Le Buone Notizie per il 2024: parte 1. Il nostro Outlook innovativo.
 

Questo è un Post dedicato al passato: una ricapitolazione dell’anno 2023 dei mercati, inserita ovviamente nel quadriennio 2020 - 2023, un quadriennio che però è anche un blocco unico, una fase sola dei mercati finanziari, una fase che ancora è in corso.

Nei prossimi giorni, invece, il Blog pubblicherà uno o più Post che guardano avanti.

Nel frattempo, in esclusiva per i Clienti di Recce’d, pubblicheremo un EXTRA che guarda alle performances. Le nostre ed anche quelle di tutti gli altri. vedremo in dettaglio tutte le alternative, che cosa hanno dato e che cosa potranno dare.

Questo che ora iniziate a leggere è il nostro Outlook.

Non inutili fantasie su “dove andranno i mercati, dove chiuderà l’anno la Borsa, cosa faranno le obbligazioni, se arriva la recessione”.

Si tratta invece di una pratica guida su “che hanno prodotto e che cosa cosa possono produrre i vostri investimenti”, se li investite in GPM, in Fondi Comuni, in certificati, in Polizze Vita, oppure in Fondi Hedge. le alternative vere, quelle reali, a cui Voi stessi potete accedere.

Ma iniziamo, come già detto, dalla ricapitolazione del 2023, alla quale dedichiamo il Post che state leggendo.

L’anno si potrebbe in estrema sintesi descriverlo così:

  • dal 1 gennaio al 31 ottobre, la Borsa a New York stava a ZERO e il Treasury USA a 10 anni stava al 5%

  • poi la Borsa di New York in sei settimane (30 giorni di mercati operativi) è risalita circa ai massimi (4750 di S&P 500) mentre il Treasury è sceso al 4%

  • tutto il Resto del Mondo segue solo gli Stati Uniti: non ha un andamento autonomo

In questo Post che state leggendo, offriremo una ordinata analisi dei fatti. Di come è stato possibile.

Con un focus speciale su un aspetto: ovvero la ESTREMA volatilità, che è la caratteristica DOMINANTE dei mercati finanziari dopo il 2020, ovvero negli ultimi quattro anni.

E che lo resterà per qualche anno ancora, sicuramente.

Ripartiamo, intanto, da una sintetica ricostruzione del 2023, che risale soltanto a qualche giorno fa, e rimane pertanto validissima ed utilissima.

Il Dow Jones (DJI) lo ha fatto la scorsa settimana.

Lo stesso ha fatto il Nasdaq 100 (NDX).

Ora sembra che sia il turno dell'S&P 500 (SP500) di registrare un nuovo massimo storico di chiusura. Dopo un'altra sessione positiva martedì, l'indice di riferimento è a soli 30 punti dal prossimo traguardo, il che significa che un altro movimento dello 0,6% può portargli il trofeo.

I futures S&P 500 (SPX) stanno diminuendo nel pre-mercato, ma non si sa mai cosa potrebbe accadere durante la sessione regolare. Il benchmark potrebbe anche dover attendere un po’ più a lungo, o che un raduno di Babbo Natale dia il via alle cose la prossima settimana.

Istantanea: Dalla fine di ottobre si è verificato un cambiamento nelle aspettative sulla politica monetaria, che ha portato i titoli azionari in un ampio rally durato sette settimane. L’impulso più recente è arrivato durante la riunione del FOMC della scorsa settimana, in cui il presidente della Fed Jay Powell ha formalmente abbassato le previsioni di inflazione per il 2024 e ha telegrafato tre tagli dei tassi nel nuovo anno. "La questione di quando diventerà opportuno iniziare a ridurre la quantità di restrizioni politiche in vigore... è chiaramente un argomento di discussione nel mondo e anche di discussione per noi", ha dichiarato.

"Direi che c'è un'aspettativa generale che questo sarà un argomento per noi guardando al futuro."

In particolare, i maggiori contribuenti all’anno eccezionale dell’S&P 500 (SP500) sono stati i soliti sospetti, attualmente soprannominati i Magnifici Sette. Il gruppo che comprende Alphabet (GOOGL), Amazon (AMZN), Apple (AAPL), Meta (META), Microsoft (MSFT) Nvidia (NVDA) e Tesla (TSLA) cresce complessivamente del 75% nel 2023, mentre i restanti 493 le società dell’S&P 500 sono più alte di circa il 12%, con un conseguente guadagno da inizio anno del 25% per l’indice nel suo complesso.

Il mercato rialzista ha dato grandi ritorni a molti investitori e ha appena visto l’indicatore della paura di Wall Street, noto come VIX, scendere al livello più basso dall’inizio della pandemia di COVID.

Cosa c'è in serbo per il 2024? "Il passaggio dal 'più alto per più tempo' ai tagli dei tassi è rialzista per il mercato azionario poiché potrebbe annullare la recessione", osserva l'analista SA Damir Tokic, mentre il leader del gruppo di investimento Victor Dergunov afferma che le azioni potrebbero addirittura salire molto l'anno prossimo.

Zoltan Ban ha una visione contraria, prevedendo che l’S&P 500 scenderà a 3.500 a causa di vari fattori come l’aumento dei prezzi del petrolio e il rallentamento dell’economia. "Non c'è dubbio che la FOMO sia tornata nel mercato nello stesso modo in cui abbiamo visto in passato".

Come vedete, qui si spiega tutto va non bene, ma addirittura benissimo: si celebra il ritorno dell’euforia, dell’entusiasmo, dell’ottimismo, e ovviamente è ritornato FOMO.

Tutto come due anni fa? Siamo ritornati al 2021?

No. Non siamo ritornati al 2021. Ci sono visibili differenze. Documentabili.

Che vi sono raccontate, in modo dettagliato, scrupoloso e concreto. nell’articolo che segue, che risale a qualche giorno fa.

Wall Street: investire in 2 mondi diversi

Riepilogo

Il momento migliore per investire è quando il breve termine è allineato con la visione macro. Non abbiamo niente del genere oggi.

I mercati azionari sostengono la tesi di un atterraggio morbido poiché il mercato obbligazionario sta interpretando la debolezza economica come motivo per abbassare i rendimenti.

Differenziare lo scenario a breve termine da quello macroeconomico e stabilire una strategia di investimento di successo è un compito difficile.

"Non c'è insegnante migliore della storia nel determinare il futuro... Ci sono risposte che valgono miliardi di dollari in un libro di storia da 30 dollari." Lo disse Charlie Munger

Oggi il contesto degli investimenti è quello in cui gli operatori di mercato hanno accantonato le preoccupazioni per il deficit di bilancio e le altre questioni fondamentali che affliggono la scena MACRO statunitense e globale. È il periodo natalizio e si celebra il rallentamento dell'inflazione, i tagli della Fed e la ripresa economica nella seconda metà.

Per gran parte del 2023, il mercato ha cercato di anticipare un pivot della Fed, venendo però più volte spiazzato.

Dopo aver superato il livello psicologico del 5% solo sei settimane fa, il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni è sceso di oltre 75 punti base ad un minimo intraday del 3,90% questo mese. La drammatica inversione di tendenza è stata alimentata dal crescente ottimismo riguardo al fatto che la Fed e le altre banche centrali dei mercati sviluppati abbiano terminato i loro cicli di inasprimento. Aggiungendo il raffreddamento delle pressioni inflazionistiche, combinato con la moderazione dei salari, i cappelli da festa furono distribuiti.

L’idea di una recessione per il prossimo anno è ormai diminuita nella mente di molti e alcuni addirittura si fanno beffe della possibilità che ciò accada durante un anno elettorale. È raro che il presidente in carica non apra i rubinetti fiscali per stimolare l’economia in un anno elettorale. La politica dell'anno elettorale è sempre un momento in cui i cerotti vengono applicati ovunque e viene ordinata una buona dose di trucco per pancake e rossetto per abbellire il quadro.

Sulla base degli attuali sondaggi non c’è dubbio che questa sarà una delle elezioni più controverse della storia degli Stati Uniti. Ad aggiungere ulteriore sapore al voto del prossimo anno è il fatto che le differenze tra i due partiti sono più ampie di quanto non siano mai state nella storia. Ciò lascia che le politiche risultanti influenzeranno il mondo aziendale, l’economia e i mercati degli Stati Uniti in modo diverso come la notte e il giorno.

Una cosa che sappiamo è che qualunque partito venga eletto, dovrà affrontare un debito pubblico statunitense senza precedenti pari a 8,2 trilioni di dollari, che maturerà nei prossimi 12 mesi. Si tratta di un terzo del totale dei titoli del Tesoro in circolazione e 3,5 volte di più di quanto è stato emesso in rete finora quest'anno. E si possono aggiungere altri 2mila miliardi di dollari a quel totale per coprire il deficit previsto per il nuovo anno fiscale iniziato a ottobre.

Questo sfondo può essere accantonato per un po', ma nessuna quantità di trucco o rossetto coprirà questo problema, non scomparirà. A parte l’ovvio che è fermare la spesa, sarà necessaria la CRESCITA, una CRESCITA organica per aiutare a tenere sotto controllo la situazione del debito. Tuttavia, anche con politiche a favore delle imprese e con l’eliminazione della spesa ideologica, ciò è più facile a dirsi che a farsi. Senza un’agenda pro-business, è un compito impossibile.

Semplici analogie spesso portano alla luce una situazione come nessun professore di economia può fare. È improbabile che una famiglia americana impantanata nei pagamenti del debito in un contesto di interessi in aumento decida improvvisamente che è una buona idea aggiungere pannelli solari sul tetto perché qualcuno in famiglia ha deciso che era un MUST-have. È anche dubbio che il capofamiglia scambierebbe il suo veicolo perfettamente funzionante con un veicolo elettrico fornito con un pagamento del debito maggiore. Tutto perché la stessa persona in quel gruppo familiare ha deciso per tutti gli altri che tutto questo DOVEVA essere fatto.

Signore e signori, questo è esattamente ciò che viene fatto all’economia statunitense. La tipica decisione di buon senso della maggior parte delle famiglie sarebbe quella di tenere a freno i costi NON NECESSARI e di annullare i desideri ideologici di ALCUNI (di SOPRAVVIVERE finanziariamente) per il miglioramento di TUTTI.

Questo è solo un esempio di ciò che è necessario fare per avere un QUALSIASI impatto su ciò che la scena MACRO, l’economia e i mercati si troveranno ad affrontare in futuro. Tuttavia, nel frattempo, il consumatore regna ancora supremo.

Ciò ci lascia con lo stesso dilemma dall’inizio del rally del quarto trimestre.

Differenziare lo scenario a breve termine dalla visione MACRO e stabilire una strategia di investimento di successo in quel periodo è stato difficile.

Il fatto è che la maggior parte del debito ipotecario in essere (che comprende il 70% di tutto il debito delle famiglie) è a tassi fissi, 300 punti base inferiori ai tassi attuali. Ciò significa che la maggior parte dei consumatori è molto meno sensibile ai tassi più elevati rispetto al passato. È vero, il debito creditizio rotativo sta toccando nuovi massimi, alimentato da un capitalizzazione dei saldi a tassi record. Ma in percentuale del reddito disponibile delle famiglie (6,3%), questo debito è ancora al di sotto della media del 6,6% dal 2012 al 2019.

Anche le aziende hanno approfittato dei bassi tassi dell’era della pandemia e hanno rifinanziato il proprio debito; Il 60% delle scadenze delle grandi aziende scadranno al più presto nel 2030. Le aziende più piccole hanno meno flessibilità e quindi sono più vulnerabili a tassi più elevati, così come i millennial, i GenZer e le coorti a basso reddito. Le piccole imprese sono responsabili del 65% dei nuovi posti di lavoro e impiegano la metà della forza lavoro totale. È il continuo contesto anti-business che può trasformarsi in un tallone d’Achille.

Come hanno indicato i sondaggi sulle piccole imprese, queste sono preoccupate per l'economia, il clima normativo e, ultimamente, la loro disponibilità di credito. Il numero principale rimane nel decile inferiore del suo intervallo storico, scendendo di 0,1 punti a 90,6 a novembre. Questo rapporto segna il 23° mese consecutivo al di sotto della media cinquantennale di 98. Il grafico indica che la mancanza di ottimismo è stata più evidente negli ultimi due e più anni e si trova a un livello che non si avvicina affatto ai massimi pre-pandemia. L’ottimismo dell’NFIB era più elevato nella metà e nell’ultima parte dell’anno pandemico (2020) rispetto a oggi. Ciò la dice lunga ed è solo UNA prova del fatto che gli Stati Uniti non operano in un contesto favorevole alle imprese.

L'analisi della ricerca empirica mostra che le famiglie "sotto i 45 anni" che tendono a portare con sé ingenti saldi di carte e/o hanno pagamenti di prestiti per auto e studenti, stanno determinando una corsa alle insolvenze del debito rotativo dai minimi minimi. Tuttavia, sebbene la continua crescita dell’occupazione e dei salari reali abbia attenuato il peso dei tassi elevati e dell’elevata inflazione, i millennial sono i perdenti in questo contesto. D’altro canto, i loro genitori baby boomer sono stati vincitori, ricevendo incrementi di reddito sulle disponibilità di liquidità e aumenti sui prezzi delle loro case.

Il punto è che, anche se la situazione debitoria degli Stati Uniti continuerà a costituire un enorme freno alla crescita economica, potrebbe volerci del tempo prima che ciò trascini l’economia al punto in cui le famiglie ne risentano seriamente. Quindi, se torniamo all’inizio, abbiamo prove che supportano l’accantonamento della scena MACRO e l’evidenziazione di ciò che è proprio di fronte a noi. Ironicamente, questo è ciò che rende il mercato così intrigante e anche molto difficile da comprendere e navigare.

Atterraggio morbido o semplicemente transizione verso una recessione?

I mercati azionari sostengono per ora la tesi di un atterraggio morbido poiché il mercato obbligazionario sta semplicemente prendendo la debolezza economica come motivo per abbassare i rendimenti, anche se la verità matematica è che è impossibile sapere se stiamo semplicemente attraversando tassi di crescita coerenti con un atterraggio morbido prima di rallentare verso una recessione o se l’economia manterrà tassi di crescita simili a quelli odierni.

E’ molto noto il fatto che ci sono state previsioni sbagliate di "atterraggio morbido" nel 2000 e nel 2006 dopo che la Fed ha smesso di aumentare i tassi, ma va detto che ci sono stati anche atterraggi morbidi (1995, 2018), sebbene di breve durata.

La logica suggerirebbe che i tassi di crescita continueranno probabilmente a rallentare in attesa di un catalizzatore esterno, dato il grado in cui i tassi sono restrittivi, cosa che anche il presidente Powell ha riconosciuto la scorsa settimana.

Il momento MIGLIORE per investire è quando il breve termine è allineato con la visione MACRO. Non abbiamo NIENTE del genere oggi, quindi richiede PAZIENZA, FLESSIBILITÀ e MENTE APERTA.

La settimana a Wall Street

Abbiamo voltato pagina alla nuova settimana e il mercato azionario continua a spingere al rialzo. L'S&P ha messo in gioco la sua serie di vittorie consecutive di sei settimane quando le negoziazioni sono iniziate lunedì e tutti gli indici hanno chiuso con guadagni modesti nel corso della giornata. Martedì 12 dicembre non c'è stata alcuna inversione di tendenza, nonostante l'apertura delle azioni in ribasso. Gli acquirenti sui minimi si sono presentati di nuovo per invertire i prezzi al rialzo. Le modeste perdite si sono trasformate in modesti guadagni con l'indice S&P che ha chiuso in rialzo di 21 punti.

Mercoledì 13 dicembre si è conclusa la riunione del FOMC e ha parlato il presidente Powell. Una volta menzionata la parola "taglio", i rialzisti hanno afferrato la situazione e hanno portato tutti gli indici verso nuovi massimi di recupero. Il DJIA ha chiuso la settimana con tre giorni consecutivi di nuovi massimi storici. Il Russell 2000 (IWM) ha registrato cinque settimane consecutive di guadagni mentre il DJIA, il NASDAQ Composite e l'S&P 500 hanno esteso i loro guadagni settimanali a sette.

Il presidente Powell ha iniziato il suo intervento sottolineando che lui e i suoi colleghi restano totalmente concentrati sul doppio mandato. Ha riassunto la dichiarazione politica della FRB: l'inflazione è scesa dai suoi massimi, una buona notizia, ma rimane troppo alta. La politica si è spostata “ben dentro un territorio restrittivo”, con ulteriori effetti ancora in cantiere. La Fed resta “pienamente impegnata” a riportare l’inflazione al 2%. Il Comitato procede "con cautela", ha ripetuto. I funzionari vogliono ancora vedere ulteriori prove che l'inflazione stia scendendo e hanno ammesso che ci vorrà "un po' di tempo", come si è visto nel SEP. E Powell ha detto che la Fed è pronta a inasprire ulteriormente, se necessario, in conclusione della dichiarazione di apertura.

Non c'è niente di nuovo qui, ma con il sentimento del mercato in modalità BULL, e la parola "taglio" ora nel verbale, ogni altra parola pronunciata tranne "taglio" è stata respinta. Pertanto il commento è stato interpretato come una BUONA notizia.

Forse la Fed sta già iniziando a ritirare il commento sul “taglio”.

Venerdì 15 dicembre Williams della Fed ha affermato che "gli analisti non stanno parlando di tagli dei tassi" in un'intervista alla CNBC. Ha ulteriormente respinto le aspettative del mercato, affermando che i tagli dei tassi non sono il problema principale per i politici e che è "prematuro" pensare ad un allentamento di marzo. I tassi sono ai massimi o prossimi ai massimi, ha confermato, ma ha anche indicato che la Fed deve essere pronta a inasprire ulteriormente se necessario. Le condizioni finanziarie complessive sono più restrittive, ha aggiunto, e ha affermato che le politiche della Fed hanno funzionato, raffreddando l'economia che sta rallentando il ritmo dell'inflazione. Non era pronto a dire quando sarebbe terminata la liquidazione del bilancio.

