recenti per Trump e di perniciosi effetti di ritardo temporale. Un problema è che le aziende statunitensi hanno accumulato enormi scorte per eludere i dazi. Un altro è che le aziende stanno "riorganizzando" le catene di approvvigionamento legate alla Cina, come afferma un rapporto McKinsey – e mentre questo è facile in alcuni settori (come le magliette), è difficile in altri (come i computer portatili e i fuochi d'artificio).

Analogamente, sebbene la Federal Reserve di Dallas abbia appena avvertito che le restrizioni all'immigrazione potrebbero ridurre la crescita di 0,75-1 punti percentuali quest'anno, i tempi non sono chiari. Lo stesso vale per l'impatto dei tagli alla spesa proposti da Trump (che colpiranno principalmente dopo le prossime elezioni di medio termine del 2026), e per il fatto che le sue inversioni politiche spingano le aziende a rinviare gli investimenti o semplicemente ad adattarsi a questa incertezza (come alla fine hanno fatto durante la pandemia).

Forse emergerà maggiore chiarezza quando le aziende americane pubblicheranno i risultati finanziari la prossima settimana. O forse i mercati obbligazionari o azionari si adegueranno. Fino ad allora, tuttavia, simboleggiano la confusione.

Pensateci la prossima volta che esaminerete il vostro portafoglio.


Altro bla-bla-bla. che quello descritto da questo articolo. Ma, in questo secondo caso, la conclusione di questo articolo che avete appena letto vi è molto, molto, ma davvero molto utile.

Seguite questo consiglio che vi è stato dato: e fatelo oggi, adesso. Noi per i Clienti di Recce’d lo faremo lunedì mattina, e tutti i giorni della prossima settimana, nel nostro quotidiano The Morning Brief.

Torniamo però al nostro Post di oggi. Recce’d, come sempre, fornisce anche oggi ai propri lettori supporti concreti e utilizzabili nella gestione del proprio risparmio e del proprio portafoglio titoli.

In questo Post, leggerete quale è la nostra risposta: la risposta di Recce’d alla strategia della confusione”: ovvero come si guadagna, e come si evita di perdere, se al vertice delle catene di comando politiche ci sono personaggi che puntano tutto sul confondere le idee a voi. Proprio a voi, che state leggendo questo Post.

A questo scopo, adesso ritorniamo indietro di 8 giorni, e rileggiamo immediatamente la parte finale del Post che precede questo. Dove dicevamo ciò che segue.


Vi regaliamo un spunto iniziale, e peraltro non nuovo (ne abbiamo scritto, più di una volta, proprio in Detox qui nel Blog): Rampini ci informa con il suo articolo che

… la forza dell’economia americana, soprattutto se misurata nei tempi lunghi, non è legata in modo diretto al colore politico dell’esecutivo, alle scelte della Casa Bianca. Questa rimane un’economia di mercato, dove le scelte compiute dal sistema delle imprese contano più della politica economica governativa .

  1. Ora, chiedete a voi stessi: dato ciò che scrive Rampini, per quale ragione il governo degli Stati Uniti ogni anno aggiunge alla domanda di famiglie ed imprese per beni e servizi un 7% del PIL? ovvero domanda artificiale, supportata solo dal nuovo debito?

  2. Fatevi anche questa domanda: la disoccupazione negli Stati Uniti oggi è ai minimi storici; la crescita del PIL è stimata tra il 2% ed il 3%; e quindi: quale è la ragione per la quale risulta indispensabile uno stimolo continuo dall’esterno, in una misura abnorme quanto il 7% del PIL? pensate all’economia della vostra famiglia, oppure della vostra Azienda: che cosa vi porterebbe ad aumentare il debito del 7% anno, dopo anno, dopo anno?

  3. Collegate a questo un’altra domanda: per quale ragione, visto ciò che dice Rampini, il Presidente degli Stati Uniti insulta ogni giorno l’uomo che sta a capo di una Istituzione in teoria indipendente (dal Governo) come la Banca Centrale? Cosa spiega la disperazione di Trump, che esige tassi ufficiali più basso? Quale è, in realtà, l’emergenza?

  4. Chiedetevi poi: dato ciò che scrive Rampini, per quale ragione il debito dello Stato americano oggi sta al medesimo livello della Seconda Guerra Mondiale? Che tipo di emergenza ci ha portati a questo putno?

  5. Chiedetevi anche: dato ciò che scrive Rampini, per quale ragione neppure il Presidente Trump, quello che ha i bombardieri B-2 e che telefona ai Presidenti, riesce a tagliare il deficit (facendo così impazzire l’ex-amico Musk)?

  6. Chiedetevi ancora: per quale ragione oggi, 5 luglio 2025, Elon Musk riceve ancora sussidi dallo Stato (soldi delle tasse pagate dai cittadini americani) quanto nessun altro uomo sulla Terra, al solo scopo di mantenere in attività la sua azienda di auto elettriche altrimenti fallita da tempo?

Ci sono tensioni, profonde, e molto violente, che voi non conoscete e che vi vengono nascoste. Recce’d le conosce direttamente.

Ci sono, queste forti tensioni, ed ogni giorno si vedono in modo più chiaro e netto.

Per questo, Trump ne “spara” una nuova ogni mattina. Lui brancola e sbanda. E con lui, brancolano come gattini ciechi anche i vostri Fondi Comuni, le vostre polizze, le vostre GPM … e persino il vostro BTp, l’oro, il vostro Bund, il petrolio.

Grazie a queste sei domande che avete appena letto, ed alle risposte che voi vi darete, troverete tutto ciò che vi serve ad investire bene il vostro risparmio, a fare guadagni ragionevoli, ma sostanziosi, con i vostri investimento, ed a proteggere anche il vostro capitale dalla “strategia della confusione”.

Noi adesso, in pieno stile Wimbledon, vi facciamo vedere quale è la nostra risposta vincente, a tutte e sei le domande.

Una volta che vi abbiamo regalato questo colpo vincente, voi lettori, poi, dovrete lavorare, capire meglio, approfondire le risposte ad ogni singola domanda del nostro elenco.

Se non fate questo, oggi nel luglio 2025 non siete in grado di gestire il vostro risparmio. Non è certamente in grado di gestire il vostro risparmio il vostro “consulente pagato con le retrocessioni sui Fondi Comuni, le GPM e le polizze”. Perché lui, certamente, continua a mettervi ancora altra “confusione” nella testa, parlandovi giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, delle “tariffe”. Lui legge e ripete: legge da Goldman sachs, e ripete la medesima storiella, adattandola un po’ alCliente ed alle sue simpatie. Purtroppo, è così che oggi funziona la macchina, per la massa degli investitori, e non solo in Italia.

Per tutti loro, si avvicina il momento della sconfitta. una pesante sconfitta a Wimbledon, in mondo-visione.

Ma veniamo alla risposta vincente di Recce’d, quella che assegna il match, risposta con la quale chiudiamo questo Post.

Nel Post, la nostra sarà una risposta sintetica: vi forniremo dati ed elementi di giudizio. Il resto, lo farete voi. la risposta ad ognuna delle sei domande, ve la darete da soli. Informatevi e cercate buone informazioni: ma soprattutto, non fatevi fregare, e ragionate con una mente libera e fresca, senza farvi ingabbiare dai soliti schemi di tutte le Reti di vendita.

Seguite il nostro ragionamento per immagini.

PRIMO SET A WIMBLEDON: siete informati del recente andamento del debito pubblico americano? Negli ultimi mesi (quelli con le “tariffe” in vigore) come si è comportato il debito? E dopo che il Congresso ha innalzato il “tetto” de debito, che cosa è cambiato? Quali numeri?

SECONDO SET A WIMBLEDON: allargando lo sguardo, chiedetevi a quanto ammonta oggi il debito degli Stati Uniti, e chiedetevi anche per quale ragione fino ad oggi i mercati finanziari sono rimasti concentrati sul tema “tariffe” e fanno finta (fanno soltanto finta: occhio) di ignorare il grafico qui sotto (atteggiamento che Elon Musk ad esempio non condivide, come tutti voi avete letto nel post di otto giorni fa in questo Blog)

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TERZO SET A WIMBLEDON: avete fatto una vostra valutazione del “Big, Beautiful Bill” appena approvato dal Congresso amricano? Vi ha aiutati il vostro “consulente pagato a retrocessioni sui Fondi Comuni, le GPM e le polizze”? Non ve ne ha neppure parlato, vero? Lui, queste cose non le capisce proprio. Lui, con voi, parla sempre “delle tariffe”.

QUARTO SET A WIMBLEDON: voi siete informati in merito alla quantità di interessi che lo Stato americano paga ai propri creditori in questo preciso momento? Voi pensate che questo dato, quello che leggete qui sotto nel grafico, sia più o meno importate delle “tariffe”? E voi lo sapete perché leggete delle tariffe, sulla prima pagina del vostro quotidiano, ma non leggete nulla su questo grafico? Lo avete capito, il perché?

TIE-BREAK DEL QUARTO SET A WIMBLEDON: secondo il vostro giudizio, Trump ha intenzione di occuparsi di questi dati? Trump vorrebbe cambiare questa situazione? Modificarla? Prendere il comando? Magari mandare i bombardieri B-2? La risposta è positiva: lui sì, lo vorrebbe. ma non ha la capacità, non ha il potere, e non ha i mezzi.

Di fronte a questo grafico, l’uomo “più potente del Mondo” è impotente.

QUINTO SET DI WIMBLEDON: ora che grazie al lavoro che noi vi abbiamo appena regalato avete le idee molto più chiare ed una visione molto più realistica sullo stato delle cose, vi suggeriamo di rileggerei le nostre sei domande che trovate poco più in alto. Potete finalmente trovare le risposte che a voi servono assolutamente, e subito. Vi può essere anche di grande aiuto leggere con attenzione i dati nel grafico che vedete qui sotto.

MATCH-BALL A WIMBLEDON: il colpo che chiude il match, il colpo del vincitore, lo vedete qui sotto nell’immagine che segue.

Per la strategia di gestione, per la asset allocation, e per la gestione del vostro risparmio, oggi 13 luglio 2025 tutto può essere condensato in questa sola immagine.

In questa sola immagine, trovate tutto ciò che a voi serve per rispondere alle nostre sei domande più in alto.

GAME SET AND MATCH A WIMBLEDON.

Valter Buffo
Detox. Elon Musk legge Recce'd e fa pubblicità a Detox
 

Che effetto avrà sui mercati l’approvazione della Legge Finanziaria USA da parte del Parlamento il 3 luglio 2025?

Si tratta per noi investitori di un fatto positivo oppure negativo?

  • Per le azioni?

  • Per i titoli di Stato?

  • Per le valute?

  • Per oro e petrolio?

E quali effetti ci saranno, dopo il 9 luglio prossimo?

Che cosa deciderà, Trump, tra 4 giorni?

Per rispondere, per decidere, per gestire, per investire, per guadagnare, tutti noi investitori dobbiamo chiederci che impatto avranno, questi due eventi, sull’economia (degli Stati Uniti, e poi globale).

Per per fare stime (sui dati dell’economia (utili delle aziende, crescita del PIL, importazioni ed esportazioni, inflazione, deficit dello Stato eccetera), e quindi sul futuro rendimento degli asset finanziari oggi nel portafoglio titoli un rendimento che, ricordatelo, potrà essere positivo oppure negativo) a tutti noi investitori occorrono una serie di strumenti, molto ben definiti, e precisamente:

  1. dati selezionati

  2. metodo ed esperienza nell’analisi

  3. metodi aggiornati di valutazione,

  4. metodi di stima efficienti per fare scelte che non si riducano a lanciare in aria una moneta.

Insomma: la gestione del proprio risparmio non è materia da chiacchiere alla buona, al bar con amici e colleghi oppure sui social ed in chat.

Alcuni, di questi elementi che sono sempre necessari, ed oggi indispensabili, li potete trovare qui nel Blog di Recce’d, e poi alle pagine del sito come

  • MERCATI,

  • TWIT-TWOO,

  • SCELTE DI PORTAFOGLIO.

Altri, e più importanti, strumenti vi sono messi a disposizione quotidianamente attraverso i canali di comunicazione tra Recce’d ed i Clienti. Ogni giorno.

Ed è operando in questo modo, che Recce’d mette a disposizione i portafogli modello che, applicando questi strumenti alle scelte di asset allocation, alle strategie di investimento ed alla gestione dei portafogli modello, garantiscono ai nostri Clienti un sostanziale vantaggio, sui mercati e rispetto ad ogni altro concorrente, sia grande sia piccolo.

Mettiamoci dunque subito al lavoro per voi, in questo nuovo Post della serie Detox.


Delle tariffe, tutto ciò che c’è da dire viene detto bene nel grafico qui sopra.

Fate voi stessi, i semplici conteggi che sono necessari: voi lo sapete bene, vero, a quanto ammonta in un anno il deficit, ovvero il fabbisogno di finanziamento dello Stato americano?

Fate due conti mentre fate colazione: un aumento di incassi da tariffe di 200 milioni (grafico) in che misura incide sul deficit? Sempre ammettendo, ovviamente, che le modifiche non abbiano alcun effetto sulle scelte di acquisto dei consumatori, sulla disponibilità dei prodotti oggetto di tariffe, e sull’inflazione, che riduce il potere di acquisto della moneta..

E in merito al Big, Beautiful Bill? Noi di Recce’d da marzo ne abbiamo scritto con dati ed analisi di elevata qualità, nella serie di Post qui nel Blog che si chiama Detox.

E poi, proprio adesso, ad inizio luglio, si è svegliato persino Elon Musk: lui, il Genio, adesso, a inizio luglio, ha finalmente realizzato. Distratto? Lento? Ottuso? Gli conveniva fare così?Non si può dire con certezza.

Quello che sappiamo (noi ed Elon) è che il B.B.B. è “utterly insane”. Totalmente folle.

E sappiamo anche che Elon Musk legge Recce’d ed ha seguito la nostra serie di Post che si chiama Detox.

E figuriamoci se la stampa in Italia si perde l’occasione di metterci due belle foto. Approfondimenti? Così e così, un po’ … scandalistici, raramente aiutano i risparmiatori a fare scelte critiche.

Come in un bel romanzo thriller non mancano risvolti drammatici, urla e minacce, deportazioni, e speriamo non omicidi.

Nel corso degli anni, ci fu chi ci accusò di “una eccessiva acrimonia” quando Recce’d scriveva che Elon Musk è l’essere umano che più di ogni altro si è fatto ricco grazie ai sussidi. Si è messo in tasca i soldi delle tasse, per farla semplice.

Tre giorni fa, lo ha scritto, pensate un po’, Donald J. Trump. Il Presidente.

Qui in Recce’d, ci siamo fatti una bella (e meritata) risata pensando alla nostra “eccessiva acrimonia”.

Sempre il Presidente degli Stati Uniti si è appena domandato, in pubblico: “ma chi la vuole davvero, l’auto elettrica?”.

Rispondete voi, amici lettori: chi è, che ha assoluta necessità dell’auto elettrica, oggi, nel Mondo?

Possibile che fosse davvero tutto, tutto, tutto marketing delle Aziende produttrici?

E poi, c’è anche una seconda domanda.

Voi amici lettori, siete così tanto assuefatti e manipolati dall’alleanza (che non è santa) tra la stampa, i media in generale, e l’industria del risparmio (Fondi Comuni, polizze, GPM e promotori finanziari) che avete ormai rinunciato persino a farvi due domande semplici, banali, elementari come queste.

Che senso ha, mettere un tetto al debito dello Stato, se poi viene sempre superato, per decisione dei medesimi politici che prima avevano fissato il tetto?

Si chiama, molto semplicemente, deriva. Porta al fallimento le Aziende. Porta al fallimento le famiglie. E, secondo voi lettori, invece con gli Stati no? Non va così? Non funziona così? E per quale ragione?

Oppure, questo che sta cantando in questi giorni è il “canarino nella miniera”?

In Recce’d abbiamo riso molto, nelle ultime settimane: e non unicamente a causa (come abbiamo spiegato sopra) di Elon Musk, il Vampiro dei Sussidi.

No, c’è anche molto altro, che a noi fa ridere.

Leggete qui sotto: nell’immagine vi spiegano quale è la parte “ironica” del furioso litigio tra Elon Musk ed il Presidente degli Stati Uniti.

Molto chiaro, no? La politica dell’attuale Presidente degli Stati Uniti contraddice sè stessa. Trump agisce in modo tale, da rendere più difficile il raggiungimento dei suoi stessi obbiettivi. Viene spiegato molto bene qui sopra.

Sotto invece, grazie alle tre immagini che <Recce’d ha selezionato, potete leggere le dichiarazioni (comprensibilmente imbarazzate) del Ministro del Tesoro Bessent.

Il quale Bessent dice che:

  • questa è una Legge che favorisce il lavoratori

  • questa Legge “aumenta le entrate in misura maggiore dell’aumento delle uscite”

  • con questa Legge “abbiamo iniziato ad occuparci del problema del debito”

Tre menzogne: ma tutti sappiamo che in particolari situazioni di crisi un Ministro ha come dovere di ufficio di … non dire la verità.

Ovvio che gli scommettitori hanno iniziato anche a quotare un “partito di Elon Musk”: è stato lui stesso, il Genio, a parlarne, via social.

E questa, come sarebbe, come notizia per noi investitori? Buona notizia? Cattiva notizia? Il partito DOGE? Guidato da un personaggio che alla guida di DOGE ha ottenuto nulla e si sorprende del Big, Beautiful Bill solo alla fine di giugno 2025?

Come già scritto più in alto, a noi di Recce’d, per ciò che riguarda la gestione dei portafogli modello, interessa nulla, ma proprio zero, di litigi, insulti, crisi di nervi, e di nuovi partiti, razzi per Marte, auto che volano, e altre fantasia. Noi non stiamo dalla parte di questo oppure di quello: noi stiamo unicamente dalla parte dei rendimenti dei nostri Clienti, e dei portafogli modello di Recce’d.

Non siamo ottimisti e neppure pessimisti … in Recce’d siamo “risultatisti”. le simpatie personali, facendo questo mestiere, restano fuori dalla porta, e tre passi distante.

Il nostro scopo è quello di tenere ben salda la barra del timone, a favore dei nostri Clienti, ottenendo risultati consistenti e gestendo attivamente i tanti rischi.

Quale è il modo migliore di farlo?

E’ uno ed uno solo: comprendere al meglio, e nei dettagli, che cosa sta accadendo nella realtà. perché è sempre la realtà, a guidare i mercati finanziari. Non accade mai l’opposto.

Ed allora, per dare almeno uno sguardo sintetico alla realtà, noi per questo Post abbiamo scelto un articolo di Rampini: il medesimo Rampini del precedente Post della serie Detox (che trovate proprio qui sotto, alla fine di questo Post).

L’articolo di Rampini (di oggi come quello esaminato una settimana fa) ci è utile per ritornare al tema della “narrazione imposta”, quella “storia” spesso distante dalla realtà che tutti noi siamo costretti a subire attraverso social e media, e che ha come scopo quello di migliorare i risultati delle Aziende dell’industria el risparmio, ovvero dell’industria del private banking, dei financial advisor, dei wealth managers, dei Fondi Comuni, delle polizze, delle GPM.

