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2016: un anno straordinario

In Recce'd utilizziamo un solo parametro, per misurare il nostro successo. Per questa ragione noi di Recce'd non vi raccontiamo delle nostre dimensioni, gli uffici e dei collaboratori, della presenza sui media e ai Convegni, della Tecnologia, degli algoritmi e del Fintech (di cui non sappiamo che farcene). Noi siamo differenti.

Non vi facciamo perdere tempo con queste cose: noi invece parliamo dei risultati. Per noi il successo sono i risultati dei nostri Clienti. Noi siamo qui per questo: Recce'd esiste solo per questo. In questa professione, tutto il resto sono chiacchiere. Chiacchiere da bar, direbbe qualcuno: mancando di rispetto al bar.

Il 2016 è stato un anno straordinario, perché il nostro portafoglio modello RNI sul quale si è orientata la maggior parte dei nostri Clienti ha messo a segno una performance superiore al 10%, che sommata a quella del 2015 porta il risultato sopra il 20%. I Clienti che nel frattempo hanno svolto il lavoro di allineamento ai portafogli modello hanno, comunque, conseguito risultati che sono di molto superiori a quelli dell'industria tradizionale. Il tutto (notate bene: il punto è qualificante) con un rischio sempre sotto controllo (deviazione standard annualizzata paria a 6).

Come nasce questo risultato straordinario? Lo racconteremo in un prossimo Webinar, che stiamo per annunciare. In estrema sintesi, però, la risposta è questa: lavoriamo meglio. Abbiamo strumenti di valutazione, e strategie di investimento, superiori rispetto a quelle che usano gli altri.

E sarà così ancora per molto tempo: visto che la concorrenza oggi è impegnata con Fondi Comuni, prospetti, autorizzazioni, asset allocation, media e varianza e propensione al rischio, algoritmi, e altre anticaglie da mercatino delle pulci mentre il mondo si evolve. E loro fanno sempre più fatica a comprenderlo.

Il 2016 per noi finisce qui, per Recce'd. Anche se ai nostri Clienti suggeriremo altre mosse di portafoglio, da qui alla fine dell'anno: che sono appunto riservate ai Clienti, che sono quelli a cui Recce'd deve tutto, quelli che ci aiutano nei nostri sforzi quotidiani per portare avanti una proposta innovativa in un contesto ingessato e stagnante. 

Per il pubblico, da oggi per Recce'd inizia il 2017: e dai segnali che oggi abbiamo in mano (e sono molti, e forti) il divario tra noi e gli altri nel 2017 si allargherà ancora.

Voi nel frattempo, chiedetevi perché tutti gli altri evitano, in modo accurato, di parlarvi dei loro risultati. Sarà ... solo per scaramanzia? O forse c'è qualche altra ragione?

 

Mercati oggiValter Buffo
Un algoritmo vi farà ricchi? No, e vi spieghiamo perché NON vi serve (parte 2)

Noi una spiegazione ve la abbiamo offerta nel primo Post di questa serie, nel maggio scorso. Oggi ve ne offriamo una seconda, che si trova questa settimana sul settimanale The Economist.

Il termine "algoritmo", come sapete, è di gran moda: anche se, di per sé, significa nulla. Un altra espressione che va per la maggiore è "big data", della quale sicuramente avrete letto su qualche settimanale o quotidiano che "il futuro".

The Economist ci ricorda, questa settimana, che queste mode non sono una novità:

WHAT is the collective noun for a group of economists? (...) perhaps, judging by the tendency of those writing economic papers to follow the latest fashion, a “herd” would be best. This year the hot technique is machine learning, using big data; Imran Rasul, an economics professor at University College, London, is expecting to read a pile of papers using this voguish technique. Economists are prone to methodological crazes. Mr Rasul recalls past paper-piles using the regression-discontinuity technique, which compared similar people either side of a sharp cut-off to gauge a policy’s effect. (...) When a hot new tool arrives on the scene, it should extend the frontiers of economics and pull previously unanswerable questions within reach. What might seem faddish could in fact be economists piling in to help shed light on the discipline’s darkest corners. Some economists, however, argue that new methods also bring new dangers; rather than pushing economics forward, crazes can lead it astray, especially in their infancy.

The Economist riconosce l'esistenza di queste mode, ma va anche oltre: e ne mette in evidenza i (gravi) rischi.

