Things happen. Il (grande) valore del cash in una strategia di investimento in titoli

Private bankers e promotori non possono farvi "investire in cassa", farvi stare liquidi: loro guadagnano sulle retrocessioni, e se rimanete in cash loro non guadagnano più soldi.

Anche i consulenti "ad asset allocation" non possono farvi stare in cash. I loro presunti "modellini di ottimizzazione", quelli che dovrebbero essere basati sul vostro "profilo di rischio" (tutte cose che non esistono, come abbiamo già dimostrato in altre sedi) vi vogliono SEMPRE fully invested e sempre LONG.

Errori tragici: lo dimostra la storia dei mercati finanziari dal 2000 ad oggi: e non fatevi buttare fumo negli occhi da quei consulenti interessati, che vi dicono che oggi, a marzo 2017, "le Borse sono ai massimi", perché quello è confondere il sintomo per la malattia.

Nell'ambito di una performance di portafoglio ragionata (che deve essere positiva, ma tiene conto anche dei rischi di cui il portafoglio si fa carico) IL CASH RENDE a fine anno: abbatte il rischio, e permettere di cogliere meglio le opportunità

Meglio ancora di noi, l'importanza del cash nella gestione di portafoglio la ha spiegata venerdì scorso Mohamed El-Erian, ex-capo di PIMCO ed oggi consulente di Allianz. Per questo riportiamo le sue parole (che fanno in questo specifico caso riferimento al portafoglio in obbligazioni, ma si possono facilmente estendere): e vi segnaliamo in particolare l'immagine dello "investitore turista", che è molto efficace.

“What we’ve typically seen is that investors overreact when certain companies go under pressure,” El-Erian said Friday. “So the right thing to do right here is to have dry powder and wait, because I think certain segments of high yield and corporate emerging markets will come under stress.”

Junk prices will eventually become more attractive as bond buyers grasp the range of risks, El-Erian said. Junk returned 17 percent in 2016 and extended its gains in the first two months of this year before the rally stalled on concerns that lower energy prices will pressure the industry’s prospects. Funds that buy junk bonds saw the biggest outflow since 2014 for the week ended March 15, according to data provider Lipper.

“People are starting to realize that they’re not being compensated enough for the risk they’re taking,” said El-Erian. “That’s especially true in high yield.”

The economist stressed that investors should be patient in the markets they know best, rather than be part of the “tourist” group of speculators who pile into the hottest asset classes and stay for only a short stretch. Those who have a long-term approach can benefit from the disruption caused by the visitors, especially outside of developed economies, he said.

“A tourist gets attracted by the pamphlet, the beach and goes in,” he said. “But the minute there’s some crisis, they head to the airport and they forget that part of being in an emerging market is you tend to have weaker institutions, and things happen.”

Mercati oggiValter Buffo
Giornalisti e giornaletti: il caso Italia nel marzo 2017 (parte 2)

Scrive stamattina 14 marzo 2017 lo Huffington Post:

E poi si dice: “Oh, il populismo!”. Con lo spirito e lo stupore di chi evoca l’invasione delle cavallette. Eppure a spiegare come l’onda populista, o come si dice oggi, anti-establishment, nasce e cresce, basta questa grande storia. Uno delle architravi del sistema del paese, il giornale economico e finanziario che per decenni dalle sue pagine ha indicato (con non poca supponenza) la strada della correttezza economica, delle regole, del bene comune, si ritrova al centro di una sorta di “scandalo delle tre carte”: vedo non vedo, vendo non vendo, recupero e intasco. Parliamo della crisi del Sole24Ore, ma magari fosse solo la crisi di un giornale. In verità si tratta della punta di un iceberg del declino di Confindustria e più in generale del capitalismo italiano, o meglio di una crisi che fa emergere nuovi rapporti e la marginalizzazione del settore del business.