Gli investitori e il mercato si renderanno presto conto che i commenti sono più in linea con la realtà di questa situazione.

Il mercato è decisamente in fuorigioco rispetto a questa mania del taglio.

L'economia

  • L’inflazione

L'indice dei prezzi al consumo è salito dello 0,1% a novembre e quello core dello 0,3%, al di sopra delle aspettative. Questi fanno seguito ad un dato piatto di ottobre e ad un guadagno dello 0,2% nel core. Il ritmo annuale è rallentato al 3,1% a/a dal 3,2% a/a del titolo. Il tasso core è rimasto stabile al 4,0% a/a, lo stesso di ottobre, ed è in calo rispetto al 4,1% di settembre. Si è raffreddato rispetto al massimo degli ultimi 41 anni, ma non è ancora vicino all'obiettivo del 2%.

I componenti sono stati contrastanti, ma gran parte della debolezza è dovuta, come previsto, al settore energetico, che è sceso del 2,3%. I prezzi dei servizi sono aumentati dello 0,5% dallo 0,3%. Il settore immobiliare è aumentato dello 0,4% rispetto al precedente 0,3%. I costi degli alloggi sono aumentati dello 0,4% dallo 0,3% con l'affitto equivalente dei proprietari in aumento dello 0,5% dallo 0,4%. Quest'ultima è una componente su cui gli analisti continuano a contare per diminuire sostanzialmente, e continuano a sorprendersi. Mi chiedo come si aspettino che gli affitti inizino a scendere quando i proprietari di immobili continuano a pagare di più per tutto ciò che rientra nella gestione dei redditi da locazione.

I prezzi dei veicoli nuovi sono scesi del -0,1% dal -0,1%, ma i prezzi dell'usato sono aumentati del 2,5% dal -0,8% poiché la domanda di veicoli usati rimane forte. I prezzi delle cure mediche sono aumentati dello 0,6% contro lo 0,3%.

Il PPI è rimasto invariato a novembre e anche il tasso core è rimasto piatto. Questi seguono rispettivamente i dati del -0,4% e invariati in ottobre. Il tasso principale a/a è rallentato allo 0,9% dall'1,2% a/a. Si tratta del guadagno più piccolo da giugno. Il core è scivolato al 2,0% a/a dal 2,3% a/a ed è il più leggero da gennaio 2021.

Mese diverso, stessa storia. L’inflazione sta scendendo, ma il viaggio verso l’obiettivo continua ad essere lungo e tortuoso.

  • L’occupazione

Le richieste iniziali di sussidio di disoccupazione sono scese da 19.000 a 202.000 nella seconda settimana di dicembre da 221.000, lasciando le richieste appena al di sopra del minimo di 9 mesi di 200.000 in ottobre. Le richieste continuative sono aumentate di 20.000 fino a un nuovo massimo di 2 anni di 1.876.000 nella prima settimana di dicembre da 1.856.000 nella settimana del Ringraziamento. Finora nel mese di dicembre le richieste iniziali di risarcimento ammontano in media a soli 206.000, cifra inferiore alla media precedente di 221.000 di novembre.

  • Il consumatore

Le vendite al dettaglio hanno superato leggermente le previsioni, con incrementi di novembre dello 0,3% per il titolo e dello 0,2% per l'indice ex-auto dopo le revisioni al ribasso. I dati odierni sulle vendite al dettaglio sono coerenti con un aumento delle vendite aziendali dello 0,3% nel rapporto di novembre del mese prossimo.

  • La produzione

L'indice manifatturiero dell'Empire State è crollato di 23,6 punti a -14,5 a dicembre, molto più debole del previsto, dopo il rimbalzo di 13,7 punti a 9,1 di novembre. Questa è la lettura più debole dal -19,0 di agosto. L'indice è rimasto in territorio negativo per sei mesi. La debolezza era generalizzata. La componente occupazionale è scesa a -8,4 da -4,5 ed è ai minimi da marzo. I nuovi ordini sono scesi a -11,3 da -4,9. Le spedizioni sono scese a -6,4 da 10,0. I prezzi pagati sono scesi a 16,7 dal 22,2.

  • La scena globale

PIL del Regno Unito: i dati mensili sull'attività economica nel Regno Unito di ottobre non hanno riguardato tutte le principali categorie, tra cui PIL, produzione industriale, produzione di servizi e commercio. Il PIL mensile è sceso dello 0,3%, il che non è la fine del mondo ma aiuta a illustrare quanto debole sia stata la crescita nel Regno Unito post-COVID.

Dalla fine del 2021, la crescita è stata in media dello 0,8% annualizzato. Si tratta di più di un intero punto percentuale al di sotto della tendenza pre-COVID dell’1,9%, che era già debole rispetto agli standard dei paesi sviluppati.

Questa mattina la produzione industriale dell'UE ha mancato lo 0,7% contro lo 0,3% stimato dagli economisti. Una parte notevole del recente calo dell’attività manifatturiera nell’Eurozona è dovuta alle batterie, che erano cresciute a ritmi spettacolari durante la scorsa estate. Da allora sono diminuiti del 39%. Con l’aumento della produzione per l’industria automobilistica, questa categoria è destinata a essere volatile, ma il calo qui è comunque notevole

Questa settimana anche la BCE ha tenuto le ultime riunioni politiche dell’anno. Non hanno annunciato alcun cambiamento nei tassi ma hanno anticipato la data prevista per quando si prevede di raggiungere un’inflazione del 2,0%. Christine Lagarde ha fatto sapere che non si discuterà di tagli ai tassi.

Forse quello era l’approccio (non politico) CORRETTO.

Scrive Credit Suisse:

In effetti, l'indice S&P 500 di solito scende nei sei mesi successivi al primo taglio dei tassi da parte della Fed: "Sebbene si creda spesso che un tasso sui fondi più basso supporti l'aumento dei prezzi delle azioni, è anche un segnale che l'economia sta vacillando.”

Questo è quello che dico da un po', la Fed inizierà a tagliare SOLO SE l'economia cade nel precipizio.

Al contrario, Credit Suisse ha scoperto che l’S&P 500 di solito si riprende nei sei mesi successivi all’ultimo rialzo dei tassi se non sono previsti tagli. Se la Fed sospende gli aumenti dei tassi ma non pianifica alcun taglio, ciò significa che l’inflazione è in calo, ma la crescita economica è stabile, un vantaggio per le azioni.

In questo momento ci troviamo in quel "punto debole".

Il modo in cui tutto ciò si svolgerà all'inizio del prossimo anno sarà una CHIAVE per l'andamento del mercato azionario nel '24.

I risultati sorprenderanno molte persone.

Ci sono quindi forti e documentabili differenze, nella realtà che sta intorno a voi ed a noi, tra il 2021 ed il 2023: a prima vista, però, nessuno se ne rende conto, tranne … forse Tik Tok.

L’economia degli Stati Uniti è rimasta straordinariamente forte, ma l’accessibilità economica è peggiore che mai, dicono alcuni utenti di social media, anche se paragonata alla Grande Depressione.

Una delle ultime tendenze di TikTok, denominata "depressione silenziosa", mira a spiegare come le spese chiave come alloggio, trasporti e cibo rappresentino una quota crescente della paga da portare a casa dell'americano medio.

Secondo alcuni TikToker, oggi è più difficile farcela rispetto al peggior periodo economico della storia di questo paese.

Ma gli economisti sono fortemente in disaccordo.

"Qualsiasi idea di TikTok secondo cui la vita nel 1923 era migliore di adesso è separata dalla realtà", ha affermato Brett House, professore di economia della Columbia Business School.

Altro da Finanza personale: il 62% degli americani vive di stipendio in stipendio. Gli acquirenti abbracciano la "matematica femminile" per giustificare gli acquisti di lusso. Anche le persone con redditi elevati si considerano "non ancora ricche"

Rispetto a 100 anni fa, "oggi l'aspettativa di vita è molto più lunga, la qualità della vita è molto migliore, le opportunità di realizzare il proprio potenziale sono molto maggiori, i diritti umani sono più ampiamente rispettati e l'accesso all'informazione e all'istruzione è ampiamente ampliato", Ha detto House.

Anche guardando solo i numeri, il Paese ha continuato ad espandersi dopo la pandemia di Covid-19, eludendo le precedenti previsioni recessive.

Ufficialmente, il National Bureau of Economic Research definisce una recessione come "un calo significativo dell'attività economica che si diffonde in tutta l'economia e dura più di pochi mesi". Nell’ultimo secolo si sono verificate più di una dozzina di recessioni, alcune delle quali sono durate anche un anno e mezzo.

“Questa non è certo una depressione”

L’unica depressione che gli Stati Uniti abbiano mai vissuto in epoca industriale durò un decennio, dal crollo del mercato azionario del 1929 fino al 1939, quando gli Stati Uniti iniziarono a mobilitarsi per la Seconda Guerra Mondiale.

La depressione è un “ordine di grandezza totalmente diverso”, afferma Susan Houseman, direttrice della ricerca presso il W.E. Upjohn Institute for Employment Research, ha detto alla CNBC. “Non vediamo nulla di simile da 80 a 90 anni”.

Il PIL degli Stati Uniti è cresciuto ad un tasso del 5,2% nel terzo trimestre, addirittura più forte di quanto inizialmente indicato

Infatti, l'ultimo rapporto trimestrale sul prodotto interno lordo, che traccia lo stato di salute generale dell'economia, è aumentato più del previsto, mentre gli sforzi della Federal Reserve per ridurre l'inflazione hanno avuto finora successo, un'impresa rara nella storia economica.

Nelle sue ultime proiezioni economiche la banca centrale ha segnalato che taglierà i tassi di interesse nel 2024 anche con l'economia ancora in crescita, il che rappresenterebbe il percorso ricercato verso un "atterraggio morbido", in cui l'inflazione ritornerebbe all'obiettivo del 2% della Fed senza causare un aumento significativo della disoccupazione.

“A dire il vero, l’economia sta rallentando e il mercato del lavoro si sta raffreddando, ma non siamo in depressione”, ha affermato Sung Won Sohn, professore di finanza ed economia alla Loyola Marymount University e capo economista presso SS Economics.

Il tasso di disoccupazione è sceso al 3,7% a novembre, secondo quanto riportato di recente dal Dipartimento del lavoro degli Stati Uniti, e il rapporto tra opportunità di lavoro e lavoratori disponibili è di 1,3 a 1, ben lontano dal tasso di disoccupazione del 25% negli anni '30.

“Ora i salari stanno aumentando più velocemente dell’inflazione, aumentando il potere d’acquisto”, ha affermato. “Questa non è certo una depressione.”

“L’inflazione ha colpito più i poveri che i ricchi”

Ma indipendentemente dalla posizione economica del Paese, molti americani stanno lottando di fronte ai prezzi alle stelle per gli articoli di uso quotidiano, e la maggior parte ha esaurito i propri risparmi e ora si affida alle carte di credito per sbarcare il lunario.

Le famiglie a basso reddito sono state particolarmente colpite, ha affermato Tomas Philipson, professore di studi sulle politiche pubbliche all’Università di Chicago ed ex presidente ad interim del Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca.

  • Perché gli americani lottano per mantenere il proprio stipendio

I lavoratori meno pagati spendono una parte maggiore del proprio reddito in beni di prima necessità come cibo, affitto e gas, categorie che hanno registrato anche picchi di inflazione superiori alla media.

“L’inflazione ha colpito più i poveri che i ricchi, in termini di quota di reddito reale perso, perché è stata relativamente più elevata per le categorie che costituiscono quote maggiori dei bilanci familiari”, ha affermato Philipson.

  • Il mercato immobiliare pesa sul sentiment

Il settore immobiliare, in particolare, ha pesato sull’opinione di molti americani su come la nazione, nel complesso, sta andando, indipendentemente da ciò che dicono gli altri dati. Da inizio anno, secondo l’indice S&P CoreLogic Case-Shiller, i prezzi delle case a livello nazionale sono aumentati del 6,1%, molto più dell’aumento medio dell’intero anno solare negli ultimi 35 anni.

I tassi ipotecari sono diminuiti, ma sono ancora superiori al 7%, e l’offerta di case in vendita rimane molto bassa.

Questo spiega perché gli americani si sentono così male riguardo alla propria situazione finanziaria, anche quando il Paese è in buona forma, ha detto House. “Poiché la proprietà di una casa è la più grande decisione di investimento che la maggior parte delle persone prende nella propria vita, il mercato immobiliare probabilmente sta smorzando i sentimenti di molti americani riguardo all’economia americana”.

Come avete appena letto, la sensazione dominante è di confusione, o peggio si depressione.

Oggi però, questo stato di cose appena descritto non si riflette negli indici dei mercati finanziari.

O meglio, non è quello che oggi ci raccontano gli indici delle Borse.

Gli investitori, o almeno molti tra gli investitori, non sanno più che cosa pensare.

Soprattutto per la ragione che, con gli indici di Borsa ai massimi, i loro soldi, i soldi nelle GPM, nei Fondi Comuni e nei Fondi Hedge, non sono saliti. In alcuni casi, sono al contrario scesi, diminuiti. hanno perso.

E se poi guardiamo al futuro, le preoccupazioni degli investitori aumentano ancora.

“Se con le Borse ai massimi noi abbiamo perso soldi, che cosa potrebbe succedere nei prossimi anni, quando le Borse scenderanno?”. Sono molti, a chiederselo oggi. Tutti ricordano la frenetica altalena degli anni 2020, 2021, 2022, 2023.

Dalle stalle alle stelle. E poi di nuovo alle stalle. E poi ancora alle stelle. Andremo oltre, le stelle? Oppure alle stalle di nuovo, e poi persino sotto le stalle?

Questo aspetto della realtà finanziaria, dopo il 2020, merita massima attenzione: la estrema volatilità (poco o per nulla motivata dai fatti, come abbiamo fatto vedere in modo chiaro sette giorni fa proprio qui nel Blog) dell’ultimo quadriennio si è fino ad oggi tradotta in risultati modesti oppure negativi, dalle polizze Vita alle GPM, dai Fondi Comuni italiani a quelli internazionali, fino ai Fondi Hedge.

La domanda che conta è: quanto ha guadagnato, quanti soldi ha fatto, oppure ha perso, il pubblico che investe sui mercati finanziari?

Noi ne scriveremo tra pochi giorni, ampiamente, nel nuovo documento EXTRA che riserviamo ai nostri Clienti, e che contiene una ampia analisi, di qualità superiore, come sempre nel lavoro che facciamo per il Cliente.

Partendo da una domanda: gli indici sono ai massimi, ed i risultati degli investitori, invece, oggi dove sono?

Ma come già detto questa prima parte del Post di oggi si propone di rimettere ordine e ricapitolare i principali eventi di questo 2023 che sta per chiudersi.

Per chiudere la prima parte, abbiamo scelto un articolo pubblicato dal Wall Street Journal solo pochi giorni fa.

Lo ha scritto un giornalista molto noto, a tutti gli investitori.

Si tratta di Nick Timiraos, considerato dalla grande parte degli operatori come il “portavoce occulto” dello stesso Jerome Powell, il Capo della Federal Reserve.

L’articolo merita di essere letto per intero, per almeno due ragioni.

La prima ragione: aiuta tutti noi e tutti voi lettori a comprendere meglio come e perché il 2023 si è chiuso con questo brusco, violento e per molti aspetti incomprensibile … ritorno a FOMO.

La seconda ragione: Timiraos utilizza la parla “confusione”: Questo termine lo abbiamo letto in altre centinaia di occasioni, sui media e sul Web, nelle ultime due settimane.

Così ognuno di voi amici lettori, potrà utilizzare le parole di questo articolo per rispondere alla domanda:

non sarà che, con tutte queste mosse inaspettate, e con tutte queste parole che accompagnano le varie mosse, ci hanno mandato anche mé, questa volta, in confusione? agisco in modo razionale? sono ancora in pieno controllo dei miei soldi? oppure, al contrario, oggi io sto mettendo a rischio il mio risparmio, senza neppure capire ciò che sto facendo?

Al presidente della Federal Reserve Jerome Powell è stato chiesto in un recente incontro cosa fa per divertirsi. Fece una pausa, poi sorrise.

"Per me, una festa davvero grande - è quanto di più divertente ci sia - è un ottimo rapporto sull'inflazione", ha detto ridendo allo Spelman College di Atlanta all'inizio di questo mese.

Powell sta finalmente ottenendo ciò che voleva: un calo significativo dell’inflazione.

Ma questo sta creando un grattacapo familiare, rendendo più difficile per i funzionari della Fed, che vogliono mantenere aperte le loro opzioni, dissuadere gli investitori dal fatto che i tagli dei tassi siano imminenti.

Dopo l’incontro politico della scorsa settimana, i funzionari della Fed hanno pubblicato le proiezioni di almeno tre tagli dei tassi l’anno prossimo. Da allora sono rimasti sconcertati dal fatto che gli investitori si aspettino tagli ancora più rapidi e profondi. Il risultato: confusione su quando e quanto velocemente la Fed potrebbe tagliare mentre la banca centrale cerca di ridurre l’inflazione senza una dolorosa recessione.

“Se ti convinci che l’inflazione è diretta dove vuoi, non ho obiezioni ad abbassare i tassi”, ha detto il presidente della Fed di Richmond Tom Barkin in un’intervista martedì. “Ma sto ancora cercando la convinzione” che l’inflazione si stabilizzerà al target del 2% della Fed e non al di sopra.

I funzionari della Fed la scorsa settimana non hanno escluso tassi più alti. Ma Powell ha innescato un rally del mercato quando ha chiesto ad alcuni funzionari di descrivere le proprie prospettive di taglio dei tassi, anche se non era un obiettivo centrale.

