Giornalisti e giornaletti: il caso Italia nel marzo 2017 (parte 1)
Se Recce'd ha scelto, non senza avere valutato la cosa con attenzione (ed in particolare, le difficoltà della lingua per chi ci legge), di pubblicare su un quotidiano in lingua inglese, piuttosto che su un mezzo di informazione che scrive in italiano, la ragione c'è ed è solida. Per questo, la nostra collaborazione con il Financial Times si amplierà in futuro.
Ciò che tutti avete letto, a proposito delle tristi vicende che investono il maggiore quotidiano economico italiano (il Sole 24 Ore: vicende di cui si occupa la Magistratura) merita, da parte di chi investe ed è italiano, una attenta riflessione.
Perché da queste notizie si può comprendere quali siano in Italia le logiche di gestione dei mezzi di comunicazione, e di quelli che si occupano di Finanza in particolare.
Potete capire perché, ad esempio, sulla stampa italiana quando si scrive di investimenti si leggono sempre gli stessi nomi, e sempre le stesse frasi, e sempre le medesime proposte. Il messaggio al risparmiatore è sempre lo stesso: "tanto, le cose non cambieranno mai, e tu di qui non scappi, sei in trappola".
Stiamo descrivendo un circuito chiuso. Chi paga la pubblicità pretende poi di essere messo in vetrina, ed in questo modo il conflitto di interesse diventa la caratteristica dominante della comunicazione finanziaria in Italia. Novità? Zero. Alternative? non esistono! Punti di vista critici? Impossibile. "Beccatevi 'sti Fondi Comuni, e via andare", come anche stamattina ci suggerisce il Corriere della Sera, sempre attento verso gli interessi di quella Industria che tanti utili porta nei bilanci delle banche italiane. Quando leggete le pagine economiche del vostro quotidiano o settimanale, pensateci bene.
Chi fa le spese di questo stato di cose? Naturalmente i risparmiatori, ma pure i giornalisti professionisti che ci lavorano: la cui formazione diventa in questo modo succube degli interessi (dei conflitti di interesse) della testata, a cui devono necessariamente allinearsi. Tutte le energie vengono quindi sprecate, perché spese in sforzi inutili come "tenere in piedi la baracca", e "rassicurare i Clienti che va tutto bene", con uno sguardo sempre abbassato a terra e un orizzonte ristretto agli affari italiani, specie se si tratta di "voci" non controllate, beghe di cortile, micro-aziende e poltrone dei Consigli di Amministrazione. Paccottiglia non rilevante per chi investe.
Queste non sono certo esperienze formative, come i nostri lettori comprendono facilmente: né sul piano dell'analisi finanziaria, né sul piano dell'indagine, dell'approfondimento critico, del mettere davanti a tutto gli interessi di chi investe (e legge i giornali).
Tutto ciò dove ci conduce? I giornalisti in Italia, ed in particolare quelli che si occupano di Finanza, in questi ultimi anni soffrono per i risultati dei quotidiani e in generale dei media finanziari. Risultati che dimostrano che anche il pubblico li ha abbandonati: se il Sole 24 Ore fallisce, qualche ragione ci sarà pure, e sta nel servizio offerto ai lettori!
Qualcuno tra i giornalisti ha tentato e tenerà di utilizzare la propria esperienza di scrittore per proporsi attraverso i media come advisor, come consulente.
Purtroppo per loro, una cosa è sapere battere sui tasti della tastiera di un computer, ed una cosa del tutto diversa è sapersi muovere sui mercati finanziari, avere acquistato e venduto titoli, avere passato mesi ed anni nelle sale di negoziazione e nei comitati di investimento, requisiti indispensabili per potere dare ai Clienti consigli e suggerimenti che producano performance nei prossimi dieci o venti anni.