La Fed tra quattro giorni, tra quattro mesi, tra quattro anni
La settimana che sta per iniziare vedrà riunirsi tutte le maggiori Banche Centrali: in successione Stati Uniti, Europa, Regno Unito e Giappone.
Una breve premessa: Recce’d, da mesi ed in più occasioni, vi ha scritto che per i mercati finanziari (e quindi, anche per la performance dei vostri investimenti e del vostro portafoglio) oggi NON sono un fattore determinante.
Il mese di novembre forse ha fatto pensare ad alcuni dei nostri lettori che:
le Banche Centrali sono ancora quelle che danno la direzione ai mercati.
Ma si tratta di una illusione ottica, come diremo più sotto: oggi i mercati vanno contro le Banche Centrali.
Tutti lo potrete constatare proprio tra il 10 ed il 15 dicembre 2023.
Per questa ragione la settimana prossima sarà particolarmente utile per la gestione del portafoglio titoli: ci farà vedere che ai mercati, delle dichiarazioni dei banchieri centrali, oggi, importa ben poco.
Per i mercati, non sono più decisive quelle frasi, intenzionalmente ambigue come ad esempio:
potremmo forse tagliare i tassi a seconda di come usciranno i prossimi dati
oppure anche come:
l’attuale livello dei tassi ufficiali è sufficientemente restrittivo.
I mercati, nel 2023, ignorano queste dichiarazioni, Non reagiscono più.
Hanno perso ogni importanza, frasi di questo tipo, per la ragione che … sul mercato tutti ormai hanno capito come funziona questo “giochetto”.
Nel nostro Post di oggi, noi infatti non ci dedichiamo a spiegare il “giochetto”: volentieri lasciamo ad altri di scrivere e parlare di futuri valori dell’inflazione, di futuri tagli dei tassi, e di atteggiamenti più o meno “accomodanti”.
Noi, nel Post che state leggendo, scriviamo di Banche Centrali, è vero, ma NON da questo punto di vista.
Per spiegare, ripartiamo oggi da un commento che abbiamo letto dieci giorni fa.
Bank of America (ex Merrill Lynch, dal 2009) scrive:
Con l’indice S&P 500 a 4550 punti e il VIX a 13, l Borsa americana sembra (ancora una volta) puntare tutto sullo scenario chiamato soft-landing.
A nostro parere è rischioso in questo momento concentrare tutto su un unico scenario, perché il livello di incertezza a livello macro è così tanto alto, che molti non lo hanno mai sperimentato in tutta la loro vita.
E’ verissimo: per una buona parte degli operatori di mercato, un livello di incertezza macro come quello attuale è una totale novità.
Lasciateci aggiungere, però, che è facilissimo informarsi di ciò che accadde alle economie ed ai mercati, negli Anni Sessanta e Settanta.
Ma restiamo sul livello, eccezionale, di incertezza.
E dunque sul livello, del tutto eccezionale, di
rendimenti futuri di tutti gli asset finanziari
rischi si improvvisi, violenti, ampi ribaltamenti della prospettiva, per i mercati finanziari (come è stato ad esempio in novembre) e per le economie reali.
Come dice l’immagine qui sopra, la spinta dell’industria (banche di investimento e Reti di promotori finanziari) ha spostato l’attenzione del pubblico degli investitori, in questa parte finale del 2023.
L’industria insieme con i media ha spostato lo sguardo della massa, distogliendolo da quei fattori che saranno determinanti nelle prossime settimane e mesi, per le nostre e vostre performances.
E li ha riportati indietro (quasi tutti) su un tema vecchio e già sfruttato molte volte. Il tema è quello del soft landing.
La forza del marketing è tale (non lo scopriamo certo oggi) che nel pubblico si diffonde rapidamente la convinzione che “tutti” la vedono in quel modo. Che “tutti” sono certi che si andrà verso il soft landing.
E così, per qualche settimana, siamo ritornati nel dorato Mondo del “sale tutto”.