Ha anche affermato che il calo dell’inflazione di quest’anno ha fatto sì che i funzionari potessero concentrarsi sul non lasciare i tassi troppo alti per troppo tempo. La Fed ha recentemente aumentato il tasso di riferimento sui fondi federali a luglio portandolo in un intervallo compreso tra il 5,25% e il 5,5%, un livello massimo in 22 anni.

Powell nell’ultimo anno si è preparato a un lungo combattimento corpo a corpo con l’inflazione. Dal luglio 2022, ha aperto ogni conferenza stampa post-riunione sottolineando come per ridurre l’inflazione probabilmente sarebbero necessari un rallentamento della crescita e delle assunzioni. Powell ha omesso queste righe la scorsa settimana, sottolineando come il recente calo dell’inflazione senza alcun aumento della disoccupazione abbia colto di sorpresa la Fed. “L’inflazione continua a scendere”, ha detto Powell. "In un certo senso presumiamo che diventerà più difficile da qui in poi, ma finora non è stato così."

Considerando il recente andamento dell’inflazione e l’apparente cambiamento nelle prospettive di Powell, “la Fed non avrebbe dovuto essere sorpresa dal mercato che la seguiva”, ha affermato Julia Coronado, fondatrice della società di consulenza economica MacroPolicy Perspectives.

Dopo la conferenza stampa di Powell del 13 dicembre, i mercati hanno iniziato ad anticipare che la Fed avrebbe potuto tagliare i tassi a partire da marzo di un quarto di punto e successivamente di altri cinque, il doppio di quanto previsto dai funzionari della Fed. Prima dell’incontro, i mercati prevedevano non più di quattro tagli a partire da maggio.

Una manciata di presidenti della Fed ha successivamente usato le onde radio per versare acqua fredda sulla speculazione di un taglio di marzo.

La reazione dei mercati a Powell è stata confusa, ha affermato il presidente della Fed di Chicago Austan Goolsbee.

“Non discutiamo di politiche specifiche, in modo speculativo, sul futuro”, ha detto lunedì alla CNBC.

  • Tiro alla fune con i mercati

La Fed e i mercati si sono impegnati in un tiro alla fune nell’ultimo anno e mezzo, con i mercati che spesso anticipavano un calo più rapido dell’inflazione e maggiori tagli dei tassi rispetto alla Fed.

Ma la situazione attuale sembra diversa perché l’inflazione è stata pari o vicina al target della Fed in cinque degli ultimi sei mesi. "La differenza sta nei dati", ha affermato Krishna Guha, vicepresidente di Evercore ISI. “La disinflazione sta arrivando prima e più rapidamente di quanto la Fed avesse prudentemente previsto”.

La scorsa settimana, i funzionari della Fed avevano previsto che l’inflazione core, che esclude la volatilità dei prezzi alimentari ed energetici, avrebbe chiuso l’anno al 3,2%, in calo di mezzo punto percentuale rispetto a quanto previsto tre mesi fa.

I dati ricevuti durante la riunione della Fed della scorsa settimana suggeriscono un’inflazione molto moderata a novembre, misurata dall’indicatore di inflazione preferito dalla banca centrale, che il Dipartimento del Commercio dovrebbe pubblicare venerdì. Secondo le previsioni del settore privato, l’inflazione core potrebbe raggiungere o scendere al di sotto del 2% su base annualizzata a sei mesi, e il tasso a 12 mesi potrebbe scendere al 3,1%, ha affermato Powell.

Powell ha detto la scorsa settimana che alcuni funzionari della Fed hanno rivisto al ribasso le loro proiezioni di inflazione dopo che i nuovi dati sono stati rilasciati la mattina dell'ultimo giorno della riunione della Fed. (I funzionari non hanno rivisto le loro proiezioni sui tassi).

Sebbene sia naturale che il mercato e la Fed siano in disaccordo sulle prospettive politiche, i recenti commenti dei funzionari della Fed suggeriscono che alcuni sono a disagio con l’elevata probabilità che i mercati abbiano imposto un taglio a marzo.

La domanda è se i funzionari della Fed pensano che il mercato sia “completamente sbagliato” o pensano che un simile risultato sia plausibile ma “non vogliono rimanere intrappolati in un incontro che è a due incontri di distanza, tra tre mesi”, ha detto Guha. . La reazione un po’ tiepida dei funzionari della Fed negli ultimi giorni suggerisce quest’ultima ipotesi.

  • Rimangiando le loro parole

Altri funzionari hanno fatto eco alla svolta di Powell sottolineando che il calo dell’inflazione li ha resi più desiderosi di limitare il rischio di una recessione che potrebbe non essere necessaria per eliminare le pressioni sui prezzi.

Molti hanno suggerito che sarebbe opportuno abbassare i tassi il prossimo anno anche se l’economia non dovesse peggiorare, per evitare che i tassi “reali” o adeguati all’inflazione aumentino con il calo dell’inflazione.

I tassi di interesse potrebbero essere ancora “abbastanza restrittivi anche se aggiustassimo la politica” abbassando i tassi tre volte l’anno prossimo, ha detto lunedì in un’intervista la presidente della Fed di San Francisco Mary Daly.

I funzionari della Fed e i policy maker dell’amministrazione Biden sono sollevati dal fatto che l’economia abbia sostenuto una forte crescita con un’inflazione in calo.

Gli economisti che l’anno scorso avevano affermato che per abbassare l’inflazione sarebbe stato necessario un tasso di disoccupazione molto elevato si stanno “rimangiando le loro parole”, ha detto ai giornalisti il segretario al Tesoro Janet Yellen all’inizio di questo mese.

“Un anno fa, molti economisti dicevano che la recessione era inevitabile”, ha detto Yellen in un’intervista la scorsa settimana. “Ma in realtà non ho mai pensato che ci fosse una solida base intellettuale per fare una simile previsione”.

Se i mercati hanno dato fastidio ai funzionari della Fed, è in parte a causa del loro stesso “dot plot”, dove un punto rappresenta la proiezione dei tassi di interesse di ciascun funzionario. La Fed Powell ha fatto affidamento su questa guida per trasmettere la sua politica dei tassi di interesse ai mercati finanziari. Ciò può essere più complicato quando c’è maggiore incertezza.

La settimana scorsa due funzionari non avevano previsto tagli per il prossimo anno e uno aveva previsto tagli equivalenti a sei quarti di punto. “Si tratta di un intervallo piuttosto ampio” da cui prendere spunto, ha detto Barkin.

  • La fine del “più alto più a lungo”

Il diagramma a punti ha talvolta frustrato i politici. Ciò è in parte dovuto al fatto che è costruito dal basso verso l’alto anziché dall’alto verso il basso. I funzionari presentano le proiezioni la settimana prima della riunione e non vedono le proposte dei loro 18 colleghi fino alla sera prima della riunione.

I mercati attribuiscono grande importanza alla mediana, sebbene tale mediana non sia il prodotto di una discussione formale. "Alcune persone parleranno dei loro punti e altre no, ma non c'è... conversazione di gruppo o strategia che avvenga", ha detto Barkin.

La settimana scorsa, la proiezione mediana dei funzionari di tagli di tre quarti di punto nel 2024 era la più amichevole tra le due opzioni che gli analisti avevano ritenuto più probabili. Alcuni hanno ipotizzato che i banchieri centrali avrebbero previsto solo due tagli per il prossimo anno, in parte per impedire ai mercati di aspettarsi ulteriori riduzioni.

Prima della riunione della Fed, “la mia inclinazione era che volessero essere davvero sicuri che l’inflazione tornasse al 2%, non al 3% e non al 3,5%”, ha affermato Jeffrey Cleveland, capo economista di Payden & Rygel, una società con sede a Los Angeles, gestore patrimoniale. Non si aspettava che i funzionari prevedessero tagli così tanti, o nessuno, “perché pensavamo che sarebbero stati disposti ad aspettare”.

Il risultato è stato che Powell ha iniziato a distanziare la Fed dal mantenere i tassi di interesse “più alti per un periodo più lungo”, una strategia lanciata dai funzionari all’inizio di quest’anno quando l’inflazione sembrava più ostinata ed erano incerti se continuare ad aumentare i tassi. Anche se i funzionari si stanno allontanando da questo approccio, “il mercato obbligazionario è andato troppo oltre se stesso”, ha detto Cleveland.

Scrivi a Nick Timiraos a Nick.Timiraos@wsj.com

È apparso nell'edizione cartacea del 20 dicembre 2023 con il titolo "L'ottimismo degli investitori mette a disagio i funzionari della Fed".

Valter Buffo
"Adesso tutto ha un senso"
 

Riprendiamo una parte del testo del nostro Blog di sette giorni fa.

Per un periodo lungo anni, tutti noi e tutti voi abbiamo creduto che le Banche Centrali agissero per fare il bene di tutti, e nell’interesse di tutti.

Poi, da due anni a questa parte, la visione ecumenica del ruolo delle Banche centrali è stata abbandonata: la realtà dei fatti ha imposto, alle Banche Centrali, di abbandonare quella pretesa di fare tutti più ricchi, in tempi brevi, e senza costi per nessuno.

Quella storia, quella narrativa, quel modo di raccontare il ruolo delle Banche Centrali, è finito.

Non ha retto il confronto con la realtà.

E’ finito quando le Banche Centrali sono state COSTRETTE ai rialzi dei tassi: ed è per questo che oggi siamo arrivati allo scontro tra l’industria che sta intorno ai mercati finanziari e la stessa Banca Centrale.

L’industria dei Fondi e le banche di investimento pretendono che i tassi ufficiali scendano COMUNQUE, e questo perché i mercati finanziari devono COMUNQUE salire, a prescindere da tutto.

Per alcuni anni, le Banche Centrali hanno in effetti operato proprio in quella direzione: oggi, NON possono più agire in quel modo.

E nasce lo scontro descritto nell’articolo. Quel “Fight The Fed” del quale noi scrivemmo nel 2020.

Nell’ultima settimana, i fatti sono andati nella direzione opposta.

A prima vista, noi di Recce’d siamo stati smentiti.

Ma (attenzione ) sono trascorsi appena tre giorni, dalla conferenza stampa di Jerome Powell.

Da sempre, noi lo diciamo e lo scriviamo: e oggi c’è ancora più ragione di ripeterlo: un buon investitore ed un buon gestore ottengono buoni risultati solo se diffidano delle “reazioni a caldo”.

Negli ultimi tre giorni tutti gli operatori di mercato, ed una buona parte degli investitori, hanno discusso, analizzato, elaborato teorie. Oggi, sabato 16 dicembre, la grande maggior parte ancora NON ha capito bene, come potete leggere nel seguito.

C’è però qualcuno che oggi ha una forte convinzione, che noi oggi vi riproponiamo, su ciò che è successo.

ve la proponiamo in lettura NON perché da parte di Recce’d c’è la convinzione che sia la autentica successione degli eventi.

Bensì perché questa interpretazione dei fatti quanto meno sta in piedi: ed è, in questo senso, la sola che conosciamo.

Se il lettore ne avesse una migliore, lo preghiamo di scriverci attraverso il sito e farcela conoscere. Gliene saremo grati davvero.

In giro, sui mercati, sui media, in Goldman Sachs e JP Morgan, tra i promotori finanziari di Mediolanum e Fideuram, noi non la abbiamo trovata (che si reggesse in piedi).

Leggete con attenzione le date: la prima data è il giorno 1 dicembre, e la seconda data è il girono 13 del medesimo dicembre del medesimo anno.

La seconda frase ha mandato tutti i mercati in affanno

  • bisogna reagire

  • bisogna assolutamente fare qualche cosa

  • bisogna muoversi

Noi, in Recce’d, abbiamo fatto l’opposto.

E questo per una ragione semplicissima. I fatti. Noi da sempre sui portafogli titoli operiamo sulla base dei fatti.

E qui, fatti non ce ne sono: almeno per il momento.

Ed anche oggi, 16 dicembre 2023, noi in Recce’d siamo certi che non sono e non saranno le parole, ma solo i fatti, a decidere dove si guadagna e dove si perdono invece soldi sui mercati finanziari.

Detto dunque che questo è per noi in Recce’d un punto fermo, occupiamoci degli ultimi tre giorni: nei quali sembra che sia accaduto di tutto. Sembra che sui mercati sia arrivata la svolta. Non è vero. Nessuna svolta. Oggi vediamo insieme al lettore la ragione per cui non è successo nulla.

E partiamo, anche in questo caso, dai fatti.

Leggiamo insieme.


Un giorno dopo la svolta bizzarra e inaspettata della Fed, molti faticano a comprendere quello che è successo.

Cosa è cambiato esattamente in meno di due settimane perché Powell abbia detto al mercato che era "prematuro concludere con fiducia che abbiamo raggiunto un posizione sufficientemente restrittiva, o speculare su quando la politica potrebbe allentarsi" per avvertire improvvisamente che i tagli dei tassi sono qualcosa "che comincia ad apparire, ed è chiaramente un argomento di discussione nel mondo e anche una discussione per noi durante il nostro incontro di oggi ."

Anche quello che sui mercato tutti definiscono il “portavoce” di Powell, ovvero il giornalista del WSJ Nick "Nikileaks" Timiraos, era confuso nel rimarcare con sarcasmo dopo il FOMC

"che differenza possono fare due settimane".

E per questo, diamo uno sguardo più da vicino alle due settimane tra il 1° dicembre e il 13 dicembre, quando si deve immaginare che tutto è cambiato. (Qualcosa di sicuro è cambiato: ma per noi investitori è DECISIVO capire bene COSA è cambiato).

Ciò che scopriamo è che i principali eventi economici che hanno avuto luogo sono stati l'ISM Services del 5 dicembre, il rapporto sulla disoccupazione di novembre dell'8 dicembre, il rapporto sulla fiducia dei consumatori dell'Università del Michigan, il rapporto sull’inflazione CPI del 12 dicembre (e aggiungiamo i dati sulle vendite al dettaglio di oggi solo per ulteriore contesto).

Passando a ciascuno di questi in ordine, iniziamo con il rapporto ISM Services che è stato nettamente superiore alle attese e in ripresa rispetto al mese precedente...

... il rapporto sull'occupazione è stato un risultato impressionante e anche un miglioramento significativo rispetto al rapporto precedente...

... per non parlare del tasso di disoccupazione che è stato molto al di sotto delle aspettative e ha rappresentato un forte calo rispetto al precedente (gli osservatori della Regola di Sahm, che erano preoccupati che questo dato avrebbe segnalato un'imminente recessione, possono rilassarsi)...

... anche la retribuzione oraria media è stata più elevata del previsto (cioè inflazionistica)...

...che a sua volta ha aiutato il rapporto UMichigan Consumer Sentiment, che è esploso da 61,3 a 69,4 (distruggendo le previsioni di 62,0)...

... per quanto riguarda i dati sull'inflazione, l'indice dei prezzi al consumo di novembre è stato più elevato del previsto (quindi contrariamente a qualsiasi tendenza disinflazionistica su cui la Fed potrebbe ricorrere per giustificare la sua linea accomodante).

Ultimo ma non meno importante, le vendite al dettaglio di oggi 13 dicembre 2023 sono state roventi - il quinto dato consecutivo superiore alle attese - e hanno confermato che, contrariamente a quanto telegrafato dalla Fed, i consumatori statunitensi non solo non stanno rallentando, ma presumibilmente stanno spendendo molto più di quanto previsto da Wall Street.

Forse Powell non aveva quei dati, ma certamente aveva accesso agli stessi dati sulla spesa con carta in tempo reale di cui dispone la Bank of America, e che consentivano di prevedere correttamente quanto sarebbero stati grandi i dati sulle vendite al dettaglio di oggi.

Eppure, dopo tutti questi dati più forti del previsto e/o in miglioramento, o un’inflazione più elevata, Powell ha fatto una svolta inaspettata a 180 su ciò che aveva detto due settimane prima, quando i dati erano generalmente peggiori – e meno inflazionistici – di quanto lo siano oggi. Il FOMC ha "ruotato" in una direzione accomodante, il suo impatto sui mercati è stato profondo.

Chiaramente, il fattore chiave della forte reazione dei mercati è stato il fatto che Powell ha deciso di non respingere le aspettative del mercato di tagli anticipati (e significativi) per il 2024.

E aggiungete la battuta finale: sebbene il FOMC non abbia escluso dal tavolo la possibilità di ulteriori aumenti, Powell ha ammesso che il FOMC ha iniziato a discutere su quando ridurre i tassi, un'enorme inversione di rotta rispetto a quanto aveva detto meno di due settimane prima, quando aveva ha affermato che è "prematuro" speculare sui tagli dei tassi, ha detto che il Comitato non ha ancora elaborato il ciclo di tagli, ma ha detto che non aspetteranno con i tagli finché l'inflazione non sarà al 2%, perché non vogliono fare più di ciò che è necessario.

Naturalmente, come abbiamo mostrato sopra, nei dati recenti non c’era alcun pericolo di “overdoing”; se non altro, i dati sono diventati più forti dall’inizio del mese, così come l’inflazione, quindi assumendo lo stesso Powell dalla sua apparizione del 1° dicembre al la chiacchierata davanti al caminetto dello Spelman College era ancora attuale, quello che avrebbe dovuto dire era ripetere quello stesso messaggio.... invece ha fatto esattamente il contrario.

Ciò, secondo Rabobank, sostanzialmente mina l’importanza di qualsiasi dato sull’inflazione a breve termine che indicherebbe ancora un’inflazione al di sopra del suo obiettivo, mentre aumenta quei dati che supportano l’idea che l’inflazione sia in calo.

Nick Timiraos del Wall Street Journal ha twittato che Powell ha detto che alcuni membri hanno addirittura cambiato idea a metà della riunione, quando sono emersi i numeri del PPI (inferiori alle aspettative).