With time, economists should learn when to use their shiny new tools. But there is a deeper concern: that fashions and fads are distorting economics, by nudging the profession towards asking particular questions, and hiding bigger ones from view. (...)  In August, Olivier Blanchard, a heavyweight macroeconomist, wrote a plea to colleagues to be less “imperialistic” about their use of dynamic stochastic general equilibrium models, adding that, for forecasting, their theoretical purity might be “more of a hindrance than a strength”. He issued a reminder that “different model types are needed for different tasks.”

Con poche parole, l'articolo di The Economist riassume la sostanza del problema: il "modello unico e supremo" è una millenaria illusione, ma ... purtroppo non esiste oggi né mai esisterà. Di certo, non esiste alcun modello né alcun algoritmo al quale affidare la gestione dei propri denari. esistono invece strumenti e metodi, quantitativi e matematici, che possono aiutare, supportare, integrare. E sono quelli ai quali Recce'd affida una parte (solo una parte) del processo di investimento.

Così si chiude il pezzo di the Economist: 

But the critics of faddishness have one thing right. Good economics is about asking the right questions. Of all the tools at the discipline’s disposal, its practitioners’ scepticism is the most timeless.

Mercati oggiValter Buffo
Meet John Bogle

Il signore nella foto è John Bogle, uno dei Grandi dell'industria del risparmio.

Nella sua ultima intervista, dice moltissime cose importanti, come si poteva prevedere. Noi ne abbiamo selezionate tre.

JB I’ve been in this business for 65 years. I’ve seen many pendulums. Every one swings back and forth, and the further it goes left, the further it will go right. So pendulums are there, and they can be scary when something gets very popular. But this isn’t a pendulum anymore. People are going to be using more index funds in 2025 than they are today. This is an underlying, fundamental trend—not one built on opinion, but on the relentless rules of humble arithmetic. 

La prima cosa che dice è che è in atto un processo irreversibile, di ridimensionamento dell'industria dei Fondi Comuni, che uscirà stravolta da questa fase. Come dice Bogle, questo non è uno dei tanti alti e bassi: è un processo non reversibile. Passiamo ora alla seconda affermazione:

JB Great markets don’t go on forever. We’re certainly looking at an era of much lower returns. I don’t think 4 or 5 percent for stocks is a bad guess. You might get lucky and get 2.5 percent on bonds and maybe almost 3 percent if you get into some corporates. But you put the 5 and the 3 together, and you have a 50-50 balanced fund, that’s 4 percent for a balanced portfolio. Then you take out inflation—say we’re lucky enough to have 1 percent. I don’t think we’ll get that lucky, but it should be lower than in the past. Maybe it’s a 3 percent real return? Then you have your friendly mutual fund managers taking 2 percent. Easy math.

Bogle dice qui sopra che dagli indici di mercato l'investitore deve in futuro attendersi rendimenti vicini a zero: sia che investa in ETF sia (ancora di più) che investa in Fondi Comuni tradizionali. Recce'd vi dice: attenzione, Bogle parla qui di ciò che faranno gli indici. Non è questo, che faranno i vostri portafogli, sempre che voi non restiate fermi per anni a guardare quello che succede, senza mai agire.

Per finire, una terza frase di Bogle, che è la più importante:

JB What’s clear is we’re in the middle of a revolution caused by indexing. It’s reshaping Wall Street, it’s reshaping the mutual fund industry. And it’s doing something very simple: shifting the allocation of stock market returns away from Wall Street and toward Main Street. We’re beyond the beginning, but nowhere near the end.

Bogle spiega, e Recce'd è in totale sintonia, che siamo nel mezzo di una radicale rivoluzione. E che siamo lontanissimi dalla fine. Lui ed altri avviarono questa rivoluzione, nel 1974, ispirandosi al lavoro di Paul Samuelson, Bill Sharpe ed altri, come racconta lui stesso nell'intervista.

Sono passati ben 42 anni, da quei lavori di Samuelson e Sharpe ad oggi è passata un'era della Finanza ed anche del Mondo. Le idee che allora erano vincenti oggi non lo sono più. Quella Rivoluzione che è appena partita porterà molto oltre quel modo di pensare, di operare, di investire: e lo sa benissimo anche John Bogle, di non essere il punto di arrivo. Lui dice giustamente che la rivoluzione è causata dai Fondi Indice come gli ETF, ma non sarà quello certamente il punto di arrivo.