Ancora una volta, si tratta di una distorsione, come viene chiaramente spiegato dall’immagine che vedete qui vicino (“Labour market losses …”).
Interpellando persone che di professione fanno gli economisti, e non i venditori per le banche di investimento oppure per le Reti di promotori, si ottengono risposte diverse.
E si scopre che non è vero che “tutti” la vedono come le banche di investimento e le Reti dei promotori finanziari.
Per noi investitori tratta di capire le ragioni di questa differenza: per poi decidere a chi affidarsi come le proprie scelte di investimento.
La differenza che abbiamo appena messo in evidenza, con l’immagine più in alto, viene spiegata soprattutto facendo riferimento alle aspettative per i tassi di interesse.
Ve lo illustra l’immagine che vedete qui vicino (“Rate cuts in 2024 …”).
A questo proposito, Recce’d, nella seconda parte di novembre e poi anche in dicembre, ha scritto qui nel Blog che sono ALTRI, i fattori che noi investitore dobbiamo prendere in esame, per decidere a quale scenario affidare le nostre scelte di investimento per il 2024.
Non ci torneremo oggi, ma Recce’d è già al lavoro su di un secondo Longform’d, dopo quello di qualche settimana fa.
Oggi restiamo, invece, sul tema a cui abbiamo accennato più in alto in apertura di Post, che poi è anche il tema del grafico qui vicino.
Un tema che noi oggi ampliamo, ed approfondiamo, grazie all’articolo che segue, articolo pubblicato soltanto pochi giorni fa.
Lo scrittore è presidente del Queens’ College di Cambridge e consigliere di Allianz e Gramercy
Qualcosa di singolare si sta verificando ancora una volta nel rapporto tra i mercati finanziari e la Federal Reserve americana.
È emerso un disaccordo sui tassi di interesse che la Fed fisserà nel 2024.
Quanto più gli investitori ignorano i segnali emessi dalla banca centrale più influente del mondo, tanto più è probabile che si troveranno dalla parte dei perdenti in questo dibattito. E quanto più a lungo persiste questo fenomeno, tanto più intriganti diventano le complessità correlate.
Questa situazione è diventata vividamente evidente nel periodo precedente l’attuale “periodo di calma” per i funzionari sui commenti pubblici, che dovrebbe concludersi il 13 dicembre con la conclusione della riunione politica della Fed. In questo periodo caratterizzato da interpretazioni accomodanti – o da un ascolto selettivo – da parte dei mercati di numerosi discorsi della Federal Reserve, tutta l’attenzione si è concentrata sulla possibilità che le osservazioni del presidente Jay Powell alla fine di quella settimana si sarebbero scontrate con il consenso del mercato che prevedeva tagli dei tassi a partire dall’inizio del 2024.
Powell ha tentato di farlo con due linee di argomentazione.
In primo luogo, ha sottolineato che “era prematuro concludere con una certa sicurezza che abbiamo raggiunto una posizione sufficientemente restrittiva, o speculare su quando la politica potrebbe allentarsi”.
In secondo luogo, ha ricordato ai mercati che lui e i suoi colleghi del comitato di definizione della politica della Fed “sono pronti a inasprire ulteriormente la politica se ciò si rivelasse opportuno”.
Tuttavia, a giudicare dalle reazioni del mercato, questi tentativi si sono rivelati infruttuosi. Ci si aspetterebbe che questi segnali invertissero parzialmente l’avvincente movimento dei rendimenti osservato a novembre: un calo di oltre 0,60 punti percentuali per i titoli del Tesoro a 10 anni e di oltre 0,40 punti inferiore per i titoli a due anni sensibili al tasso. Invece, i rendimenti sono scesi di altri 10 punti base il giorno del discorso di Powell, portando i mercati a scontare complessivamente entro la fine di quella settimana un totale di cinque tagli nel 2024, con una notevole probabilità che il primo avvenga già a marzo.