Powell: Alcuni funzionari della Fed hanno cambiato le loro previsioni dopo che i numeri del PPI sono stati pubblicati mercoledì

— Nick Timiraos (@NickTimiraos) 13 dicembre 2023

Ma come sanno anche gli analisti finanziari del primo anno, ciò che il PPI misura più di ogni altra cosa, sono i costi di input delle materie prime, cioè petrolio, benzina, cibo e così via... tutti elementi che la Fed evita religiosamente nella sua misura preferita di inflazione, il core PCE.

Ed il dato “core” è fermo al 4%. Il doppio del target ufficiale.

Quindi il quadro che emerge è sconcertante

Da un lato con dati più deboli in mano a fine novembre, il presidente della Fed ha affermato che era “prematuro” parlare di tagli dei tassi, ma meno di due settimane dopo, il 13 dicembre, e con dati più forti in atto e con previsioni più calde del previsto sull'inflazione attesa,

Powell improvvisamente ha fatto un'inversione di 180 gradi, scioccando anche i trader veterani, quando afferma che la Fed ora sta guardando proprio quelle cose (PPI) che ha fatto di tutto per evitare quando l'inflazione era alle stelle.

O forse non c'è alcun enigma: forse quello che è successo nelle ultime due settimane non ha nulla a che fare con i dati economici, con lo stato dei consumi statunitensi, o con l'aumento dell'inflazione e con tutto ciò che riguarda... telefonate da la Casa Bianca sempre più arrabbiata, la stessa Casa Bianca che dopo aver visto gli ultimi dati dei sondaggi mettere Biden in maggior svantaggio dietro Trump nonostante il miracolo della "Bidenomics"...

... ha deciso di abbassare l'ultimo livello politico e ha avuto una conversazione dietro le quinte con il presidente della Fed, chiarendo chiaramente che è nell'interesse di tutti se la Fed termina la sua campagna di inasprimento e informa il mercato che stanno arrivando tagli dei tassi. Certamente ciò spiegherebbe perché, nonostante abbia mantenuto invariato al 2,875% il tasso dei fondi federali previsto per il 2026, la Fed ha deciso in modo altrettanto inaspettato di eliminare un taglio dello 1% del tasso dall’anno non elettorale del 2025 e di spostarlo (anticiparlo) nel periodo pre-elettorale del 2024.

Sciocchezze, la Fed è apolitica, non cederebbe mai alle pressioni politiche, dici!?

Ebbene, caro lettore, queste sono … stronzate, come ci ricorda anche il New York Times in questo particolare vivido aneddoto del 1965 che racconta la drammatica interazione tra l’ex presidente degli Stati Uniti Lyndon B Johnson e l’allora presidente della Fed William McChesney Martin, quando il capo della banca centrale americana - con grande dispiacere di LBJ - ha aumentato i tassi di mezzo punto percentuale, facendo infuriare il presidente democratico, vale a dire:

Nel corso della riunione del Consiglio dei governatori di quel pomeriggio, ha chiesto che si votasse per aumentare il tasso di sconto di mezzo punto percentuale, al 4,5%, ma prima del voto ha ammesso che un aumento del tasso avrebbe sostanzialmente sventolato una bandiera rossa davanti ai critici del sistema. una Federal Reserve indipendente, al Congresso e alla Casa Bianca. “Non dovremmo farci illusioni”, ha detto ai suoi colleghi. “Una decisione di agire ora può portare a un importante rinnovamento del sistema della Federal Reserve, compresa la sua struttura e i suoi metodi di funzionamento”. Questa è una possibilità concreta e ci penso da mesi”.

Il voto è stato di 4 a 3. Martin è stato quindi decisivo per decidere.

In Texas, Johnson era infuriato. Joseph Califano, un assistente (in seguito segretario di gabinetto sotto il presidente Jimmy Carter), ricordava che Johnson “bruciò i cavi con Washington, chiedendo a un membro del Congresso dopo l’altro: ‘Come posso gestire il paese e il paese? governo se devo leggere su un notiziario che Bill Martin gestirà la propria economia?'"

Martin fu convocato per spiegare perché aveva sfidato il presidente.

Martin è volato al Johnson Ranch lunedì 6 dicembre, insieme a Fowler e altri consiglieri. Il presidente li ha accolti su una pista di atterraggio al volante della sua Lincoln decappottabile. Si sono ammassati e lui li ha accompagnati a casa.

Lì, Johnson prese Martin da solo e non usò mezzi termini: secondo diversi resoconti, il Johnson alto 6 piedi e 4 spinse il molto più basso Martin contro un muro.

"Sei andato avanti e hai fatto qualcosa che sapevi non approvassi, che potrebbe influenzare il mio intero mandato qui", ha detto Johnson, come ricorderà Martin più tardi in una storia orale. "Ti sei approfittato di me e non lo dimenticherò". , perché eccomi qui, un uomo malato. Mi hai messo in una posizione in cui puoi pugnalarmi alle spalle e l'hai fatto."

“Martin, i miei ragazzi stanno morendo in Vietnam e tu non stamperai i soldi di cui ho bisogno”, ha detto.

Martin mantenne la sua posizione, sottolineando di aver dato al presidente un giusto avvertimento sull’arrivo di un aumento e, più in generale, insistendo sul fatto che lui e il presidente avevano compiti diversi da svolgere e che il Federal Reserve Act attribuiva alla Fed la responsabilità sui tassi di interesse. .

"Sapevo che disapprovavi, ma dovevo decidere come la vedevo", ha detto.

Alla fine i due uscirono e cercarono di assicurare ai giornalisti che eventuali differenze erano state risolte, ma le loro espressioni amare, catturate sui giornali il giorno successivo, suggerivano il contrario.

Ironicamente, alla fine LBJ ha ottenuto ciò che voleva, come rivela il seguente episodio del New York Times:

...nel 1965, il presidente Lyndon B. Johnson, che voleva credito a buon mercato per finanziare la guerra del Vietnam e la sua Great Society, convocò il presidente della Fed William McChesney Martin nel suo ranch in Texas.

Lì, dopo aver chiesto ad altri funzionari di lasciare la stanza, Johnson, secondo quanto riferito, spinse Martin contro il muro mentre chiedeva alla Fed di mantenere ancora una volta bassi i tassi di interesse.

Martin cedette, la Fed stampò moneta e l’inflazione continuò a salire fino all’inizio degli anni ’80.

Quasi 60 anni dopo, Powell ha deciso di non "considerare le cose come le vedeva" solo due settimane fa, e invece di essere sbattuto con le spalle al muro dagli scagnozzi di Biden, ha capitolato quella poca credibilità che la Fed aveva proprio per fare si che le probabilità di Biden di ottenere la rielezione nel 2024 fossero leggermente più alte.

La conclusione di questo articolo potete condividerla o meno. L’importante, nel contesto del nostro Post, è che non potete, non possiamo, nessuno può escluderla, oggi, dopo i fatti che abbiamo elencati per il periodo 1 - 13 dicembre del 2023.

Ripetiamo: pur non essendo noi di Recce’d a favore di chi diffonde “teorie del complotto”, è proprio la assoluta mancanza di una interpretazione migliore di questa ad averci suggerito di proporvela in lettura.

Perché, in mancanza di questo, saremmo costretti a scrivervi che “Tutto questo non ha senso”.

A distanza di tre giorni dai fatti, però, è ancora presto per aderire totalmente a qualsiasi interpretazione. Bisognerà lavorarci ulteriormente, per trovare quel senso, e sulla base di quel senso decidere che cosa fare. Se fare.

Ai nostri Clienti, la settimana prossima forniremo un ampio approfondimento di questa tematica, ed esamineremo le implicazioni sulla operatività futura dei portafogli titoli nella Sezione Operatività del nostro quotidiano The Morning Brief.

A tutti i lettori, in estrema sintesi, vogliamo però dire quattro semplici cose, sulle quali noi di Recce’d non abbiamo il minimo dubbio anche oggi:

  1. non è vero che “siamo stati smetiti”: perché? Perché le cose non stanno in quel modo

  2. sui mercati non c’è stata alcuna SVOLTA: le “svolte” delle parole (le parole dei politici in particolare) non sono “svolte” nei fatti, e quindi non sono svolate per i mercati finanziari, e quindi per i risultati dei vostri investimenti; guardate sempre ai fatti, e non alla “narrativa ufficiale sui media”

  3. meno che mai, questo non è il momento di “fare quello che fanno tutti”; e la ragione è che i “tutti” non sono “tutti”; è un gioco, alle spalle degli investitori; una squadra n questo momento ha il comando delle operazioni, ma potrebbe perderlo nello spazio di poche sedute di mercato

  4. non fatevi trascinare dalla massa: continuate a ragionare, specie in momenti di mercato come questi: i dati che dovete comprendere a fondo, oggi, li trovate riassunti nell’immagine che chiude il Post: noi di Recce’d ne scriveremo in settimana, ai nostri Clienti, nella Sezione Analisi del The Morning Brief, e forse anche in un Post che verrà pubblicato sul sito durante la settimana, se faremo in tempo.

Valter Buffo
La Fed tra quattro giorni, tra quattro mesi, tra quattro anni
 

La settimana che sta per iniziare vedrà riunirsi tutte le maggiori Banche Centrali: in successione Stati Uniti, Europa, Regno Unito e Giappone.

Una breve premessa: Recce’d, da mesi ed in più occasioni, vi ha scritto che per i mercati finanziari (e quindi, anche per la performance dei vostri investimenti e del vostro portafoglio) oggi NON sono un fattore determinante.

Il mese di novembre forse ha fatto pensare ad alcuni dei nostri lettori che:

le Banche Centrali sono ancora quelle che danno la direzione ai mercati.

Ma si tratta di una illusione ottica, come diremo più sotto: oggi i mercati vanno contro le Banche Centrali.

Tutti lo potrete constatare proprio tra il 10 ed il 15 dicembre 2023.

Per questa ragione la settimana prossima sarà particolarmente utile per la gestione del portafoglio titoli: ci farà vedere che ai mercati, delle dichiarazioni dei banchieri centrali, oggi, importa ben poco.

Per i mercati, non sono più decisive quelle frasi, intenzionalmente ambigue come ad esempio:

potremmo forse tagliare i tassi a seconda di come usciranno i prossimi dati

oppure anche come:

l’attuale livello dei tassi ufficiali è sufficientemente restrittivo.

I mercati, nel 2023, ignorano queste dichiarazioni, Non reagiscono più.

Hanno perso ogni importanza, frasi di questo tipo, per la ragione che … sul mercato tutti ormai hanno capito come funziona questo “giochetto”.

Nel nostro Post di oggi, noi infatti non ci dedichiamo a spiegare il “giochetto”: volentieri lasciamo ad altri di scrivere e parlare di futuri valori dell’inflazione, di futuri tagli dei tassi, e di atteggiamenti più o meno “accomodanti”.

Noi, nel Post che state leggendo, scriviamo di Banche Centrali, è vero, ma NON da questo punto di vista.

Per spiegare, ripartiamo oggi da un commento che abbiamo letto dieci giorni fa.

Bank of America (ex Merrill Lynch, dal 2009) scrive:

Con l’indice S&P 500 a 4550 punti e il VIX a 13, l Borsa americana sembra (ancora una volta) puntare tutto sullo scenario chiamato soft-landing.

A nostro parere è rischioso in questo momento concentrare tutto su un unico scenario, perché il livello di incertezza a livello macro è così tanto alto, che molti non lo hanno mai sperimentato in tutta la loro vita.

E’ verissimo: per una buona parte degli operatori di mercato, un livello di incertezza macro come quello attuale è una totale novità.

Lasciateci aggiungere, però, che è facilissimo informarsi di ciò che accadde alle economie ed ai mercati, negli Anni Sessanta e Settanta.

Ma restiamo sul livello, eccezionale, di incertezza.

E dunque sul livello, del tutto eccezionale, di

  • rendimenti futuri di tutti gli asset finanziari

  • rischi si improvvisi, violenti, ampi ribaltamenti della prospettiva, per i mercati finanziari (come è stato ad esempio in novembre) e per le economie reali.

Come dice l’immagine qui sopra, la spinta dell’industria (banche di investimento e Reti di promotori finanziari) ha spostato l’attenzione del pubblico degli investitori, in questa parte finale del 2023.

L’industria insieme con i media ha spostato lo sguardo della massa, distogliendolo da quei fattori che saranno determinanti nelle prossime settimane e mesi, per le nostre e vostre performances.

E li ha riportati indietro (quasi tutti) su un tema vecchio e già sfruttato molte volte. Il tema è quello del soft landing.

La forza del marketing è tale (non lo scopriamo certo oggi) che nel pubblico si diffonde rapidamente la convinzione che “tutti” la vedono in quel modo. Che “tutti” sono certi che si andrà verso il soft landing.

E così, per qualche settimana, siamo ritornati nel dorato Mondo del “sale tutto”.

Ancora una volta, si tratta di una distorsione, come viene chiaramente spiegato dall’immagine che vedete qui vicino (“Labour market losses …”).

Interpellando persone che di professione fanno gli economisti, e non i venditori per le banche di investimento oppure per le Reti di promotori, si ottengono risposte diverse.

E si scopre che non è vero che “tutti” la vedono come le banche di investimento e le Reti dei promotori finanziari.

Per noi investitori tratta di capire le ragioni di questa differenza: per poi decidere a chi affidarsi come le proprie scelte di investimento.

La differenza che abbiamo appena messo in evidenza, con l’immagine più in alto, viene spiegata soprattutto facendo riferimento alle aspettative per i tassi di interesse.

Ve lo illustra l’immagine che vedete qui vicino (“Rate cuts in 2024 …”).

A questo proposito, Recce’d, nella seconda parte di novembre e poi anche in dicembre, ha scritto qui nel Blog che sono ALTRI, i fattori che noi investitore dobbiamo prendere in esame, per decidere a quale scenario affidare le nostre scelte di investimento per il 2024.

Non ci torneremo oggi, ma Recce’d è già al lavoro su di un secondo Longform’d, dopo quello di qualche settimana fa.

Oggi restiamo, invece, sul tema a cui abbiamo accennato più in alto in apertura di Post, che poi è anche il tema del grafico qui vicino.

Un tema che noi oggi ampliamo, ed approfondiamo, grazie all’articolo che segue, articolo pubblicato soltanto pochi giorni fa.


Lo scrittore è presidente del Queens’ College di Cambridge e consigliere di Allianz e Gramercy

Qualcosa di singolare si sta verificando ancora una volta nel rapporto tra i mercati finanziari e la Federal Reserve americana.

È emerso un disaccordo sui tassi di interesse che la Fed fisserà nel 2024.

Quanto più gli investitori ignorano i segnali emessi dalla banca centrale più influente del mondo, tanto più è probabile che si troveranno dalla parte dei perdenti in questo dibattito. E quanto più a lungo persiste questo fenomeno, tanto più intriganti diventano le complessità correlate.

Questa situazione è diventata vividamente evidente nel periodo precedente l’attuale “periodo di calma” per i funzionari sui commenti pubblici, che dovrebbe concludersi il 13 dicembre con la conclusione della riunione politica della Fed. In questo periodo caratterizzato da interpretazioni accomodanti – o da un ascolto selettivo – da parte dei mercati di numerosi discorsi della Federal Reserve, tutta l’attenzione si è concentrata sulla possibilità che le osservazioni del presidente Jay Powell alla fine di quella settimana si sarebbero scontrate con il consenso del mercato che prevedeva tagli dei tassi a partire dall’inizio del 2024.

Powell ha tentato di farlo con due linee di argomentazione.

In primo luogo, ha sottolineato che “era prematuro concludere con una certa sicurezza che abbiamo raggiunto una posizione sufficientemente restrittiva, o speculare su quando la politica potrebbe allentarsi”.

In secondo luogo, ha ricordato ai mercati che lui e i suoi colleghi del comitato di definizione della politica della Fed “sono pronti a inasprire ulteriormente la politica se ciò si rivelasse opportuno”.

Tuttavia, a giudicare dalle reazioni del mercato, questi tentativi si sono rivelati infruttuosi. Ci si aspetterebbe che questi segnali invertissero parzialmente l’avvincente movimento dei rendimenti osservato a novembre: un calo di oltre 0,60 punti percentuali per i titoli del Tesoro a 10 anni e di oltre 0,40 punti inferiore per i titoli a due anni sensibili al tasso. Invece, i rendimenti sono scesi di altri 10 punti base il giorno del discorso di Powell, portando i mercati a scontare complessivamente entro la fine di quella settimana un totale di cinque tagli nel 2024, con una notevole probabilità che il primo avvenga già a marzo.

Ciò che aggiunge ulteriore peculiarità è che questa non è la prima volta che i mercati mettono in discussione la visione della Fed guidata da Powell sulle prospettive di politica monetaria. Solo un anno fa si è verificato uno scenario simile, con i mercati che scontavano tagli per il 2023 che non si sono mai concretizzati. Di conseguenza, i titoli di Stato hanno avuto un anno accidentato e, fino al robusto rally dei rendimenti di novembre, hanno dovuto affrontare la prospettiva di un terzo anno consecutivo di rendimenti negativi.

C’è una terza peculiarità: più i mercati divergono dai segnali della Fed, più è probabile che spingano la banca centrale ad adottare un percorso per loro dannoso. Questo perché la propensione dei mercati ai tagli dei tassi allenta le condizioni finanziarie e aumenta le preoccupazioni della Fed riguardo alle pressioni inflazionistiche, ritardando così i tagli dei tassi su cui i mercati stanno scommettendo. Infatti, secondo l’indice Goldman Sachs, novembre è stato uno dei maggiori allentamenti mensili delle condizioni finanziarie mai registrati.