E poi aggiunge:

In questa storia c’è tutto lo iato tra percezione di sé e la realtà, tra ruolo che si attribuisce un pezzo delle elite e rapporto reale con l’opinione pubblica e col paese. E se nella polemica instaurata tra la leadership populistica di Trump e la bibbia del Nyt si ricorre alla categoria di “post verità”, per spiegare il caso nostrano – quante volte nelle redazioni si è detto: “certo che è vera questa cosa, lo dice il Sole” – basta ricorrere alla più semplice categoria di “perdita della credibilità”. E non c’è da stupirsi se, domani o domani l’altro, Beppe Grillo o Luigi Di Maio proporranno di abolire Confindustria o di non leggere più quel giornale, perché proprio questo è il senso della storia: non uno scandalo di quattro furbetti, ma pezzo di crisi dell’elite.

Qui la parte politica e partitica a noi di Recce'd non interessa. Ci interessa invece segnalare ai nostri lettori che questa "crisi delle elite" sta per arrivare (tra poco, pochissimo) anche nel settore del risparmio. Così, come per quello che diceva "è vero, l'ho letto sul Sole 24 ore", allo stesso modo quelli che oggi dicono "sto con la più grande banca italiana" oppure "sto con la più grande Rete di promotori italiana" dovranno rifare, e in tutta fretta, i loro conti.

Mercati oggiValter Buffo
Giornalisti e giornaletti: il caso Italia nel marzo 2017 (parte 1)

Se Recce'd ha scelto, non senza avere valutato la cosa con attenzione (ed in particolare, le difficoltà della lingua per chi ci legge), di pubblicare su un quotidiano in lingua inglese, piuttosto che su un mezzo di informazione che scrive in italiano, la ragione c'è ed è solida. Per questo, la nostra collaborazione con il Financial Times si amplierà in futuro.

Ciò che tutti avete letto, a proposito delle tristi vicende che investono il maggiore quotidiano economico italiano (il Sole 24 Ore: vicende di cui si occupa la Magistratura) merita, da parte di chi investe ed è italiano, una attenta riflessione.

Perché da queste notizie si può comprendere quali siano in Italia le logiche di gestione dei mezzi di comunicazione, e di quelli che si occupano di Finanza in particolare.

Potete capire perché, ad esempio, sulla stampa italiana quando si scrive di investimenti si leggono sempre gli stessi nomi, e sempre le stesse frasi, e sempre le medesime proposte. Il messaggio al risparmiatore è sempre lo stesso: "tanto, le cose non cambieranno mai, e tu di qui non scappi, sei in trappola".

Stiamo descrivendo un circuito chiuso. Chi paga la pubblicità pretende poi di essere messo in vetrina, ed in questo modo il conflitto di interesse diventa la caratteristica dominante della comunicazione finanziaria in Italia. Novità? Zero. Alternative? non esistono! Punti di vista critici? Impossibile. "Beccatevi 'sti Fondi Comuni, e via andare", come anche stamattina ci suggerisce il Corriere della Sera, sempre attento verso gli interessi di quella Industria che tanti utili porta nei bilanci delle banche italiane. Quando leggete le pagine economiche del vostro quotidiano o settimanale, pensateci bene.

Chi fa le spese di questo stato di cose? Naturalmente i risparmiatori, ma pure i giornalisti professionisti che ci lavorano: la cui formazione diventa in questo modo succube degli interessi (dei conflitti di interesse) della testata, a cui devono necessariamente allinearsi. Tutte le energie vengono quindi sprecate, perché spese in sforzi inutili come "tenere in piedi la baracca", e "rassicurare i Clienti che va tutto bene", con uno sguardo sempre abbassato a terra e un orizzonte ristretto agli affari italiani, specie se si tratta di "voci" non controllate, beghe di cortile, micro-aziende e poltrone dei Consigli di Amministrazione. Paccottiglia non rilevante per chi investe.

Queste non sono certo esperienze formative, come i nostri lettori comprendono facilmente: né sul piano dell'analisi finanziaria, né sul piano dell'indagine, dell'approfondimento critico, del mettere davanti a tutto gli interessi di chi investe (e legge i giornali).