Ciò che aggiunge ulteriore peculiarità è che questa non è la prima volta che i mercati mettono in discussione la visione della Fed guidata da Powell sulle prospettive di politica monetaria. Solo un anno fa si è verificato uno scenario simile, con i mercati che scontavano tagli per il 2023 che non si sono mai concretizzati. Di conseguenza, i titoli di Stato hanno avuto un anno accidentato e, fino al robusto rally dei rendimenti di novembre, hanno dovuto affrontare la prospettiva di un terzo anno consecutivo di rendimenti negativi.
C’è una terza peculiarità: più i mercati divergono dai segnali della Fed, più è probabile che spingano la banca centrale ad adottare un percorso per loro dannoso. Questo perché la propensione dei mercati ai tagli dei tassi allenta le condizioni finanziarie e aumenta le preoccupazioni della Fed riguardo alle pressioni inflazionistiche, ritardando così i tagli dei tassi su cui i mercati stanno scommettendo. Infatti, secondo l’indice Goldman Sachs, novembre è stato uno dei maggiori allentamenti mensili delle condizioni finanziarie mai registrati.
Per quanto riguarda il motivo, i mercati potrebbero essere disposti a rischiare un’altra sconfitta da parte della Fed perché sono più preoccupati per una possibile recessione nel 2024. Ciò sarebbe in linea con gli sviluppi dei prezzi dell’oro e del petrolio, ma sembra incoerente con un’impennata dei prezzi delle azioni.
In alternativa, i mercati potrebbero credere che, sebbene la Fed miri ufficialmente a un tasso di inflazione del 2%, potrebbe comprensibilmente tollerare una cifra leggermente più alta (3%). Ciò è in linea con l’idea che, dopo essere stata alle prese con una domanda aggregata insufficiente nel decennio precedente, l’economia globale è entrata in un periodo pluriennale di offerta aggregata meno flessibile. Fattori come la transizione energetica, la globalizzazione frammentata, l'enfasi aziendale su catene di fornitura resilienti e mercati del lavoro meno adattabili contribuire a un tale cambiamento. Perseguire un obiettivo di inflazione troppo basso in questo contesto comporterebbe inutili sacrifici in termini di crescita e mezzi di sussistenza, nonché un peggioramento della disuguaglianza.
La terza spiegazione è incentrata sulla perdita di credibilità della Fed. Ciò è dovuto alla sua errata caratterizzazione dell’inflazione, alle misure politiche ritardate, agli errori di vigilanza, alla scarsa comunicazione, ai ripetuti errori di previsione, alle domande sulle attività commerciali di alcuni funzionari e alla debole responsabilità.
Sulla base delle previsioni di consenso del mercato sull’economia e sui livelli delle valutazioni azionarie, i tassi di interesse potrebbero rimanere invariati per un periodo più lungo di quanto implica attualmente il mercato dei futures. Per evitare un’altra potenziale battuta d’arresto, gli investitori dovrebbero prepararsi alla possibilità di rendimenti più elevati nel 2024 o adeguare di conseguenza le valutazioni delle azioni.
Come abbiamo scritto sopra, e come abbiamo evidenziato in numerose occasioni, gli investitori devono tenere a mente che questo scontro tra operatori dei mercati finanziari e Banche Centrali, che i media ci raccontano parlando sempre e soltanto di “inflazione e tassi di interesse”, è distorsivo per noi investitori.
Noi vi spieghiamo invece che questa apparente divergenza sul futuro dell’inflazione è invece uno scontro tra realtà che perseguono obbiettivi tra loro divergenti, ed in conflitto.
Per un periodo lungo anni, tutti noi e tutti voi abbiamo creduto che le Banche Centrali agissero per fare il bene di tutti, e nell’interesse di tutti.
Poi, da due anni a questa parte, la visione ecumenica del ruolo delle Banche centrali è stata abbandonata: la realtà dei fatti ha imposto, alle Banche Centrali, di abbandonare quella pretesa di fare tutti più ricchi, in tempi brevi, e senza costi per nessuno.
Quella storia, quella narrativa, quel modo di raccontare il ruolo delle Banche Centrali, è finito.