Per quanto riguarda il motivo, i mercati potrebbero essere disposti a rischiare un’altra sconfitta da parte della Fed perché sono più preoccupati per una possibile recessione nel 2024. Ciò sarebbe in linea con gli sviluppi dei prezzi dell’oro e del petrolio, ma sembra incoerente con un’impennata dei prezzi delle azioni.

In alternativa, i mercati potrebbero credere che, sebbene la Fed miri ufficialmente a un tasso di inflazione del 2%, potrebbe comprensibilmente tollerare una cifra leggermente più alta (3%). Ciò è in linea con l’idea che, dopo essere stata alle prese con una domanda aggregata insufficiente nel decennio precedente, l’economia globale è entrata in un periodo pluriennale di offerta aggregata meno flessibile. Fattori come la transizione energetica, la globalizzazione frammentata, l'enfasi aziendale su catene di fornitura resilienti e mercati del lavoro meno adattabili contribuire a un tale cambiamento. Perseguire un obiettivo di inflazione troppo basso in questo contesto comporterebbe inutili sacrifici in termini di crescita e mezzi di sussistenza, nonché un peggioramento della disuguaglianza.

La terza spiegazione è incentrata sulla perdita di credibilità della Fed. Ciò è dovuto alla sua errata caratterizzazione dell’inflazione, alle misure politiche ritardate, agli errori di vigilanza, alla scarsa comunicazione, ai ripetuti errori di previsione, alle domande sulle attività commerciali di alcuni funzionari e alla debole responsabilità.

Sulla base delle previsioni di consenso del mercato sull’economia e sui livelli delle valutazioni azionarie, i tassi di interesse potrebbero rimanere invariati per un periodo più lungo di quanto implica attualmente il mercato dei futures. Per evitare un’altra potenziale battuta d’arresto, gli investitori dovrebbero prepararsi alla possibilità di rendimenti più elevati nel 2024 o adeguare di conseguenza le valutazioni delle azioni.


Come abbiamo scritto sopra, e come abbiamo evidenziato in numerose occasioni, gli investitori devono tenere a mente che questo scontro tra operatori dei mercati finanziari e Banche Centrali, che i media ci raccontano parlando sempre e soltanto di “inflazione e tassi di interesse”, è distorsivo per noi investitori.

Noi vi spieghiamo invece che questa apparente divergenza sul futuro dell’inflazione è invece uno scontro tra realtà che perseguono obbiettivi tra loro divergenti, ed in conflitto.

Per un periodo lungo anni, tutti noi e tutti voi abbiamo creduto che le Banche Centrali agissero per fare il bene di tutti, e nell’interesse di tutti.

Poi, da due anni a questa parte, la visione ecumenica del ruolo delle Banche centrali è stata abbandonata: la realtà dei fatti ha imposto, alle Banche Centrali, di abbandonare quella pretesa di fare tutti più ricchi, in tempi brevi, e senza costi per nessuno.

Quella storia, quella narrativa, quel modo di raccontare il ruolo delle Banche Centrali, è finito.

Non ha retto il confronto con la realtà.

E’ finito quando le Banche Centrali sono state COSTRETTE ai rialzi dei tassi: ed è per questo che oggi siamo arrivati allo scontro tra l’industria che sta intorno ai mercati finanziari e la stessa Banca Centrale.

L’industria dei Fondi e le banche di investimento pretendono che i tassi ufficiali scendano COMUNQUE, e questo perché i mercati finanziari devono COMUNQUE salire, a prescindere da tutto.

Per alcuni anni, le Banche Centrali hanno in effetti operato proprio in quella direzione: oggi, NON possono più agire in quel modo.

E nasce lo scontro descritto nell’articolo. Quel “Fight The Fed” del quale noi scrivemmo nel 2020.

Le banche di investimento, con l’industria dei Fondi, stanno combattendo questa battaglia per la loro stessa sopravvivenza.

Loro rischiano la loro stessa sopravvivenza, se i mercati finanziari non sono costantemente gonfiati come un palloncino.

A loro, la bolla conviene.

A noi investitori, invece, la bolla dei mercati ha fatto danni. ne farà altri: più grandi

Per questo, banche di investimento, e Fondi Comuni, e ovviamente le Reti dei promotori finanziari, fanno grandissima fatica ad accettare la Nuova Era. Non accettano di adeguarsi al Nuovo Paradigma.

Ma saranno costretti, ad adeguarsi: perché già oggi le Banche Centrali NON sono più la stessa cosa. La natura stessa delle Banche Centrali oggi è cambiata. Sono cambiati i loro obbiettivi, ed il modo stesso di funzionare.

Siamo, anche per questa ragione, in una Nuova Era.

La settimana scorsa, oltre a noi di Recce’d ne ha parlato e scritto anche un ex-Presidente della Banca Mondiale, nel modo che leggete qui di seguito.

In poche parole, trovate in questo articolo un elenco dei temi di cui oggi dovrebbe occuparsi la Banca Centrale, anziché dedicare per intero la sua attenzione al livello del costo ufficiale del denaro ed al tasso di inflazione.

I quattro argomenti evidenziati nell’articolo sono quattro dei tanti temi che daranno la direzione ai mercati finanziari da qui in poi. Tra i quali, NON ci sarà l’inflazione.

Di questi temi, noi tratteremo in alcuni Post successivi.

Oggi ci fermiamo a questa indicazione concreta: inflazione e tassi sono temi di investimento del 2021 e del 2022, non del 2023 e del 2024.

Con riferimento a ciò che è scritto nell’articolo conclusivo, vi suggeriamo di ascoltare con attenzione ciò che diranno le Banche Centrali la settimana prossima.

Gli Stati Uniti sono in una posizione vulnerabile. Le sue forze armate sono al limite delle guerre attuali e ci vorranno anni per ricostruirle. Il brusco ritiro dall’Afghanistan ha danneggiato la reputazione globale dell’America, rendendo difficile galvanizzare l’opposizione alla Russia o ad Hamas attraverso il soft power americano, un tempo formidabile. Gli Stati Uniti stanno anche lottando economicamente sotto un’amministrazione dominata da regolatori attivisti e un processo di bilancio gravemente compromesso che contribuisce al declino della nazione attraverso spese elevate, tasse e debito. Le proiezioni di crescita economica a lungo termine sono inferiori al 2%.

C’è, tuttavia, un punto positivo. Il recente picco dei rendimenti obbligazionari crea un’opportunità per la Federal Reserve. Ha poteri monetari e normativi che influenzano profondamente la crescita. Ha bisogno di usarli.

L’attuale strategia della Fed è quella di aumentare i tassi di interesse fino a quando la crescita e l’inflazione non diminuiranno. Questa strategia “high for long” rischia di causare danni permanenti alla crescita indebolendo gli investimenti privati. Con i rendimenti in calo rispetto al picco di ottobre, il dollaro stabile e i tassi di interesse già al 5,5%, la Fed ha l’opportunità di apportare un cambiamento fondamentale nella politica monetaria e normativa per incoraggiare una crescita non inflazionistica e preparare il terreno per tagli dei tassi, non aumenti. Dovrebbe fare quattro cose:

In primo luogo, ridurre il suo bilancio più rapidamente. Ha già ridotto le sue partecipazioni in titoli del Tesoro di 1,2 trilioni di dollari dal picco del maggio 2022. La crescita economica si è dimostrata resiliente, raggiungendo il 4,9% nel terzo trimestre del 2023. Paradossalmente, ridurre le obbligazioni funziona meglio di quanto abbia fatto l’acquisto di obbligazioni. Le partecipazioni obbligazionarie della Fed non sono necessarie. Sono finanziate dal debito bancario, non dalla stampa di denaro, che spiazza le piccole imprese e fa aumentare i rapporti di leva finanziaria delle banche commerciali, limitando i prestiti. Il mantenimento delle partecipazioni obbligazionarie avvantaggia il governo, le grandi aziende e gli immobili commerciali, ma rallenta la crescita. Ha già causato centinaia di miliardi di dollari di perdite per i contribuenti statunitensi. La Fed può tagliare la spesa per interessi e allentare la pressione sui tassi di interesse consentendo alle sue obbligazioni e al debito bancario di ridursi rapidamente e stimolare la crescita.

In secondo luogo, la Fed dovrebbe enfatizzare la stabilità del dollaro per incoraggiare gli investimenti e la crescita. Il Tesoro stabilisce la politica del dollaro, ma la Fed può facilmente rendere più visibile la stabilità del dollaro incorporando il dollaro nei suoi modelli di inflazione e crescita. Questi modelli non funzionano perché presuppongono che la crescita causi inflazione. Dovrebbero riflettere l’importanza del dollaro nel raggiungimento della stabilità dei prezzi.

La stabilità del dollaro è una priorità urgente. Il biglietto verde è a rischio a causa dello yuan cinese, dell’elevato debito nazionale, delle sanzioni abusate e delle criptovalute. La Cina ha una politica esplicita dello yuan “forte e stabile” che aiuta la valuta attraverso l’inflazione e tassi di interesse inferiori a quelli degli Stati Uniti. Una politica di pace attraverso la forza inizia con la fiducia che il dollaro sarà forte e stabile per i decenni a venire.

In terzo luogo, la Fed deve consentire ai capitali di fluire più liberamente per garantire maggiori investimenti e dinamismo. La Fed controlla le banche fissando requisiti su capitale basato sul rischio, leva finanziaria e liquidità. L’attuale mix sta soffocando l’innovazione e i prestiti alle piccole imprese, aggravando lo spiazzamento del gigantesco debito bancario della Fed. Le autorità di regolamentazione governative hanno commesso ripetuti errori, tra cui quello di imporre costosi requisiti patrimoniali sui prestiti alle imprese ma nessuno sui governi, distorcendo il capitale a favore del governo. Le autorità di regolamentazione hanno sottovalutato il rischio di un picco dei tassi di interesse negli stress test e hanno ignorato il disallineamento delle scadenze e il rischio di ritiro presso la Silicon Valley Bank e altri. I regolatori incolpano le banche quando si verificano errori. La medicina – requisiti di capitale più elevati – fa aumentare i costi e riduce la crescita più di quanto riduca il rischio.

In quarto luogo, per salvaguardare la propria credibilità e indipendenza, la Fed deve denunciare la dissolutezza fiscale come hanno fatto Paul Volcker e Alan Greenspan.

La Fed può aiutare la crescita riducendo le sue partecipazioni obbligazionarie e il debito bancario, difendendo il dollaro e facendo un respiro profondo prima di creare ulteriori strati di costosa regolamentazione finanziaria. Ciò porrebbe le basi per una crescita più rapida e tassi di interesse più bassi, un vantaggio per tutti.

Malpass è stato presidente della Banca Mondiale nel 2019-23 e sottosegretario al Tesoro degli Stati Uniti nel 2017-2019.

Valter Buffo
Gestito, amministrato, consulenza “evoluta”, fai-da-te, trading-on-line. E Recce'd.
 

Ci ricolleghiamo oggi al lungo lavoro presentato ai lettori del Blog sette giorni fa.

Il mercato, nelle mese di novembre, ha ulteriormente allargato lo spazio di manovra ed oggi le opportunità per investire bene sono ancora più grandi di un mese fa.

Ma di attualità, abbiamo scritto nel Blog in modo diffuso nella prima parte del mese di novembre: e non ci ripeteremo oggi.

Abbiamo detto delle opportunità: ma quanti sono in gradi di coglierle?

Ci pare estremamente utile, per i nostri lettori, riflettere in modo attento ed approfondito sulle performances ottenute dai cosiddetti “grandi nomi” dell’industria del risparmio negli anni dalla pandemia ad oggi.

Perché ci sono stati molti alti e bassi.

Perché ci sono state (a sentire proprio questi stessi grandi nomi dell’industria) grandi opportunità.

Perché ci sono stati titoli clamorosi su tutti i media e nei social.

Ed è quindi utilissimo vedere CHI ha guadagnato, sfruttando quegli alti e bassi, sfruttando quelle clamorose storie dei social, come Tesla, Nvidia ed il petrolio.

Questi grafici, insieme a tanti altri grafici, vi dimostrano che le grandi opportunità di cui vi abbiamo scritto sopra NON si colgono attraverso strumenti di questo tipo (bilanciato, flessibili, multi asset) e questo per la ragione che sono gestiti nel modo sbagliato, nel senso che il metodo di lavoro è sbagliato, che l’impostazione teorica è sbagliata, le modalità operative sono sbagliate.

Ne scriviamo con regolarità alla pagina del nostro sito che si chiama SCELTE DI PORTAFOGLIO.

I dati che avete appena visto nei grafici sono la conferma materiale che tutta quanta l’industria tradizionale del risparmio si ispira ad un solo principio:

speriamo che i mercati salgano.

Il che, ovviamente, NON è una gestione del portafoglio: invece è confondere la SPERANZA con la REALTA’.

Un dato di fatto, che proprio nel mese di novembre 2023 ha trovato una conferma ulteriore, e sproporzionata perché isterica.

Tutta intera l’industria del risparmio, per la settima volta in due anni, si è buttata dalla medesima parte. Il tema di mercato, per alcune settimane, è stato uno solo per tutti gli operatori della vecchia industria: speriamo, speriamo, speriamo che taglino i tassi.

Ancora una volta, l’ennesimo, si confonde la speranza con la realtà. Ancora una volta, l’industria che è cresciuta intorno ai mercati finanziari punta tutto, tutto, tutto sull’euforia.

E tutto questo sta in piedi oggi (ma non per molto ancora) unicamente grazie al debito.

Come sapete la speranza non è un metodo di lavoro. La speranza non funziona. La speranza non dura. La speranza non regge il confronto con la realtà.

L’investitore finale deve quindi porsi il problema: come posso cogliere le ENORMI opportunità che i mercati oggi presentano?

Con quali modalità operative, con quali strumento finanziari, con quali interlocutori?

Oggi la vecchia industria del risparmio (gestito e non gestito) offre all’investitore finale una ampia serie di alternative commerciali che poi, come documentiamo sopra con i grafici, NON sono autentiche alternative. Si tratta di UNA SOLA proposta con marchi commerciali diversi.

Una proposta che viene adottata da tutti gli operatori tradizionali. Chiedetevi il perché.

Recce’d invece NON segue questa strada, non si lega al benchmark e non si nasconde dietro a storie stantie come media/varianza/correlazione.

Non sono quelle, le opportunità di investimento che Recce’d persegue con il proprio lavoro per il Cliente. Il nostro mestiere consiste in questo:

  • investire il denaro SOLO SE ci sono autentiche opportunità di guadagno, senza gli obblighi della tradizionale asset allocation dei Fondi che avete visto sopra;

  • ed anche vendere invece tutto ciò che viene trattato a prezzi NON sostenuti da adeguate valutazioni, anche quando i media e le Reti celebrano una certa “narrativa”.

Le opportunità che potete cogliere, investendo con i portafogli di Recce’d, sono quindi altre rispetto a quelle della vecchia industria.

Sono le opportunità di guadagno più legate alla realtà dei fatti, quelle che Recce’d persegue ogni giorno per i Clienti.

Questo è il fatto che spiega la ragione per la quale Recce’d oggi (fine novembre del 2023) sta davanti a tutti i grafici che avete appena visto, ed anche a molti altri.

L’investitore finale deve fare una serie di scelta. La scelta NON riguarda però il dollaro oppure l’euro. Non riguarda le Borse europee oppure la Borsa americana. Non riguarda il petrolio oppure l’oro. E lo capite facilmente, se rivedete ancora i grafici sopra: dove NULLA ha fatto la differenza.

Si tratta invece di scegliere un METODO DI LAVORO, un metodo della gestione del portafoglio ed un metdo della consulenza. Alternativi a quelli della vecchia industria.

Al contrario, molti tra gli investitori finali, di fatto, NON scelgono perché non riescono ad orientarsi.

Per mancanza di tempo, attenzione, informazioni, molti investitori si limitano ad andare dietro ai “sentito dire” del Web, delle chat, del vicino di casa, dell’amico allo stadio, e così via. E poi procedono: ma senza avere consapevolezza di ciò che fanno.

E questo ci porta alla situazione attuale, nella quale la massa ovvero quasi tutti gli investitori finali, oggi, si ritrovano uniti attorno ad una sola cosa. La insoddisfazione. Pensate: con lo S&P 500 di New York a 4600 punti, il 5% appena al di sotto dei massimi di ogni tempo, ed il DAX a 16000 punti, tutti sono insoddisfatti.

Pensate per un attimo che cosa succederebbe se …

A fine novembre 2023, tra i venditori delle Reti e gli operatori di mercato dominano atteggiamenti euforia e dichiarazioni fiducia, e l’ottimismo sui tagli dei tassi: eppure oggi il risparmio, per la maggior parte degli investitori, oggi crea problemi, più che risultati.

Ma quali sono questi problemi?

Ovviamente, un problema importante è il risultato: che nonostante i record delle Borse, e nonostante il rimbalzo di novembre 2023, lasciano la grandissima parte degli investitori del tutto insoddisfatti.

Ma non è il solo problema, come vedremo poi in Post successivi.

Restando oggi al problema di risultati, si può riassumere come segue: se il gestore e/o “consulente evoluto” si limita a replicare, passo per passo, il risultato del benchmark, e quindi si sale se gli indici dei mercati maggiori salgono, ma si scende quando scendono, allora .. a che cosa serve il gestore e/o consulente?

Questo è il problema più diffuso tra gli investitori finali. Ed anche il più evidente.

Ogni Cliente che è legato alla cosiddetta “consulenza evoluta” si domanda:

per che cosa pago?

Recce’d a questo proposito da molti anni vi scrive di fare attenzione: perché pagate (tante) commissioni per avere il nulla, in termini di servizio di gestione, come abbiamo documentato sopra con i nostri grafici.

Su questo aspetto, da quasi dieci anni i portafogli modello di Recce’d hanno fatto la differenza.

Una differenza che, badate bene, non è e non può essere solo sul fronte dei risultati.

