Detox. Ogni cosa si risolve nel secondo semestre 2025

 

Il fatto che leggete sopra nell’immagine risale a ieri, 28 giugno 2025.

Per noi investitori, significa qualche cosa? E’ un segnale da interpretare e poi utilizzare? Comperare? Vendere? Oppure stare fermi? Modificare il portafoglio? Modificare tutta la strategia?

In questo Post della serie Detox, noi di Recce’d vi produrremo dati, documenti ed analisi che dimostrano:

  1. che il ritorno della Borsa di wall Street ai livelli di otto mesi fa (elezione di Donald Trump) è insignificante per la asset allocation, per la strategia di investimento, per le future operazioni e la gestione complessiva di portafogli; proprio come lo era ai tempi dell’Elezione di Trump (6 novembre del 2024) quando l’indice della Borsa americana stava al medesimo livello di oggi.

  2. che si tratta di un piccolissimo movimento, amplificato dai media (dai quotidiano al TG) e dai social allo scopo di … resuscitare l’interesse per la Borsa, di fatto spento del tutto da inizio 2025

    (come vi dice in modo chiaro proprio il grafico qui sopra, se guardate bene: questo, domandatevi, è un asset il cui valore aumenta, oppure siamo arrivati ora alla “velocità di stallo”? la nostra risposta alla fine di questo Post)

  3. il baccano mediatico intorno al nuovo record è un modo (non il solo utilizzato in queste settimane) per distrarre la massa dal fatto che, sul fronte Detox, non è stato raggiunto alcun risultato: al contrario, è stata fatta una decisa marcia indietro; in Europa, come negli Stati Uniti, i politici sorridono soltanto quando possono spendere di più facendo nuovo debito (e portando noi tutti verso una crisi del debito.

Per iniziare la nostra analisi, che ci porterà a raggiungere questi tre obbiettivi, ora vi forniamo un approfondimento su di un tema che durante l’ultima settimana voi non avete approfondito, e forse neppure visto.

Con un lavoro metodico, sistematico, e quotidiano, noi di Recce’d garantiamo al nostro cliente (oltre a risultati sempre superiori a quelli dell’industria del risparmio) anche una consapevolezza che viene dalla selezione e dalla prioritizzazione delle notizie, e poi dall’analisi dei dati selezionati, e poi dalle valutazioni con tecniche cutting-edge.

Per questo, noi di Recce’d sappiamo cose che voi lettori neppure avete visto. Facciamo subito, qui sotto, un esempio concreto, significativo, di una cosa che conta più del record dello S&P 500 (anche se voi siete investiti unicamente in BTp).

Gli investitori stanno abbandonando i fondi obbligazionari statunitensi a lungo termine al ritmo più rapido dal culmine della pandemia di Covid-19 di cinque anni fa, poiché il crescente debito americano offusca l'attrattiva di uno dei mercati più importanti al mondo. I deflussi netti dai fondi obbligazionari statunitensi a lunga scadenza, che comprendono titoli di Stato e obbligazioni societarie, hanno raggiunto finora quasi 11 miliardi di dollari nel secondo trimestre, secondo i calcoli del Financial Times basati sui dati EPFR. L'esodo del secondo trimestre è destinato a essere il più pesante dalla grave turbolenza del mercato all'inizio del 2020 e segna un netto cambiamento rispetto alla media degli afflussi dei 12 trimestri precedenti, pari a circa 20 miliardi di dollari.

I rimborsi dai fondi obbligazionari a lungo termine, ampiamente utilizzati dagli investitori istituzionali, giungono in un momento di crescente nervosismo per l'andamento fiscale degli Stati Uniti. I flussi di fondi catturano solo una parte del vasto mercato obbligazionario statunitense, ma forniscono un indicatore del sentiment degli investitori.

"È il sintomo di un problema molto più grande. C'è molta preoccupazione, sia a livello nazionale che tra la comunità degli investitori esteri, riguardo al possesso della parte lunga della curva dei titoli del Tesoro", ha affermato Bill Campbell della società di investimento obbligazionaria DoubleLine, riferendosi ai flussi di fondi.

Gli analisti indipendenti prevedono che la "grande e splendida" proposta di legge fiscale del presidente Donald Trump, chiamata da lui “Big, Beautiful Bill”, attualmente al vaglio del Congresso, aggiungerà migliaia di miliardi di dollari al debito statunitense nel prossimo decennio, costringendo il Dipartimento del Tesoro a vendere un'enorme quantità di obbligazioni. La Casa Bianca ha replicato che i dazi e una crescita più elevata ridurrebbero il debito.