Leggiamo insieme dunque un articolo pubblicato poche ore fa dal Corriere della Sera.

E la nave va. Sfidando previsioni, pronostici, aspettative e timori, l’economia americana procede a una velocità di crociera rispettabile. Addirittura accelera, almeno per quanto riguarda la creazione di nuovi posti di lavoro. Nel mese di giugno l’occupazione netta aggiuntiva è stata di 147.000 nuove assunzioni. Il dato ha superato di molto le previsioni degli economisti. Ha segnato perfino un’accelerazione rispetto al mese precedente (+139.000 a maggio). Il tasso di disoccupazione è sceso, al 4,1%, cioè un livello che si avvicina ai minimi storici.

La sorpresa molto positiva dell’occupazione avviene su uno sfondo che aveva alimentato pessimismo. Ricordo alcune delle ragioni. La politica dei dazi rimane soggetta a grande incertezza, visto che le trattative con alcuni dei principali partner commerciali degli Stati Uniti (Unione europea, Giappone) non hanno raggiunto un esito, mentre con la Cina c’è solo una tregua temporanea. Intanto sono già in vigore dei dazi medi del 10% erga omnes, con punte molto superiori in alcuni settori come automobili e acciaio. Una maggioranza degli economisti prevede che questo debba creare forti tensioni inflazionistiche, delle quali finora non v’è traccia.

Su altri fronti: il giro di vite contro l’immigrazione clandestina viene considerato solitamente come un freno alla crescita economica perché in alcuni settori crea penurie di manodopera. Gli indici di produzione manifatturiera risultano in ribasso secondo alcune indagini.

Poi c’è l’incertezza legata alla manovra di bilancio, che deve ancora ottenere l’approvazione finale del Congresso. Un’altra incertezza è quella creata dai continui attacchi di Trump contro il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, da lui criticato per la riluttanza a tagliare i tassi d’interesse. Perfino l’intelligenza artificiale di recente aveva creato aspettative negative, dopo l’annuncio di licenziamenti da parte di Microsoft legati all’applicazione di nuove tecnologie sostitutive della forza lavoro umana.

Insomma i venti contrari non mancano, eppure il dato sull’occupazione rivela un vigore notevole. Non sarebbe la prima volta che la resilienza dell’economia americana smentisce le profezie di sventura.

Senza esagerare la portata del dato sull’occupazione, un insegnamento che se ne può estrarre è questo: la forza dell’economia americana, soprattutto se misurata nei tempi lunghi, non è legata in modo diretto al colore politico dell’esecutivo, alle scelte della Casa Bianca. Questa rimane un’economia di mercato, dove le scelte compiute dal sistema delle imprese contano più della politica economica governativa . Se si osserva la performance dell’economia Usa dall’inizio di questo millennio, e la sua capacità di surclassare nettamente l’Unione europea (o di vanificare le previsioni sul sorpasso della Cina), bisogna ammettere che la traiettoria stellare degli Stati Uniti ha attraversato alternanze politiche estreme: da Bush a Obama a Trump a Biden a Trump.

C’è evidentemente qualcosa che prescinde dalla politica, che riguarda i fondamentali, la salute sistemica. Questa constatazione viene di solito ignorata dagli stessi elettori americani, che tendono a premiare o punire chi sta governando, attribuendogli il merito o la colpa per la situazione economica. Proprio oggi un sondaggio pubblicato sul Wall Street Journal indica che per una maggioranza di elettori lo stato dell’economia è ormai legato alle azioni dell’Amministrazione Trump, non più al lascito dell’Amministrazione Biden.

Se siete interessati a questo tema, ed alle (inevitabili) ricadute dello stato dell’economia degli Stati Uniti sui vostro BTp, sulle vostre GPM, sui vostri Fondi Comuni, sulle vostre polizze, e sulle vostre future pensioni, allora vi sarà utilissimo mettere a confronto queste parole di Rampini, ed il lavoro di Recce’d nella serie Detox di post per il Blog.

L’articolo Rampini lo ha scritto dopo avere letto, giovedì 3 luglio 2025, i più recenti.

Vi regaliamo un spunto iniziale, e peraltro non nuovo (ne abbiamo scritto, più di una volta, proprio in Detox qui nel Blog): Rampini ci informa con il suo articolo che

… la forza dell’economia americana, soprattutto se misurata nei tempi lunghi, non è legata in modo diretto al colore politico dell’esecutivo, alle scelte della Casa Bianca. Questa rimane un’economia di mercato, dove le scelte compiute dal sistema delle imprese contano più della politica economica governativa .

  1. Ora, chiedete a voi stessi: dato ciò che scrive Rampini, per quale ragione il governo degli Stati Uniti ogni anno aggiunge alla domanda di famiglie ed imprese per beni e servizi un 7% del PIL? ovvero domanda artificiale, supportata solo dal nuovo debito?

  2. Fatevi anche questa domanda: la disoccupazione negli Stati Uniti oggi è ai minimi storici; la crescita del PIL è stimata tra il 2% ed il 3%; e quindi: quale è la ragione per la quale risulta indispensabile uno stimolo continuo dall’esterno, in una misura abnorme quanto il 7% del PIL? pensate all’economia della vostra famiglia, oppure della vostra Azienda: che cosa vi porterebbe ad aumentare il debito del 7% anno, dopo anno, dopo anno?

  3. Collegate a questo un’altra domanda: per quale ragione, visto ciò che dice Rampini, il Presidente degli Stati Uniti insulta ogni giorno l’uomo che sta a capo di una Istituzione in teoria indipendente (dal Governo) come la Banca Centrale? Cosa spiega la disperazione di Trump, che esige tassi ufficiali più basso? Quale è, in realtà, l’emergenza?

  4. Chiedetevi poi: dato ciò che scrive Rampini, per quale ragione il debito dello Stato americano oggi sta al medesimo livello della Seconda Guerra Mondiale? Che tipo di emergenza ci ha portati a questo putno?

  5. Chiedetevi anche: dato ciò che scrive Rampini, per quale ragione neppure il Presidente Trump, quello che ha i bombardieri B-2 e che telefona ai Presidenti, riesce a tagliare il deficit (facendo così impazzire l’ex-amico Musk)?

  6. Chiedetevi ancora: per quale ragione oggi, 5 luglio 2025, Elon Musk riceve ancora sussidi dallo Stato (soldi delle tasse pagate dai cittadini americani) quanto nessun altro uomo sulla Terra, al solo scopo di mantenere in attività la sua azienda di auto elettriche altrimenti fallita da tempo?

Ci sono tensioni, profonde, e molto violente, che voi non conoscete e che vi vengono nascoste. Recce’d le conosce direttamente.

Non ve ne scriverà certo Rampini, oppure il Corriere della Sera. Ne scrivono, non così di frequente, Il Financial Times ed il Wall Street Journal. La stampa in Italia non riprende queste fonti (se non per farne articoli “di colore”, con belle foto: forse perché i giornalisti giudicano la cosa “troppo complicata”).

Ovviamente i social non ne scrivono: per i social … è davvero troppo complicata, “non ci sta in tre righe”.

E infine chiedete a voi stessi: non sarà che mi stanno fregando i soldi? Oggi, proprio oggi?

I soldi sono vostri, non fateveli portare via.

Valter Buffo
Detox. Ogni cosa si risolve nel secondo semestre 2025
 

Il fatto che leggete sopra nell’immagine risale a ieri, 27 giugno 2025.

Per noi investitori, significa qualche cosa? E’ un segnale da interpretare e poi utilizzare? Comperare? Vendere? Oppure stare fermi? Modificare il portafoglio? Modificare tutta la strategia?

In questo Post della serie Detox, noi di Recce’d vi produrremo dati, documenti ed analisi che dimostrano:

  1. che il ritorno della Borsa di wall Street ai livelli di otto mesi fa (elezione di Donald Trump) è insignificante per la asset allocation, per la strategia di investimento, per le future operazioni e la gestione complessiva di portafogli; proprio come lo era ai tempi dell’Elezione di Trump (6 novembre del 2024) quando l’indice della Borsa americana stava al medesimo livello di oggi.

  2. che si tratta di un piccolissimo movimento, amplificato dai media (dai quotidiano al TG) e dai social allo scopo di … resuscitare l’interesse per la Borsa, di fatto spento del tutto da inizio 2025

    (come vi dice in modo chiaro proprio il grafico qui sopra, se guardate bene: questo, domandatevi, è un asset il cui valore aumenta, oppure siamo arrivati ora alla “velocità di stallo”? la nostra risposta alla fine di questo Post)

  3. il baccano mediatico intorno al nuovo record è un modo (non il solo utilizzato in queste settimane) per distrarre la massa dal fatto che, sul fronte Detox, non è stato raggiunto alcun risultato: al contrario, è stata fatta una decisa marcia indietro; in Europa, come negli Stati Uniti, i politici sorridono soltanto quando possono spendere di più facendo nuovo debito (e portando noi tutti verso una crisi del debito.

Per iniziare la nostra analisi, che ci porterà a raggiungere questi tre obbiettivi, ora vi forniamo un approfondimento su di un tema che durante l’ultima settimana voi non avete approfondito, e forse neppure visto.

Con un lavoro metodico, sistematico, e quotidiano, noi di Recce’d garantiamo al nostro cliente (oltre a risultati sempre superiori a quelli dell’industria del risparmio) anche una consapevolezza che viene dalla selezione e dalla prioritizzazione delle notizie, e poi dall’analisi dei dati selezionati, e poi dalle valutazioni con tecniche cutting-edge.

Per questo, noi di Recce’d sappiamo cose che voi lettori neppure avete visto. Facciamo subito, qui sotto, un esempio concreto, significativo, di una cosa che conta più del record dello S&P 500 (anche se voi siete investiti unicamente in BTp).

Gli investitori stanno abbandonando i fondi obbligazionari statunitensi a lungo termine al ritmo più rapido dal culmine della pandemia di Covid-19 di cinque anni fa, poiché il crescente debito americano offusca l'attrattiva di uno dei mercati più importanti al mondo. I deflussi netti dai fondi obbligazionari statunitensi a lunga scadenza, che comprendono titoli di Stato e obbligazioni societarie, hanno raggiunto finora quasi 11 miliardi di dollari nel secondo trimestre, secondo i calcoli del Financial Times basati sui dati EPFR. L'esodo del secondo trimestre è destinato a essere il più pesante dalla grave turbolenza del mercato all'inizio del 2020 e segna un netto cambiamento rispetto alla media degli afflussi dei 12 trimestri precedenti, pari a circa 20 miliardi di dollari.

I rimborsi dai fondi obbligazionari a lungo termine, ampiamente utilizzati dagli investitori istituzionali, giungono in un momento di crescente nervosismo per l'andamento fiscale degli Stati Uniti. I flussi di fondi catturano solo una parte del vasto mercato obbligazionario statunitense, ma forniscono un indicatore del sentiment degli investitori.

"È il sintomo di un problema molto più grande. C'è molta preoccupazione, sia a livello nazionale che tra la comunità degli investitori esteri, riguardo al possesso della parte lunga della curva dei titoli del Tesoro", ha affermato Bill Campbell della società di investimento obbligazionaria DoubleLine, riferendosi ai flussi di fondi.

Gli analisti indipendenti prevedono che la "grande e splendida" proposta di legge fiscale del presidente Donald Trump, chiamata da lui “Big, Beautiful Bill”, attualmente al vaglio del Congresso, aggiungerà migliaia di miliardi di dollari al debito statunitense nel prossimo decennio, costringendo il Dipartimento del Tesoro a vendere un'enorme quantità di obbligazioni. La Casa Bianca ha replicato che i dazi e una crescita più elevata ridurrebbero il debito.

Allo stesso tempo, gli operatori di mercato si stanno preparando al fatto che i dazi imposti dall'amministrazione sui principali partner commerciali alimenteranno un'inflazione più elevata, una delle maggiori piaghe per gli investitori obbligazionari. Lotfi Karoui, responsabile della strategia creditizia di Goldman Sachs, ha affermato che il deflusso "riflette le preoccupazioni sulle prospettive a lungo termine per la sostenibilità fiscale". "È un contesto volatile, con un'inflazione ancora al di sopra del target e un'offerta governativa a perdita d'occhio", ha aggiunto Robert Tipp, responsabile delle obbligazioni globali di PGIM, gestore patrimoniale, riferendosi all'obiettivo di inflazione del 2% fissato dalla Federal Reserve. "Questo sta generando un certo nervosismo nei confronti della parte lunga della curva dei rendimenti e un malessere generale".

Le obbligazioni a più lunga scadenza sono particolarmente sensibili all'inflazione, poiché una maggiore crescita dei prezzi erode il valore degli interessi fissi corrisposti su lunghi periodi di tempo. Il nervosismo si è riflesso anche sull'andamento dei prezzi del debito statunitense a lungo termine, che è sceso di circa l'1% in questo trimestre, recuperando perdite più consistenti dopo che gli annunci tariffari di Trump ad aprile hanno spaventato i mercati, secondo un ampio indice Bloomberg. Al contrario, il denaro ha continuato ad affluire nei fondi che detengono obbligazioni statunitensi in scadenza nel prossimo futuro, con oltre 39 miliardi di dollari investiti in strategie a breve termine in questo trimestre, come mostrano i dati dell'EPFR. Questi fondi stanno offrendo rendimenti interessanti poiché la Fed ha mantenuto i tassi a breve termine a livelli elevati quest'anno.

Andrzej Skiba, responsabile del reddito fisso statunitense di BlueBay presso RBC Global Asset Management, ha aggiunto che gli investitori potrebbero optare per una diversificazione più internazionale dei propri investimenti obbligazionari a questo punto, ma "non crediamo che sia la fine del mercato dei Treasury e del ruolo dei Treasury come investimento core nei portafogli obbligazionari globali".

Ha tuttavia affermato che gli operatori di mercato potrebbero iniziare a richiedere "maggiori compensi per investire più a lungo termine" quando si tratta di acquistare nuovi titoli del Tesoro. "Anche se non vediamo arrivare un terremoto, potremmo assistere a delle scosse".


Tutto questo, non lo leggete sul vostro quotidiano, non lo trovate sui social, e non se ne parla e scrive al bar con gli amici (loro, gli amici, sono sempre fortissimi su Tesla e Nvidia, come se fossimo ancora nel 2023: poveri loro!).

Quello che si legge sui quotidiani è di fatto solo Trump. C’è chi dice che ha ragione, c’è chi dice che ha torto. Trump è abilissimo, nel distogliere l’attenzione dei media dalle sue evidenti sconfitte (dalle tariffe alla Legge di Bilancio al DOGE alla guerra tra Russia ed Ucraina) e i media ovviamente ci cascano senza ragionare (per sopravvivere, i media sono forzati a “cercare di ottenere il numero massimo di click”, a qualsiasi costo).

Per la massa degli investitori, questa “arma distrazione di massa” è il peggiore nemico, da combattere ogni giorno. Un nemico che porta perdite.

Ne abbiamo scritto, e in numerose occasioni. Sia qui, nel Blog di Recce’d, sia alla pagina TWIT - TWOO: anche molto di recente e prendo come spunto proprio l’attacco all’IRAN da parte di Israele prima e degli Stati Uniti poi.

I particolare alla pagina TWIT - TWOO potete leggere i commenti di Recce’d ai “suggerimenti” per la gestione del risparmio arrivati dalla stampa italiana. Vi sarà utilissimo, comprendere come funzionano i meccanismi dei media, sia a proposito dei contenuti della comunicazione sia a proposito delle forme di pubblicità occulta che vengono messe in pratica cogliendo occasioni di questo tipo.

Proprio eventi come l’IRAN, quelli “da prima pagina e da otto colonne”, rendono per voi lettori più evidente il meccanismo della propaganda che viene messa in pratica da social e media. Ed è per questa ragione che oggi vi porteremo ancora un esempio concreto e recentissimo (25 giugno 2025).

 

Il Corriere della Sera (il quotidiano più diffuso in Italia) ha scelto di dare spazio pochi giorni fa alla “visione Trumpiana del Mondo”, attraverso un articolo di Federico Rampini. L’articolo ha suscitato il nostro interesse perché è focalizzato sull’andamento dell’economia americana con vari accenni ai mercati finanziari.

Rampini non è un giornalista economico: lo definiscono “giornalista di costume”, piuttosto. Tantomeno è un uomo di mercati, e non ha esperienza di mercati finanziari. Ed ancora meno è un economista.

Visti questi dati di fatto, non stupisce che l’articolo in questione (per esigenze di spazio, certo: ma non solo per quella ragione) risulti sbrigativo, a volte grossolano, in qualche caso rozzo.

Dirà il lettore di Recce’d: ma allora … perché farlo leggere a noi?

Semplice: per illustrare alcuni dei meccanismi dei media: per mostrare, nel concreto e con la necessaria tempestività, in quale modo i media sembrano “raccontare semplicemente la realtà” mentre invece raccontano una storia, una narrazione, spesso lontana dalla realtà.

Questo è un fatto, con centinaia e centinaia di esempi nel passato anche recente, di un atteggiamento dei media porta danni e problemi che da sempre alla massa degli investitori (non solo in Italia). Un fatto da cui un investitore consapevole deve proteggersi.

Lo scopo? Portare il lettore dentro una narrativa che, a un lettore superficiale (come un po’ tutti siamo, se non lo facciamo per professione) può sembrare coerente, ma che in realtà è rozza e superficiale.

Non accade soltanto quando si tratta di Borse e mercati finanziari: sicuramente i nostri lettori ricordano la lunga serie di articoli dedicati e commenti che ci forniscono nuove sicurezze, poi smentite a distanza di poco tempo. Ecco alcuni esempi:

  • bere molta acqua fa bene; no, bere troppa acqua fa male

  • bere il caffé fa male; no, bere il caffé fa bene

  • lo zucchero negli alimenti fa male; no, lo zucchero è indispensabile;

  • prendere il sole fa male; no, prendere il sole fa bene

  • il robo-taxi è dietro l’angolo; ah no, il robo taxi forse solo tra dieci anni

  • la Russia crollerà in tre mesi; beh no il rublo è la valuta più forte del 2025

Chiacchiere. Chiacchiere da bar. Da social. Da talk show in TV delle ore pomeridiane. Valgono tanto quanto le risse tra tifosi in TV, quelli che sanno tutto di Roma, Lazio, Milan, Inter, Juventus e le altre.

Esaminiamo insieme, proprio per questa ragione l’articolo apparso sul Corriere della Sera il 25 giugno 2025: vi aiuterà, questa lettura, a capire meglio ed a difendere in futuro il vostro risparmio.

Premettiamo che, come scrive Rampini, anche noi giudichiamo utile per il nostro lettore conoscere il punto di vista di chi sostiene Trump (ovvero chi sostiene la politica delle le tariffe, e la legge anti-immigrazione, come fa qui Rampini). Per i nostri lettori, in particolare, questa è utile per fare confronti tra posizioni diverse. Ma questo specifico articolo soprattutto vi è utile per capire come funzionano i meccanismi dei media, utile per cogliere le distorsioni che i media ci propongono.