Il servizio al risparmiatore è un servizio ampio e complesso, da produrre ogni giorno con competenza e con attenzione. vediamo quindi dove Recce’d fa la differenza:

  • differenza di costi

  • differenza di risultati

  • differenza di consapevolezza del Cliente

  • differenza di trasparenza sui costi

  • differenza nella comunicazione con il Cliente

La grande parte dell’industria del risparmio, oggi, non è in grado di competere con Recce’d su questi cinque fronti

Non può competere con un operatore innovativo come noi di Recce’d: e questo per la ragione che la grande parte dell’industria del risparmio ad oggi è ancora ferma al famigerato “modello fabbrica-Rete” che, come abbiamo spiegato a più riprese (specie alla pagina SCELTE DI PORTAFOGLIO) ha obbiettivi industriali che sono totalmente estranei al risultato che il Cliente investitore ottiene dai suoi investimenti.

La cosa è risaputa: talmente risaputa che ne ha scritto persino la Banca d’Italia (che pure ha contribuito attivamente al creare questa situazione di “cartello” tra le Aziende del settore).

A sua volta, Banca d’Italia con la sua recente uscita su questo tema ha costretto persino il quotidiano Sole 24 Ore ad occuparsene.

Leggiamo insieme.

Con cadenza periodica i regulator e le autorità di vigilanza si interrogano sullo sviluppo dell’industria del risparmio gestito.

E puntualmente - in tali occasioni - a livello nazionale ed europeo viene sottolineata l’esigenza di ridurre i costi per i clienti, di alzare l’efficienza del servizio offerto e, allo stesso tempo, garantire crescita e competitività al settore.

In particolare ogni anno l’Esma nel suo “Statistical Report - Performance and Costs of Eu Retail Investment Products” evidenzia l’eccessiva onerosità dei fondi comuni venduti in Italia, che presentano costi tra i più alti in Europa. Per dare un riferimento concreto, per la categoria degli azionari i costi annuali si aggirano in Europa sull’1,5 per cento, mentre per l’Italia tale valore sale al 2 per cento. Percentuali che purtroppo sono ancora molto lontane da ciò che avviene nel mondo anglosassone, caratterizzato da maggior trasparenza e competitività.

Lo stesso report dell’Esma mette in luce anche i maggiori oneri, mediamente intorno al 40%, che i sottoscrittori dei fondi al dettaglio pagano in più rispetto agli investitori istituzionali.

Circostanze che contribuiscono a creare la disaffezione dei piccoli risparmiatori verso i mercati, il che può trovare una conferma empirica nel fatto che in Europa la partecipazione delle famiglie al mercato dei capitali è di gran lunga inferiore rispetto a quella registrata in altre economie avanzate. Tema su cui tanto si discute in sede europea nell’ambito del processo di creazione del Mercato Unico dei Capitali.

Da par suo Banca d’Italia sul tema dei costi dei fondi è intervenuta a più riprese, con profonde riflessioni, puntando in particolare il dito sulle strutture commissionali dei fondi a scadenza predefinita che, con il ritorno degli alti rendimenti offerti dai titoli di Stato, hanno ritrovato nell’ultimo anno un forte appeal, che non si era comunque mai del tutto sopito allo sportello.

Studi empirici di Banca d’Italia, basati sulle segnalazioni di vigilanza delle società di gestione, hanno fatto toccare con mano il legame esistente tra l’aumento dei costi dei fondi comuni e la forte crescita della raccolta dei fondi a scadenza in Italia. Questi ultimi presentano «una struttura commissionale in cui gli oneri sono particolarmente elevati, legati alla presenza di un orizzonte temporale pluriennale e al fatto che la rete di vendita viene solitamente remunerata all’inizio della vita del fondo», come emerge dal paper 391/2017 pubblicato dall’istituto di Via Nazionale.

Un meccanismo di prelievo dei costi per i fondi a scadenza che nel 2012 oltre a essere stato avallato, è stato anche definito nei dettagli da Banca d’Italia.

Seppur armata di buone intenzioni, l’Authority ha prestato quindi il fianco ai gestori per strutturare fondi a scadenza con commissioni distorsive e fuori mercato. Ma c’è sempre tempo per correre ai ripari. Del resto le criticità sono emerse da studi pubblicati dalla stessa Banca d’Italia.

La grandissima parte del pubblico dei risparmiatori, ormai, è consapevole che lo stato delle cose è proprio questo.

Allo stesso tempo, tra quegli investitori che sono già informati, prevale ancora l’atteggiamento di persistere nell’errore. Alcuni credono che non esistono alternative. Altri sono mentalmente pigri. Altri si fanno ingannare dal “rapporto personale” invece di badare al lavoro, ai risultati, alla sostanza.

Molti investitori si fanno tenere alla catena da un promotore commerciale, che fa leva sulla conoscenza personale per distrarre l’investitore dai temi che per l’investitore sono rilevanti

  • i costi

  • la competenza professionale in materia di gestione

  • i risultati

Altri si affidano a risposte semplicistiche: le vecchie “ricette della nonna Peppina”.

Negli ultimi anni poi, a tutto questo si è aggiunto un nuovo fenomeno: è molto cresciuto il numero di coloro che davanti allo specchio si dicono Io sono Dio, confondendo un accidente della storia (i tassi di interesse a zero) con una dote personale da impiegare sui mercati finanziari.

Il tempo riporterà le cose al loro posto, naturalmente.

Abbiamo già detto sopra, di una delle conseguenze della situazione che abbiamo appena descritto: è la generalizzata insoddisfazione degli investitori.

Ma non è la sola conseguenza della situazione che abbiamo appena descritta: ce ne sono altre, che approfondiremo nei prossimi Post.

  • i mercati sono più fragili: gli investitori finali NON SONO CONSAPEVOLI e quindi sono soggetti a momenti di EUFORIA ai quali seguono poi fasi di PANICO

  • le risorse investite sui mercati vanno nella direzione sbagliata, per effetto della bolla nel valore degli asset; i capitali vengono investiti male, nei …. camioncini eleganti, e questo danneggia l’economia nel suo insieme; che oggi si trascina avanti solo grazie al continuo aumento del debito.

Di questo abbiamo scritto sette giorni fa. Oggi la massa degli investitori neppure è informata dei dati e del problema descritto nella immagine più in basso, che chiude il Post. la Rete di vendita lo tiene accuratamente LONTANO dall’attenzione degli investitori.

Le Reti di vendita, i media e le banche di investimento vi vogliono convinti che questi numeri, semplicemente, NON esistono.

Valter Buffo
Longform’d. Rendimenti 2024 e 2025. Le opportunità le decide il debito.
 

“I soliti pessimisti?”

Tutto l’opposto. Noi in Recce’d siamo gli ottimisti.

Il viaggio è già iniziato. Il viaggio di rientro da Fantasyland. Lungo la strada, ci aspettano grandi opportunità, ed all’arrivo noi avremo fatto guadagni sostanziosi. Sui portafogli modello di Recce’d e per conseguenza nei portafogli dei Clienti di Recce’d.

Uno dei “temi di Recce’d” che ricorrono con maggiore frequenza è il grande valore della realtà nelle scelte di investimento: ciò che distingue le buone scelte di investimento dalle cattive è che le prime sono fondate sulla realtà mentre le seconde si basano su fantasie infondate.

Ha ragione chi sostiene che non sempre i mercati finanziari riflettono la realtà. Allo stesso tempo, sempre (e per necessità) i mercati finanziari ritornano a riflettere la realtà. La realtà vince: il sogno svanisce, ed il sognatore perde (i suoi soldi).

Ed è necessario che vada così: il sistema economico e finanziario ha necessità di equilibrio. Dagli squilibri, nascono altri squilibri, e poi le crisi.

Qui nel Blog, nel mese di novembre, e per alcune settimane, ci siamo occupati della strettissima attualità. A volte, è necessario seguire, commentare ed analizzare l’attualità.

A volte, però, è anche distorsivo: si finisce per perdere di vista ciò che è importante: il che significa perdere di vista i fatti che poi determinano i risultati dei nostri investimenti sui mercati finanziari.

Negli anni dal Duemila ad oggi, questa distorsione o distrazione è stata accentuata, rispetto al passato, da una azione deliberata, di media, Reti di promotori, e banche di investimento.

Da quindici anni, il solo scopo della massiccia opera di convinzione è stato quello di convincere il pubblico, e la massa degli investitori, che la situazione è stabile e che è migliore di quello che, invece, è in realtà.

Attraverso i media, si impone sul pubblico una versione distorta della realtà. Lo si fece già negli anni Venti e poi Trenta del secolo scorso. Si tratta di meccanismi molto noti, e a quasi tutti.

Oggi quindi, Recce’d riporta i suoi lettori dalla attualità alla realtà: li aiuta ad alzare un po’ lo sguardo, a non vedere la punta delle proprie scarpe ma la strada, e quindi destinazione verso cui, anche grazie a quelle scarpe, si sta andando tutti quanti.

Baste con l’attualità, questa settimana: vi parliamo della realtà.

Ci sono alcuni aspetti, di questa realtà, di cui nessuno, tranne noi, scrive e parla.

Ma proprio quegli aspetti saranno i fattori decisivi, per tutte le performances di tutti gli asset, e di tutti i portafogli titoli.

Bisogna fare in fretta, arrivarci PRIMA, PRIMA che poi tutti se ne rendono conto.

E’ questo, l’imperativo. L’imperativo che arriva ai promotori finanziari dalle Direzioni Marketing, ai salesman delle banche globali di investimento dal CEO, e ai giornalisti dal Direttore editoriale.

Vi domanderete, ma … “rendersi conto” di che cosa?

Semplice: è già in atto una crisi, che sta lentamente venendo a galla. Non si tratta di un “domani succederà che…” ma di qualche cosa che sta succedendo proprio oggi e proprio sotto i vostri occhi.

E noi ve lo facciamo vedere oggi stesso.

Come tutti sapete, sui mercati finanziari funziona da sempre così: prima piano, piano, piano, e poi … tutto insieme all’improvviso.

Recce’d come sempre offre ai lettori del sito, in modo gratuito, segnali anticipati, che poi il lettore dovrà tradurre in pratica riprendendo il controllo del proprio portafoglio di investimenti e modificando la sua asset allocation, le sue scelte di titoli ed altri strumenti, la sua strategia di investimento.

Ad esempio, chi ha letto con attenzione, il 9 agosto 2020, il nostro primissimo Longform’d, ne ha ricavato guadagni importanti. perchè avevamo anticipato gli Anni 2021, 2022 e anche 2023. Se rileggete proprio quel Longform’d ci trovate scritto che cosa faranno le obbligazioni, le valute e le materie prime nei tre anni successivi. Ed anche le azioni, da qui in avanti.

Lo stesso si può dire di chi ha letto il nostro secondo Longform’d di quel 2020. Dove la nostra indicazione era chiarissima: “Fight The Fed”. Combatti la Federal Reserve e la BCE.

Che poi, è la medesima cosa che OGGI vi dicono di fare le grandi banche di investimento internazionali, e tutte le Reti di promotori: ovvero

non fidatevi di Fed e BCE, fate l’opposto di ciò che vi dicono, perché si sbagliano.

Era giusto, pensare ed agire così, nel 2020 e poi nel 2021.

Ma è totalmente sbagliato nel 2023, e noi oggi vi spieghiamo il perché è sbagliato. In questo Longform’s vi spieghiamo il perché si tratta di un inganno ai danni di tutti gli investitori finali.

Tra tre anni, risulterà evidente a tutti: e noi allora vi ricorderemo di quella volta che, nel 2023, avevamo scritto che … ma per i vostri portafogli titoli, allora sarà tardi.

Come spunto iniziale, oggi utilizziamo un articolo datato 6 novembre, e pubblicato dal Financial Times. Lo abbiamo tradotto per voi e lo riportiamo di seguito.

Più in basso, riprendiamo con il nostro lavoro di analisi ed approfondimento.

Harriet Clarfelt a New York 6 NOVEMBRE 2023

L’economia americana potrebbe crescere molto più velocemente di quanto previsto dai pessimisti, ma gli affari sono ancora vivaci per gli avvocati specializzati in fallimenti. "Le cose hanno davvero subito un'accelerazione", afferma Thomas Lauria, responsabile globale della ristrutturazione di White & Case. Il suo team è sulla buona strada per ottenere ricavi da record quest’anno.

Nel frattempo gli hedge fund stanno spiando le opportunità future poiché le aziende sono costrette a ristrutturazioni finanziarie che potrebbero vedere il debito passare di mano per ben al di sotto del suo valore nominale. Gli acquirenti di quel debito potrebbero ottenere grandi guadagni se la società riuscisse a riprendersi. “Diventerà sempre più un mercato di selezione del credito”, prevede Mike Scott, responsabile delle opportunità di credito e high yield globali presso Man Group GLG.

Tale attività è un segnale che una nuova era di alti costi di finanziamento sta iniziando a farsi sentire nelle imprese americane, i cui prestiti complessivi ammontano ora a 13 trilioni di dollari secondo i dati della Federal Reserve. Le imprese che si sono abituate al debito a buon mercato durante più di un decennio di tassi di interesse estremamente bassi devono ora adattarsi a un mondo in cui i finanziamenti costano di più. Molto più; da marzo 2022 la Federal Reserve ha alzato i tassi di interesse da quasi zero a un intervallo compreso tra il 5,25 e il 5,5%. La Banca Centrale Europea, la Banca d’Inghilterra e altri hanno seguito l’esempio. Anche se la Fed e la BoE mantengono i tassi questa settimana suggeriscono che il ciclo dei tassi di interesse potrebbe aver raggiunto il picco, molti si aspettano che i costi di finanziamento rimarranno elevati. Più in alto più a lungo.

Se è così, allora ci saranno più aziende dovranno ripagare i loro prestiti o rifinanziarli a costi sostanzialmente più elevati. Oltre 3mila miliardi di dollari di debito societario dovranno essere ripagati nei prossimi cinque anni. “Così tante aziende hanno davvero tratto grandi benefici dal costo zero del capitale”, afferma Greg Peters, co-chief investment officer di PGIM Fixed Income. "Di conseguenza, ti troverai in questo ambiente di default persistentemente più elevato del normale." Oltre ad aumentare i costi finanziari, tassi più elevati potrebbero anche smorzare il potere di spesa dei consumatori.

Gli investitori cominciano a temere che questo uno-due possa scatenare un’ondata di default sul debito, che potrebbero portare a ulteriori fallimenti aziendali e perdite di posti di lavoro. Moody’s, l’agenzia di rating, afferma che i tassi di default globali sul debito più rischioso hanno raggiunto il 4,5% nel corso dell’anno fino a settembre, al di sopra della media storica del 4,1%. Negli Stati Uniti, il tasso è salito al 4,9%, con vittime quest’anno tra cui la concessionaria di automobili Carvana, National CineMedia e il gruppo di servizi infrastrutturali QualTek.

Moody’s prevede che il tasso di default negli Stati Uniti raggiungerà il picco del 5,4% entro gennaio, ma se le condizioni peggiorassero potrebbe salire fino al 14%. Gli operatori di mercato affermano che finora i default sono stati causati principalmente da questioni specifiche del business e del settore. “Nella maggior parte dei casi, [la politica monetaria più restrittiva] ha avuto un effetto cumulativo per le aziende che altrimenti sarebbero state in difficoltà”, afferma un esperto avvocato specializzato in ristrutturazioni. “Semplicemente non si sono ripresi in termini di performance aziendale e redditività – e ora hanno il peso degli interessi in cima . . . sta creando un’enorme quantità di pressione sulla liquidità”.

Queste impostazioni predefinite stanno già avendo un costo umano elevato. Ad aprile, una Società 52enne come Bed Bath & Beyond è finalmente fallita, dopo aver rifinanziato i suoi debiti nove mesi prima. Quasi 500 negozi stanno chiudendo e 14.000 persone perderanno il lavoro. In un possibile segnale di ulteriori default in arrivo, l’elenco “B3N negativo e inferiore” di Moody’s – una lista di controllo del debito in difficoltà – è salito a 240 società durante il terzo trimestre di quest’anno, rispetto alle 177 società di un anno fa. Le aziende hanno risposto all’aumento dei costi di finanziamento estendendo il profilo di scadenza del loro debito, offrendo garanzie aggiuntive in cambio di tassi di interesse più bassi o attingendo a nuove fonti di prestito, come il mercato del debito privato.

Quelli che si sono trovati in difficoltà hanno perseguito soluzioni diverse dalla tradizionale insolvenza nel tentativo di guadagnare più tempo per la ristrutturazione. Ma un lungo periodo di domanda più contenuta e di costi di finanziamento elevati potrebbe comunque creare problemi a molti. “I tassi di interesse stanno semplicemente facendo il loro effetto sempre più forte e hanno implicazioni sempre più significative”, afferma Torsten Slok, capo economista della società di investimenti Apollo. “Le aziende con maggiore indebitamento saranno più vulnerabili”. Le preoccupazioni si moltiplicano Se la pressione sui mutuatari aziendali non era già abbastanza elevata, il mese scorso il rendimento dei titoli di Stato statunitensi a 10 anni ha superato il 5% per la prima volta dal 2007.

​Secondo i dati Ice BofA, i costi medi di finanziamento per il mercato da 8,6 trilioni di dollari delle obbligazioni societarie di altissima qualità, note come investment grade, sono ora superiori al 6%. Sebbene si tratti di tre volte il valore minimo, inferiore al 2%, registrato alla fine del 2020, gli operatori di mercato sono relativamente ottimisti riguardo alla salute di queste aziende di alta qualità. “Hanno pile di debito più piccole [rispetto] alla dimensione della loro capitalizzazione complessiva. Sono meno indebitati”, afferma Maureen O’Connor, responsabile globale del sindacato del debito di alto livello di Wells Fargo.