Allo stesso tempo, gli operatori di mercato si stanno preparando al fatto che i dazi imposti dall'amministrazione sui principali partner commerciali alimenteranno un'inflazione più elevata, una delle maggiori piaghe per gli investitori obbligazionari. Lotfi Karoui, responsabile della strategia creditizia di Goldman Sachs, ha affermato che il deflusso "riflette le preoccupazioni sulle prospettive a lungo termine per la sostenibilità fiscale". "È un contesto volatile, con un'inflazione ancora al di sopra del target e un'offerta governativa a perdita d'occhio", ha aggiunto Robert Tipp, responsabile delle obbligazioni globali di PGIM, gestore patrimoniale, riferendosi all'obiettivo di inflazione del 2% fissato dalla Federal Reserve. "Questo sta generando un certo nervosismo nei confronti della parte lunga della curva dei rendimenti e un malessere generale".

Le obbligazioni a più lunga scadenza sono particolarmente sensibili all'inflazione, poiché una maggiore crescita dei prezzi erode il valore degli interessi fissi corrisposti su lunghi periodi di tempo. Il nervosismo si è riflesso anche sull'andamento dei prezzi del debito statunitense a lungo termine, che è sceso di circa l'1% in questo trimestre, recuperando perdite più consistenti dopo che gli annunci tariffari di Trump ad aprile hanno spaventato i mercati, secondo un ampio indice Bloomberg. Al contrario, il denaro ha continuato ad affluire nei fondi che detengono obbligazioni statunitensi in scadenza nel prossimo futuro, con oltre 39 miliardi di dollari investiti in strategie a breve termine in questo trimestre, come mostrano i dati dell'EPFR. Questi fondi stanno offrendo rendimenti interessanti poiché la Fed ha mantenuto i tassi a breve termine a livelli elevati quest'anno.

Andrzej Skiba, responsabile del reddito fisso statunitense di BlueBay presso RBC Global Asset Management, ha aggiunto che gli investitori potrebbero optare per una diversificazione più internazionale dei propri investimenti obbligazionari a questo punto, ma "non crediamo che sia la fine del mercato dei Treasury e del ruolo dei Treasury come investimento core nei portafogli obbligazionari globali".

Ha tuttavia affermato che gli operatori di mercato potrebbero iniziare a richiedere "maggiori compensi per investire più a lungo termine" quando si tratta di acquistare nuovi titoli del Tesoro. "Anche se non vediamo arrivare un terremoto, potremmo assistere a delle scosse".


Tutto questo, non lo leggete sul vostro quotidiano, non lo trovate sui social, e non se ne parla e scrive al bar con gli amici (loro, gli amici, sono sempre fortissimi su Tesla e Nvidia, come se fossimo ancora nel 2023: poveri loro!).

Quello che si legge sui quotidiani è di fatto solo Trump. C’è chi dice che ha ragione, c’è chi dice che ha torto. Trump è abilissimo, nel distogliere l’attenzione dei media dalle sue evidenti sconfitte (dalle tariffe alla Legge di Bilancio al DOGE alla guerra tra Russia ed Ucraina) e i media ovviamente ci cascano senza ragionare (per sopravvivere, i media sono forzati a “cercare di ottenere il numero massimo di click”, a qualsiasi costo).

Per la massa degli investitori, questa “arma distrazione di massa” è il peggiore nemico, da combattere ogni giorno. Un nemico che porta perdite.

Ne abbiamo scritto, e in numerose occasioni. Sia qui, nel Blog di Recce’d, sia alla pagina TWIT - TWOO: anche molto di recente e prendo come spunto proprio l’attacco all’IRAN da parte di Israele prima e degli Stati Uniti poi.

I particolare alla pagina TWIT - TWOO potete leggere i commenti di Recce’d ai “suggerimenti” per la gestione del risparmio arrivati dalla stampa italiana. Vi sarà utilissimo, comprendere come funzionano i meccanismi dei media, sia a proposito dei contenuti della comunicazione sia a proposito delle forme di pubblicità occulta che vengono messe in pratica cogliendo occasioni di questo tipo.

Proprio eventi come l’IRAN, quelli “da prima pagina e da otto colonne”, rendono per voi lettori più evidente il meccanismo della propaganda che viene messa in pratica da social e media. Ed è per questa ragione che oggi vi porteremo ancora un esempio concreto e recentissimo (25 giugno 2025).

 

Il Corriere della Sera (il quotidiano più diffuso in Italia) ha scelto di dare spazio pochi giorni fa alla “visione Trumpiana del Mondo”, attraverso un articolo di Federico Rampini. L’articolo ha suscitato il nostro interesse perché è focalizzato sull’andamento dell’economia americana con vari accenni ai mercati finanziari.

Rampini non è un giornalista economico: lo definiscono “giornalista di costume”, piuttosto. Tantomeno è un uomo di mercati, e non ha esperienza di mercati finanziari. Ed ancora meno è un economista.

Visti questi dati di fatto, non stupisce che l’articolo in questione (per esigenze di spazio, certo: ma non solo per quella ragione) risulti sbrigativo, a volte grossolano, in qualche caso rozzo.

Dirà il lettore di Recce’d: ma allora … perché farlo leggere a noi?

Semplice: per illustrare alcuni dei meccanismi dei media: per mostrare, nel concreto e con la necessaria tempestività, in quale modo i media sembrano “raccontare semplicemente la realtà” mentre invece raccontano una storia, una narrazione, spesso lontana dalla realtà.