L’inflazione Usa resta sotto controllo, di poco superiore al 2%, nonostante che molti dazi siano in vigore da tempo.  Le Borse sono vicine ai massimi storici. Come si concilia tutto questo con gli scenari negativi che la maggioranza degli economisti avevano previsto? 

Può darsi, naturalmente, che sia solo una questione di tempo e le previsioni nefaste finiranno per avverarsi. Può darsi che il semplice fatto di avere riportato i dazi medi fra il 10% e il 15% (benché molto più alti del livello di partenza) abbia scongiurato gli esiti più temuti. Una narrazione alternativa ci viene proposta dal mondo MAGA («Make America Great Again»), secondo cui saremmo di fronte all’ennesimo errore di una comunità di esperti per lo più influenzati dal vecchio dogmatismo liberista. Ogni tanto è utile ascoltare questa versione. Dopotutto, il capo dei MAGA sta alla Casa Bianca e prende decisioni di qualche rilievo per il mondo intero. Lo si può detestare e condannare con tutte le forze, ma lui rimane lì, per adesso. Capire ciò che pensa il suo mondo serve anche per tentare di fare previsioni, per quanto sia diventato uno sport estremo. In ogni caso vi suggerisco la lettura di un economista che ho già segnalato altre volte, perché è una delle voci più autorevoli e accreditate nell’universo MAGA, e al tempo stesso gode di una certa rispettabilità anche nell’accademia tradizionale: Oren Cass. La sua analisi odierna parte da tre dati che elenco qui sotto, e ne trae alcune conseguenze. Buona lettura.


  • «I prezzi delle auto giapponesi esportate negli USA calano del 20% per effetto dei dazi di Trump. Toyota e altre aziende sembrano assorbire i costi, secondo i dati di maggio».

  • «La popolazione illegale è in calo da gennaio. Il numero di immigrati illegali potrebbe essere diminuito di un milione».

  • «I fondi d’investimento del private equity hanno avuto performance inferiori rispetto alle azioni USA nel breve e lungo termine. L’indice di private equity di State Street è stato superato dall’indice azionario S&P 500 negli ultimi 3 mesi e negli ultimi 1, 3, 5 e 10 anni».


Commento di Oren Cass: 

«Cosa hanno in comune questi sviluppi nei campi della globalizzazione, dell’immigrazione e della finanziarizzazione? Indicano il collasso tridimensionale della narrazione su cui abbiamo costruito la nostra economia nell’ultima generazione.

Il motivo per cui parlo così tanto di questi tre temi è che rappresentano tre facce della stessa medaglia. In ciascun caso, l’élite americana ha preteso, ovviamente a proprio vantaggio, la rimozione di vincoli tradizionalmente imposti al capitalismo per il bene della collettività. In ciascun caso, ha costruito una giustificazione palesemente assurda per sostenere che quella scelta fosse nel migliore interesse di tutti, imponendo la propria posizione e screditando chiunque osasse dissentire. Volevano investire nei mercati esteri, dove il lavoro era più facilmente sfruttabile e il capitale più generosamente sovvenzionato. Questo "libero" commercio avrebbe portato benefici ai lavoratori americani, che avrebbero in qualche modo ottenuto posti migliori. Volevano far entrare manodopera a basso costo nel mercato interno per occupare lavori con salari e condizioni che gli americani non avrebbero accettato. Questa “umana” politica migratoria avrebbe dovuto aiutare i lavoratori americani a passare a impieghi migliori. Volevano scaricare il rischio di scambiarsi pacchetti di asset tra loro, incassando commissioni senza produrre nulla di valore. Questo capitalismo “efficiente” avrebbe creato nuove, fantastiche opportunità di lavoro per tutti.

Quando il conto è arrivato, sotto forma di calo degli investimenti e della produttività, stagnazione salariale, aumento delle disuguaglianze e degrado sociale, la nuova linea è diventata che non si poteva fare nulla. Interferire con il libero commercio? Impensabile. Difendere il confine? Impossibile. Regolare i mercati finanziari? Da sempliciotti.

Ma oggi vediamo che una strada diversa è sempre stata disponibile. È in vigore un dazio globale del 10% e dazi fino al 50% sulla Cina. L’umore dei consumatori migliora e l’inflazione cala. La Borsa sale e il dollaro scende. Come mostra il caso del Giappone, prezzi più alti non si trasferiscono necessariamente ai consumatori.

Con un’applicazione più rigida delle leggi migratorie, gli Stati Uniti hanno smesso di rilasciare migranti illegali all’interno del Paese: "Il mese scorso gli agenti di frontiera non hanno ammesso nemmeno un migrante illegale negli Stati Uniti — contro i 62.000 del periodo Biden". Forse il cambiamento climatico non era davvero la causa della crisi al confine? Come suggerisce l’analisi sulla popolazione immigrata, un milione di persone presenti illegalmente potrebbe già aver lasciato il Paese.

Il settore finanziario, poi, si sta ridicolizzando da solo. Il mio esempio preferito recente è un articolo del Wall Street Journal che racconta come gli hedge fund abbiano sbagliato clamorosamente il timing del mercato ad aprile, mentre i piccoli risparmiatori compravano ai minimi. Come ha scritto Morningstar il mese scorso, "gli investitori comuni continuano a far sembrare stupidi i professionisti di Wall Street con questa semplice mossa". E come mostra l’indice State Street, un semplice fondo indicizzato su S&P 500 ha reso più dei fondi di private equity su ogni orizzonte temporale.

Naturalmente, i dazi non sono privi di costi — alcuni dei quali è giusto aspettarsi che si riflettano sui prezzi. Il controllo delle frontiere sarà sempre una sfida, e un’applicazione rigorosa all’interno del Paese comporterà un certo grado di sofferenza. Scommetterei persino che prima o poi gli hedge fund riusciranno a fare un buon anno. Ma perfino i governatori della Federal Reserve stanno cominciando a rivedere le proprie convinzioni.

Per quanto incerto sia il mondo, una cosa è sicura. Nessuno pagherà per aver sbagliato tutto. Quale economista ha mai pagato un prezzo per aver sbagliato completamente le scelte macroeconomiche fondamentali degli ultimi 30 anni? Quanti hanno ammesso di aver fatto un errore?».

Ora noi di Recce’d spiegheremo, con una serie di punti, perché questa lettura, oggi, nella situazione attuale, è utile ad ogni investitore. Ci concentriamo sul modo in cui l’articolo è stato costruito: vi mostreremo in che modo si costruisce una narrativa, che alla massa degli investitori potrebbe sembrare lineare e coerente, e che invece si fonda sul manipolare il lettore

  • partiamo subito con il riconoscere che è vero che le Borse sono ai massimi; lo avete visto grazie a due immagini qui sopra; è meno vero, però, che l’inflazione è bassa come dice Rampini; l’inflazione PCE di ieri venerdì 27 giugno è uscita al 2,3%, ma quella nella versione “core” rimane anche oggi vicina al 3%, e il petrolio sta a 65$, e devono ancora arrivare le tariffe e deve ancora arrivare l’effetto del dollaro debole; insomma, qui Rampini risulta un po’ grossolano

  • per noi gestori e per tutti gli investitori, questi due fatti che Rampini mette in evidenza dicono poco o nulla: per noi, tutto sta nel leggere questi dati, e poi analizzarli (insieme a molti altri, ovviamente) per arrivare alla decisione finale: è il momento di comperare, vendere o restare fermi? per dire le cose nel modo più diretto: i due dati citati da Rampini ci stanno dicendo che “tutto va bene”, come vorrebbe Trump, il suo esercito MAGA e come lascia intendere Rampini stesso? No. Non è così che stanno le cose. E qui inizia l’analisi

  • Rampini dice che “una strada alternativa è sempre stata disponibile”, e nel suo articolo la identifica con le tariffe sui commerci e le leggi contro l’immigrazione: questa sua affermazione si basa, forse, sulla Borsa di oggi e sull’inflazione di oggi? Sono trascorsi meno di 90 giorni, dal Liberation Day: a voi lettori, questo di Rampini sembra un atteggiamento corretto e prudente, oppure spregiudicato e di parte?

  • Rampini sottolinea le previsione sbagliate, ed aggiunge anche che “il settore finanziario si sta ridicolizzando da solo”: in Recce’d invece noi pensiamo che il gesto ridicolo (utilizziamo intenzionalmente il medesimo vocabolo usato da Rampini) sia quello di chi annuncia il 2 aprile un forte rialzo delle tariffe soltanto per ritirare le medesime tariffe a distanza di soli sette giorni, ovvero il 9 aprile; tutto intero il recupero della Borsa si fonda sul fatto che Trump ha deciso … che Trump ha sbagliato; e a voi lettori, chi risulta ridicolo, in questo caso? Valutate il fatto che nei giorni intorno al 2 aprile Trump dichiarava (a proposito dei cali di Borsa) di non degnare la Borsa neppure di uno sguardo; e dopo sette giorni, ha poi piegato il ginocchio, come dicono gli americani

  • a questo va aggiunto, poi, che Rampini finge di dimenticare che quelle “previsioni sbagliate” sicuramente non avevano come data di scadenza il 27 giugno 2025

  • va aggiunto anche che Rampini afferma che “L’umore dei consumatori migliora e l’inflazione cala. La Borsa sale e il dollaro scende”: Rampini qui ci dice quindi che il dollaro USA in calo è un segnale di successo, per Trump e la sua politica? E poi dice che la fiducia dei consumatori aumenta, ciò che vuol dire che esce poco dalla sua abitazione di New York, ed anche che non ha letto il dato che voi leggete sotto nell’immagine

  • Aggiungete ancora a tutto questo una serie di omissioni (che svelano le vere intenzioni di Rampini): Rampini dimentica di prendere in esame i temi quali il debito, il “Big, Beautiful Bill”, la debolezza del dollaro USA, il rischio tassi di cui abbiamo scritto in apertura di Post e il rischio recessione. Non c’è nulla di questo, in Rampini: forse, l’esperienza e la competenza del giornalista lo portano a concludere che questi elementi hanno poca rilevanza.

    ma se poi … l’investitore che legge Rampini gli crede?

    Ad esempio Rampini questo non lo ha visto

Ad esempio Rampini questo non lo ha citato

Ad esempio Rampini questo non lo ha considerato

Ad esempio Rampini questo al lettore del Corriere della Sera non lo dice

Ad esempio Rampini non fornisce al lettore questa informazione


  • Ma non basta. Ora vi segnaliamo un dettaglio. Rampini scrive:

Per quanto incerto sia il mondo, una cosa è sicura. Nessuno pagherà per aver sbagliato tutto. Quale economista ha mai pagato un prezzo per aver sbagliato completamente le scelte macroeconomiche fondamentali degli ultimi 30 anni? Quanti hanno ammesso di aver fatto un errore?». 

Se gli economisti hanno sbagliato, oppure se non hanno sbagliato, tutti lo vedremo proprio nel secondo semestre 2025. Anche i bambini della scuola dell’obbligo sanno che è inopportuno, perché prematuro, tirare drastiche conclusioni a distanza di poche settimane. Ed è vero che gli economisti fanno gli errori, come mette in evidenza Rampini, ma ci pare giusto ricordare che molti giornalisti della sua categoria hanno sbagliato sempre tutto, eppure continuano a scrivere sui quotidiani nazionali (dove forti interessi esterni condizionano le scelte della Direzione a proposito di chi viene pubblicato e chi no).

  • C’è poi un secondo dettaglio: per quale ragione, a vostro giudizio, in questo articolo Rampini utilizza nei confronti dei Fondi Hedge toni derisori? Che cosa e chi conosce Rampini, dei Fondi Hedge? Di come funzionano? Di quali obbiettivi perseguono? Oppure sono argomenti da bar, come tra Juventus ed Inter e Milan?

  • Ed infine, fate bene attenzione ad una terzo dettaglio: vi sarà sufficiente Wikipedia per chiarire che il citato Cass non solo non è un economista, ma non lo è mai stato. Cass è un uomo che ha lavorato solo in istituzioni di partito, e quindi di parte. E’ un uomo di partito. Sulla “rispettabilità accademica” di cui scrive qui Rampini, noi che abbiamo quotidianamente contatti con ambienti accademici in ogni parte del Mondo non troviamo alcun riscontro. Come economista, nessuno lo conosce in accademia.

Vi sembrano trascurabili imprecisioni, quelle che Recce’d ha documentato qui? Errori da attribuire alla fretta? Alle necessità di sintesi?

Possibile, ma non è il modo nel quale Recce’d vede le cose.

Noi abbiamo una lunga esperienza di comunicazioni relative ai mercati finanziari, e per questo a noi pare evidente che la manipolazione della massa degli investitori attraverso i social ed i media oggi è a livelli elevati, e mai visti prima. Costruire narrative, che appaiono credibili ad una lettura frettolosa, ma che nulla hanno a che vedere con la realtà: costruite per spingere gli investitori, sempre e comunque, verso certi investimenti e certi tipi di portafogli.

L’investitore che non è consapevole di questi meccanismi, l’investitore che si lascia trascinare da narrazioni incomplete e grossolane, farà sicuramente una serie di sbagli nell’impiego del suo risparmio. E questo è un problema concreto.

Gli investitori consapevoli sono quelli che riconoscono narrative come queste, e se ne sanno difendere. Ed anzi ricavarne opportunità di guadagno. Ciò che noi in Recce’d facciamo ogni mattina per i nostri Clienti attraverso The Morning Brief. Dove spieghiamo come si usa, un fatto come quello dell’immagine che segue, per fare performance e risultati.

Con questa lunga digressione, ci auguriamo di avervi regalato un contributo pratico ed utile, anche questo caso.

Ora però lasciamo da parte le manipolazioni della realtà, e ritorniamo proprio alla realtà, alla qualità, ed all’analisi: l’analisi fatta con metodo, disciplina, rigore. Evitando sia l’ottimismo a buon mercato sia il pessimismo a poco prezzo. E senza fare mai il tifo per nessuno e nessuna parte e nessuna cosa, che non sia l’interesse del nostro Cliente le la performance (risk weighted) dei portafogli modello di Recce’d

Ritorniamo a parlare coi lettori, in modo serio e professionale, di mercati finanziari, ed in particolare dell’estate che ci attende e del secondo semestre del 2025, con il contributo che abbiamo scelto e tradotto per voi, che anticipa all’investitore le incognite dei mesi estivi del 2025. Anche in questo articolo, trovate informazioni che certamente sono sfuggite a voi, ai social, al quotidiano che leggete la mattina, al GR, al TG.

I mesi estivi sono un periodo per prendersi una pausa, crogiolarsi al sole con amici e familiari, e i mercati finanziari impazziscono per un motivo o per l'altro. Con l'avvicinarsi della stagione nell'emisfero settentrionale e l'avvio del consueto processo di diradamento e oscillazione dei mercati, c'è il rischio che nei prossimi mesi si verifichi una qualche esplosione.

Un amuse bouche in tal senso è arrivato la scorsa settimana con alcuni movimenti peculiari dello yen giapponese. In generale, lo yen è una delle valute, insieme al dollaro e al franco svizzero, che si comporta piuttosto bene in periodi di stress. Non è un vero e proprio rifugio, ma la tradizione popolare sui mercati vuole che durante periodi turbolenti o di paura, gli investitori giapponesi riportino a casa i loro fondi parcheggiati in attività all'estero, trascinando con sé lo yen.

Se questi flussi di rimpatrio avvengano davvero su larga scala è oggetto di dibattito. Probabilmente no. Ma la memoria muscolare dei mercati è una forza potente, quindi quando accadono cose negative, di qualsiasi tipo ma in particolare in ambito geopolitico, lo yen sale. Non è stato così con il recente intensificarsi della violenza tra Iran e Israele, con il coinvolgimento anche degli Stati Uniti. Invece di salire, lo yen si è indebolito. Non in modo drammatico, ma il dollaro è salito a un massimo di 148 yen all'inizio di questa settimana, segnando il punto più debole dello yen in un mese. Un minimo di un mese per lo yen potrebbe non sembrare un grosso problema, e per la maggior parte delle persone non lo è stato.

Il problema qui sorge perché scommettere su un dollaro più debole e uno yen più forte è estremamente popolare tra gli hedge fund e altri investitori speculativi. Quando quella scommessa ha iniziato a sgretolarsi, abbiamo assistito a quella che Dominic Bunning, analista di Nomura, descrive come una "sgradevole stretta". Ha rischiato di cedere dopo aver raccomandato ai clienti di acquistare la valuta giapponese – un momento mai piacevole per un venditore di idee in una banca d'investimento. Fondamentalmente, l'episodio suggerisce che le scommesse contro il dollaro si stanno un po' affollando, e non serve una buona memoria per ricordare quanto le scommesse affollate possano deteriorarsi rapidamente. Proprio l'estate scorsa, lo yen è schizzato in rialzo e, allo stesso tempo, i titoli tecnologici statunitensi sono crollati, quando due posizioni altamente correlate e molto popolari presso importanti hedge fund hanno incontrato un muro e hanno rapidamente invertito la rotta. I mercati sono diventati così caotici (o almeno così mi è stato detto – ho avuto il buon senso di rimanere su un lettino in Turchia per tutto questo tempo) che a un certo punto i mercati del debito hanno scontato un taglio di emergenza dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve statunitense. Un taglio di emergenza non è mai avvenuto, ovviamente.

Ma i mercati sono particolarmente inclini a superare le aspettative quando la stagione estiva allontana le persone dalle loro scrivanie e iniziano ad aprirsi vuoti dove normalmente si troverebbero i prezzi di mercato stabili. Vale quindi la pena tenere d'occhio le aree di consenso diffuso nei mercati finanziari, nel caso in cui subiscano simili sbalzi estivi.

Lo yen è una di queste aree. Se gli Stati Uniti non saranno disposti o non saranno in grado di tagliare i tassi di interesse, sia a causa di un'inflazione statica, sia perché l'economia sta performando meglio del previsto nei primi mesi dell'anno, l'ascesa dello yen auspicata dagli hedge fund potrebbe non concretizzarsi.

Sia le banche d'investimento che le banche centrali stanno diventando meno pessimiste sulle prospettive future degli Stati Uniti e questo rappresenta un rischio al rialzo da prendere seriamente in considerazione. Chris Scicluna, analista di Daiwa Capital Markets, ritiene che un continuo e ordinato declino del dollaro sia ancora l'esito più probabile, e che un ridimensionamento estivo del suo tasso di cambio con lo yen rimanga improbabile, sebbene questa previsione possa essere, come ha osservato, le sue "ultime parole famose". Gli shock sono, per definizione, impossibili da prevedere. Ma Scicluna osserva saggiamente che un punto migliore da tenere d'occhio potrebbero essere altre sacche di mercato che hanno avuto un andamento positivo finora quest'anno e che potrebbero stare sfidando la sorte e diventare un po' sovraffollate. Alcune valute europee, ad esempio, come il franco svizzero e la corona svedese, hanno avuto un andamento spettacolare.

Le azioni europee hanno messo a segno un'ascesa impressionante e insolita. Persino chi, come me, crede in una rotazione a lungo termine dagli Stati Uniti all'Europa, può ammettere che un rialzo del 18% delle azioni tedesche solo quest'anno è forse un po' eccessivo. Nel frattempo, le azioni statunitensi arrancano nella scia dell'Europa. Se il presidente Donald Trump continua a tirarsi indietro di fronte a difficili decisioni economiche, forse possono recuperare terreno e il dollaro può prendersi una pausa. Il sentiment qui è forse eccessivamente cupo. Le mini-inversioni estive tendono a svanire velocemente come un'abbronzatura, ma ci si può scottare nel processo. Un po' di cautela estiva può fare molto.