Mercati oggiValter Buffo
A chi serve aumentare il capitale del Monte dei Paschi di Siena?

Oggi 24 novembre 2016 si svolge una Assemblea dei Soci di Banca MPS che, a sentire i Vertici della Banca, dovrà perr forza andare bene. Perché è in gioco la vita dell'Istituto, e non esite un Piano B.

Ricodiamo ai nostri lettori che cosa è Banca MPS: è un Istituto regolato e Vigilato dalla Banca di Italia, e per ciò che rigurda le operazioni sul capitale anche da CONSOB. Uno di quelli che hanno "tutte le possibili autorizzazioni".

Istituto che, solo pochi mesi fa, alla fine del 2013, epoca della più recente emissione di azioni, fu presentato a tutto il pubblico italiano, da altre Istituzioni, Società, SGR, SIM di gstsione, SIM di consulenza, Reti di promotori (tutte realtò "autorizzate da Banca d'Italia e CONSOB"), come un affare solidissimo, come l'affare del secolo. Da operatori poco informati, oppure spregiudicati, ed in qualche caso veri e propri imbroglioni. Rispetto ai valori di fine 2013, oggi il titolo vale in sostanza NULLA (grafico sopra).

Oggi si propone al pubblico di "salvare" la Banca attraverso un aumento di capitale di 5 miliardi di euro. Noi di Recce'd torniamo, ancora una volta a chiedere a che cosa serve. O meglio: a chi serve?

E' chiaro che sono in gioco gli interessi degli obbligazionisti (gli azionisti ormai sono stati di fatto azzerati) e dei dipendenti. Con entrambi, Recce'd è solidale, e ne rispetta la grave preoccupazione. Ma la nostra domanda per loro è: davvero si migliora la loro situazione raccontando delle balle, vendendo delle illusioni?

Il presidente del Consiglio dichiarò tre mesi fa che "in Italia ci sono troppe banche": tenere in vita una di queste, probabilmente una di quelle meno stabili, una delle più scassate, peggio gestite, a chi serve? Quali scopi si propone?

Rilanciare questa banca come business efficiente? Via, siamo seri! Qui non si "salva" la Banca, si salvano alcune specifiche persone, la Banca ha il destino più che segnato, e tutti i soldi spesi negli ultimi mesi sono soldi spesi per fare gli interessi di alcuni privati. Non del pubblico, che continua e continuerà a pagare per tenere in "vita artificiale" uno dei tanti Zombie italiani.

Ai nostri lettori ricordiamo ancora una volta che le "autorizzazioni di CONSOB e Banca d'Italia" non sono autorizzazioni di merito: guardano solo a requisiti formali, e non alle questioni di sostanza per il Cliente risparmiatore. Come questa e tante altre storie hanno concretamente dimostrato.

Mercati oggiValter Buffo
Lo scontro epico tra consapevolezza ed algoritmi

La consapevolezza che Recce'd propone (impone?) ai proprio Clienti è quella del "capire che cosa sto facendo e per quali ragioni". Su ogni mossa di portafoglio, su ogni posizione.

Noi siamo ad un estremo dello spettro delle possibilità per il Cliente che investe.

In mezzo, c'è il mare magnum, il grande mare dell'industria, quell'industria della "catena Fabbrica-Rete", quella che va dai Fondi Comuni al Cliente attraverso private bankers e promotori.

Qui il Cliente viene sempre tenuto all'oscuro, almeno in parte. Motivazione? "Troppo complicato, non potresti capire, non ne hai voglia": e poi, ovviamente ... avanti coi carri. Anche perché la gran parte dei "prodotti finanziari" non li ha capire neppure chi va a proporli al Cliente, che avrà letto sì e no tre o quattro paginette di corsa prima di uscire, ed infatti non sa spiegare come funziona. Ma che importa? Al Cliente ... non serve, basta una vaga infarinatura di concetti complicati. 

Infine, all'estremo opposto, rispetto a Recce'd, ci sono gli algoritmi ed i ROBO advisors: il Cliente in questo caso viene del tutto privato della possibilità di capire, visto che le scelte sono affidate al modellino matematico (che si assume sia "perfetto"). Il Cliente entra in un gregge, e viene spostato di qua e di là con il gregge.