Questo è un fatto, con centinaia e centinaia di esempi nel passato anche recente, di un atteggiamento dei media porta danni e problemi che da sempre alla massa degli investitori (non solo in Italia). Un fatto da cui un investitore consapevole deve proteggersi.

Lo scopo? Portare il lettore dentro una narrativa che, a un lettore superficiale (come un po’ tutti siamo, se non lo facciamo per professione) può sembrare coerente, ma che in realtà è rozza e superficiale.

Non accade soltanto quando si tratta di Borse e mercati finanziari: sicuramente i nostri lettori ricordano la lunga serie di articoli dedicati e commenti che ci forniscono nuove sicurezze, poi smentite a distanza di poco tempo. Ecco alcuni esempi:

  • bere molta acqua fa bene; no, bere troppa acqua fa male

  • bere il caffé fa male; no, bere il caffé fa bene

  • lo zucchero negli alimenti fa male; no, lo zucchero è indispensabile;

  • prendere il sole fa male; no, prendere il sole fa bene

  • il robo-taxi è dietro l’angolo; ah no, il robo taxi forse solo tra dieci anni

  • la Russia crollerà in tre mesi; beh no il rublo è la valuta più forte del 2025

Chiacchiere. Chiacchiere da bar. Da social. Da talk show in TV delle ore pomeridiane. Valgono tanto quanto le risse tra tifosi in TV, quelli che sanno tutto di Roma, Lazio, Milan, Inter, Juventus e le altre.

Esaminiamo insieme, proprio per questa ragione l’articolo apparso sul Corriere della Sera il 25 giugno 2025: vi aiuterà, questa lettura, a capire meglio ed a difendere in futuro il vostro risparmio.

Premettiamo che, come scrive Rampini, anche noi giudichiamo utile per il nostro lettore conoscere il punto di vista di chi sostiene Trump (ovvero chi sostiene la politica delle le tariffe, e la legge anti-immigrazione, come fa qui Rampini). Per i nostri lettori, in particolare, questa è utile per fare confronti tra posizioni diverse. Ma questo specifico articolo soprattutto vi è utile per capire come funzionano i meccanismi dei media, utile per cogliere le distorsioni che i media ci propongono.

L’inflazione Usa resta sotto controllo, di poco superiore al 2%, nonostante che molti dazi siano in vigore da tempo.  Le Borse sono vicine ai massimi storici. Come si concilia tutto questo con gli scenari negativi che la maggioranza degli economisti avevano previsto? 

Può darsi, naturalmente, che sia solo una questione di tempo e le previsioni nefaste finiranno per avverarsi. Può darsi che il semplice fatto di avere riportato i dazi medi fra il 10% e il 15% (benché molto più alti del livello di partenza) abbia scongiurato gli esiti più temuti. Una narrazione alternativa ci viene proposta dal mondo MAGA («Make America Great Again»), secondo cui saremmo di fronte all’ennesimo errore di una comunità di esperti per lo più influenzati dal vecchio dogmatismo liberista. Ogni tanto è utile ascoltare questa versione. Dopotutto, il capo dei MAGA sta alla Casa Bianca e prende decisioni di qualche rilievo per il mondo intero. Lo si può detestare e condannare con tutte le forze, ma lui rimane lì, per adesso. Capire ciò che pensa il suo mondo serve anche per tentare di fare previsioni, per quanto sia diventato uno sport estremo. In ogni caso vi suggerisco la lettura di un economista che ho già segnalato altre volte, perché è una delle voci più autorevoli e accreditate nell’universo MAGA, e al tempo stesso gode di una certa rispettabilità anche nell’accademia tradizionale: Oren Cass. La sua analisi odierna parte da tre dati che elenco qui sotto, e ne trae alcune conseguenze. Buona lettura.


  • «I prezzi delle auto giapponesi esportate negli USA calano del 20% per effetto dei dazi di Trump. Toyota e altre aziende sembrano assorbire i costi, secondo i dati di maggio».

  • «La popolazione illegale è in calo da gennaio. Il numero di immigrati illegali potrebbe essere diminuito di un milione».

  • «I fondi d’investimento del private equity hanno avuto performance inferiori rispetto alle azioni USA nel breve e lungo termine. L’indice di private equity di State Street è stato superato dall’indice azionario S&P 500 negli ultimi 3 mesi e negli ultimi 1, 3, 5 e 10 anni».


Commento di Oren Cass: 

«Cosa hanno in comune questi sviluppi nei campi della globalizzazione, dell’immigrazione e della finanziarizzazione? Indicano il collasso tridimensionale della narrazione su cui abbiamo costruito la nostra economia nell’ultima generazione.