L’estate come avete appena letto è una stagione durante la quale il gestore di portafoglio aumenta, invece di ridurre, la propria attenzione vero il risparmio e gli investimenti: è una stagione durante la quale, da sempre, si verificano eventi inattesi e sorprese, non tutte positive.

L’estate 2025, molto più di altre estati, presenta elementi di fragilità: sia nell’economia, sia nella geopolitica. La realtà non è certo quella raccontata da Rampini, e la pace (sia delle tariffe, sia delle guerre) non arriva “quando lo dice Trump”, ma arriva solo … quando arriva davvero.

Per questa ragione, noi abbiamo scelto e tradotto per i lettori un altro articolo, con il quale chiudiamo questo Post.

L’articolo che segue rimette le cose al loro posto: vi darà modo di mettere insieme le considerazioni che avete appena letto qui sopra con quelle che in apertura del nostro Post riguardavano i Titoli di Stato. L’autore è Stephen Roach, e ve lo abbiamo già presentato. Un uomo che ha sia esperienza dei mercati finanziari, sia cognizione dei fatti che stanno accadendo in questa fine di semestre 2025: può aiutarvi in modo concreto a interpretare la realtà dell’estate 2025 e quindi a fare le scelte giuste, per ciò che riguarda l’impiego dei vostri risparmi.

24 giugno 2025 Stephen S. Roach

Il doppio shock dell'attacco israelo-statunitense all'Iran e della guerra dei dazi di Donald Trump si verificano mentre la crescita del PIL globale continua a rallentare drasticamente. Dato che non ci vuole molto per far precipitare un'economia prossima alla "velocità di stallo" in una vera e propria recessione, queste crisi e i loro effetti combinati stanno preparando il terreno per una recessione globale.

Un primo shock è stato già abbastanza grave. I dazi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ovunque si stabilizzino, implicano rischi al ribasso per la crescita globale. Ma il potenziale per un secondo shock – una guerra tra Israele e Iran che ha ora intrappolato gli Stati Uniti – aggrava i problemi per un'economia mondiale sempre più vulnerabile.

Ciò si accorda con la mia teoria del rischio ciclico: non ci vuole molto per far precipitare un'economia prossima alla "velocità di stallo" in una vera e propria recessione. Questa semplice regola ha funzionato straordinariamente bene nel prevedere le recessioni globali negli ultimi 45 anni.

A differenza di una recessione in una singola economia, che generalmente riflette una contrazione della produzione reale, una recessione a livello globale comporta in genere una contrazione di circa la metà delle economie mondiali, mentre la restante parte continua a espandersi. Di conseguenza, una recessione globale è solitamente associata a un rallentamento della crescita del PIL globale, attestandosi su un intervallo ancora positivo del 2-2,5% – un calo di 0,8-1,3 punti percentuali rispetto al trend del 3,3% registrato dopo il 1980. Le eccezioni si sono verificate nel 2009 e nel 2020, quando rispettivamente la crisi finanziaria globale e la pandemia hanno causato contrazioni nette della produzione globale.

La velocità di stallo è la chiave per la valutazione del rischio ciclico. Può essere considerata una zona di vulnerabilità, misurata da significative deviazioni al ribasso rispetto alla crescita tendenziale. Guardando indietro agli ultimi 45 anni, collocherei la velocità di stallo dell'economia globale nell'intervallo del 2,5-3%: quando ci si trova in questa zona, il mondo non ha la resilienza necessaria per resistere a uno shock. Questo è ciò che è accaduto in ciascuna delle ultime quattro recessioni globali.

Torniamo a oggi. Secondo l'ultimo World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale, si prevede che la crescita del PIL globale rallenterà al 2,8% nel 2025, proprio al centro della zona di stallo. Mentre le recenti recessioni globali sono state il risultato di singoli shock, oggi l'economia mondiale potrebbe essere colpita da due: una guerra tariffaria e una guerra cinetica in Medio Oriente. La possibilità di una doppia combinazione di shock non fa che aumentare le probabilità di una recessione globale; negli ambienti dei pronostici, è la cosa più vicina a una prova schiacciante che si possa immaginare.

Come sempre, il diavolo si nasconde nei dettagli: in questo caso, negli effetti specifici di trasmissione dei due shock alla crescita globale. La guerra commerciale, ormai, è una vecchia notizia.

La mia ipotesi è che il pacchetto tariffario di Trump che emergerà dalle controversie legali in corso includerà qualcosa di simile a un dazio globale del 10%, un'aliquota tariffaria considerevolmente più elevata per la Cina e dazi specifici per prodotto più elevati, volti a proteggere le industrie americane tradizionali, come quella dei veicoli a motore e dei componenti, dell'acciaio e dell'alluminio.

Il dazio globale del 10% rappresenta un aumento di circa cinque volte rispetto all'aliquota tariffaria effettiva media dell'1,9% registrata nei 30 anni precedenti il ​​"Giorno della Liberazione" di Trump all'inizio di aprile: uno shock sotto ogni punto di vista. Ciò crea rischi al ribasso per l'economia cinese, ancora dipendente dalle esportazioni, e una forte incertezza per l'economia statunitense, portando quasi certamente a una contrazione della spesa in conto capitale e delle assunzioni, entrambe dipendenti dalle solide aspettative future delle imprese. Con le economie statunitense e cinese che insieme rappresentano poco più del 40% della crescita cumulativa del PIL globale dal 2010, non si dovrebbe sottovalutare il potenziale danno di una guerra tariffaria all'economia mondiale.

Per quanto riguarda il Medio Oriente, l'impatto macroeconomico delle guerre viene solitamente misurato attraverso i prezzi del petrolio. Dopo l'attacco israeliano contro l'Iran il 13 giugno, i prezzi del petrolio sono inizialmente saliti alle stelle, partendo dai minimi degli ultimi tre anni e rimanendo ben al di sotto delle medie post-2022. Poi, subito dopo l'annuncio del cessate il fuoco da parte di Trump del 23 giugno, i prezzi del petrolio hanno ripercorso gran parte della corsa legata alla guerra. Se le ostilità dovessero continuare – sempre una possibilità in Medio Oriente – ci sarebbero significativi rischi al rialzo per i prezzi dell'energia e di altre materie prime, poiché i mercati inizieranno a preoccuparsi delle opzioni di ritorsione dell'Iran, che potrebbero includere l'interruzione della produzione e della distribuzione del petrolio, nonché delle rotte di navigazione. Nel complesso, il bombardamento statunitense degli impianti di arricchimento nucleare iraniani il 21 giugno ha iniettato un nuovo elemento di incertezza in un mondo già ipervolatile.

È decisamente troppo presto per prevedere come l'ingresso degli Stati Uniti nella guerra di Israele contro l'Iran influenzerà i prezzi globali dell'energia. Ma in un certo senso, la situazione ricorda l'invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein nell'agosto del 1990, che portò al raddoppio dei prezzi del petrolio nel giro di tre mesi. È significativo che l'economia mondiale stesse già rallentando verso una velocità di stallo del 2,5% nel 1991, e lo shock energetico legato alla guerra portò a una lieve recessione globale nel 1992-93.

La chiave per le prospettive a breve termine non sono i dazi statunitensi o la guerra in Iran, ma la loro interazione geopolitica. Questi shock hanno il potenziale di alimentarsi a vicenda, minacciando un'economia mondiale vulnerabile e già a rischio di stallo.

Le previsioni cicliche non sono mai una certezza. Ma il doppio shock di quest'anno rende una recessione globale sempre più probabile.

Valter Buffo
Detox. TACO e perché leggere Ernest Hemingway
 

Ci sono quelli che sanno.

I promotori finanziari, ad esempio. Loro vengono a casa vostra a inizio anno, vi danno il nuovo bigliettino da visita (private banker, wealth manager, financial advisor, eccetera) e poi vi spiegano. E il discorso inizia sempre più o meno allo stesso modo:

“… e noi crediamo che quest’anno le obbligazioni … e poi le Borse … e poi il dollaro …”

La guerra tra USA ed IRAN? Sei mesi fa, tutti ci dicevano che “per il 2025 si possono escludere nuovi conflitti di portata internazionale”. Loro, i promotori di prodotti finanziari, a voi dicono sempre che “tutto va bene”.

Il loro scopo è di compiacere la massa, rassicurarla a parole, anche a proposito di quei temi dei quali il promotore finanziario capisce assolutamente nulla. Loro voglio unicamente farvi mettere in portafoglio Fondi Comuni, GPM e polizze.

Anche adesso, anche il 21 giugno 2025, i “promotori finanziari pagati con le retrocessioni sui Fondi, GPM e polizze” sono tutti al lavoro per convincere la massa degli investitori di un’unica cosa: “non può succedere mai nulla, non c’è motivo di preoccuparsi; e poi, anche se succedesse … poi tanto tutti si riprenderà … e quindi, compera i nostri Fondi Comuni, le GPM, le polizze”.

Tutta questa cosa è ridicola, e da più di un punto di vista. E’ sufficiente guardare ai fatti e leggere i quotidiani di stamattina, per avere conferma. Quello del vostro promotore finanziario non è il modo di lavorare, è solo una tecnica per vendere. Vendere ha nulla a che vedere con gli investimenti e con il risparmio.

Quello dei promotori non è il modo di investire, non è il modo in cui si lavora per ottimizzare il portafoglio del Cliente. Cosa evidente alla luce della guerra in corso. Ma non solo: pensate anche alla Federal Reserve, che ha parlato mercoledì sera 18 giugno. Loro, alla Federal Reserve, aggiornano le loro previsioni ogni settimana. E poi comunicano i loro aggiornamenti attraverso conferenze stampa, attraverso le interviste, ed una volta al mese dopo le loro riunioni del Board.

Loro aggiornano con continuità le loro previsioni: questo è il modo di lavorare. E il vostro promotore finanziario invece a gennaio vi racconta dove vanno i mercati finanziari per tutto l’anno? Lui vede avanti di 12 mesi e la Federal Reserve no?

Con il Cliente, Recce’d non ha un atteggiamento così tanto arrogante, e non vende false sicurezze.

Recce’d fa l’opposto: ogni mattina, Recce’d è in contatto con il proprio Cliente, e spiega come vanno rettificate le previsioni, e quindi come cambiano le prospettive per gli asset finanziari nei portafogli modello. Comunica i nuovi rendimenti attesi, ed i nuovi rischi di ribasso e/o perdita su ogni singolo strumento finanziario del nostro universo investibile.

Questo è il modo di lavorare: così si colgono le occasioni che il mercato offre a noi investitori.

Se invece vi affidate a chi vi racconta che “non succederà mai nulla”, allora finirete a perder e parte del vostro denaro, a causa di vostre mosse sbagliate e comunque ritardate rispetto alla realtà (che non riuscite più a comprendere.

Recce’d, in particolare con la serie di Post Detox del 2025, ha voluto concretamente aiutare i propri lettori nella gestione del portafoglio, chiarendo e documentando che anche nel giugno 2025 la guerra NON è il fattore di maggiore peso, per i mercati finanziari, e NON è il fattore decisovo, per la performance dei vostri portafogli titoli.

Molti lettori, distratti dai TG, dai GR, dai social e dai quotidiani, oggi faticano a comprendere ciò che accade proprio sotto i loro occhi: e dimenticano, ad esempio, che per la gestione del loro risparmio i dati del grafico che segue sono più importanti, dell’attacco militare all’IRAN.

E dimenticano, sempre a proposito del grafico, che è proprio da questo che dipende la performance (positiva, oppure negativa) dei loro investimenti finanziari.

Molti investitori, che fanno parte della massa, i dati di questo grafico neppure li conoscono.

Per chi invece già li conosce, potrebbe essere utile rivederli organizzato in modo diverso: nel grafico vedete i dati medi del deficit pubblico USA, calcolati per ognuno dei 4 anni delle diverse Presidenze degli Stati Uniti.

Quale sarà, secondo voi, il dato relativo alla seconda Presidenza Trump, che è in corso? Dalla risposta a questa domanda, potete ricavare una previsione più accurata per i futuri rendimenti dei vostri BTp, in generale dei Titoli di Stato, delle altre obbligazioni, e poi delle valute e poi delle azioni ed anche delle principali materie prime. Quindi, esaminate il grafico con attenzione: vi sarà utile.

Ovviamente, per comprendere nel modo migliore le informazioni che ci vengono fornite dal grafico precedente, occore un lavoro accurato di analisi.

Ovviamente, il lavoro che noi ogni giorno facciamo per i Clienti di Recce’d parte proprio da qui.

In che modo il nostro lettore può ricavare un profitto dalla lettura dei dati che abbiamo visto nelle due immagini?

Oggi con il nostro Post vi proponiamo un percorso lungo tre tappe:

  1. partiremo dalla recente evoluzione della geopolitica, come ci viene imposto dall’attualità di questi giorni

  2. proseguiremo collegando l’attualità del 2025 ai temi del debito (quello delle due immagini) e anche alla Borsa

  3. poi, restringendo l’orizzonte temporale, esamineremo le reazioni dei mercati finanziari ai fatti recenti descritti alla prima delle nostre quattro tappe

Prima di iniziare questo nostro percorso preparato per voi, una piccola digressione: ritorniamo a TACO.

Tutto il 2025, per ciò che riguarda Trump, è stato caratterizzato da un diluvio di annunci, roboanti ed urlati, a cui poi è seguita una caotica marcia all’indietro. La settimana appena conclusa ha visto Trump annunciare (niente di meno) una dichiarazione di guerra all’IRAN, seguita da una quasi immediata retromarcia, come leggete qui sotto.

Il presidente Donald Trump ha nuovamente fissato un termine di due settimane per decidere su una questione complessa: questa volta se gli Stati Uniti debbano lanciare un attacco contro l'Iran.

La scadenza mira a fare pressione su Teheran affinché si sieda al tavolo delle trattative per un accordo nucleare, mentre l'escalation del conflitto tra Israele e Iran entra nella sua seconda settimana.

La diplomazia prima di tutto: "Dato che ci sono concrete possibilità che i negoziati con l'Iran possano svolgersi o meno nel prossimo futuro, prenderò la mia decisione se procedere o meno entro le prossime due settimane", ha dichiarato Trump in un messaggio consegnato dalla portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt. La scadenza giunge mentre Israele e Iran continuano a scambiarsi attacchi aerei, prendendo di mira siti militari e nucleari, nonché infrastrutture civili.

I ministri degli Esteri di Regno Unito, Francia, Germania e UE incontreranno la loro controparte iraniana a Ginevra venerdì per discutere della situazione. "Il presidente sostiene gli sforzi diplomatici dei nostri alleati che potrebbero avvicinare l'Iran alla conclusione del suo accordo", ha dichiarato un funzionario della Casa Bianca. Mentre proseguono gli sforzi diplomatici, la valutazione di Trump di un possibile attacco all'Iran ha diviso la sua base di sostegno negli Stati Uniti, poiché molti alleati vogliono evitare che si ripeta l'invasione dell'Iraq del 2003.

Di fronte a rapidissimi cambiamenti di posizione dei più grandi leader del Mondo, è bene che tutti noi investitori adottiamo un atteggiamento che unisce pazienza, umiltà ed estrema attenzione.

Non siamo noi, gli investitori finali (famiglie ed Aziende non finanziarie), a determinare gli eventi della realtà. Il nostro compito, in quanto investitori, è di comprenderli, analizzarli, e poi approfittarne per il nostro risparmio.

Non dobbiamo essere ottimisti, e neppure pessimisti. Non dobbiamo essere schierati a favore di questo, oppure di quello. E’ contro il nostro stesso interesse.

Noi investitori non dobbiamo affidarci a visioni “messianiche”: non quelle di Khamenei, e neppure quelle di Trump, non quelle di Elon Musk su AI e “lo tsunami” e neppure quelle di chi vede imminente “la fine del Mondo”.

Noi invece, in quanto investitori, dobbiamo restare sempre lucidi e sempre calmi: il che, non significa (anzi, è tutto il contrario) il “non fare niente” che a voi viene suggerito dalle Mediolanum, dalle General, dalle Allianz, dalle Fideuram, dalle Fineco di questo mondo. Quelli che vi raccontano che “tanto tutto si riprende sempre”: lo fanno unicamente perché … non saprebbero che cosa altro dire.

Anche Recce’d, chiariamo subito, ritiene che non sia questo il momento di mosse azzardate: vero. Al tempo stesso, noi di Recce’d diciamo che è proprio questo il momento di rendersi conto. Di capire che un vecchio modo di investire, che è fondato su un vecchissimo modo di gestire i vostri risparmi, a voi porterà solo perdite e soltanto danni irreparabili. Amici lettori, non fate la follia di rimanere lì seduti ad attendere il prossimo annuncio di Trump: Recce’d sì, che lo può fare: perché i portafogli dei nostri Clienti sono già pronti, e da inizio 2025.

Il Mondo, ve lo possiamo anticipare, continuerà a girare: il nostro compito di investitore è capire come si fa a guadagnare dai forti sconvolgimenti che ci attendono a breve.

Premesso tutto questo, torniamo ora al nostro percorso: e e facciamo il primo step, con il contributo che segue. Vediamo di comprendere, al meglio possibile, che cosa sta cambiando il Mondo nel 2025. Partiamo dunque, leggendo un primo contributo che riassume la recente evoluzione della geopolitica.

Toccherà agli storici stabilire in che misura la guerra deflagrata fra Israele e l’Iran segna un passo in più nel declino dell’influenza degli Stati Uniti nel mondo. Ancora una volta Donald Trump sembra subire gli eventi invece di guidarli, come del resto accade anche a Gaza, nell’aggressione della Russia contro l’Ucraina e altrove. 

L’America resta la superpotenza trionfante sul piano tecnologico, ora più che mai. Ma sta perdendo la sua presa sul sistema internazionale e forse non sarebbe stato molto diverso, se alla Casa Bianca oggi ci fossero Joe Biden o Kamala Harris o persino Barack Obama.

La storia del declino americano

Dai dazi troppe volte annunciati e altrettante volte ritirati o ridiscussi, ai dubbi ormai evidenti sul dollaro quale valuta di riserva e sul debito pubblico degli Stati Uniti quale architrave del sistema finanziario globale, alle guerre che si aggravano, agli scontri in America e agli arresti di massa di migranti nelle strade, fino ai danni delle istituzioni stesse del Paese: quella di Trump nei suoi primi cinque mesi, da quando è tornato, è una storia di declino americano. 

I limiti del leader lo rendono particolarmente visibile. Ma magari non è passeggero. E se la questione è in sé troppo grande per una newsletter di economia, in questa cornice rientrano alcune domande brucianti in questi giorni.

La vigilia di un nuovo choc petrolifero?

Siamo alla vigilia di un nuovo choc petrolifero in grado di riportare un’ondata di inflazione e forse una recessione in Italia e in Europa?
Fino a che punto le due superpotenze, Stati Uniti e Cina, saranno in grado di costringere i loro rispettivi alleati, Israele e l’Iran, a mantenere entro binari ben precisi il conflitto fra loro? L’Arabia Saudita sapeva che si stava avvicinando questa guerra e ha cercato di preparare il terreno?