C’è maggiore preoccupazione per i debitori meno affidabili nel mercato non-investment grade da 1,3 trilioni di dollari, spesso chiamato spazzatura o ad alto rendimento. I coupon ora hanno una media del 9,4%, più del doppio dei minimi di fine 2021. Il quadro è simile in Europa. "Quando i tassi di interesse sono dell'1 o del 2% puoi contrarre molti debiti e puoi permetterti il servizio del debito", afferma Lauria di White & Case. "Quando salgono a 5, 6, 7, 8, 9, 10, le cose diventano più impegnative."

I rendimenti obbligazionari in quel territorio sono incoraggianti per gli investitori dopo anni di magri rendimenti, ma rappresentano un peso soprattutto per le aziende più piccole. Un recente sondaggio della National Federation of Independent Businesses ha mostrato che le società a piccola capitalizzazione statunitensi pagavano quasi il 10% di interessi sui prestiti a breve termine a settembre, in aumento rispetto ai minimi del 4,1% di metà 2020. Tassi più alti hanno posto fine alla maggior parte delle attività di buyout garantite dal debito e hanno reso più difficile il rifinanziamento dei prestiti esistenti. Le società sub-investment grade comportano un rischio di credito maggiore, che si riflette nei costi di interesse più elevati del loro debito, e hanno quasi 570 miliardi di dollari di obbligazioni in scadenza nei prossimi cinque anni.

Ma circa la metà di questo mercato ha un rating BB o equivalente – il rating più alto al di fuori dell’investment grade, lasciando Peters di PGIM a scherzare sul fatto che il cosiddetto mercato delle obbligazioni spazzatura “è molto meno spazzatura di questi tempi”. “[La leva finanziaria] è stata eliminata dal mercato obbligazionario ad alto rendimento e inserita nel mercato dei prestiti a leva e nei mercati privati”, aggiunge. Sono questi i mercati in cui le preoccupazioni sono più acute. I prestiti a leva sono generalmente concessi da società fortemente indebitate con bassi rating di credito e le loro cedole si muovono su e giù con i tassi di interesse prevalenti. I prestiti a leva sono cresciuti rapidamente durante l’era del denaro a buon mercato, diventando un pilastro per i mutuatari rischiosi e le acquisizioni finanziate dal debito. Con 1,4 trilioni di dollari, il mercato dei prestiti a leva statunitense vale ora poco più del mercato obbligazionario ad alto rendimento e rappresenta gran parte del debito non-investment grade in scadenza nei prossimi cinque anni.

Ma con l’inasprimento della Fed, gli emittenti di prestiti hanno avvertito il dolore dell’aumento dei costi di finanziamento molto più rapidamente rispetto alle loro controparti nel mercato obbligazionario a tasso fisso, e segnali di allarme sulla capacità degli emittenti di onorare i propri debiti stanno già lampeggiando. Alla fine del terzo trimestre la copertura degli interessi di cassa sui prestiti di nuova emissione era scesa a 3,16 volte, il livello più basso dal 2007 se confrontato con gli anni interi precedenti. Anche la copertura degli interessi è diminuita per i prestiti esistenti, come mostrano i dati di PitchBook LCD, segnalando che gli utili non stanno crescendo abbastanza rapidamente da tenere il passo con l’aumento dei costi di finanziamento. I prestiti con leva finanziaria vengono acquistati principalmente tramite le cosiddette obbligazioni di prestito collateralizzate, che impacchettano i prestiti e li vendono come prodotti di investimento che abbracciano diversi rating di credito. Ma non possono detenere grandi quantità di debito molto rischioso, come quello con rating CCC o inferiore. Una raffica di declassamenti a quel rating potrebbe innescare un processo che taglierebbe i flussi di cassa verso la fascia più bassa di investitori nel CLO.

Molti CLO stanno inoltre uscendo quest’anno dai cosiddetti “periodi di reinvestimento” – il periodo di tempo durante il quale possono acquistare nuovo debito – riducendo potenzialmente ulteriormente la domanda di prestiti a leva. Gli investitori e gli analisti si aspettano che tassi più alti per un periodo più lungo smascherino le imprese le cui debolezze sottostanti sono state mascherate dal facile accesso al denaro a basso costo. “Stiamo vedendo non poche aziende che hanno bilanci fortemente indebitati, che sono preoccupate – e le loro controparti sono preoccupate – della loro capacità di rifinanziare quel debito una volta giunto a scadenza”, afferma Lauria. Peters del PGIM si aspetta un “naturale processo di vagliatura darwiniano” piuttosto che una “situazione di tipo catastrofico”.

Ma Slok, all’Apollo, afferma che alcune vittime di alto profilo potrebbero avere un impatto enorme. “Se [i tassi di interesse] rimarranno a questi livelli per i prossimi nove mesi, i nomi più conosciuti nell’indice high yield inizieranno ad essere a rischio di default”, afferma. La compagnia di elicotteri ambulanze Air Methods ha dichiarato fallimento il mese scorso, citando il suo carico di debito “insostenibile” e la “tensione causata dalla stretta dei mercati finanziari”. “Le persone inizierebbero a guardare i parametri di credito per aziende simili e inizierebbero a porre domande difficili”. I mutuatari più rischiosi – quelli con rating CCC o inferiore – nel mercato obbligazionario ad alto rendimento stanno già pagando 10 punti percentuali in più rispetto ai titoli di Stato con scadenza comparabile, più del doppio dello spread medio per tutti gli high yield di poco più di 4 punti.

Servizi, prodotti di consumo e sanità hanno dominato il registro B3N di Moody’s. Le aziende sanitarie sono già state colpite dalla riduzione dei tassi di rimborso e dall’aumento dei costi del personale, e molte sono sostenute da società di private equity che le hanno caricate di prestiti quando il debito era a buon mercato. Proprio questo mese, ad esempio, la compagnia di elicotteri ambulanza Air Methods ha dichiarato fallimento ai sensi del Capitolo 11, citando il suo carico di debito “insostenibile” e la “tensione causata dalla stretta dei mercati finanziari” come fattori che contribuiscono. Come hanno risposto i mutuatari Molti tesorieri aziendali hanno approfittato del denaro a buon mercato quando i tassi erano bassi per posticipare le scadenze del debito, dandosi respiro per ambienti di finanziamento più difficili. Nel corso del 2021, quando l'atmosfera sui tassi di interesse ha iniziato a cambiare, si è verificata una frenesia di prestiti con scadenza a sette anni, con il risultato che l'importo del debito dovuto alla scadenza raggiungerà il picco nel 2028, anche se aumenterà ogni anno fino ad allora .

Nel mercato dei prestiti, secondo Moody’s, la tendenza a rifinanziare diverse tranche di debito in un unico accordo alla scadenza della prima tranche potrebbe significare uno spostamento in avanti delle scadenze e un aumento dei rischi di rifinanziamento. Gli operatori di mercato concordano sul fatto che molte aziende sopravvivranno a condizioni di credito più difficili, un sentimento riflesso nel premio pagato dai mutuatari ad alto rendimento negli Stati Uniti e in Europa rispetto ai loro equivalenti governativi. Il cosiddetto spread è più ristretto rispetto all’inizio di quest’anno sia negli Stati Uniti che in Europa. Andrzej Skiba, responsabile del reddito fisso statunitense Bluebay presso RBC Global Asset Management, prevede "un ciclo di default piuttosto benevolo" per le obbligazioni spazzatura statunitensi, in parte perché molte società della "vecchia economia" che erano in difficoltà qualche anno fa hanno scelto di ristrutturarsi nel 2020. " È stato come un evento di fallimento per l’asset class”, afferma. “Ci sono pochissimi nomi problematici all’orizzonte.” Le imprese che devono affrontare un rifinanziamento hanno già dimostrato intraprendenza nell’attenuare l’impatto dei tassi di interesse più elevati.

Alcuni emittenti di obbligazioni ad alto rendimento hanno promesso garanzie collaterali, offrendo ai finanziatori maggiore sicurezza sui propri asset o flussi di cassa in cambio di minori costi di finanziamento. Coloro che avevano preso prestiti a tassi bassi hanno anche cercato di spostare le scadenze per il rimborso più in là nel futuro. “A settembre abbiamo avuto molte modifiche ed estensioni nel mercato dei prestiti”, afferma Nick Kraemer, responsabile dell’analisi delle performance dei rating presso S&P Global Ratings, “ma non necessariamente molti default”. Le società che stipulano nuovi debiti hanno accorciato i tempi di indebitamento per evitare di bloccarsi in rendimenti elevati.

Ma l’ingegneria finanziaria creativa ha anche modificato la composizione dei default. Molti mutuatari stanno ora optando per i cosiddetti scambi distressed, raggiungendo accordi che prevedono che i creditori ricevano beni di valore inferiore al valore nominale di obbligazioni o prestiti invece di ricorrere a costose procedure fallimentari. “Se guardiamo ai primi tre trimestri di quest’anno, gli scambi in difficoltà comprendono circa due terzi di tutti i default delle famiglie aziendali negli Stati Uniti”, afferma Julia Chursin, analista senior di Moody’s. Aggiunge che “la maggior parte di essi – il 78% – sono stati realizzati da società di proprietà di private equity”. Gli scambi in difficoltà possono essere più attraenti per le società di private equity, perché spesso lasciano il capitale di una società creditrice meno compromesso. Ma diversi recenti scambi in difficoltà hanno semplicemente gettato il barattolo lungo la strada verso un altro default.

Storicamente, afferma Chursin, la metà di tutti gli emittenti che hanno scelto borse in difficoltà hanno finito per cercare un’altra ristrutturazione o, come Bed Bath & Beyond e il fornitore di servizi sanitari Envision, hanno dichiarato fallimento. "Che si tratti di un'altra borsa in difficoltà o di un fallimento, è pur sempre un taglio di capelli per gli investitori", aggiunge. I mercati pubblici, in cui possono essere scambiati pacchetti di debito, non sono l’unica opzione per le aziende che cercano di rifinanziarsi o semplicemente di evitare il default. Il credito privato, in cui le aziende specializzate prestano direttamente ai mutuatari, è esploso in termini di dimensioni; UBS ha stimato il suo valore a 1,55 trilioni di dollari all'inizio di quest'anno, rispetto a 1 trilione di dollari nel 2019. 

Già, aziende che vanno dalla società tecnologica Hyland Software al calzolaio Cole Haan hanno già rifinanziato il proprio debito con nuovi prestiti dal debito privato quest'anno. Negoziare con solo una manciata di finanziatori piuttosto che con un grande sindacato può essere più rapido, più semplice e portare maggiore certezza che un accordo vada a buon fine, hanno affermato analisti e investitori. Ma se una società creditrice non riesce a riprendersi, il suo destino è nelle mani di quella stessa piccola manciata di finanziatori, piuttosto che di un gruppo più ampio di investitori – una situazione che potrebbe limitare la gamma di strade ancora aperte al mutuatario in difficoltà. Anche gli standard di prestito tendono ad essere più rigorosi, mentre le società sostenute dal credito privato “stanno ancora affrontando lo stesso contesto macroeconomico in cui si trovano tutti gli altri”, osserva Kraemer di S&P.

E senza prezzi visibili al pubblico, per gli investitori è difficile monitorare il crescente stress nel debito privato. Per Skiba di Bluebay, “il tempo stringe” sia nel mercato dei prestiti con leva finanziaria che nel mercato del credito privato. “Uno o due incendi” in un portafoglio potrebbero essere contenibili, dice, ma le difficoltà su più fronti potrebbero facilmente portare a una situazione “in cui alcuni di questi proprietari dicono: ‘Non posso iniettare capitale ovunque, non posso semplicemente fornire nuovi assegni’. a quelle società in portafoglio a destra, a sinistra e al centro." "È allora che accadono gli incidenti. Questo è il momento in cui il tasso predefinito aumenta”.

Se voi lettori informate prevalentemente attraverso quella che si chiama “informazione finanziaria”, che spazia da TV come CNBC, a quotidiani come MF, fino al Sole 24 Ore, e poi nelle chat e sui social, allora voi di questo argomento del nostro Longform’s fino ad oggi avete saputo poco, o meno ancora.

Siete lì a correre dietro al “calo dell’inflazione” oppure peggio ancora a “AI” e “Nvidia”.

Quando poi, tra qualche settimana, su CNBC, oppure in prima pagina sul Sole 24 Ore leggerete invece questi dati e questi numeri, quelli che avete letto qui sopra, allora per le scelte di investimento, e per modificare la vostra asset allocation, sarà decisamente tardi.

L’articolo che avete letto qui sopra vi ha informati della situazione debitoria del settore privato negli Stati Uniti.

Il lavoro di Recce’d, però, come sempre NON si propone di informarvi: le notizie, le trovate anche sui social.

Il punto è capire. Il punto è essere consapevoli nel momento della scelta.

Il lavoro di noi in Recce’d, che regaliamo ai nostri lettori, è un lavoro di analisi che si traduce sempre in concrete indicazioni per la gestione del vostro portafoglio titoli.

Questa è la ragione per la quale, alle considerazioni che avete appena letto nell’articolo precedente, ora noi ne aggiungiamo altre, che riguardano sempre il debito, ma il debito degli Stati.

Prestate attenzione ad un fatto: The Economist scrisse queste cose, che leggerete più sotto, nel mese di maggio. Oggi, sono diventate tutte ancora più vere, e molto più urgenti di allora.

Come leggete nell’articolo di The Economist, il Mondo di Barbie non piace soltanto ai fanatici di Tesla ed Nvidia.

Perché tutti voi ormai lo avete ben compreso, noi crediamo:

senza questo Mondo della Fantasia che descrivono l’articolo qui sopra e quello che segue, Tesla, Nvidia e le Sette Sorelle non esisterebbero.

Oggi le cose sono chiare e semplici. Oggi, sono scritte sui giornali.

4 maggio 2023

Discutere sui budget fa sempre parte della politica, ma la politica del rischio calcolato di oggi è davvero spaventosa. In America, democratici e repubblicani stanno giocando a galla per aumentare il tetto del debito pubblico.

Mentre il dramma si intensifica, la posta in gioco diventa pericolosamente alta. Janet Yellen, segretaria al Tesoro, afferma che il suo dipartimento potrebbe rimanere senza contanti per pagare i conti del governo il 1° giugno se non verrà raggiunto un accordo. Gli investitori stanno cominciando a scontare il rischio di quello che sarebbe il primo default sovrano americano.

Il punteggio politico non tiene conto anche di un problema più grande e duraturo. Il deficit di bilancio americano è destinato a crescere man mano che la sua popolazione invecchia, il costo dei sussidi aumenta e gli interessi del governo aumentano.

Stimiamo che i deficit potrebbero raggiungere circa il 7% del Pil all’anno entro la fine di questo decennio: deficit che l’America non ha mai visto al di fuori delle guerre e delle crisi economiche. La cosa preoccupante è che nessuno ha un piano sensato per ridurli.

I governi di altri paesi si trovano ad affrontare pressioni simili e sembrano altrettanto ignari.

Gli europei sono impegnati in uno stupido dibattito su come modificare le regole del debito, in un momento in cui la Banca Centrale Europea sta indirettamente sostenendo le finanze dei suoi membri più deboli. I dati ufficiali sul debito cinese sembrano essere sani anche se il governo centrale si prepara a salvare una provincia. I governi sono bloccati in un paese fantastico dal punto di vista fiscale e devono trovare una via d’uscita prima che si verifichi il disastro.

Nel decennio successivo alla crisi finanziaria globale del 2007-2009, il calo dei tassi di interesse ha consentito ai governi di sostenere ingenti cumuli di debito. Sebbene l’Europa e, in una certa misura, l’America abbiano adottato un approccio pesante alla spesa pubblica dopo la crisi, alla fine degli anni 2010 sembrava che non avessero più bisogno di preoccuparsi. I tassi di interesse a lungo termine hanno continuato a scendere nonostante l’aumento del debito. Il debito netto del Giappone ha superato il 150% del PIL senza conseguenze. Quando il covid-19 ha colpito, i governi del mondo ricco hanno speso un altro 10% del PIL; La crisi energetica dell’Europa ha portato a ulteriori sussidi. Quasi nessuno si preoccupava di ulteriori debiti.

Quei giorni di tassi di interesse permissivamente bassi sono ormai passati.

Questa settimana la Federal Reserve ha nuovamente alzato i tassi, al 5-5,25%. Quest’anno l’America spenderà di più per gli interessi sul debito, in percentuale del PIL, che in qualsiasi altro momento di questo secolo; entro il 2030 il conto sarà ai massimi storici, anche se i tassi scenderanno come previsto dai mercati. Il Giappone non sembra più così sicuro.

Anche se i tassi sono estremamente bassi, il governo spende l’8% del suo budget in interessi, una cifra che aumenterà vertiginosamente se la banca centrale iniziasse a inasprire la politica monetaria.

L’aumento dei tassi sta comprimendo i budget proprio mentre crescono le pressioni sulla spesa. L’invecchiamento della popolazione farà sì che entro la fine del decennio la spesa annuale per l’assistenza sanitaria e le pensioni nei paesi ricchi aumenterà del 3% del Pil. Il dato è del 2% anche nei mercati emergenti, compresa la Cina, dove entro il 2035 ci saranno 420 milioni di over 65. In Occidente i politici devono ancora mantenere le promesse di spendere di più per la difesa alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina e delle tensioni tra America e Cina su Taiwan. E il mondo intero ha bisogno di più spesa pubblica verde se vuole decarbonizzarsi rapidamente.

Tutto sommato, il quadro è ostile. Prendiamo l’Inflation Reduction Act americano, che avrebbe dovuto ridurre i deficit. Si prevedeva che i suoi crediti d’imposta verdi sarebbero costati 391 miliardi di dollari in un decennio, ma ora Goldman Sachs prevede che costeranno la strabiliante cifra di 1,2 trilioni di dollari. Aggiungendo questo e la probabile estensione alle proiezioni ufficiali dei tagli fiscali temporanei attuati durante la presidenza di Donald Trump, l’America è sulla buona strada verso un deficit di bilancio pari al 7% del PIL, anche se l’economia cresce.