Il motivo per cui parlo così tanto di questi tre temi è che rappresentano tre facce della stessa medaglia. In ciascun caso, l’élite americana ha preteso, ovviamente a proprio vantaggio, la rimozione di vincoli tradizionalmente imposti al capitalismo per il bene della collettività. In ciascun caso, ha costruito una giustificazione palesemente assurda per sostenere che quella scelta fosse nel migliore interesse di tutti, imponendo la propria posizione e screditando chiunque osasse dissentire. Volevano investire nei mercati esteri, dove il lavoro era più facilmente sfruttabile e il capitale più generosamente sovvenzionato. Questo "libero" commercio avrebbe portato benefici ai lavoratori americani, che avrebbero in qualche modo ottenuto posti migliori. Volevano far entrare manodopera a basso costo nel mercato interno per occupare lavori con salari e condizioni che gli americani non avrebbero accettato. Questa “umana” politica migratoria avrebbe dovuto aiutare i lavoratori americani a passare a impieghi migliori. Volevano scaricare il rischio di scambiarsi pacchetti di asset tra loro, incassando commissioni senza produrre nulla di valore. Questo capitalismo “efficiente” avrebbe creato nuove, fantastiche opportunità di lavoro per tutti.

Quando il conto è arrivato, sotto forma di calo degli investimenti e della produttività, stagnazione salariale, aumento delle disuguaglianze e degrado sociale, la nuova linea è diventata che non si poteva fare nulla. Interferire con il libero commercio? Impensabile. Difendere il confine? Impossibile. Regolare i mercati finanziari? Da sempliciotti.

Ma oggi vediamo che una strada diversa è sempre stata disponibile. È in vigore un dazio globale del 10% e dazi fino al 50% sulla Cina. L’umore dei consumatori migliora e l’inflazione cala. La Borsa sale e il dollaro scende. Come mostra il caso del Giappone, prezzi più alti non si trasferiscono necessariamente ai consumatori.

Con un’applicazione più rigida delle leggi migratorie, gli Stati Uniti hanno smesso di rilasciare migranti illegali all’interno del Paese: "Il mese scorso gli agenti di frontiera non hanno ammesso nemmeno un migrante illegale negli Stati Uniti — contro i 62.000 del periodo Biden". Forse il cambiamento climatico non era davvero la causa della crisi al confine? Come suggerisce l’analisi sulla popolazione immigrata, un milione di persone presenti illegalmente potrebbe già aver lasciato il Paese.

Il settore finanziario, poi, si sta ridicolizzando da solo. Il mio esempio preferito recente è un articolo del Wall Street Journal che racconta come gli hedge fund abbiano sbagliato clamorosamente il timing del mercato ad aprile, mentre i piccoli risparmiatori compravano ai minimi. Come ha scritto Morningstar il mese scorso, "gli investitori comuni continuano a far sembrare stupidi i professionisti di Wall Street con questa semplice mossa". E come mostra l’indice State Street, un semplice fondo indicizzato su S&P 500 ha reso più dei fondi di private equity su ogni orizzonte temporale.

Naturalmente, i dazi non sono privi di costi — alcuni dei quali è giusto aspettarsi che si riflettano sui prezzi. Il controllo delle frontiere sarà sempre una sfida, e un’applicazione rigorosa all’interno del Paese comporterà un certo grado di sofferenza. Scommetterei persino che prima o poi gli hedge fund riusciranno a fare un buon anno. Ma perfino i governatori della Federal Reserve stanno cominciando a rivedere le proprie convinzioni.

Per quanto incerto sia il mondo, una cosa è sicura. Nessuno pagherà per aver sbagliato tutto. Quale economista ha mai pagato un prezzo per aver sbagliato completamente le scelte macroeconomiche fondamentali degli ultimi 30 anni? Quanti hanno ammesso di aver fatto un errore?».

Ora noi di Recce’d spiegheremo, con una serie di punti, perché questa lettura, oggi, nella situazione attuale, è utile ad ogni investitore. Ci concentriamo sul modo in cui l’articolo è stato costruito: vi mostreremo in che modo si costruisce una narrativa, che alla massa degli investitori potrebbe sembrare lineare e coerente, e che invece si fonda sul manipolare il lettore

  • partiamo subito con il riconoscere che è vero che le Borse sono ai massimi; lo avete visto grazie a due immagini qui sopra; è meno vero, però, che l’inflazione è bassa come dice Rampini; l’inflazione PCE di ieri venerdì 27 giugno è uscita al 2,3%, ma quella nella versione “core” rimane anche oggi vicina al 3%, e il petrolio sta a 65$, e devono ancora arrivare le tariffe e deve ancora arrivare l’effetto del dollaro debole; insomma, qui Rampini risulta un po’ grossolano

  • per noi gestori e per tutti gli investitori, questi due fatti che Rampini mette in evidenza dicono poco o nulla: per noi, tutto sta nel leggere questi dati, e poi analizzarli (insieme a molti altri, ovviamente) per arrivare alla decisione finale: è il momento di comperare, vendere o restare fermi? per dire le cose nel modo più diretto: i due dati citati da Rampini ci stanno dicendo che “tutto va bene”, come vorrebbe Trump, il suo esercito MAGA e come lascia intendere Rampini stesso? No. Non è così che stanno le cose. E qui inizia l’analisi

  • Rampini dice che “una strada alternativa è sempre stata disponibile”, e nel suo articolo la identifica con le tariffe sui commerci e le leggi contro l’immigrazione: questa sua affermazione si basa, forse, sulla Borsa di oggi e sull’inflazione di oggi? Sono trascorsi meno di 90 giorni, dal Liberation Day: a voi lettori, questo di Rampini sembra un atteggiamento corretto e prudente, oppure spregiudicato e di parte?