La Russia può trarre vantaggio?

La Russia è in grado di trarre vantaggio dalla nuova crisi in Medio Oriente?
Sono domande collegate fra loro alle quali – avverto – non sono in grado di fornire risposte certe. 
Ma espando i temi di un articolo uscito lunedì sul «Corriere» per fornire elementi che, spero, aiutino il lettore a formarsi le proprie. A partire dal significato di quello che oggi è il punto più nevralgico del pianeta, uno stretto braccio di mare fra la penisola araba e la massa continentale dell’Asia. Vediamo.

Due corsie da tre chilometri

Lo Stretto di Hormuz misura trentatré chilometri di ampiezza tra la penisola di Musandam, divisa fra Oman e Emirati Arabi Uniti a Sud, e l’Iran a Nord. Le corsie per le navi in entrata e uscita nelle due direzioni sono larghe tre chilometri ciascuna: i tremila metri più vitali e più fragili dell’economia mondiale, nel Golfo Persico. 

Domenica 15 giugno alle 18, mentre i missili e i droni volavano sull’Iran, mezzo migliaio fra petroliere, portacontainer ed altre navi si trovavano fra Bassora alla confluenza di Tigri ed Eufrate in Iraq – vicino alla foce nel Golfo – e la costa dell’Oman dall’altra parte dello stretto. Da quel braccio di mare passano più di un quinto dell’offerta mondiale di petrolio (da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Iraq, Iran) e oltre un decimo dell’offerta di gas (congelato sulle navi in gran parte da Qatar, Arabia Saudita e Iran).

Sono petroliere il 61% delle navi che attraversano Hormuz: anche solo il sospetto che l’Iran possa provare a intralciarle, per ritorsione dopo gli attacchi di Israele, farebbe esplodere le quotazioni dell’energia in tutto il mondo. Già sotto la minaccia dei dazi americani e della guerra della Russia, rischierebbe allora di risvegliarsi in una morsa fra inflazione e stagnazione. 

I mercati finanziari spesso si sbagliano ma – per ora – non sembrano credere allo scenario peggiore. Le borse hanno perso un po’ di terreno e il petrolio è salito del 7% venerdì; gli investitori sui mercati aperti a Tel Aviv e nel Golfo hanno mostrato autocontrollo, con la borsa israeliana in lieve crescita (0,35%) benché il Paese fosse sotto le bombe e la borsa di Riad solo in lieve flessione. 

Certo, a Tel Aviv i mercati crescono perché vengono molto comprate le aziende della difesa e Riad contiene i danni perché è molto comprato il colosso petrolifero Aramco.

La piazza di Dubai

Ma sulla piazza di Dubai il Brent non è salito neanche dell’1% ed è ancora ai livelli in cui si trovava il 2 aprile scorso, il Liberation Day in cui Donald Trump ha annunciato i suoi dazi «reciproci». Per il momento siamo lontani da quotazioni d’emergenza. Il barile è di quasi il 9% sotto ai livelli dell’inaugurazione del presidente americano e del 5,5% sotto ai livelli di un anno fa; dunque contribuisce ancora a ridurre il tasso d’inflazione annuale. «Il mercato del petrolio ha un eccesso di offerta», mi ha detto Simone Tagliapietra, senior fellow del centro studi Bruegel.

I sauditi sapevano?

Qui però si apre una delle domande elencate sopra. Perché in giro non c’è solo la speranza che gli iraniani non siano così folli e suicidi da bloccare lo Stretto di Hormuz e trascinare gli Stati Uniti nel conflitto per riaprirlo. C’è anche la constatazione che l’Arabia Saudita, poco prima di questa guerra, ha fatto l’opposto di ciò che storicamente tende a fare: ha aumentato la produzione di petrolio in un mercato mondiale già ben rifornito e ha fatto così scendere i prezzi del suo stesso prodotto. In questo si è tirata dietro l’intera Opec, triplicando gli aumenti di produzione previsti in maggio e giugno.

Che cosa accadrebbe se lo stretto chiudesse?

Mohammed Bin Salman sapeva? Ha costruito un ammortizzatore per gli choc di questa guerra? Anche qui la risposta toccherà agli storici, è possibile che l’uomo forte di Riad volesse semplicemente ingraziarsi Trump prima della sua visita a metà maggio in Arabia Saudita. 

Avverte però Tagliapietra: «Il quadro può cambiare rapidamente se si arrivasse alla destabilizzazione totale di Hormuz». Lo spettro di un blocco di Hormuz non è dissipato. In quel caso l’Arabia Saudita potrebbe esportare al massimo la metà dei suoi 9 milioni di barili al giorno tramite un oleodotto verso il Mar Rosso. Ma gli Emirati (4,4 milioni di barili), il Kuwait (2,5 milioni) e l’Iraq (4,3) milioni sarebbero del tutto tagliati fuori. Rivedremmo il petrolio raddoppiare a 150 dollari al barile e oltre.

Impatto sui prezzi?

Purtroppo non è impensabile. In primo luogo gli Houthi dello Yemen, sostenuti da Teheran, hanno dimostrato di poter mantenere semichiuso lo stretto di Bab el-Mandeb dall’Oceano Indiano verso Suez malgrado più di un anno di pressione militare occidentale. La stessa amministrazione Trump ha bombardato gli Houthi per sette settimane fino a inizio maggio, fino a quando Trump stesso ha dichiarato: «Hanno capitolato». Altro esempio di declino americano. Nella prima settimana di giugno sono passate da Bab el-Mandeb appena trenta navi, come accade da più di un anno, invece delle ottanta in media di prima del blocco (gli Houthi chiedono un «dazio», o pizzo, ai mercantili per non aprire su di loro il fuoco dai promontori yemeniti).

Anche Israele può far saltare gli equilibri

Anche Hormuz ha già vissuto dei contraccolpi nella storia recente. Poco più di un anno fa l’Iran sequestrò il mercantile MSC Aries del gruppo di Gianluigi Aponte, in parte perché la moglie dell’imprenditore è israeliana. Prima ancora durante la guerra Iran-Iraq (1980-1988) e durante le due guerre del Golfo (1991 e 2003) lo stretto aveva registrato momenti di forte destabilizzazione. Del resto anche Israele potrebbe far saltare i fragili equilibri del mercato, se prendesse di mira le infrastrutture iraniane dell’energia. Sabato ha colpito una raffineria affacciata sul South Pars, il più grande giacimento di gas al mondo (in comproprietà fra Teheran a Nord e Qatar a Sud del Golfo). Ha distrutto anche dei magazzini di carburante. Erano tutti impianti per uso interno dell’Iran, non per l’export, ma l’energia è fungibile: se l’Iran ne ha persa per il proprio uso, può dover ridurre l’export. E soprattutto il mercato del gas resta più vulnerabile a questa guerra di quello del petrolio: oggi il metano in offerta è più scarso del greggio e soprattutto il Qatar è fondamentale per l’accumulo di riserve in Europa in vista prossimo inverno. Se Hormuz dovesse avere problemi, il commercio di gas liquefatto qatarino potrebbe esserne totalmente strangolato: infatti venerdì il gas europeo è rincarato ben oltre le medie mondiali.

Le due superpotenze

Chiaro, contro gli scenari peggiori su Hormuz sono schierati i due grandi spalleggiatori di Israele e Iran. 

Gli Stati Uniti non vogliono che Israele colpisca l’industria degli idrocarburi di Teheran e lo hanno reso molto chiaro. 
E la Cina, comprando (sottocosto) il 90% dell’export di greggio iraniano sotto sanzioni, sta chiedendo alla teocrazia sciita di lasciar fluire le petroliere del Golfo che alimentano la propria industria

Così anche America e Cina saranno sottoposte a un severo testo nei prossimi giorni: sono in grado di governare i loro ben più piccoli alleati o ne stanno perdendo il controllo? Nel mondo senza leader né coalizioni formali di questi anni, non è certo che Washington e Pechino riescano a imporre fino in fondo la loro volontà a Gerusalemme e Teheran.

Può allentarsi la tensione su Putin

Ciò apre la domanda più scomoda: è possibile che Vladimir Putin si avvantaggi della deflagrazione in Medio Oriente? Trump è arrivato a indicare il dittatore russo come possibile mediatore, altro sintomo del declino americano. Ma certo nel breve Putin potrebbe guardare agli eventi con e non solo perché l’attenzione internazionale sul Medio Oriente allenterà la pressione su di lui in vista di una tregua; né solo perché effettivamente il Cremlino ha qualche influenza su entrambe le parti in guerra: il 15% degli israeliani parla russo e Israele ha votato di recente alle Nazioni Unite con la Russia stessa, la Corea del Nord, l’Ungheria, la Cina, l’America di Trump e l’Iran stesso contro una condanna delle azioni di Mosca; quanto all’Iran, è la Russia ad avergli venduto l’uranio per la bomba atomica, mentre collaborazione sui droni militari è nota (ma ora i russi hanno appreso la tecnologia e hanno sviluppato una propria industria)

La fortuna di Putin

Ma il punto più importante per la Russia è un altro: grazie ai rincari di questi giorni può vendere il proprio petrolio sopra il 60 dollari al barile, la soglia alla quale l’aggressione all’Ucraina diventa finanziariamente sostenibile; ogni aumento del barile da 10 dollari porta 25 miliardi di dollari in più nel bilancio del Cremlino, secondo l’economica Alexander Kolyandr del Center for European Policy Analysis di Washington. E le forniture di energia dalla Russia diventano più importanti nel mercato globale, portando Trump a essere ancora più contrario a qualunque nuova sanzione sul greggio di Mosca. Così la guerra in Medio Oriente rischia di favorire la guerra di Putin, almeno nell’immediato.

In fondo anche questo è un sintomo sempre della stessa tendenza: il secolo americano sta lasciando posto al secolo del caos


A questo punto, avendo rimesso in ordine lo scenario internazionale, evidenziando gli elementi che sono di maggiore rilievo per chi, come Recce’d, si occupa di investimento e di gestione di portafogli modello, passiamo ad un esame più specifico, e quindi concentrato sulle economie e sui mercati finanziari.

Ci aiuterà a fare questo niente di meno che il Governatore della Banca d’Italia.

Il legame tra i fatti che Visco commenta qui sotto, ed i fatti citati invece sopra nel primo contributo di oggi dovrebbe risultare facile da individuare per tutti i nostri lettori.

Governatore Visco siamo al ritorno dei dazi. Ma cosa ha prodotto l’abbattimento delle barriere commerciali e la progressiva liberalizzazione degli scambi in tre decenni?

“Non possiamo parlare di una singola causa, ma vi è un complesso di fattori non indipendenti tra loro che spiegano lo straordinario incremento degli scambi internazionali di beni e servizi, quadruplicatisi in circa un trentennio. Temporalmente non c’è dubbio che la fine della guerra fredda e la parallela decisione cinese di aprirsi al mercato abbiano segnato una cruciale discontinuità politica rispetto alla precedente divisione in due blocchi tra loro contrapposti, con un terzo mondo sostanzialmente tagliato fuori dai commerci. L’eccezionale sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni e il drastico calo del costo dei trasporti hanno fatto emergere la possibilità di una nuova forma di divisione del lavoro e della produzione. Si sono quindi affermate ‘catene globali del valore’, cosicché un prodotto ‘finale’ è sempre più diventato il risultato di una combinazione di parti e processi distribuiti in luoghi tra loro anche molto distanti.

“Questa distribuzione è stata determinata soprattutto dalla disponibilità e convenienza relativa dei fattori di produzione: non solo lavoro e capitale, ma anche materie prime, idee e conoscenze. Con la costituzione nel 1995 dell’Organizzazione mondiale del commercio e l’applicazione tra i Paesi membri della clausola della ‘nazione più favorita’, la riduzione delle barriere normative e tariffarie è quindi diventata un obiettivo sempre più condiviso, con ampi e diffusi benefici negli scambi non solo di beni ma anche di servizi, in particolare finanziari e tecnologici. Era il 2001 quando si festeggiava l’ingresso della Cina nell’Omc”.

Secondo lei è mai avvenuta l’integrazione reale e finanziaria della Cina in un “ordine” mondiale definito secondo i valori delle economie democratiche, liberali e di mercato?

“La Cina entrò a far parte dell’Omc dopo un lungo negoziato nel quale ebbero un ruolo molto importante gli Stati Uniti sotto la presidenza di Clinton. Indubbiamente il mondo ‘occidentale’ di allora pensava che il processo di trasformazione della Cina in una economia di mercato l’avrebbe aperta nel tempo anche ai valori delle democrazie liberali. Inizialmente, però, le fu concesso di partecipare come un’economia emergente, ‘non di mercato’, con la possibilità, in particolare, di concedere alle proprie imprese ingenti aiuti e sussidi statali; questo in misura certamente maggiore e meno trasparente che nei Paesi cosiddetti avanzati. È indubbio che la Cina ha fortemente beneficiato di questo status; con una crescita eccezionale, di natura essenzialmente mercantile, fondata cioè sulle esportazioni ancor più che sulla domanda interna per consumi: il suo prodotto pro capite è oggi 14 volte superiore a quello del 1990. Nonostante sia a tutti gli effetti diventata ormai una grande potenza industriale, la Cina non ha però accettato di mettere in discussione questa favorevole condizione nell’ambito dell’Omc, in contrasto con le aspettative degli altri principali paesi.

"Nel tempo questo ha concorso ad accelerare la riduzione di occupazione manifatturiera in questi paesi, in particolare negli Stati Uniti, accentuando un trend peraltro già in atto per il progresso tecnologico. Il partito comunista cinese ha inoltre continuato a occupare un ruolo cruciale nella direzione delle imprese e nella pianificazione e nello sviluppo delle attività di innovazione e ricerca. È andata quindi crescendo, negli Stati Uniti ma anche in Europa, la percezione che accanto agli aiuti statali si sia andata affermando una concorrenza sleale, almeno inizialmente basata anche sullo spionaggio industriale e sul mancato rispetto della proprietà intellettuale”.

Siamo vicini alla “fine della globalizzazione”, almeno per come si è sviluppata dalla fine della guerra fredda a oggi?

“Va anzitutto sottolineato che nonostante i benefici della globalizzazione, e dell’eccezionale progresso tecnologico, degli ultimi decenni, sia straordinariamente mancata l’azione politica rivolta a una loro equa distribuzione (per non parlare degli effetti negativi sul clima e l’ambiente). Questo spiega anche l’atteggiamento che ampie fasce della popolazione, soprattutto ma non solo negli Stati Uniti, appaiono avere nei confronti dell’apertura dei mercati e del libero scambio. In ogni caso, già prima del cambiamento politico negli Usa, la fragilità nell’approvvigionamento di materie prime cruciali (semiconduttori, metalli, terre rare) e semilavorati emersa con la pandemia e i gravissimi conflitti cui stiamo purtroppo ancora assistendo avevano spinto nella direzione di un rientro di alcune fasi produttive (near shoring) e, sulla spinta politica americana, al loro aumento all’interno di paesi ‘amici’ o alleati (friend shoring).

"Con la nuova amministrazione Trump, la frammentazione economica è destinata ad aumentare, probabilmente non solo tra paesi avanzati e emergenti. Tuttavia, riguardo alla ‘fine della globalizzazione’ risponderei con un qualificato ‘no’. Data l’interdipendenza economica ancora esistente una drastica ridistribuzione dei luoghi di produzione appare infatti ancora difficile da attuare, e in termini economici molto costosa. Fino allo scorso anno, comunque, nonostante barriere, tariffe e sanzioni, il commercio internazionale ha continuato a vedere una Cina particolarmente attiva, anche con triangolazioni nei confronti degli Stati Uniti grazie al ruolo di intermediazione svolto da numerosi altri paesi emergenti”.

Che impatto hanno avuto gli squilibri associati all’apertura dei mercati mondiali di beni, servizi e capitali sulla bilancia dei pagamenti dei diversi Paesi?

“Nel mondo ormai c’è un solo grande debitore, gli Stati Uniti: la loro posizione patrimoniale netta – la differenza tra le attività finanziarie detenute all’estero dai residenti negli Usa e le passività finanziarie verso non residenti – è negativa per oltre 26.000 miliardi di dollari, pari al 90% del Pil.

Molti altri Paesi hanno invece attività finanziarie nette positive, anche se individualmente molto più piccole in termini assoluti; tra i Paesi creditori, le più importanti, tra i 3.000 e i 4.000 miliardi, sono quelle di Giappone, Germania e Cina. Questo è soprattutto il risultato di importazioni americane superiori ogni anno alle loro esportazioni. La somma nel tempo dei disavanzi ha quindi prodotto passività nette il cui valore è straordinariamente aumentato negli ultimi 15 anni. Infatti, pur cresciuti in termini assoluti (in particolare nei confronti della Cina che dall’inizio del secolo ha accumulato un surplus di esportazioni nette di beni pari a circa 7.000 miliardi di dollari) non sono i disavanzi commerciali ad aver determinato lo straordinario aumento relativo delle passività nette degli Stati Uniti verso l’estero”.

A cosa è dovuto, almeno dal 2011, lo straordinario aumento del valore delle passività finanziarie statunitensi?

“Questo aumento è in parte dovuto all’apprezzamento del dollaro nei confronti del complesso delle altre valute, ma soprattutto a un incremento eccezionale, superiore al 370%, dei valori azionari delle società americane (a fronte di meno del 25% dell’aumento medio in dollari delle quotazioni azionarie delle società nel resto del mondo). Se si escludono queste variazioni di valore la posizione passiva netta americana, oggi pari al 90% del Pil, è ferma al livello del 50% circa registrato nel 2010”.

È possibile un aggiustamento? Come? Con i dazi? E possono i dazi aiutare a riportare la manifattura negli Usa?

“Più che possibile un aggiustamento è necessario. Il rischio è che sia disordinato e molto costoso. I dazi sono imposte sui flussi commerciali; probabilmente determineranno un aumento dei prezzi dei prodotti importati dagli Stati Uniti. Se ne deriverà una riduzione delle importazioni di manufatti, semilavorati e materie prime non tutte potranno essere sostituite, nel tempo, dalla produzione interna, una produzione che sarà comunque più costosa e, a parità di occupazione, andrà probabilmente a scapito della stessa produzione americana per l’export. È comunque molto dubbio che si possa ottenere una riduzione dello squilibrio commerciale americano in assenza di un calo dei consumi, e questo è probabilmente il modo meno efficace e più costoso per ottenerlo.

"L’alternativa sarebbe quella di ridurre il disavanzo pubblico americano, ma le maggiori entrate dovute ai dazi (pagate in ultima istanza dai consumatori americani e forse in parte dalle imprese estere esportatrici se riusciranno a contenere i loro prezzi) sembrano essere destinate nelle intenzioni del governo a ridurre le imposte, non i trasferimenti. Continuerebbe quindi l’aumento del debito pubblico, già oggi superiore ai 36.000 miliardi di dollari (12 volte quello italiano), oltre il 120 per cento del Pil, a meno che non si abbia una drastica riduzione della spesa pubblica, ad esempio tagliando il numero dei dipendenti federali, le spese per l’istruzione e la ricerca, o quelle per l’assistenza, come da più parti si teme, anche alla luce delle più recenti azioni e dichiarazioni della nuova amministrazione”.