Tutto ciò dove ci conduce? I giornalisti in Italia, ed in particolare quelli che si occupano di Finanza, in questi ultimi anni soffrono per i risultati dei quotidiani e in generale dei media finanziari. Risultati che dimostrano che anche il pubblico li ha abbandonati: se il Sole 24 Ore fallisce, qualche ragione ci sarà pure, e sta nel servizio offerto ai lettori!

Qualcuno tra i giornalisti ha tentato e tenerà di utilizzare la propria esperienza di scrittore per proporsi attraverso i media come advisor, come consulente. 

Purtroppo per loro, una cosa è sapere battere sui tasti della tastiera di un computer, ed una cosa del tutto diversa è sapersi muovere sui mercati finanziari, avere acquistato e venduto titoli, avere passato mesi ed anni nelle sale di negoziazione e nei comitati di investimento, requisiti indispensabili  per potere dare ai Clienti consigli e suggerimenti che producano performance nei prossimi dieci o venti anni.

Mercati oggiValter Buffo
2017: sarà l'anno delle sorprese

Gennaio e febbraio 2017 c'entrano poco o nulla con il resto dell'anno: ci prendiamo il rischio di fare una previsione (fatto che va contro le nostre abitudini: ma qualche eccezione a volte è necessaria) perché al 10 di marzo le crepe sono ovunque e la sensazione è quella di un edificio che sta per collassare.

Jamie Dimon, il grande capo di JP Morgan, ha dichiarato la settimana scorsa che Trump potrà rimettere in moto gli "spiriti animali" in economia, gli animal spirits di Adam Smith. Bellissima frase, a cui per ora sui mercati c'è stato un seguito in Borsa, con i rialzi del primo bimestre.

Solo in Borsa, però. Per ora, il quadro dei mercati obbligazionari e soprattutto delle materie prime e dei mercati valutari va in una direzione diversa. Non c'è Reflation, non si vedono qui gli animal spirits che folleggiano. Che Dimon si sia sbagliato? 

In Recce'd questa osservazione ne porta una seconda: contraddizioni come queste poi si pagano. Inevitabilmente. Ed una terza: il rally di Borsa è un fake rally, come le fake news.

Da queste osservazioni si ricava che mai come nel 2017, chi affronta i mercati con la asset allocation tradizionale resterà ... deluso: è già stato fregato, con danni notevoli, nel 2014, e poi nel 2015, e poi nel 2016, ma sarà ancora più doloroso il 2017.

Al 10 marzo, si può già affermare che i nodi sono venuti al pettine. Chi resterà incastrato in quei titoli sui "record di borsa" sui quotidiani e nei TG, chi si farà anche questa volta consigliare dai soliti pessimi consiglieri, quelli del "tutto è tranquillo, tutto andrà bene", questa volta pagherà un prezzo elevato.

I segali, come detto, ci sono già tutti: chi per caso si fosse fatto gettare negli occhi il fumo dei "record di Borsa", farà bene a riflettere sulle parole che solo la settimana scorsa ha pubblicato la Banca svizzera Pictet, che qui spiega con massima chiarezza che sono tempi nuovi, che sono mercati nuovi, e che i risultati ne risentiranno in modo pesante. Qui sotto vedete quali sono oggi i rendimenti medi, attesi per i prossimi 10 anni, sulla base dei dati di mercato oggi disponibili (differenziali dei prezzi a termine di tassi e cambi).

 

L'investitore farà bene a mettere a confronto, e provare a riconciliare, questa i dati della tabella qui sopra con ciò che ha detto di recente il promotore, il private banker, il consulente online. E trarne in grande fretta le conclusioni: per tempi nuovi e mercati nuovi vi sono necessarie strategie nuove e consulenti nuovi.

A meno che l'investitore non accetti l'ipotesi di un rendimento MEDIO del 2% scarso su 10 anni, con alcuni anni pertanto in NEGATIVO.

Esiste un modo, per sfuggire a questo trappolone ai danni di chi investe i risparmi: un trappolone che è stato, deliberatamente, costruito dalle maggiori Banche Centrali, con la collaborazione attiva delle banche di investimento (tutte le varie JP Morgan di questo mondo) negli ultimi otto anni. 