  • Rampini sottolinea le previsione sbagliate, ed aggiunge anche che “il settore finanziario si sta ridicolizzando da solo”: in Recce’d invece noi pensiamo che il gesto ridicolo (utilizziamo intenzionalmente il medesimo vocabolo usato da Rampini) sia quello di chi annuncia il 2 aprile un forte rialzo delle tariffe soltanto per ritirare le medesime tariffe a distanza di soli sette giorni, ovvero il 9 aprile; tutto intero il recupero della Borsa si fonda sul fatto che Trump ha deciso … che Trump ha sbagliato; e a voi lettori, chi risulta ridicolo, in questo caso? Valutate il fatto che nei giorni intorno al 2 aprile Trump dichiarava (a proposito dei cali di Borsa) di non degnare la Borsa neppure di uno sguardo; e dopo sette giorni, ha poi piegato il ginocchio, come dicono gli americani

  • a questo va aggiunto, poi, che Rampini finge di dimenticare che quelle “previsioni sbagliate” sicuramente non avevano come data di scadenza il 27 giugno 2025

  • va aggiunto anche che Rampini afferma che “L’umore dei consumatori migliora e l’inflazione cala. La Borsa sale e il dollaro scende”: Rampini qui ci dice quindi che il dollaro USA in calo è un segnale di successo, per Trump e la sua politica? E poi dice che la fiducia dei consumatori aumenta, ciò che vuol dire che esce poco dalla sua abitazione di New York, ed anche che non ha letto il dato che voi leggete sotto nell’immagine

  • Aggiungete ancora a tutto questo una serie di omissioni (che svelano le vere intenzioni di Rampini): Rampini dimentica di prendere in esame i temi quali il debito, il “Big, Beautiful Bill”, la debolezza del dollaro USA, il rischio tassi di cui abbiamo scritto in apertura di Post e il rischio recessione. Non c’è nulla di questo, in Rampini: forse, l’esperienza e la competenza del giornalista lo portano a concludere che questi elementi hanno poca rilevanza.

    ma se poi … l’investitore che legge Rampini gli crede?

    Ad esempio Rampini questo non lo ha visto

Ad esempio Rampini questo non lo ha citato

Ad esempio Rampini questo non lo ha considerato

Ad esempio Rampini questo al lettore del Corriere della Sera non lo dice

Ad esempio Rampini non fornisce al lettore questa informazione


  • Ma non basta. Ora vi segnaliamo un dettaglio. Rampini scrive:

Per quanto incerto sia il mondo, una cosa è sicura. Nessuno pagherà per aver sbagliato tutto. Quale economista ha mai pagato un prezzo per aver sbagliato completamente le scelte macroeconomiche fondamentali degli ultimi 30 anni? Quanti hanno ammesso di aver fatto un errore?». 

Se gli economisti hanno sbagliato, oppure se non hanno sbagliato, tutti lo vedremo proprio nel secondo semestre 2025. Anche i bambini della scuola dell’obbligo sanno che è inopportuno, perché prematuro, tirare drastiche conclusioni a distanza di poche settimane. Ed è vero che gli economisti fanno gli errori, come mette in evidenza Rampini, ma ci pare giusto ricordare che molti giornalisti della sua categoria hanno sbagliato sempre tutto, eppure continuano a scrivere sui quotidiani nazionali (dove forti interessi esterni condizionano le scelte della Direzione a proposito di chi viene pubblicato e chi no).

  • C’è poi un secondo dettaglio: per quale ragione, a vostro giudizio, in questo articolo Rampini utilizza nei confronti dei Fondi Hedge toni derisori? Che cosa e chi conosce Rampini, dei Fondi Hedge? Di come funzionano? Di quali obbiettivi perseguono? Oppure sono argomenti da bar, come tra Juventus ed Inter e Milan?

  • Ed infine, fate bene attenzione ad una terzo dettaglio: vi sarà sufficiente Wikipedia per chiarire che il citato Cass non solo non è un economista, ma non lo è mai stato. Cass è un uomo che ha lavorato solo in istituzioni di partito, e quindi di parte. E’ un uomo di partito. Sulla “rispettabilità accademica” di cui scrive qui Rampini, noi che abbiamo quotidianamente contatti con ambienti accademici in ogni parte del Mondo non troviamo alcun riscontro. Come economista, nessuno lo conosce in accademia.

Vi sembrano trascurabili imprecisioni, quelle che Recce’d ha documentato qui? Errori da attribuire alla fretta? Alle necessità di sintesi?

Possibile, ma non è il modo nel quale Recce’d vede le cose.