E il boom dei titoli azionari? Si può prevedere un loro ridimensionamento?

“Come ho detto, oltre all’apprezzamento del dollaro, lo straordinario aumento del valore delle passività finanziarie statunitensi è dovuto a una crescita senza pari dei prezzi delle azioni. Questa è stata trainata dalla performance dell’industria tecnologica statunitense, in particolare dai titoli delle maggiori società tecnologiche, le ‘Magnifiche 7’, sia negli Stati Uniti, dove rappresentano circa un terzo della capitalizzazione complessiva del mercato statunitense, sia a livello mondiale. Il loro successo è certamente il risultato dei massicci investimenti in innovazione e capitale effettuati dopo la crisi finanziaria mondiale, e riflette quella che è stata la forza dell’economia statunitense, più che la debolezza connessa con lo straordinario passivo finanziario netto nei confronti dell’estero.

"Tuttavia, l’altissimo rendimento di questi titoli riflette probabilmente anche l’aumento del loro potere di mercato e il parallelo aumento dei profitti di monopolio, risultato di una preoccupante concentrazione di conoscenze e potere economico (cui fanno riscontro analoghi sviluppi in sistemi fortemente autocratici). Questo da un lato comporta perdite di benessere sociale, dall’altro potrebbe avere conseguenze non positive nel più lungo periodo, per l’affievolirsi, in particolare, degli investimenti innovativi in connessione con l’aumento delle rendite monopolistiche. Vi è evidentemente il rischio che tutto ciò porti a una correzione del mercato azionario non graduale, e forse eccessiva”.

Si è parlato anche di una svalutazione del dollaro. Sarebbe possibile e come?

“Nella letteratura economica a un aumento dei dazi è solitamente associato un apprezzamento del cambio, come riflesso delle presumibili conseguenti maggiori aspettative d’inflazione. Se però dominassero le attese recessive, connesse anche con lo straordinario aumento dell’incertezza associato alle iniziative che il governo americano sembra oggi mettere in atto oltre che sul piano tariffario anche sul fronte interno, potrebbero derivarne conseguenze negative per il dollaro. Una correzione in questa direzione è probabilmente dovuta; la questione, anche in questo caso, è come ottenerla senza tensioni particolarmente elevate, quando non possiamo che constatare il significativo indebolimento della cooperazione internazionale, non solo sul piano commerciale ma anche su quello finanziario”.

Come si può favorire il dialogo tra i diversi sistemi, nel rispetto delle sovranità oggi esistenti, con l’unica condizione, imprescindibile, del rispetto fondamentale dei principi e dei valori fondanti della convivenza pacifica tra le nazioni?

“Il problema sta proprio nel fatto che negli ultimi anni si sono sempre più affievolite la capacità e la forza di impegnarsi in nuovi sforzi di cooperazione, necessari per elaborare risposte comuni a sfide globali, siano esse ambientali, demografiche, tecnologiche o sanitarie, oltre che per ridurre con decisione i rischi derivanti dagli squilibri commerciali e finanziari di cui abbiamo parlato. Probabilmente, anziché mirare a un ritorno a un grande disegno cooperativo, l’unica soluzione sarebbe quella di affrontare le singole questioni una alla volta, partendo dalla consapevolezza dell’esistenza di cruciali interessi comuni e globali.

"Mi pare, tuttavia, che vadano anzitutto chiariti gli obiettivi di fondo perseguiti dal presidente Trump e dalla sua amministrazione nello scacchiere internazionale, essendo sempre più evidente che più che sul piano commerciale il confronto con il resto del mondo, in primis con la Cina, sia di natura tecnologica e geopolitica, quando non militare. Ma le sfide globali, incluso il ritorno a un ordinato sistema monetario internazionale, non possono essere accantonate semplicemente rinunciando alla cooperazione e alla ricerca di soluzioni sensate e sufficientemente ampie.

“Quanto agli aspetti distributivi conseguenti sia all’apertura internazionale sia allo sviluppo tecnologico, finora in massima parte trascurati, vanno affrontati senza cedere a letture e condotte populiste e nazionaliste, non ben meditate e, non solo a lungo andare, dannose. Purtroppo, restano sullo sfondo le diverse posizioni (o “non posizioni”) sui diritti umani, freno all’apertura di un dialogo sufficientemente equilibrato e duraturo anche su temi di comune interesse. È realisticamente difficile fare passi avanti in assenza di un chiarimento definitivo, anche a questo riguardo, tra Stati Uniti, Cina ed Europa (comunque la si definisca)”.

* Intervista su temi da lui trattati nella Lezione Mario Arcelli tenuta a Piacenza lo scorso 11 aprile


Siamo arrivati al terzo ed ultimo step (per oggi) del nostro percorso: il terzo step vi aiuterà a calare le considerazioni di Visco che avete appena letto nel contesto di questi giorni, ed in particolare nel contesto dei mercati finanziari internazionali.

L'ultimo attacco di Israele all'Iran costituisce un grave shock per l'economia globale in un momento già fragile. Aumenta i rischi sia per la crescita che per l'inflazione, proprio come la flessibilità degli strumenti fiscali e monetari che possono essere impiegati in risposta è diventata limitata. La gravità degli effetti negativi dipenderà dall'entità e dalla durata dell'attacco unilaterale di Israele e dalle rappresaglie che innescherà. Ma dato il già elevato livello di incertezza, i mercati stanno reagendo negativamente. I prezzi del petrolio sono aumentati di oltre il 5%, attestandosi a circa 70 dollari al barile. Si tratta di un dato ancora inferiore ai picchi di gennaio di circa 82 dollari al barile e gli investitori saranno ansiosi di vedere come reagirà l'Opec+.

Ma i prezzi sono aumentati nelle ultime settimane, intensificando i venti di stagflazione che soffiano sull'economia globale. I mercati azionari sono scivolati, scontando un'incertezza ancora maggiore riguardo all'attività economica, con un rischio maggiore che consumatori e produttori diventino ancora più esitanti.

All'inizio di questo mese, la Banca Mondiale ha previsto un rallentamento della crescita globale al 2,3% nel 2025, quasi mezzo punto percentuale in meno rispetto al tasso previsto all'inizio dell'anno. Pur non prevedendo una recessione globale, ha avvertito che, se le previsioni per i prossimi due anni si materializzassero, la crescita globale media nei primi sette anni del 2020 sarebbe la più lenta di qualsiasi decennio dagli anni '60. E questo ipotizzando un prezzo medio del petrolio di 66 dollari al barile per il 2025 e di 61 dollari il prossimo anno, in un contesto di più ampio calo dei prezzi delle materie prime.

Le banche centrali dovranno ora intensificare la loro vigilanza sulle pressioni inflazionistiche che non sono ancora state contenute con sicurezza. Ciò rende meno probabile che vengano innescati tagli anticipati e più ampi dei tassi di interesse in risposta a qualsiasi rallentamento.

Nel frattempo, qualsiasi risposta fiscale arriverebbe in un momento di tassi di interesse ancora elevati e di grande sensibilità degli investitori a deficit e debito. I bilanci rischiano di essere ulteriormente sottoposti a pressioni derivanti da una minore riscossione delle imposte e da maggiori richieste di spesa.

Tali potenziali effetti economici e finanziari negativi sono particolarmente rilevanti per il Regno Unito. La Spending Review di questa settimana ha evidenziato non solo l'importanza della crescita economica, ma anche il rischio che le famiglie, già sotto pressione, si trovino ad affrontare una significativa possibilità di una tassazione più pesante nel bilancio di ottobre. Ciò compensa il beneficio di ulteriori tagli dei tassi della Banca d'Inghilterra, ora ancora meno certi. L'economia globale si trova anche ad affrontare il rischio di effetti indiretti negativi.

Col tempo, l'incertezza derivante da questa nuova crisi in Medio Oriente potrebbe essere vista come un'aggiunta all'attuale erosione dell'ordine economico globale guidato dagli Stati Uniti, alimentando ulteriormente le forze della frammentazione economica. Ciò, a sua volta, incoraggerà i paesi a fidarsi meno dei meccanismi collettivi di stabilità, spingendoli invece a perseguire misure per garantire una maggiore autosufficienza all'interno dei propri confini. In definitiva, l'efficienza dell'economia globale sarà compromessa.

Non passerà inosservato nemmeno il fatto che i due più importanti indici finanziari globali, i titoli del Tesoro USA e il dollaro, abbiano avuto una risposta iniziale relativamente contenuta all'attacco israeliano. Entrambi si sono ripresi leggermente, ma nessuno dei due ha registrato il tipo di "guadagni rifugio" che l'esperienza storica ci porterebbe ad aspettarci. Questo è importante anche a lungo termine.

A causa della lunga influenza degli Stati Uniti sull'economia globale e del loro lungo periodo di eccezionalismo economico, gran parte del resto del mondo è "sovrappeso" sul dollaro e sugli asset americani in generale. Più il ruolo degli Stati Uniti al centro dell'ordine globale si riduce, maggiore è l'incentivo per i paesi a ridurre questo sovrappeso. In qualunque modo lo si guardi in termini di effetti economici e finanziari, questo nuovo sviluppo in Medio Oriente è una cattiva notizia in un momento sbagliato. Ricorda alle economie e ai mercati che devono affrontare una serie di fattori politici e geopolitici sempre più instabili. E incoraggia una migrazione graduale dall'attuale architettura economica a un'altra caratterizzata da una maggiore frammentazione e da un rischio più elevato di instabilità finanziaria.

E’ importante ripetere, a questo punto, che NON è detto che noi di Recce’d condividiamo tutto ciò che viene scritto nei contributi esterni che noi vi mettiamo a disposizione.

Se siete interessati a conoscere le nostre attuali posizioni, nei portafogli modello di Recce’d, e le nostre future operazioni, previste per le prossime settimane, non avete che da contattarci attraverso la pagina CONTATTI

In conclusione del Post, arriviamo dunque ad Ernest Hemingway (citato dal nostro titolo di oggi).

Hemingway, grazie alla ben nota forza delle sue frasi, e della sua scelta delle parole, oggi può risultare ed utile per ognuno dei nostri lettori e per tutti gli investitori del Pianeta. Proprio in questo contesto, che vi è stato descritto, ed analizzato, lungo il percorso in tre step che Recce’d vi ha appena proposto.

Il romanzo di Hemingway, che citiamo qui, in Italia viene pubblicato con il titolo “Fiesta”.

Lasciamo la citazione nella lingua originale.

There’s a passage in Ernest Hemingway’s novel The Sun Also Rises in which a character named Mike is asked how he went bankrupt. “Two ways,” he answers. “Gradually, then suddenly.”

Valter Buffo
Detox. Semplicemente la normalizzazione
 

La guerra è un evento tragico, che in ognuno di noi suscita un’ampia gamma di sentimenti e pensieri, comunque orientati alla preoccupazione ed al dolore. Recce’d la settimana scorsa, nel Post che precedete questo, aveva messo in grande evidenza la geopolitica, e le ricadute della geopolitica sulla asset allocation, sulla strategia di investimento e sulla futura gestione dei vostri portafogli.

Vi invitiamo a rileggere: quelle considerazioni sulla geopolitica sono tanto più utili oggi.

In questa sede, il nostro dovere professionale è di concentrare l’attenzione sugli aspetti che riguardano le scelte di investimento, la gestione del risparmio, la strategia da mettere in pratica in seguito al nuovo vento.

Nella giornata di venerdì 13 giugno, le reazioni che tutti abbiamo visto sui mercati finanziari sono state molto moderate: al limite dell’insignificante. Una normale giornata di mercato.

Ed ovviamente anche questo è un segnale, un segnale forte.

Tra le tante, tantissime osservazioni che si potrebbero fare, in merito alla seduta del 13 giugno 2025, noi ne abbiamo scelta una: vi facciamo vedere, nel grafico che segue, il rendimento, e quindi anche il prezzo, del Titolo di Stato americano.

Ricordate l’epoca dei Titoli di Stato come beni rifugio?

I fatti del 13 giugno 2025 ci dicono con chiarezza che quell’epoca non c’è più. Anche di fronte al rischio, concreto, di un conflitto su scala mondiale, non c’è la corsa a comperare i Titoli di Stato: non il Treasury americano, non il Bund tedesco, non il BTp italiano, e neppure quello giapponese.

Nessuno, di fronte alla nuova guerra, cerca rifugio nei Titoli di Stato.

Recce’d, con la sue serie Detox che prosegue oggi, ha voluto segnale proprio questo fatto: non solo, ma fin dallo scorso mese di marzo ha presentato al proprio lettore questo tema come “il solo tema che conta”.

E conta così tanto, che neppure il rischio di una guerra mondiale lo indebolisce: rimane il tema dominante.

La crisi del debito pesa più di una guerra.

Restiamo quindi su questo tema: Detox. Il nostro suggerimento operativo, che conoscete, è di non distogliere la vostra attenzione dai fatti che determinano.

Che cosa determina i vostri risultati nel 2025? Che cosa determina i vostri rischi di perdita sul portafoglio dei vostri investimenti? E’ proprio di questo, che noi ci occupiamo nella serie Detox.

Come da sempre facciamo, noi di Recce’d utilizziamo il nostro Blog per aiutare, in modo tempestivo e concreto, tutti i nostri lettori a migliorare il risultato dei loro investimenti, ed allo stesso tempo a migliorare la comprensione di ciò che sta accadendo ai loro risparmi.

Nel Blog, come sapete, alterniamo a contributi originali anche contributi esterni, allo scopo di offrire al nostro lettore precisi riferimenti nella realtà esterna a Recce’d, oltre che originali analisi e riflessioni prodotte dal nostro team di lavoro.

In questo modo, il nostro lettore è libero: libero di fare confronti, libero di fare le proprie valutazioni, libero di fare le proprie scelte, libero sempre.

Libero ma consapevole: consapevole di ciò che sta per succedere, e consapevole delle implicazioni delle scelte già fatte: sia in termini di futuri rendimenti, sia in termini di futuri rischi di perdita.

Ma Recce’d è in grado di fare, per il proprio lettore, anche di più.

E’ in grado di fornire ai propri lettori supporti decisionali per:

  1. asset allocation

  2. strategia di investimento

  3. gestione futura del portafoglio

La serie Detox, che oggi prosegue, è il classico esempio: iniziata a marzo 2025, quando nessuno al Mondo toccava questo tema, noi vi presentammo il tema del debito come unico tema di mercato per tutto il 2025.

Oggi, a distanza di quattro mesi, il tema è finito sulla prima pagina di tutti i quotidiani, ed in Italia anche dei principali quotidiani come il Corriere della Sera e La Repubblica. Eccovi subito un esempio, dello scorso 11 giugno 2025 (due giorni prima della guerra).

Dopo che lo avrete letto, ve ne illustreremo l’utilità.


Non c’è mai stato in giro così tanto debito come oggi. E la tendenza è che non diminuirà. Tra Stati e imprese, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) ha contato qualcosa come 100mila miliardi di dollari in bond emessi.

Nel suo Global Debt Report, l’Ocse ha parlato senza mezzi termini di “prospettive difficili”, perché a differenza di due anni fa, sul mercato dei bond sono venuti meno 1) gli acquisti di titoli da parte delle Banche centrali e, in uno scenario di aumento generalizzato del debito, 2) i rendimenti sono saliti nonostante il calo dei tassi.

L’avvertimento dell’Ocse. “Questa combinazione di costi più elevati e maggiori rischi di indebitamento – scrive l’Ocse - limita la capacità di contrarre prestiti in futuro, in un momento in cui le esigenze di investimento sono più che mai elevate”.

Tutti pazzi per i bond. Tra crisi geopolitiche e transizioni in atto, mai come prima stiamo assistendo a una corsa al debito da parte di tutti i principali Paesi industrializzati.

Il caso degli Usa. Gli Stati Uniti che in dieci anni hanno visto il proprio debito esplodere da 10mila a 36mila miliardi di dollari, hanno appena varato una legge di bilancio, il “Big Beautiful Bill”, che aggiungerà almeno 5mila miliardi di debito in più per mantenere l’attuale tassazione alle imprese, nonostante il rapporto debito/Pil superi già il 120%.

Il caso Germania. Il governo tedesco, storicamente restio a contrarre prestiti e con livelli di debito molto bassi, ha in programma la riforma di un articolo della Costituzione che impone un disavanzo massimo allo 0,35% del Pil al bilancio federale perché ha bisogno di risorse aggiuntive per costruire un esercito all’avanguardia e per dare una spinta alla propria economia con un nuovo Fondo infrastrutturale.

Gli altri. Francia, Spagna e Italia, nonostante i ridotti margini di bilancio, potrebbero presto decidere di aumentare le spese di difesa per rispondere alla chiamata della Nato che vorrebbe alzarle fino al 5% del Pil.

Il Giappone, che ha un debito pari al 250% del suo Prodotto interno lordo, si è impegnato ad alleviare il peso dei dazi e a sostenere le proprie imprese. Sono necessità che si tramutano in nuove emissioni di debito.

Il primo campanello di allarme: i Gilt. Il primo alert di un mercato difficile, si è avuto sulle scadenze più lunghe quando ad aprile dopo l’annuncio dei dazi da parte di Trump, i rendimenti dei titoli a 10 e 30 anni inglesi (Gilt) sono saliti ai massimi.

L’intervento. La Banca d’Inghilterra ha fiutato il pericolo e, senza pensarci troppo, ha subito fermato le emissioni di titoli a lungo termine sostituendole con scadenze a breve. Le preoccupazioni degli investitori si sono concentrate sul debito crescente e sulla mancanza di margine di manovra fiscale del governo inglese, azzerato dall'aumento dei costi degli interessi. E il mercato ha venduto i titoli a lunga scadenza.

Il secondo campanello d’allarme: i bond nipponici. In Giappone, dove la politica monetaria ultra-accomodante ha mantenuto i rendimenti a lungo termine al di sotto dell'1% per anni, una brutale ondata di vendite li ha portati a livelli record. A maggio, sono bastate un paio di aste di titoli a 20 e 40 anni con esiti deludenti, per far schizzare i tassi.

Le obbligazioni a 20 anni che a inizio anno erano sotto il 2%, hanno registrato rendimenti sopra il 2,5% e quelle a 40 sono passate dal 2,5 al 3%.

La settimana scorsa un’asta di titoli a 30 anni ha avuto la peggiore richiesta dal 2023 a oggi, ma i rendimenti sono scesi perché il governo ha lasciato intendere che, come la Bank of England, potrebbe tagliare le prossimi emissioni di titoli a lungo termine.

Il terzo campanello di allarme: i Treasury. Anche negli Stati Uniti le aste di titoli con durate superiori ai dieci anni non stanno riscuotendo un grande successo. Il mese scorso l’ultimo collocamento di titoli ventennali ha registrato un rendimento elevato del 5,047%, circa un punto base al di sopra del livello a cui era stato scambiato prima dell’asta.

Per giovedì 12 giugno è in programma un’emissione di Treasury trentennali, i cui rendimenti sono appena sotto il 5% e in linea con il 2007, un’asta che potrebbe confermare il trend in corso.