Non ha retto il confronto con la realtà.
E’ finito quando le Banche Centrali sono state COSTRETTE ai rialzi dei tassi: ed è per questo che oggi siamo arrivati allo scontro tra l’industria che sta intorno ai mercati finanziari e la stessa Banca Centrale.
L’industria dei Fondi e le banche di investimento pretendono che i tassi ufficiali scendano COMUNQUE, e questo perché i mercati finanziari devono COMUNQUE salire, a prescindere da tutto.
Per alcuni anni, le Banche Centrali hanno in effetti operato proprio in quella direzione: oggi, NON possono più agire in quel modo.
E nasce lo scontro descritto nell’articolo. Quel “Fight The Fed” del quale noi scrivemmo nel 2020.
Le banche di investimento, con l’industria dei Fondi, stanno combattendo questa battaglia per la loro stessa sopravvivenza.
Loro rischiano la loro stessa sopravvivenza, se i mercati finanziari non sono costantemente gonfiati come un palloncino.
A loro, la bolla conviene.
A noi investitori, invece, la bolla dei mercati ha fatto danni. ne farà altri: più grandi
Per questo, banche di investimento, e Fondi Comuni, e ovviamente le Reti dei promotori finanziari, fanno grandissima fatica ad accettare la Nuova Era. Non accettano di adeguarsi al Nuovo Paradigma.
Ma saranno costretti, ad adeguarsi: perché già oggi le Banche Centrali NON sono più la stessa cosa. La natura stessa delle Banche Centrali oggi è cambiata. Sono cambiati i loro obbiettivi, ed il modo stesso di funzionare.
Siamo, anche per questa ragione, in una Nuova Era.
La settimana scorsa, oltre a noi di Recce’d ne ha parlato e scritto anche un ex-Presidente della Banca Mondiale, nel modo che leggete qui di seguito.
In poche parole, trovate in questo articolo un elenco dei temi di cui oggi dovrebbe occuparsi la Banca Centrale, anziché dedicare per intero la sua attenzione al livello del costo ufficiale del denaro ed al tasso di inflazione.
I quattro argomenti evidenziati nell’articolo sono quattro dei tanti temi che daranno la direzione ai mercati finanziari da qui in poi. Tra i quali, NON ci sarà l’inflazione.
Di questi temi, noi tratteremo in alcuni Post successivi.
Oggi ci fermiamo a questa indicazione concreta: inflazione e tassi sono temi di investimento del 2021 e del 2022, non del 2023 e del 2024.
Con riferimento a ciò che è scritto nell’articolo conclusivo, vi suggeriamo di ascoltare con attenzione ciò che diranno le Banche Centrali la settimana prossima.
Gli Stati Uniti sono in una posizione vulnerabile. Le sue forze armate sono al limite delle guerre attuali e ci vorranno anni per ricostruirle. Il brusco ritiro dall’Afghanistan ha danneggiato la reputazione globale dell’America, rendendo difficile galvanizzare l’opposizione alla Russia o ad Hamas attraverso il soft power americano, un tempo formidabile. Gli Stati Uniti stanno anche lottando economicamente sotto un’amministrazione dominata da regolatori attivisti e un processo di bilancio gravemente compromesso che contribuisce al declino della nazione attraverso spese elevate, tasse e debito. Le proiezioni di crescita economica a lungo termine sono inferiori al 2%.
C’è, tuttavia, un punto positivo. Il recente picco dei rendimenti obbligazionari crea un’opportunità per la Federal Reserve. Ha poteri monetari e normativi che influenzano profondamente la crescita. Ha bisogno di usarli.