Noi abbiamo una lunga esperienza di comunicazioni relative ai mercati finanziari, e per questo a noi pare evidente che la manipolazione della massa degli investitori attraverso i social ed i media oggi è a livelli elevati, e mai visti prima. Costruire narrative, che appaiono credibili ad una lettura frettolosa, ma che nulla hanno a che vedere con la realtà: costruite per spingere gli investitori, sempre e comunque, verso certi investimenti e certi tipi di portafogli.

L’investitore che non è consapevole di questi meccanismi, l’investitore che si lascia trascinare da narrazioni incomplete e grossolane, farà sicuramente una serie di sbagli nell’impiego del suo risparmio. E questo è un problema concreto.

Gli investitori consapevoli sono quelli che riconoscono narrative come queste, e se ne sanno difendere. Ed anzi ricavarne opportunità di guadagno. Ciò che noi in Recce’d facciamo ogni mattina per i nostri Clienti attraverso The Morning Brief. Dove spieghiamo come si usa, un fatto come quello dell’immagine che segue, per fare performance e risultati.

Con questa lunga digressione, ci auguriamo di avervi regalato un contributo pratico ed utile, anche questo caso.

Ora però lasciamo da parte le manipolazioni della realtà, e ritorniamo proprio alla realtà, alla qualità, ed all’analisi: l’analisi fatta con metodo, disciplina, rigore. Evitando sia l’ottimismo a buon mercato sia il pessimismo a poco prezzo. E senza fare mai il tifo per nessuno e nessuna parte e nessuna cosa, che non sia l’interesse del nostro Cliente le la performance (risk weighted) dei portafogli modello di Recce’d

Ritorniamo a parlare coi lettori, in modo serio e professionale, di mercati finanziari, ed in particolare dell’estate che ci attende e del secondo semestre del 2025, con il contributo che abbiamo scelto e tradotto per voi, che anticipa all’investitore le incognite dei mesi estivi del 2025. Anche in questo articolo, trovate informazioni che certamente sono sfuggite a voi, ai social, al quotidiano che leggete la mattina, al GR, al TG.

I mesi estivi sono un periodo per prendersi una pausa, crogiolarsi al sole con amici e familiari, e i mercati finanziari impazziscono per un motivo o per l'altro. Con l'avvicinarsi della stagione nell'emisfero settentrionale e l'avvio del consueto processo di diradamento e oscillazione dei mercati, c'è il rischio che nei prossimi mesi si verifichi una qualche esplosione.

Un amuse bouche in tal senso è arrivato la scorsa settimana con alcuni movimenti peculiari dello yen giapponese. In generale, lo yen è una delle valute, insieme al dollaro e al franco svizzero, che si comporta piuttosto bene in periodi di stress. Non è un vero e proprio rifugio, ma la tradizione popolare sui mercati vuole che durante periodi turbolenti o di paura, gli investitori giapponesi riportino a casa i loro fondi parcheggiati in attività all'estero, trascinando con sé lo yen.

Se questi flussi di rimpatrio avvengano davvero su larga scala è oggetto di dibattito. Probabilmente no. Ma la memoria muscolare dei mercati è una forza potente, quindi quando accadono cose negative, di qualsiasi tipo ma in particolare in ambito geopolitico, lo yen sale. Non è stato così con il recente intensificarsi della violenza tra Iran e Israele, con il coinvolgimento anche degli Stati Uniti. Invece di salire, lo yen si è indebolito. Non in modo drammatico, ma il dollaro è salito a un massimo di 148 yen all'inizio di questa settimana, segnando il punto più debole dello yen in un mese. Un minimo di un mese per lo yen potrebbe non sembrare un grosso problema, e per la maggior parte delle persone non lo è stato.

Il problema qui sorge perché scommettere su un dollaro più debole e uno yen più forte è estremamente popolare tra gli hedge fund e altri investitori speculativi. Quando quella scommessa ha iniziato a sgretolarsi, abbiamo assistito a quella che Dominic Bunning, analista di Nomura, descrive come una "sgradevole stretta". Ha rischiato di cedere dopo aver raccomandato ai clienti di acquistare la valuta giapponese – un momento mai piacevole per un venditore di idee in una banca d'investimento. Fondamentalmente, l'episodio suggerisce che le scommesse contro il dollaro si stanno un po' affollando, e non serve una buona memoria per ricordare quanto le scommesse affollate possano deteriorarsi rapidamente. Proprio l'estate scorsa, lo yen è schizzato in rialzo e, allo stesso tempo, i titoli tecnologici statunitensi sono crollati, quando due posizioni altamente correlate e molto popolari presso importanti hedge fund hanno incontrato un muro e hanno rapidamente invertito la rotta. I mercati sono diventati così caotici (o almeno così mi è stato detto – ho avuto il buon senso di rimanere su un lettino in Turchia per tutto questo tempo) che a un certo punto i mercati del debito hanno scontato un taglio di emergenza dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve statunitense. Un taglio di emergenza non è mai avvenuto, ovviamente.