Perché non si comprano le lunghe scadenze. Oltre all’ansia per l’indebitamento eccessivo dei Paesi che emettono titoli e al venire meno degli acquisti delle banche centrali, su queste scadenze stanno incidendo anche le nuove strategie dei fondi pensioni e assicurativi.

Nel Regno Unito, i fondi pensione aziendali non stanno più offrendo linee garantite, per le quali utilizzavano titoli a lunga scadenza, ma dirottano i nuovi iscritti verso altri tipi di investimento, utilizzando hedge fund, più propensi a costruire prodotti che utilizzano obbligazioni a breve termine.

Un effetto simile si sta verificando in Giappone, dove la generazione dei baby boomers del dopoguerra sta invecchiando e non ha più bisogno dello stesso livello di debito a lungo termine per i propri piani di accumulo.

La sfiducia di BlackRock... Tra i grandi player critici spicca la posizione del gigante degli investimenti BlackRock che è tra gli investitori che più diffidano dei titoli di Stato a lungo termine emessi dai governi dei mercati sviluppati ed è particolarmente cauto nei confronti degli Stati Uniti, gravati da un deficit enorme e in crescita.

… e di Dimon. Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan e guru della finanza che ha passato indenne tutte le utlime crisi, ha dichiarato che il debito pubblico statunitense è un “problema serio” che potrebbe creare un “periodo difficile” per il mercato obbligazionario, causando un ampliamento degli spread.

Oggi il differenziale di rendimento tra i titoli del Tesoro USA a 2 anni e quelli a 30 anni ha raggiunto circa un punto percentuale, il livello più alto degli ultimi tre anni, con un aumento simile anche altrove.

Al momento non esiste una corsa alla vendita di titoli del debito e i temuti bond vigilantes non sono entrati in azione.

Chi sono i bond vigilantes. Il termine, coniato negli anni '80, definisce gli investitori obbligazionari che cercano di imporre una disciplina fiscale ai governi ritenuti spendaccioni, facendo aumentare i costi di finanziamento.

Contro Clinton. L’ultima volta che i bond vigilantes sono intervenuti nel mercato Usa è stato nel 1993, durante il primo mandato di Bill Clinton. Le basse tasse e le elevate spese per la difesa nel decennio precedente avevano contribuito a raddoppiare il debito degli Stati Uniti in percentuale del prodotto interno lordo.

L’aumento dei rendimenti dei Treasury costrinse Clinton a prendere una decisione impopolare come l’aumento delle tasse e il taglio della spesa per salvare il bilancio.

Trump sotto osservazione. Ora con l’avvento di Trump e delle sue politiche fiscali i bond vigilantes sono di nuovo in allerta, ma si tratta di un’allerta sul debito mondiale, come segnalato dall’Ocse.

La corazza degli Stati Uniti. Gli esperti ritengono che gli Stati Uniti godano di una certa copertura, grazie allo status del dollaro come valuta di riserva globale e alla ormai consolidata capacità della Fed di intervenire sui mercati in momenti di crisi, il che significa che ci saranno sempre acquirenti del debito statunitense.

La debolezza degli altri. Altre nazioni, invece, potrebbero essere esposte a rischi più immediati, anche per i timori che le politiche commerciali di Trump possano frenare la loro crescita.

Il Liz Truss moment. Alcune delle maggiori economie europee, come la Gran Bretagna, hanno già subito pressioni sui mercati obbligazionari. L'allarme per i tagli fiscali non finanziati nel bilancio del Regno Unito, volti a stimolare la crescita economica, ha sconvolto i mercati del debito britannico nell'autunno del 2022.

I Gilt incassarono la più grande flessione giornaliera degli ultimi decenni e la sterlina scese ai minimi storici, costringendo la Banca d'Inghilterra a intervenire.

La premier britannica Liz Truss non solo rinunciò alla sua pro...osta di tagli, ma, eletta il 6 settembre, si dovette dimettere il 25 ottobre, segnando il record negativo di permanenza a Downing Street.

I candidati. Secondo gli analisti, è probabile che l’aumento delle vendite di debito a lungo termine continui e si possano di nuovo creare le condizioni per un incidente. Secondo Peder Beck-Friis, economista presso il gigante obbligazionario Pimco, “in una manciata di Paesi, il debito è sostenibile ma vulnerabile a nuovi shock” e ne cita due: il Regno Unito e l’Italia.

Il precedente. Il nostro Paese si trovò in questa situazione nel 2011, quando il governo Berlusconi, di fronte all’impennarsi dei rendimenti dei titoli di Stato (il Btp a dieci anni arrivò a rendere il 7%) fu costretto a dimettersi per lasciar posto all’austerity di Mario Monti.

Nel 2011 toccò ai Piigs… Allora l’attacco dei bond vigilantes fu mosso contro i Piigs, le economie europee più deboli, ovvero Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna e solo l’intervento della Bce e del Fondo monetario riuscì a sedare i mercati.

… oggi ai Big mondiali. Oggi invece, sono più a rischio le grandi economie, compresa la Francia, i cui rendimenti obbligazionari sono saliti ai massimi e a dicembre scorso è stata declassata da Moody’s dopo non esser riuscita ad approvare la legge di bilancio

Come detto sopra, quello che avete appena letto è un articolo della stampa nazionale datato 11 giugno 2025.

Il nostro contributo, concreto, puntuale e qualitativo, alle decisioni del nostro lettore, parte proprio da qui. Da questo articolo del quotidiano La Repubblica.

Noi ora evidenziamo i punti mancanti. Ed i punti da enfatizzare.

Ma soprattutto, noi di Recce’d vi spieghiamo come utilizzare queste informazioni per valutare il portafoglio titoli oggi.

E come muoversi nelle prossime settimane per cogliere le occasioni che proprio questo articolo mette in evidenza per i lettori.

Ecco dove arriviamo noi di Recce’d. Pronti e disponibili per rispondere a queste domande.

E ad altre domande.

A questo scopo, vi proponiamo procedere leggendo un secondo contributo, che arriva dal Financial Times. Questo secondo articolo è una semplice ricapitolazione alla metà di giugno. Semplicemente rimette in ordine le cose. Rispetto al precedente, questo articolo è utile perché

  1. offre una ricostruzione più completa; ed anche

  2. vi illumina alcuni dei rapporti causa - effetto

  3. ed in questo modo, aiuta voi lettori a comprendere, a capire, ad essere consapevoli nelle vostre scelte di investimento

Vi invitiamo quindi a leggere con molta attenzione, e poi fare il confronto.

Le aste di titoli di Stato sono solitamente così di routine da suscitare scarsa attenzione. Ma la vendita di titoli di Stato ventennali da parte del Giappone il mese scorso è stata un'eccezione. Mentre le agenzie di stampa finanziarie diffondevano i risultati disastrosi in tutto il mondo, i prezzi dei titoli di Stato giapponesi a più lunga scadenza sono crollati drasticamente, facendo salire i rendimenti e i costi di finanziamento. Anche un'asta di titoli di Stato statunitensi a 20 anni il giorno successivo ha suscitato una tiepida risposta.

La grande attenzione ai dettagli più minuti delle aste di titoli di Stato e i rendimenti più elevati sui titoli di Stato a più lunga scadenza sono sintomi della stessa cosa: un calo dell'interesse degli investitori per tali strumenti proprio nel momento in cui molti ministeri delle finanze stanno pianificando livelli record di emissione e mentre l'economia mondiale entra in una nuova era incerta. Per la prima volta in quasi una generazione, i governi stanno iniziando a incontrare la resistenza del mercato quando cercano di vendere titoli di Stato a lungo termine.

"È un classico problema di squilibrio tra domanda e offerta, ma su scala globale", afferma Amanda Stitt, specialista del reddito fisso presso il gestore patrimoniale da 1,6 trilioni di dollari T Rowe Price. "L'era dei finanziamenti a basso costo e a lungo termine è finita e ora i governi si stanno accalcando in una stanza affollata di venditori". La reticenza di alcuni investitori ha portato i costi di indebitamento del governo a 30 anni in paesi come Regno Unito, Giappone e Stati Uniti ai massimi da decenni o quasi, e ha spostato la questione della sostenibilità del debito in cima all'agenda politica. In molti paesi, il crescente costo del servizio degli interessi sul debito minaccia di ridurre la spesa pubblica in altri settori. L'aumento dell'offerta, dovuto sia all'aumento dei prestiti governativi, sia alla vendita da parte delle banche centrali delle obbligazioni acquistate in seguito alla crisi finanziaria e alla pandemia di Covid-19, si sta scontrando con un calo della domanda da parte di alcuni acquirenti tradizionali come i fondi pensione e le compagnie di assicurazione sulla vita.


Gli esercenti indebitati rischiano di diventare più vulnerabili alla resistenza degli investitori obbligazionari. Le schermaglie sulla politica commerciale degli Stati Uniti quest'anno e la famigerata crisi dei gilt del 2022 che ha seguito il "mini" bilancio del Regno Unito sono un indicatore di ciò che accadrà se le finanze pubbliche non verranno inasprite, avvertono i veterani degli investimenti. Le ramificazioni, sia per come vengono gestite le economie sia per le prospettive per il settore aziendale, potrebbero essere significative e diffuse. "Il mercato obbligazionario non è mai stato così potente, perché non abbiamo mai avuto così tanto debito", afferma Ed Yardeni, l'economista che ha coniato il termine "bond vigilantes" negli anni '80 per descrivere gli investitori le cui attività hanno spinto i governi a rafforzare le finanze pubbliche. "Dobbiamo guardare al [problema del debito] a livello globale ora", aggiunge, citando l'aumento dei costi di indebitamento nel Regno Unito, in Giappone e altrove. "Il rischio è: i bond vigilantes di tutto il mondo si uniscano".

Nel cuore dell'economia globale, i rendimenti a lungo termine del mercato dei titoli del Tesoro USA da 29.000 miliardi di dollari hanno superato il 5% nelle ultime settimane, vicini ai livelli raggiunti nel 2023 – quando gli investitori temevano che i tassi di interesse avrebbero dovuto rimanere più alti per più tempo per contenere l'inflazione – e prima ancora ai massimi dalla crisi finanziaria. Questo accade proprio mentre un disegno di legge su tasse e spesa che potrebbe aggiungere oltre 2.000 miliardi di dollari al debito americano sta attraversando il Congresso, e mentre continuano le ricadute dell'imposizione di dazi sui partner commerciali del presidente Donald Trump. Alcune delle figure di spicco di Wall Street hanno lanciato l'allarme sulla situazione fiscale del Paese.

  1. Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan Chase, ha avvertito la scorsa settimana che l'aumento del debito potrebbe "crackare" il mercato dei titoli del Tesoro, spingendo il segretario al Tesoro Scott Bessent a rassicurare sul fatto che gli Stati Uniti "non saranno mai inadempienti" rispetto ai propri obblighi.

  2. Il segretario al Tesoro Scott Bessent, a sinistra, ha cercato di placare il nervosismo del mercato in seguito agli annunci sui dazi e alle critiche della Casa Bianca al presidente della Federal Reserve Jay Powell

  3. Giovedì, l'amministratore delegato di BlackRock Larry Fink ha affermato che se l'economia continua a crescere a un ritmo intorno al 2%, "i deficit travolgeranno questo Paese", mentre il fondatore di Citadel Ken Griffin ha affermato che è "semplicemente irresponsabile dal punto di vista fiscale" registrare deficit del 6 o 7% del PIL in condizioni di piena occupazione.

  4. Elon Musk, il miliardario della tecnologia che fino a poco tempo fa era una presenza fissa alla Casa Bianca di Trump, ha descritto il disegno di legge come un "abominio disgustoso" e ha affermato che il Congresso stava "facendo fallire l'America".

L'anno scorso, l'onere del debito francese è stato descritto come una "spada di Damocle" dall'allora primo ministro Michel Barnier.

Si prevede che la terza economia europea spenderà 62 miliardi di euro in interessi sul debito quest’anno, all’incirca l’equivalente della spesa combinata per difesa e istruzione, escluse le pensioni. Nel Regno Unito, i costi di indebitamento del governo a 30 anni hanno raggiunto quest’anno i livelli più alti dal 1998, tra le preoccupazioni degli investitori per la crescente massa di debito e la mancanza di margine di manovra dei ministri rispetto alle loro regole fiscali autoimposte.

Anche la Germania, un paese storicamente reticente al prestito con livelli di debito molto più bassi, sta pianificando di aumentare l'emissione di Bund. In Giappone, dove la politica monetaria estremamente accomodante della banca centrale ha mantenuto i rendimenti a lunga scadenza al di sotto dell'1% per anni, una brutale svendita li ha portati a massimi storici. Il rendimento trentennale dei titoli di Stato giapponesi si aggira intorno al 3%.

I ministri delle finanze hanno alcune leve da utilizzare. Alcuni sono passati a una maggiore emissione di debito a breve termine, dove i rendimenti sono più una funzione dei tassi di interesse e meno delle dinamiche di offerta e inflazione. Le banche centrali potrebbero anche sospendere la liquidazione delle partecipazioni obbligazionarie accumulate a seguito di crisi. Ma a meno di un forte aumento della crescita, ridurre la spesa incontrollata è l'unica soluzione duratura, affermano i gestori di fondi. Craig Inches, responsabile tassi e liquidità di Royal London Asset Management, afferma che l'eccessivo indebitamento è la causa principale dell'indigestione nei mercati del debito a lungo termine, costringendo a decisioni difficili sui tagli ai costi. “La domanda è: i governi hanno lo stomaco per farlo?”

I costi di indebitamento sono aumentati in modo esponenziale sin dalla pandemia di Covid, con l’aumento dell’inflazione e la riduzione degli acquisti da parte delle banche centrali. Ma le recenti vendite si sono fatte sentire soprattutto sul debito a lungo termine, dove i prezzi sono scesi più rapidamente e i rendimenti sono aumentati più che sulle obbligazioni a breve termine. Il divario di rendimento tra i titoli del Tesoro USA a due e trent’anni ha raggiunto circa un punto percentuale, il livello più alto degli ultimi tre anni, con un’inclinazione simile altrove. Molti grandi gestori di fondi scommettono sul fatto che le cosiddette curve dei rendimenti, che mostrano il costo del denaro in prestito a diverse scadenze obbligazionarie, continueranno ad inclinarsi. Questo è un problema per i governi, che emettono debito a diverse scadenze non solo per soddisfare le esigenze dei diversi investitori, ma anche per distribuire i propri rifinanziamenti e ridurre la propria esposizione alle oscillazioni dei tassi di interesse di mercato.

Nonostante tali strategie di gestione, i costi degli interessi sul debito pubblico per il gruppo di nazioni ricche dell’OCSE hanno già raggiunto il livello più alto almeno dal 2007. In molti casi, la spesa per gli interessi sul debito supera i bilanci dei grandi dipartimenti governativi come la difesa o l’istruzione. Le banche centrali nella maggior parte delle grandi economie sono ancora sulla strada del taglio dei tassi di interesse, il che ha mantenuto i tassi a breve termine relativamente ben vincolati. Ma hanno meno influenza sui costi di indebitamento a lungo termine. In questo caso, le aspettative degli investitori sull’inflazione – che possono eviscerare i rendimenti fissi offerti dalle obbligazioni – e le preoccupazioni per l’eccesso di offerta sono anch’esse cruciali. Le misure del cosiddetto premio a termine, una misura teorica della parte del tasso di interesse a lungo termine che compensa gli investitori per questa incertezza, sono in aumento. La maggior parte degli analisti ritiene che i tassi di interesse a lungo termine continueranno a salire, aiutati dalle scommesse “steepener” degli investitori.

I prezzi dei titoli di Stato fungono anche da parametro di riferimento per i costi di indebitamento delle aziende, quindi un problema più profondo nella parte a lungo termine della curva si riverserà anche sui costi di indebitamento delle aziende. Il governatore della Banca del Giappone, Kazuo Ueda, arriva a una riunione di definizione delle politiche a Tokyo il mese scorso. I rendimenti dei titoli di Stato giapponesi hanno raggiunto massimi storici dopo le vendite delle ultime settimane © Kyodo/Reuters "Più alti sono quei tassi e minore è il controllo che le banche centrali hanno sul lungo termine, maggiore è la pressione che ciò esercita sul settore privato", afferma Mike Scott, responsabile dell'high yield globale di Man Group.

I dubbi sulla domanda di debito sovrano a lungo termine sono stati esacerbati dall'esodo di alcuni degli acquirenti più affidabili di questi titoli di Stato. Nel Regno Unito, i tradizionali fondi pensione aziendali a "beneficio definito" hanno per lo più chiuso i battenti e i loro iscritti esistenti stanno invecchiando, il che significa che hanno meno bisogno di debito a lungo termine. Il loro posto nel mercato dei gilt viene sempre più preso dagli hedge fund che desiderano obbligazioni a breve termine.

Un effetto simile si sta verificando in Giappone, dove la generazione del baby boom del dopoguerra sta invecchiando e non ha più bisogno dello stesso livello di titoli di debito a lungo termine, affermano gli analisti. Ciò si è combinato con una ripresa dell'inflazione, alimentando una svendita che ha portato i rendimenti dei titoli di Stato giapponesi a massimi storici nelle ultime settimane. Una delle scommesse più affidabili nel mercato obbligazionario globale a lungo termine sta svanendo. "I governi di tutto il mondo sviluppato stanno emettendo più debito sul mercato, proprio mentre la loro ancora, i JGB, si sta slegando", afferma James Novotny, gestore degli investimenti di Jupiter Asset Management.

I ministri delle finanze e i gestori del debito hanno cercato di attenuare il colpo derivante dall'aumento dei costi di indebitamento del mercato. Il Debt Management Office del Regno Unito ha intrapreso quest'anno una riduzione delle vendite di debito a lungo termine, con il suo amministratore delegato che ha citato il "calo della forza" della domanda di debito a più lunga scadenza e la necessità di mantenere il rapporto qualità-prezzo per il contribuente. In Giappone, il governo ha innescato speculazioni sul fatto che avrebbe fatto una mossa simile quando ha sondato il mercato il mese scorso sui suoi piani di emissione.

"I governi di tutto il mondo sviluppato stanno emettendo più debito sul mercato, proprio mentre la loro ancora, i JGB, si sgancia", afferma James Novotny, gestore degli investimenti di Jupiter Asset Management. I ministri delle finanze e i gestori del debito hanno cercato di attutire il colpo derivante dall'aumento dei costi di indebitamento del mercato. Quest'anno, il Debt Management Office del Regno Unito ha deciso di ridurre le vendite di debito a lungo termine, con il suo amministratore delegato che ha citato il "calo della forza" della domanda di debito a più lunga scadenza e la necessità di mantenere il rapporto qualità-prezzo per il contribuente. In Giappone, il governo ha innescato speculazioni sul fatto che avrebbe fatto una mossa simile quando ha sondato il mercato il mese scorso sui suoi piani di emissione.