L’attuale strategia della Fed è quella di aumentare i tassi di interesse fino a quando la crescita e l’inflazione non diminuiranno. Questa strategia “high for long” rischia di causare danni permanenti alla crescita indebolendo gli investimenti privati. Con i rendimenti in calo rispetto al picco di ottobre, il dollaro stabile e i tassi di interesse già al 5,5%, la Fed ha l’opportunità di apportare un cambiamento fondamentale nella politica monetaria e normativa per incoraggiare una crescita non inflazionistica e preparare il terreno per tagli dei tassi, non aumenti. Dovrebbe fare quattro cose:
In primo luogo, ridurre il suo bilancio più rapidamente. Ha già ridotto le sue partecipazioni in titoli del Tesoro di 1,2 trilioni di dollari dal picco del maggio 2022. La crescita economica si è dimostrata resiliente, raggiungendo il 4,9% nel terzo trimestre del 2023. Paradossalmente, ridurre le obbligazioni funziona meglio di quanto abbia fatto l’acquisto di obbligazioni. Le partecipazioni obbligazionarie della Fed non sono necessarie. Sono finanziate dal debito bancario, non dalla stampa di denaro, che spiazza le piccole imprese e fa aumentare i rapporti di leva finanziaria delle banche commerciali, limitando i prestiti. Il mantenimento delle partecipazioni obbligazionarie avvantaggia il governo, le grandi aziende e gli immobili commerciali, ma rallenta la crescita. Ha già causato centinaia di miliardi di dollari di perdite per i contribuenti statunitensi. La Fed può tagliare la spesa per interessi e allentare la pressione sui tassi di interesse consentendo alle sue obbligazioni e al debito bancario di ridursi rapidamente e stimolare la crescita.
In secondo luogo, la Fed dovrebbe enfatizzare la stabilità del dollaro per incoraggiare gli investimenti e la crescita. Il Tesoro stabilisce la politica del dollaro, ma la Fed può facilmente rendere più visibile la stabilità del dollaro incorporando il dollaro nei suoi modelli di inflazione e crescita. Questi modelli non funzionano perché presuppongono che la crescita causi inflazione. Dovrebbero riflettere l’importanza del dollaro nel raggiungimento della stabilità dei prezzi.
La stabilità del dollaro è una priorità urgente. Il biglietto verde è a rischio a causa dello yuan cinese, dell’elevato debito nazionale, delle sanzioni abusate e delle criptovalute. La Cina ha una politica esplicita dello yuan “forte e stabile” che aiuta la valuta attraverso l’inflazione e tassi di interesse inferiori a quelli degli Stati Uniti. Una politica di pace attraverso la forza inizia con la fiducia che il dollaro sarà forte e stabile per i decenni a venire.
In terzo luogo, la Fed deve consentire ai capitali di fluire più liberamente per garantire maggiori investimenti e dinamismo. La Fed controlla le banche fissando requisiti su capitale basato sul rischio, leva finanziaria e liquidità. L’attuale mix sta soffocando l’innovazione e i prestiti alle piccole imprese, aggravando lo spiazzamento del gigantesco debito bancario della Fed. Le autorità di regolamentazione governative hanno commesso ripetuti errori, tra cui quello di imporre costosi requisiti patrimoniali sui prestiti alle imprese ma nessuno sui governi, distorcendo il capitale a favore del governo. Le autorità di regolamentazione hanno sottovalutato il rischio di un picco dei tassi di interesse negli stress test e hanno ignorato il disallineamento delle scadenze e il rischio di ritiro presso la Silicon Valley Bank e altri. I regolatori incolpano le banche quando si verificano errori. La medicina – requisiti di capitale più elevati – fa aumentare i costi e riduce la crescita più di quanto riduca il rischio.
In quarto luogo, per salvaguardare la propria credibilità e indipendenza, la Fed deve denunciare la dissolutezza fiscale come hanno fatto Paul Volcker e Alan Greenspan.
La Fed può aiutare la crescita riducendo le sue partecipazioni obbligazionarie e il debito bancario, difendendo il dollaro e facendo un respiro profondo prima di creare ulteriori strati di costosa regolamentazione finanziaria. Ciò porrebbe le basi per una crescita più rapida e tassi di interesse più bassi, un vantaggio per tutti.
Malpass è stato presidente della Banca Mondiale nel 2019-23 e sottosegretario al Tesoro degli Stati Uniti nel 2017-2019.