Ma i mercati sono particolarmente inclini a superare le aspettative quando la stagione estiva allontana le persone dalle loro scrivanie e iniziano ad aprirsi vuoti dove normalmente si troverebbero i prezzi di mercato stabili. Vale quindi la pena tenere d'occhio le aree di consenso diffuso nei mercati finanziari, nel caso in cui subiscano simili sbalzi estivi.

Lo yen è una di queste aree. Se gli Stati Uniti non saranno disposti o non saranno in grado di tagliare i tassi di interesse, sia a causa di un'inflazione statica, sia perché l'economia sta performando meglio del previsto nei primi mesi dell'anno, l'ascesa dello yen auspicata dagli hedge fund potrebbe non concretizzarsi.

Sia le banche d'investimento che le banche centrali stanno diventando meno pessimiste sulle prospettive future degli Stati Uniti e questo rappresenta un rischio al rialzo da prendere seriamente in considerazione. Chris Scicluna, analista di Daiwa Capital Markets, ritiene che un continuo e ordinato declino del dollaro sia ancora l'esito più probabile, e che un ridimensionamento estivo del suo tasso di cambio con lo yen rimanga improbabile, sebbene questa previsione possa essere, come ha osservato, le sue "ultime parole famose". Gli shock sono, per definizione, impossibili da prevedere. Ma Scicluna osserva saggiamente che un punto migliore da tenere d'occhio potrebbero essere altre sacche di mercato che hanno avuto un andamento positivo finora quest'anno e che potrebbero stare sfidando la sorte e diventare un po' sovraffollate. Alcune valute europee, ad esempio, come il franco svizzero e la corona svedese, hanno avuto un andamento spettacolare.

Le azioni europee hanno messo a segno un'ascesa impressionante e insolita. Persino chi, come me, crede in una rotazione a lungo termine dagli Stati Uniti all'Europa, può ammettere che un rialzo del 18% delle azioni tedesche solo quest'anno è forse un po' eccessivo. Nel frattempo, le azioni statunitensi arrancano nella scia dell'Europa. Se il presidente Donald Trump continua a tirarsi indietro di fronte a difficili decisioni economiche, forse possono recuperare terreno e il dollaro può prendersi una pausa. Il sentiment qui è forse eccessivamente cupo. Le mini-inversioni estive tendono a svanire velocemente come un'abbronzatura, ma ci si può scottare nel processo. Un po' di cautela estiva può fare molto.

L’estate come avete appena letto è una stagione durante la quale il gestore di portafoglio aumenta, invece di ridurre, la propria attenzione vero il risparmio e gli investimenti: è una stagione durante la quale, da sempre, si verificano eventi inattesi e sorprese, non tutte positive.

L’estate 2025, molto più di altre estati, presenta elementi di fragilità: sia nell’economia, sia nella geopolitica. La realtà non è certo quella raccontata da Rampini, e la pace (sia delle tariffe, sia delle guerre) non arriva “quando lo dice Trump”, ma arriva solo … quando arriva davvero.

Per questa ragione, noi abbiamo scelto e tradotto per i lettori un altro articolo, con il quale chiudiamo questo Post.

L’articolo che segue rimette le cose al loro posto: vi darà modo di mettere insieme le considerazioni che avete appena letto qui sopra con quelle che in apertura del nostro Post riguardavano i Titoli di Stato. L’autore è Stephen Roach, e ve lo abbiamo già presentato. Un uomo che ha sia esperienza dei mercati finanziari, sia cognizione dei fatti che stanno accadendo in questa fine di semestre 2025: può aiutarvi in modo concreto a interpretare la realtà dell’estate 2025 e quindi a fare le scelte giuste, per ciò che riguarda l’impiego dei vostri risparmi.

24 giugno 2025 Stephen S. Roach

Il doppio shock dell'attacco israelo-statunitense all'Iran e della guerra dei dazi di Donald Trump si verificano mentre la crescita del PIL globale continua a rallentare drasticamente. Dato che non ci vuole molto per far precipitare un'economia prossima alla "velocità di stallo" in una vera e propria recessione, queste crisi e i loro effetti combinati stanno preparando il terreno per una recessione globale.

Un primo shock è stato già abbastanza grave. I dazi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ovunque si stabilizzino, implicano rischi al ribasso per la crescita globale. Ma il potenziale per un secondo shock – una guerra tra Israele e Iran che ha ora intrappolato gli Stati Uniti – aggrava i problemi per un'economia mondiale sempre più vulnerabile.

Ciò si accorda con la mia teoria del rischio ciclico: non ci vuole molto per far precipitare un'economia prossima alla "velocità di stallo" in una vera e propria recessione. Questa semplice regola ha funzionato straordinariamente bene nel prevedere le recessioni globali negli ultimi 45 anni.