Perché ne scriviamo di nuovo? Perché ci teniamo molto, ovviamente, al concetto di consapevolezza, il solo che viene persino davanti alla performance. Senza consapevolezza non potrà mai esserci né trasparenza, né efficienza dell'investimento.

Ma lo spunto questa volta ci è stato fornito da un articolo della New York Review of Books, che ci ha stimolato molte riflessioni,e di cui vogliamo qui riportare un estratto, nel quale a nostro parere si spiega alla perfezione perché le attività umane (come è l'investimento finanziario) non possono essere ridotte a modellini matematici o algoritmi:

Is it possible to put some order into our thoughts about consciousness, memory, perception, and the like? Hardly a day goes by without some in-depth article wondering whether computers can be conscious, whether our universe is some kind of simulation, whether mind is a unique quality of human beings or spread out across the universe like butter on bread. Many of us are not even sure what we believe in this department, or whether what we believe would bear much scrutiny from philosophers or neuroscientists.

For a number of years I have been talking about these matters almost daily with Riccardo Manzotti, the philosopher, psychologist, and robotics engineer. I have now suggested to him that we condense our conversations into a series of focused dialogues to set out the standard positions on consciousness, and suggest some alternatives. For my own part I’d like to add some reflections on the social implications of the various theories for what we think about consciousness, which is as much as to say what we think about who and what we are, inevitably has consequences for how we relate to one another, and to the world. But our first problem will be one of definition.

—Tim Parks

Tim Parks: Riccardo, what do we mean when we say “consciousness”? Are we talking about perceptive experience, memory, thought, trains of thought, or mental life in general?

Riccardo Manzotti: For most people “consciousness” will have various meanings and include awareness, self-awareness, thinking in language. But for philosophers and neuroscientists the crucial meaning is that of feeling something, having a feeling you might say, or an experience. An easy way to think about it would be pain. Instinctively we all agree that feeling a pain is something. It’s an experience. That is why we don’t like to hurt animals, because we have good reason to suspect that they feel what happens to them. And this feeling of what happens to us characterizes our existence. The technical term is “phenomenal experience,” or again “conscious experience,” but frankly both sound a tad redundant since experience is always something we feel.

Parks: I remember David Chalmers, a philosopher we’ll no doubt be talking about at some point, defining consciousness as an internal flow of images, “a movie playing inside your head,” and probably a lot of people would agree with him. But you want to stick to something more basic.

Manzotti: A definition like that suggests that we know a lot more than we do: that there are images in our heads, that they move forward in sequence, that there is some kind of split between the image and someone (who?) observing the image. It’s all very problematic. The truth is that we do not know what consciousness is. That’s why we’re talking about it as a problem. What we do know is that the way we experience reality, I mean that we feel the things that happen to us, does not really match up with our current scientific picture of the physical world.

Parks: In what respect?

Manzotti: Well, consider this: If we didn’t know that human beings experience the world, that they feel things, would we be able to deduce it from what we know about neurophysiology? Really, no. There is nothing about the behavior of neurons to suggest that they are any different with respect to consciousness than, say, liver cells or red blood cells. They are cells doing what cells do best, namely, keeping entropy low by generating flows of ions such as sodium, potassium, chloride, and calcium and releasing neurotransmitters as a consequence. All of that is wonderful but far removed from the fact that I experience a light blue color when I watch the morning sky. That is, it’s not easy to see how the physical activity of the neurons explains my experience of the sky, let alone a process like thinking.

Parks: So we might say that consciousness is the word we use to refer to the fact that rather than just physiological activity, mute like any other physical event—the sky in the morning, a cloud crossing the sun—we have experience, we have a feeling of that event?

Manzotti: Exactly. Instead of a world where we merely interact with external occurrences—the way a flower opens in the sun, or water freezes in the cold—we also have experience of the occurrence, the sun, the icy weather, and so on. This addition of experience (or in future we may want to suggest that experience and occurrence are one!) would be puzzling enough in itself. But it is even more puzzling that experience is usually described as experience of something else, of something that is not me. I experience a red apple. You experience a piece of music. Ruth experiences a landscape. How is this possible since, if we leave aside quantum mechanics (for the moment), our traditional view of nature tells us that an object is what it is and nothing more? William James put this very clearly when he asked, How can the room I am sitting in be simultaneously out there and, as it were, inside my head, my experience? We still have no answer to that question.

Mercati oggiValter Buffo