Ci sono precedenti per azioni più forti: nel 2001, gli Stati Uniti hanno sospeso completamente le vendite di debito trentennale. E negli Stati Uniti, nonostante le ripetute critiche di Bessent alla sua predecessora Janet Yellen per aver fatto più affidamento sull'emissione di debito a breve termine, ha affermato che qualsiasi mossa per "ridurre" le scadenze del debito sarebbe "dipendente dal percorso" e ha suggerito invece che potrebbe aumentare i suoi riacquisti di debito più vecchio. La quantità di margine di manovra di cui dispongono i paesi dipende dal profilo delle loro scadenze esistenti. Il Regno Unito si trova in una posizione relativamente sana, dato che la scadenza media del suo stock di debito è di 14 anni.

Ma alcuni investitori avvertono che l'accorciamento delle scadenze del debito rende i paesi più suscettibili ai rischi di rifinanziamento, una caratteristica più familiare nei mercati emergenti. "[Ciò] non risolverà il problema di domanda di fondo, limitandosi a spingerlo verso il basso lungo la curva", afferma Stitt di T Rowe. Esistono altri strumenti. Le banche centrali potrebbero anche interrompere o ridurre le loro vendite di debito sovrano accumulate durante i precedenti programmi di emergenza, il cosiddetto quantitative tightening per smantellare il quantitative easing. Andrew Bailey, governatore della Banca d'Inghilterra, partecipa a una conferenza stampa a Londra. Molti considerano il "mini" bilancio del Regno Unito nel 2022 un segnale di ciò che accadrà se le finanze pubbliche non verranno inasprite Moyeen Islam di Barclays ha sostenuto in una nota recente che c'era "un merito significativo in una pausa nelle vendite attive" da parte della Banca d'Inghilterra, affermando che potrebbe contribuire a risollevare i gilt e avere "significative conseguenze positive per le prospettive di bilancio". La banca dovrebbe annunciare a settembre quanto venderà sul mercato nel prossimo anno come parte del proprio QT, sebbene in una lettera al Tesoro il mese scorso, il governatore della BoE Andrew Bailey abbia affermato che non c'erano "prove che le vendite di gilt abbiano avuto un impatto negativo sul funzionamento del mercato attraverso una serie di misure dei mercati finanziari".

Le banche centrali sono consapevoli anche dell'effetto della svendita del debito a lungo termine sulla politica monetaria. Catherine Mann, membro del comitato per la definizione dei tassi della BoE, ha affermato in un recente discorso che è "importante per un responsabile della politica monetaria considerare le interazioni tra il QT e le decisioni sui tassi di interesse, soprattutto in un momento in cui questi due strumenti agiscono in direzioni diverse". Gli effetti del QT sul restringimento delle condizioni finanziarie "non possono essere perfettamente compensati" dai tagli dei tassi di interesse, ha avvertito, e "la combinazione di strumenti e dei loro effetti macroeconomici deve essere attentamente considerata".

L'andamento delle finanze pubbliche degli Stati Uniti, il maggiore debitore al mondo, sarà cruciale per stabilire se il mondo riuscirà a superare l'eccesso di debito a lungo termine. Il Congressional Budget Office ha affermato mercoledì che il "grande e bellissimo disegno di legge" autoproclamato di Trump estenderebbe il deficit di bilancio e aggiungerebbe 2,4 trilioni di dollari al debito pubblico entro il 2034. Agli Stati Uniti è stata a lungo concessa maggiore flessibilità rispetto ad altri paesi nelle sue finanze pubbliche, dato il ruolo centrale del dollaro nel commercio e nella finanza globali e lo status dei titoli del Tesoro come attività di riserva mondiale. Hemingway descrisse il percorso verso l'insolvenza come "gradualmente, poi improvvisamente". È probabile che gli Stati Uniti rimangano nella parte "gradualmente"... molto probabilmente per sempre. Ma gli analisti hanno avvertito sempre più che un aumento delle vendite di debito a lungo termine del paese, proprio mentre gli investitori globali stanno mostrando segni di diversificazione dagli asset in dollari, potrebbe creare le condizioni per un incidente. Gli Stati Uniti hanno perso il loro ultimo rating di credito AAA a maggio, quando Moody's ha avvertito del deterioramento delle dinamiche del debito.

L'ansia è già alta sul mercato dopo la svendita della guerra commerciale di aprile e le bordate di Trump contro Jay Powell, presidente della Federal Reserve, che hanno destabilizzato la fiducia dei grandi investitori nell'indipendenza della Fed e le implicazioni per il controllo dell'inflazione a lungo termine. Il disegno di legge sta "gettando un po' più di benzina sul fuoco" ai problemi del debito statunitense, afferma April LaRusse, responsabile degli specialisti di investimento presso Insight Investment, un grande investitore a reddito fisso. “Sembra piuttosto negativo” in termini di impatto sul deficit, aggiunge, “anche se si fanno alcune ipotesi ragionevoli” sulle entrate che i dazi potrebbero portare. Una preoccupazione è che il deterioramento delle dinamiche del debito in alcuni paesi li rende meno resilienti a future sorprese o cattive scelte politiche.

In una manciata di paesi, il debito è sostenibile ma vulnerabile a nuovi shock", afferma Peder Beck-Friis, economista del colosso obbligazionario Pimco. Cita il Regno Unito e l'Italia come esempi. In altri, come gli Stati Uniti e la Francia - che hanno avuto un bilancio in pareggio l'ultima volta nel 1974 - il debito sembra essere "molto insostenibile con l'attuale percorso" senza un certo grado di consolidamento, sostiene. Container a Long Beach, California. Il ruolo centrale del dollaro nel commercio e nella finanza globali ha da tempo concesso agli Stati Uniti una maggiore flessibilità rispetto ad altre nazioni sul loro debito pubblico © Kyle Grillot/Bloomberg Altri credono che gli Stati Uniti e altre nazioni siano sull'orlo di una crisi di sostenibilità del debito. L'investitore veterano Ray Dalio ha messo in guardia da una "spirale mortale" in cui i costi di prestito sono costretti a salire in un ciclo che si autoavvera.

Ma la maggior parte degli investitori pensa che gli Stati Uniti possano sfuggire a questa trappola, in parte grazie alla pressione del mercato obbligazionario. "Hemingway ha descritto il percorso verso l'insolvenza come 'gradualmente, poi improvvisamente'", ha scritto Steve Englander della Standard Chartered in una nota recente. "Gli Stati Uniti, a nostro avviso, probabilmente rimarranno dalla parte del 'gradualmente' per un periodo prolungato, molto probabilmente per sempre". Un'altra opzione è che i paesi erodano il valore reale del loro debito tollerando un livello di inflazione più elevato di quello che avrebbero altrimenti avuto. "Un default effettivo attraverso il rischio di inflazione potrebbe diventare un rischio materiale", avverte Englander.

Il pericolo è che la spesa pubblica e la necessità di mantenere ordinati i mercati del debito diventino una forza dominante per la politica monetaria, piuttosto che altri fattori come la crescita economica o l'inflazione. "Ciò che mi preoccupa davvero è che si finisca nella storia della dominanza fiscale", afferma Bill Campbell, gestore di fondi di DoubleLine Capital, dove l'aumento del debito pubblico e della spesa "spiazzano" gli investimenti privati. Ciò, avverte, potrebbe portare a una "traiettoria di crescita permanentemente più lenta, a un malessere a lungo termine dovuto a una crescita inferiore e a un enorme debito eccessivo". Per molti investitori, gli effetti negativi economici del lungo accumulo di debito sovrano sono una preoccupazione maggiore della più remota possibilità di un crollo dei titoli di Stato in una grande economia.

"Non è il nostro scenario di base quello di un'esplosione del debito", afferma Jamie Patton, gestore di fondi obbligazionari presso la società di investimento statunitense TCW. "[Ma] come contribuente e cittadino statunitense, sono profondamente preoccupato", aggiunge, descrivendo un Congresso che ha progressivamente "minore capacità" di prendere decisioni in materia di tasse e spesa. "Abbiamo un grosso problema tra le mani".

Ci sarà una via d’uscita? Sicuramente sì, c’è sempre una via di uscita. Ottimismo, ottimismo!

Ma … diventa importante il come.

Come se ne esce? Meglio ancora: a chi verrà chiesto di pagare? Chi pagherà il conto di questi squilibri, di scelte politiche azzardate e (alla prova dei fatti) fallimentari?

Qualcuno di voi (molti, forse la maggioranza) ancora pensano, sperano e sognano in un intervento salvifico, in una Mano Santa che cala dall’alto: quella delle Banche Centrali. Così che, alla fine della fiera … nessuno debba pagare nulla.

Non succederà: le cose non andranno così, semplicemente perché … è impossibile. Non si può rinviare sempre di saldare i conti in sospeso al ristorante, al bar, in gastronomia, in albergo.

E’ impossibile rinviare in eterno: e questa volta, a qualcuno toccherà di pagare come ha detto questa settimana Jeff Gundlach: “è il momento della resa dei conti”. E potreste essere voi, a pagare: proprio voi, che state leggendo questo Post.

Questo concetto lo sviluppiamo nel dettaglio grazie al contributo che potete leggere, tradotto per voi, qui si seguito.

Perché questo punto è particolarmente rilevante?

Lo avete già letto nel titolo del nostro Post: le Banche Centrali non ci “salveranno” perché tutto il periodo dal 2012 al 2022 è stata una (enorme) aberrazione, una clamorosa anomalia, una grave distorsione del sistema.

Dal 2022 si è avviata una Nuova Era, c’è stato un Cambio di Paradigma (come vi avevamo anticipato fin dal 2023), ed ora siamo in piena normalizzazione. Proprio come dice il nostro titolo di oggi.

Lasciandovi alla lettura di questo importante contributo, vogliamo ritornare rapidamente al tema della guerra. E vogliamo chiarire al nostro lettore che eventi tragici e luttuosi come la guerra non sono del tutto disgiunti dagli squilibri, e dalle fortissime tensioni, che osserviamo in ambito economico. Oggi, più che nel passato, la guerra è la manifestazione della impossibilità di risolvere gli squilibri in modo pacifico. E l’impossibilità di risolvere attraverso la mediazione deriva proprio dai limitati spazi di manovra. Come Recce’d ha scritto, in numerose occasioni, non ci sono più soldi: la tensione si accumula, e poi si sfoga anche nella guerra, oppure nei tumulti della California.


Giovedì scorso, tagliando i tassi al 2%, la Banca Centrale Europea ha dichiarato di essere in una "buona posizione" per affrontare le incerte condizioni che la attendono nei mesi a venire. Donald Trump si è poi lamentato del fatto che la Federal Reserve non fosse ben posizionata per gestire qualsiasi capriccio politico gli piacesse. La Fed ignorerà la sua ultima lamentela. Molto più difficile da ignorare è stato il forte aumento dei rendimenti obbligazionari a lungo termine in molte economie avanzate. I rendimenti hanno raggiunto i massimi da decenni in Giappone e nel Regno Unito. I governi statunitense e giapponese hanno talvolta faticato a vendere debito a lungo termine. E mentre i rendimenti obbligazionari statunitensi sono aumentati, il dollaro è sceso, suggerendo una certa resistenza degli investitori agli asset statunitensi. Grafici allarmanti come quelli qui sotto si possono trovare in numerosi articoli e note degli analisti.

Queste variazioni dei costi di indebitamento del governo riflettono forse il "One Big Beautiful Bill Act", dal nome ironico, approvato dalla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti? Sta spaventando gli investitori così come l'ex consigliere del governo Elon Musk? Il debito di altri Paesi è forse contaminato dal rischio di contagio proveniente dagli Stati Uniti, dove la politica fiscale sta deragliando? Si tratta semplicemente di una normalizzazione dopo un periodo anomalo di rendimenti insolitamente bassi dei titoli di Stato?

Nessuno può ancora essere sicuro delle risposte. Ragionare in base alle variazioni di prezzo è sempre pericoloso.

Quindi, porrò una domanda più semplice: cosa dovrebbero fare le banche centrali per quanto riguarda l'aumento dei rendimenti dei titoli di Stato a lungo termine, se mai lo faranno? Avanti, cosa?

L'aggettivo "se mai lo faranno" è importante perché il principale strumento di politica monetaria delle banche centrali è il tasso di interesse a breve termine, la cui influenza diminuisce con l'allungarsi dell'orizzonte temporale.

Naturalmente, il quantitative easing è stato progettato per abbassare i tassi di interesse a lungo termine creando moneta e aumentando la domanda di titoli di Stato a più lunga scadenza, quindi gli effetti netti delle politiche di bilancio delle banche centrali sono importanti. Tuttavia, il ragionamento di base dovrebbe essere che la domanda degli investitori governi il segmento a lungo termine della curva dei rendimenti dei titoli di Stato, mentre la politica monetaria controlla il segmento a breve termine. Le oscillazioni dei rendimenti dei titoli di Stato a lungo termine ci forniscono informazioni importanti sul sentiment degli investitori, e ci comportiamo in modo scorretto a nostro rischio e pericolo, a meno che non ci troviamo in una crisi economica.

Ci sono tuttavia motivi per cui una banca centrale con un obiettivo di inflazione dovrebbe essere coinvolta e preoccupata dagli aumenti dei rendimenti dei titoli di Stato a lunga scadenza. Il principale sarebbe se la reticenza degli investitori suggerisse una mancanza di fiducia nella capacità delle banche centrali di controllare l'inflazione. Possiamo esaminare questo aspetto osservando la differenza tra i rendimenti nominali dei titoli di Stato e quelli dei titoli indicizzati all'inflazione della stessa durata, che mostra le aspettative di mercato sull'inflazione futura su diversi orizzonti temporali. Il grafico seguente mostra questi break-even di inflazione per Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia e Giappone, e chiaramente per il momento non vi è alcun problema.

Il grafico ci dice che gli investitori non temono attualmente che l'inflazione diventi il ​​meccanismo di default utilizzato dai governi per erodere il proprio debito. Nei prezzi questo non si vede. Per ora.

I livelli di inflazione attesi variano da paese a paese, ma questo è principalmente il risultato di un divario tra l'indice dei prezzi utilizzato nelle obbligazioni indicizzate all'inflazione e la misura presa di mira dalle banche centrali. Fortunatamente, possiamo quindi ignorare l'argomentazione secondo cui le banche centrali avrebbero perso credibilità come causa della recente variazione dei rendimenti.

Una seconda preoccupazione che probabilmente possiamo anche accantonare è che i rendimenti obbligazionari a lungo termine stanno aumentando a causa del contagio dagli Stati Uniti. La correlazione tra i rendimenti obbligazionari nei diversi paesi non è così stretta. I rendimenti dei Bund tedeschi a lungo termine, ad esempio, sono aumentati a marzo, quando l'Unione Cristiano-Democratica di Friedrich Merz ha dichiarato la vittoria alle elezioni federali e gli investitori hanno previsto forti aumenti della spesa per la difesa e le infrastrutture. I rendimenti giapponesi sono aumentati perché le compagnie di assicurazione sulla vita hanno smesso di acquistare obbligazioni a lungo termine dopo aver soddisfatto le norme di solvibilità nazionali. Come mostra il grafico sottostante, la correlazione tra i movimenti dei rendimenti obbligazionari è stata tutt'altro che perfetta sia a breve che a lungo termine.

Dall'insediamento di Trump, i rendimenti obbligazionari sono rimasti invariati o in calo in Europa e negli Stati Uniti fino all'orizzonte decennale, mentre sono aumentati in Giappone, riflettendo principalmente le variazioni previste dei tassi di interesse. Sono aumentati ovunque sull'orizzonte trentennale, ma le variazioni sono oggettivamente contenute. Osservare le variazioni dal "giorno della liberazione": gli Stati Uniti rappresentano un'eccezione naturale, con aumenti dei rendimenti su tutte le scadenze.

I rendimenti trentennali dell'Eurozona sono diminuiti. Nessuno dovrebbe parlare con sicurezza delle ricadute dagli Stati Uniti. Le banche centrali non dovrebbero usare questo come giustificazione per i tagli dei tassi. Una terza ragione per cui le banche centrali dovrebbero intervenire sarebbe allentare le condizioni finanziarie che potrebbero essersi inasprite con l'aumento dei rendimenti delle obbligazioni a lungo termine. Attenzione. Le condizioni finanziarie statunitensi, misurate dalla Fed di Chicago, si sono inasprite dopo il "giorno della liberazione", ma da allora si sono allentate. La presidente della BCE Christine Lagarde ha dichiarato giovedì scorso che si erano allentate in modo analogo in Europa, generando prezzi azionari più elevati, spread sulle obbligazioni societarie più bassi e tassi di interesse societari più bassi.

Nel Regno Unito, Sarah Breeden, vicegovernatrice della Banca d'Inghilterra per la stabilità finanziaria, ha dichiarato al parlamento che il fenomeno dell'aumento dei tassi delle obbligazioni a lungo termine "non ha molta importanza dal punto di vista della politica monetaria" perché "i tassi che contano per le imprese e le famiglie sono quelli a breve termine". Ha assolutamente ragione. Sebbene la sua opinione sollevi interrogativi imbarazzanti sul perché la Banca d'Inghilterra abbia rischiato e perso molti miliardi di sterline acquistando enormi obbligazioni a lunga scadenza nel suo programma di quantitative easing per qualcosa che "non ha molta importanza" per l'economia del Regno Unito, in un discorso della scorsa settimana, Catherine Mann, membro esterno del Comitato di Politica Monetaria, ha avvertito che era, in ogni caso, molto difficile per la Banca d'Inghilterra compensare chirurgicamente qualsiasi aumento dei rendimenti delle obbligazioni a lunga scadenza con tagli dei tassi di interesse a breve termine.

Le banche centrali dovrebbero non fare nulla? Finché ci saranno poche preoccupazioni per la stabilità finanziaria, la risposta è generalmente "sì", non dovrebbero fare nulla. Questo è principalmente un problema fiscale.

In parte perché le obbligazioni a lunga scadenza sono fuori moda, e in parte perché i fondi pensione non hanno bisogno di tanti nuovi asset a lungo termine quanto i loro piani di risparmio, la domanda di obbligazioni a lunga scadenza è diminuita. Sfortunatamente per i governi, questo avviene in un momento in cui vogliono emettere molto nuovo debito. Le banche centrali potrebbero modificare opportunamente i loro programmi di inasprimento quantitativo per vendere un po' meno debito a lunga scadenza, ma la BoE è l'unica banca centrale in questo settore e i numeri sono esigui. Invece, se i governi vogliono vedere minori costi di indebitamento per il debito a lungo termine, dovranno contenere i deficit di bilancio. Potrebbero anche cercare di emettere meno debito a lungo termine nel frattempo, finché non ci sarà maggiore fiducia nelle finanze pubbliche.

Il Regno Unito sta facendo proprio questo, con il Debt Management Office del paese che ha dimezzato la quantità di obbligazioni a lunga scadenza emesse nel 2025-26 rispetto all'esercizio finanziario precedente. In Giappone, l'aumento dei rendimenti è stato attenuato da una consultazione governativa sull'opportunità di ridurre le emissioni. E negli Stati Uniti, il Segretario al Tesoro Scott Bessent è rimasto piuttosto in silenzio sulla sua precedente insistenza sul fatto che il debito pubblico statunitense fosse troppo a breve termine. Ma queste sono misure temporanee.

La soluzione definitiva con finanze pubbliche più resilienti è ancora lontana.

Valter Buffo