A differenza di una recessione in una singola economia, che generalmente riflette una contrazione della produzione reale, una recessione a livello globale comporta in genere una contrazione di circa la metà delle economie mondiali, mentre la restante parte continua a espandersi. Di conseguenza, una recessione globale è solitamente associata a un rallentamento della crescita del PIL globale, attestandosi su un intervallo ancora positivo del 2-2,5% – un calo di 0,8-1,3 punti percentuali rispetto al trend del 3,3% registrato dopo il 1980. Le eccezioni si sono verificate nel 2009 e nel 2020, quando rispettivamente la crisi finanziaria globale e la pandemia hanno causato contrazioni nette della produzione globale.

La velocità di stallo è la chiave per la valutazione del rischio ciclico. Può essere considerata una zona di vulnerabilità, misurata da significative deviazioni al ribasso rispetto alla crescita tendenziale. Guardando indietro agli ultimi 45 anni, collocherei la velocità di stallo dell'economia globale nell'intervallo del 2,5-3%: quando ci si trova in questa zona, il mondo non ha la resilienza necessaria per resistere a uno shock. Questo è ciò che è accaduto in ciascuna delle ultime quattro recessioni globali.

Torniamo a oggi. Secondo l'ultimo World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale, si prevede che la crescita del PIL globale rallenterà al 2,8% nel 2025, proprio al centro della zona di stallo. Mentre le recenti recessioni globali sono state il risultato di singoli shock, oggi l'economia mondiale potrebbe essere colpita da due: una guerra tariffaria e una guerra cinetica in Medio Oriente. La possibilità di una doppia combinazione di shock non fa che aumentare le probabilità di una recessione globale; negli ambienti dei pronostici, è la cosa più vicina a una prova schiacciante che si possa immaginare.

Come sempre, il diavolo si nasconde nei dettagli: in questo caso, negli effetti specifici di trasmissione dei due shock alla crescita globale. La guerra commerciale, ormai, è una vecchia notizia.

La mia ipotesi è che il pacchetto tariffario di Trump che emergerà dalle controversie legali in corso includerà qualcosa di simile a un dazio globale del 10%, un'aliquota tariffaria considerevolmente più elevata per la Cina e dazi specifici per prodotto più elevati, volti a proteggere le industrie americane tradizionali, come quella dei veicoli a motore e dei componenti, dell'acciaio e dell'alluminio.

Il dazio globale del 10% rappresenta un aumento di circa cinque volte rispetto all'aliquota tariffaria effettiva media dell'1,9% registrata nei 30 anni precedenti il ​​"Giorno della Liberazione" di Trump all'inizio di aprile: uno shock sotto ogni punto di vista. Ciò crea rischi al ribasso per l'economia cinese, ancora dipendente dalle esportazioni, e una forte incertezza per l'economia statunitense, portando quasi certamente a una contrazione della spesa in conto capitale e delle assunzioni, entrambe dipendenti dalle solide aspettative future delle imprese. Con le economie statunitense e cinese che insieme rappresentano poco più del 40% della crescita cumulativa del PIL globale dal 2010, non si dovrebbe sottovalutare il potenziale danno di una guerra tariffaria all'economia mondiale.

Per quanto riguarda il Medio Oriente, l'impatto macroeconomico delle guerre viene solitamente misurato attraverso i prezzi del petrolio. Dopo l'attacco israeliano contro l'Iran il 13 giugno, i prezzi del petrolio sono inizialmente saliti alle stelle, partendo dai minimi degli ultimi tre anni e rimanendo ben al di sotto delle medie post-2022. Poi, subito dopo l'annuncio del cessate il fuoco da parte di Trump del 23 giugno, i prezzi del petrolio hanno ripercorso gran parte della corsa legata alla guerra. Se le ostilità dovessero continuare – sempre una possibilità in Medio Oriente – ci sarebbero significativi rischi al rialzo per i prezzi dell'energia e di altre materie prime, poiché i mercati inizieranno a preoccuparsi delle opzioni di ritorsione dell'Iran, che potrebbero includere l'interruzione della produzione e della distribuzione del petrolio, nonché delle rotte di navigazione. Nel complesso, il bombardamento statunitense degli impianti di arricchimento nucleare iraniani il 21 giugno ha iniettato un nuovo elemento di incertezza in un mondo già ipervolatile.

È decisamente troppo presto per prevedere come l'ingresso degli Stati Uniti nella guerra di Israele contro l'Iran influenzerà i prezzi globali dell'energia. Ma in un certo senso, la situazione ricorda l'invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein nell'agosto del 1990, che portò al raddoppio dei prezzi del petrolio nel giro di tre mesi. È significativo che l'economia mondiale stesse già rallentando verso una velocità di stallo del 2,5% nel 1991, e lo shock energetico legato alla guerra portò a una lieve recessione globale nel 1992-93.

La chiave per le prospettive a breve termine non sono i dazi statunitensi o la guerra in Iran, ma la loro interazione geopolitica. Questi shock hanno il potenziale di alimentarsi a vicenda, minacciando un'economia mondiale vulnerabile e già a rischio di stallo.

Le previsioni cicliche non sono mai una certezza. Ma il doppio shock di quest'anno rende una recessione globale sempre più probabile.

Valter Buffo