Se volete sfuggire al trappolone globale, liberatevi subito dei vecchi arnesi. A meno che ... non vi facci piacere restare lì fermi e passivi, a subire ciò che scrive Pictet qui sotto, con la vostra solita, vecchia, inutile e inefficiente asset allocation.

Over the next 10 years, we expect that annual returns across a range of broadly defined asset classes will fall. Growth potential and inflation trends suggest that expected annual returns for US equities could decline to just over 5%1 over the next 10 years, compared with a historic 10-year average of about 7%. By contrast, European and Japanese equities could do better than they have, closing some of the performance gap with US equivalents. Overall, however, the returns that can be expected from developed-market equities over the next 10 years will be over a third lower than the average of the past 46 years. But the most obvious ‘regime shift’ is to be seen in fixed income. The bull market in government bonds that stretches back several decades is, our research indicates, at an end. Annual returns in the next 10 years from US Treasuries could be less than half the 4.8% they have delivered over the past 10 (in local currency). Our expectation is that German Bunds will, on average, deliver negative returns over the next 10 years. Return expectations for Swiss and Japanese government bonds are also negative. Overall, taking the beginning of the bull market (1981) as our starting point, our estimates are that total returns from government bonds over the next 10 years will be just a quarter of what they have been since then. Interest rate trends explain this regime shift: after having benefited from an almost relentless fall in long-term rates over the past 35 years, we now see a gradual rise in rates in the years ahead, in tandem with normalisation in economic growth patterns and changing demographics. The implications of these findings for asset allocation are twofold. First, the fall in expected returns from equities, and even larger decline from government bonds, means that the returns delivered by a classic 60/40 portfolio could dip by half compared to previous 10-year periods. Second, while it remains legitimate to consider benchmark government bonds as a means of protecting portfolios, the tendency for long-term rates to converge with nominal GDP growth will mean that this protection has a cost. Bond market volatility is rising and even without a repeat of the bond market crash of 1994, there is a significant risk of seeing several years of gains from bonds being quickly wiped out.

Mercati oggiValter Buffo
Italia: in accelerazione (parte 1)

Le prospettive per l'Italia in questo 2017 sono particolarmente complicate. I dati della settimana scorsa per linflazione in Eurozona garantiscono che l'Italia perderà, a breve, il suo speciale "salavagente", la politica della BCE che di fatto è servita soltanto a tenere a galla chi era troppo indebitato, e a nulla di altro (attribuire il rialzo dell'inflazione al QE è così ingenuo che non merita commenti).

Il quadro economico quindi va peggiorando: in parallelo, peggiora il quadro della politica. A questo scopo, noi di Rece'd abbiamo aperto una nuova Sezione, Parley, che risulterà di importanza capitale, e molto evidente, nei prossimi mesi.

In questo Post vogliamo aggiungere altre parole, scritte da Stefano Folli per Repubblica il 5 marzo 2017: ci pare un efficace punto della situazione.

In Italia (...) si sono persi due anni a inseguire il cosiddetto “Italicum”, uno schema farraginoso e ingiusto alla fine dichiarato incostituzionale. E adesso le Camere sembrano non avere l’energia e forse nemmeno la volontà per affrontare la questione in tempo utile. È in corso un grande conto alla rovescia al termine del quale potremmo ritrovarci al buio e pochi dimostrano di averne consapevolezza. Lo scenario che prende forma si chiama Weimar, la Repubblica tedesca che si dissolse nell’inconcludenza rissosa — è il caso di dirlo — fra gli anni Venti e i primi Trenta. L’esito è noto. Rispetto ad allora non siamo devastati da una super-inflazione, ma in compenso abbiamo una serie di conti finanziari in sospeso con l’Europa. Weimar è notoriamente il simbolo stesso del suicidio di una democrazia. Non è quindi azzardato il paragone con il declino italiano di oggi, se questo fosse portato alle estreme conseguenze da un Parlamento paralizzato e incapace di offrire un governo efficiente al paese.