Tali pressioni incombenti fanno sembrare le proposte dei politici del tutto irrealistiche. Il disegno di legge per aumentare il tetto del debito americano, approvato dai repubblicani alla Camera dei Rappresentanti il 27 aprile, limita la spesa nel 2024 al livello del 2022, e poi aumenta i budget dell’1% all’anno. Ciò può sembrare ragionevole, ma esclude la spesa obbligatoria per pensioni e assistenza sanitaria e ignora l’inflazione. Escludendo anche la spesa per la difesa, ciò implicherebbe un taglio di bilancio in termini reali del 27% rispetto ai piani attuali.

Il governo tedesco sembra ritenere che un obiettivo del 60% per il rapporto debito/PIL possa essere applicato in modo credibile a paesi come l’Italia, che ha debiti netti superiori al doppio di tale importo. In Gran Bretagna il governo si fa beffe delle sue regole, ad esempio promettendo aumenti delle tasse perennemente rinviati. Pochi mesi di entrate migliori del previsto sono sufficienti per scatenare un clamore per i tagli fiscali tra i conservatori al potere, solo pochi mesi dopo che la Gran Bretagna ha dovuto affrontare una crisi del mercato obbligazionario.

Il crescente indebitamento della Cina viene tenuto fuori dai libri contabili attraverso opachi “veicoli finanziari” utilizzati dai governi locali. Includendo tutto, il debito pubblico totale della Cina supera il 120% del PIL e, secondo le previsioni del FMI, salirà a quasi il 150% entro il 2027. Tali livelli di debito sono accessibili solo perché la Cina dispone di un oceano di risparmi interni, tenuti prigionieri dalle restrizioni sui flussi di capitale. L’indebitamento pubblico significa che il governo non può realizzare il suo piano di riequilibrio dell’economia verso i consumi e di internazionalizzazione dello yuan.

I politici devono agire in modo reale, in fretta. I debiti pubblici rischiano di diventare ingestibili, soprattutto se i tassi di interesse restano elevati. Ogni aumento nell’indebitamento ostacola la capacità dei governi di rispondere alla prossima crisi. E ci sono limiti alla misura in cui la spesa può essere controllata. I politici potrebbero ridimensionare le promesse fatte ai pensionati o garantire che il loro ruolo nella transizione verde non sia più ampio di quanto dovrebbe essere. Ma c’è poco interesse pubblico per l’austerità, e la spesa è destinata ad aumentare con l’invecchiamento della popolazione. Sono essenziali maggiori spese per la difesa e investimenti verdi.

Tutto ciò rende inevitabile l’aumento delle tasse. E una maggiore tassazione rende fondamentale raccogliere fondi in modi favorevoli alla crescita economica. La sottotassazione delle case di lusso da parte della Gran Bretagna è scandalosa; L’America non ha un’imposta sul valore aggiunto e la Cina ha disperatamente bisogno della sua imposta sulla proprietà, promessa da tempo. Le emissioni di carbonio dovrebbero essere tassate in misura sufficiente ovunque, il che incoraggerebbe anche il settore privato a investire maggiormente nella decarbonizzazione e quindi a ridurre la necessità di spesa pubblica a tal fine.

Lasciare il paese delle fantasie fiscali sarà doloroso, e ci saranno senza dubbio richieste di rinviare il consolidamento per un altro giorno.

Ma è molto meglio uscire con cautela adesso piuttosto che aspettare che l’illusione crolli.

Recce’d ha più e più volte preso in esame questa situazione in sedi pubbliche: ad esempio qui nel Blog, ed anche alla pagina MERCATI, e poi alla pagina NEL MOTORE DELLA PERFORMANCE, ed infine anche alla pagina TWIT - TWOO.

Non ci sentiamo oggi di dovere aggiungere nulla, a quanto scritto da The Economist: a distanza di sei mesi, oggi tutto risulta ancora più chiaro ed evidente per tutti.

Procediamo però nel lavoro di analisi ed approfondimento.

Occupiamoci del ruolo delle Banche Centrali: che per anni ed anni ed anni (troppi anni) sono stati raccontati all’investitore finale (sia dai promotori finanziari, sia dai media, sia dalle banche internazionali) come “quelli che hanno il potere di sistemare tutto.

Oggi sono solo soggetti passivi. Re-agiscono: non danno la direzione. Vedono come vanno le cose, e dopo annunciano le loro decisioni. In novembre del 2023, hanno annunciato “una pausa”.

Tutte e quattro le banche centrali di importanza sistemica - Banca d'Inghilterra, Banca del Giappone, Banca Centrale Europea e Federal Reserve - hanno effettivamente chiesto un "time out" per le importanti azioni politiche nelle ultime due settimane. In tre casi su quattro è stata la cosa giusta da fare, a patto che il time out venga sfruttato in modo efficace.

Tutte e quattro le banche centrali hanno unito la decisione di mantenere i tassi di interesse invariati con una porta aperta alla possibile ripresa degli aumenti in futuro.

Uno di questi, la Banca del Giappone, ha anche adottato una piccola modifica alla sua politica di “controllo della curva dei rendimenti” consistente nell’acquistare obbligazioni per mantenere bassi i rendimenti. In superficie, tutte e quattro le banche centrali ora hanno il tempo di valutare l’impatto delle loro azioni passate e di internalizzare più dati.

Ma quello che dovrebbero fare va ben oltre. Nello specifico, devono riflettere attentamente sul tipo di time out che credono di aver chiamato. Per molti di noi, una pausa è semplicemente il ricordo di una punizione che abbiamo rischiato da bambini. Per gli appassionati di sport tra noi, tuttavia, il concetto si applica a una gamma molto più ampia di situazioni. In effetti, ai fini di questo articolo, possiamo pensare in termini di tre tipi di time out presenti nel football americano, nel basket e altrove. Il primo è un time out tattico per affrontare un infortunio sul campo, guadagnare tempo per rivedere la chiamata su un gioco precedente o fermare lo scadere del tempo. Il secondo tipo è più strategico in quanto cerca di cambiare lo slancio del gioco e/o fornire tempo per riflettere più a fondo sulle giocate future. Infine c'è il time out psicologico volto a scombussolare gli avversari “entrandogli nella testa” (come nel football americano).

C’è una comprensibile tentazione da parte di tutte e quattro le banche centrali di pensare di aver chiamato il primo tipo di time out che consente una pausa per riflettere sugli sviluppi recenti, chiarire piccoli punti in sospeso e incorporare un’altra serie di dati retrospettivi nei loro dati. analisi.

Dopotutto, anche se i dati stanno andando nella direzione giusta, la BoE, la BCE e la Fed ritengono di dover ancora gestire bene gli effetti cumulativi dei loro rialzi aggressivi. La BoJ, da parte sua, sta valutando l’impatto dell’aver consentito al rendimento dei titoli di Stato a 10 anni di spostarsi di quasi un intero punto percentuale grazie alla serie di modifiche al YCC.

Tuttavia, un simile quadro tattico sarebbe troppo ristretto e, a lungo termine, problematico. Ci sono questioni strategiche che richiedono risposte più tempestive.

Tutti e quattro devono integrare la loro spesso ripetuta “dipendenza dai dati” con una caratterizzazione più chiara e lungimirante del contesto economico e, con ciò, di ciò che ora costituisce il tasso di interesse di equilibrio per l’economia di domani – il livello coerente con una crescita economica sostenibile e inflazione stabile. Devono inoltre migliorare le tecniche di previsione ed essere più chiari sui compromessi implicati nel raggiungimento degli obiettivi di inflazione delle banche. Infine, e cosa più controversa, gli obiettivi stessi potrebbero dover essere rivisti con una mentalità aperta.

La necessità della Fed di una pausa strategica è amplificata da quattro correzioni di rotta necessarie:

  1. affrontare i ripetuti contrattempi di comunicazione,

  2. rinnovare un quadro di politica monetaria obsoleto,

  3. ripristinare la credibilità e

  4. aumentare la responsabilità.

La Banca del Giappone deve pensare al suo time-out nel modo più olistico, soprattutto perché i mercati perdono la pazienza con quella che viene vista come un’uscita eccessivamente cauta dall’YCC. Il recente annuncio politico ha alimentato sia l’aumento dei rendimenti sia l’indebolimento dello yen, una combinazione che ha nuovamente costretto la banca centrale ad acquistare obbligazioni e minacciare anche un intervento valutario. Invece di fermare l’orologio, questo timeout potrebbe aver inavvertitamente accelerato la fuga in un momento in cui la BoJ è in ritardo sui mercati nell’uscita da un regime eccessivamente prolungato di repressione diretta dei rendimenti.

Quel regime ha distorto il sistema finanziario, rischia di essere economicamente controproducente ed è ora più esposto a uno smantellamento disordinato.

Per due anni, le principali banche centrali del mondo hanno erroneamente previsto un rallentamento dell’inflazione, cosa che si è rivelata dannosa per il benessere economico e finanziario, colpendo in modo particolarmente duro il segmento più vulnerabile dei loro cittadini.

Il frenetico processo di recupero (rialzi dei tassi) che ne è seguito ha ora consentito a tre di loro di chiedere una pausa, questa volta per attendere gli effetti de rialzi delle politiche.

Speriamo che, pensando a ciò in termini strategici e tattici, rafforzeranno le loro prospettive politiche e, nel processo, rafforzeranno le loro difese contro il crescente rischio di ricadute negative derivanti da un’uscita disordinata dal programma YCC in Giappone e l’imminente valanga di emissioni di debito pubblico in diversi paesi.

L’articolo che avete appena letto vi chiarisce, in modo definitivo, che chi si aspetta un (ennesimo) intervento di aiuto da parte delle Banche Centrali commette un errore: non ci sarà alcun aiuto, e la ragione è che non c’è più lo spazio, il modo, l’opportunità.​

La ragione? La potete leggere, spiegata in modo specifico ma anche chiaro, nell’articolo che segue, e che chiude il nostro Longform’d. L’articolo vi racconta come siamo arrivati alla presente situazione.

A voi, amici lettori, anche oggi abbiamo fatto un servizio: vi abbiamo presentato con anticipo dati e considerazioni che occuperanno la prima pagina dei giornali, i commenti sui social, e i servizi dei TG, per i prossimi dodici mesi.

Non vi resta che fermarvi a fare due conti:

  • quale sarà il valore delle mie obbligazioni, a novembre 2024?

  • quanto varranno le mie azioni a novembre 2024?

  • l’euro nel 2024 salirà di valore oppure perderà?

  • tra le materie prime, salirà il petrolio oppure il rame? la farina oppure l’oro? e quali materie prime perderanno di valore?

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Martin Wolf 21 novembre 2023

C’è una battuta di vecchia data secondo cui il FMI non sta per Fondo monetario internazionale, ma piuttosto per “it’s mostly fiscal” che in italiano significa “è prevalentemente fiscale”.

Per un po’ di anni questa definizione mi è sembrata meno appropriato. Naturalmente, il fondo ha continuato a lamentarsi dell’incontinenza fiscale nei paesi colpiti dalla crisi, come la Grecia o l’Argentina. Ma, nella sua sorveglianza più ampia, è stato relativamente rilassato riguardo alla politica fiscale dopo la crisi finanziaria.

Quello, tuttavia, era il mondo del “basso per lungo tempo” o addirittura del “basso per più tempo”.

Questo non è più il mondo in cui viviamo.

Il fondo è stato debitamente modificato. Gita Gopinath, primo vicedirettore generale, ha lanciato l'allarme, chiedendo “una rinnovata attenzione alla politica fiscale e, con essa, un ripristino del pensiero sulla politica fiscale”. Il FMI è tornato ad essere “prevalentemente fiscale”.

È indiscutibile che il debito pubblico abbia raggiunto livelli elevati rispetto agli standard del passato. Un aggiornamento di un grafico del FMI pubblicato nel 2020 mostra che il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo dei paesi ad alto reddito sarà al 112% nel 2023, in calo rispetto al recente picco del 124% nel 2020. Quest’ultimo ha raggiunto il picco precedente raggiunto. nel 1946.

Ciò che rende ciò ancora più notevole è che il picco precedente si è verificato dopo la seconda guerra mondiale, mentre l’ultimo picco si è verificato in tempo di pace.

Inoltre, il rapporto per le economie emergenti ha raggiunto il 69% del PIL, un record per questi paesi.

Quindi, il disastro del debito pubblico è incombente? Se sì, ci saranno default, inflazione, repressione finanziaria (tentativi forzati di mantenere il debito a buon mercato) o una combinazione di tutti e tre? Se non dovesse accadere nulla di tutto ciò, cosa si dovrà fare?

Olivier Blanchard, ex capo economista del FMI e ora al Peterson Institute for International Economics di Washington DC, ci ha ricordato i meccanismi e i rischi del debito in un recente blog. Nel primo caso, i determinanti sono, in primo luogo, il rapporto tra il tasso di interesse sul debito e il tasso di crescita dell’economia e, in secondo luogo, il rapporto tra il deficit fiscale primario (il deficit prima del pagamento degli interessi) e il PIL. Per quanto riguarda quest’ultimo, il punto più importante è che il debito non deve crescere in modo esplosivo.

Sebbene un particolare rapporto debito/PIL non possa essere definito insostenibile, su basi empiriche o teoriche, quanto più alto è il rapporto iniziale e quanto più rapida è la probabilità che cresca, tanto meno sostenibile sarà probabilmente il debito. Blanchard sostiene che “le economie avanzate possono sostenere un rapporto debito/PIL più elevato, purché non esploda”. Ma esiste la probabilità (ma non la certezza) che i tassi di interesse aumentino con il livello del debito. Se così fosse, la dinamica del debito tenderebbe a diventare esplosiva.

Se si vuole che i rapporti debito/PIL rimangano stabili, il tasso di crescita economica deve essere pari al tasso di interesse medio, quando il saldo primario è pari a zero . Maggiore è l’eccedenza del tasso di interesse rispetto al tasso di crescita, maggiore deve essere il surplus fiscale primario, e viceversa. Dove sono oggi i debiti e i deficit fiscali delle grandi economie ad alto reddito?

Il FMI prevede che il rapporto debito/PIL sarà vicino al 100% nel Regno Unito, Francia e Stati Uniti, al 133% in Italia e al 156% in Giappone nel 2024. Al contrario, nel 2001, i rapporti erano inferiori al 50% nel 2024. Regno Unito, Francia e Stati Uniti, 75% in Giappone e 100% in Italia. Questi salti sono avvenuti nonostante i bassi tassi di interesse. Non sorprende, quindi, che i deficit primari siano stati ampi: tra il 2008 e il 2023, sono stati in media del 5,3% del PIL negli Stati Uniti, del 5,2% in Giappone, del 4,1% nel Regno Unito e del 2,9% in Francia.

L’Italia ha registrato un disavanzo primario medio pari solo allo 0,2% del PIL. Ma ciò non è bastato a contenere del tutto l’aumento del debito, perché i tassi di interesse erano molto alti durante la crisi dell’eurozona. Questa era la punizione per la precedente dissolutezza. Ma la Germania è riuscita a realizzare un piccolo avanzo primario, in media pari allo 0,3% del Pil. Quali sono, allora, le prospettive future per i tassi di interesse e la futura crescita economica? I primi sono aumentati notevolmente. I rendimenti dei titoli di Stato nominali a 10 anni sono aumentati di 3 punti percentuali in Canada e di 3,9 punti nel Regno Unito negli ultimi tre anni. Il Giappone, come è noto, costituisce l’eccezione.

Ma, sorprendentemente, l’aumento dei rendimenti reali negli Stati Uniti e nel Regno Unito, che offrono da molto tempo obbligazioni indicizzate, ha quasi eguagliato l’aumento dei rendimenti nominali: 3 punti percentuali sui titoli del Tesoro USA protetti dall’inflazione, contro il 3,6% punti sulle obbligazioni convenzionali e 3,4 punti percentuali sui gilt indicizzati del Regno Unito contro 3,9 punti percentuali sui gilt convenzionali. Le aspettative di inflazione più elevate a lungo termine non possono essere una parte importante della ragione del balzo dei rendimenti nominali.

Ciò lascia come spiegazioni uno spostamento al rialzo dei tassi reali di equilibrio o una politica monetaria più restrittiva. Nel primo caso, i tassi reali potrebbero rimanere piuttosto elevati. In quest’ultimo caso, dovrebbero scendere nuovamente quando la politica monetaria si normalizzerà (qualunque cosa ciò possa significare). In sintesi, i tassi di interesse reali potrebbero essere permanentemente più alti rispetto al passato, anche se ciò non è ancora certo.

Quali sono, infine, i tassi futuri di crescita economica? Le previsioni del FMI per il 2024-28 danno una crescita reale media dell’1,9% negli Stati Uniti, dell’1,8% in Canada. 1,6% nel Regno Unito e Francia, 1,4% in Germania, 0,9% in Italia e 0,6% in Giappone. Questi sono decisamente bassi rispetto ai tassi di interesse reali di oggi.

Se i governi vogliono evitare i rischi di un’esplosione del debito e non intendono ricorrere all’inflazione a sorpresa o alla repressione finanziaria, dovranno inasprire le misure per lo più politiche fiscali ancora estremamente accomodanti. Ma oseranno farlo in società che invecchiano, con economie in lenta crescita e crescenti oneri di difesa?

Una crescita più rapida aiuterebbe. Ma, come ha dimostrato il governo Truss nel Regno Unito, questo obiettivo non sarà raggiunto con mezzi magici. Sembra che si profilano all’orizzonte scelte fiscali dolorose.

Valter Buffo