Posts in Finanza applicata
Facciamo un po' di Accademia (parte 6)

Nel secondo Post di questa serie, abbiamo scritto che il rischio che ognuno di noi e di voi detiene nel proprio portafoglio di investimenti deve essere misurato con strumenti efficienti, che guardano in avanti, succedendo quindi a chi ci legge di mettere del tutto da parte tutta la vecchia strumentazione (basata sulle volatilità storiche) e chi ancora la usa per calcolare presunti "profili di rischio" che alla prova pratica fanno più male che bene.

E' curioso leggere, proprio questa mattina, una ricerca di Citigroup che è dedicata poprio a questo tema, che viene trattato con queste parole:

… it is not really volatility that we should be watching if we want to try and predict turns in risk appetite, it is the shape of the distribution of the price action in markets. The chart below shows an index based on the distribution of weekly changes in price for a blended index of equities, rates, fx and commodities.

It is worth considering that the spike in November 2015 peaked just as the equity markets turned, leading to a 15% reversal in global stock markets that lasted for three months.

We are not suggesting that a similar move is imminent, but we would caution that recent price action suggests that confidence might be waning. A big reversal will still require a trigger, but it might only need to be a small trigger.

Facciamo un po' di Accademia (parte 5)

Qualche nostro amico lettore si sarà già stancato o seccato: "vogliamo sapere se comperare oppure vendere, queste cose non ci interessano e sono troppo complicate per noi".

A questi amici diciamo: Recce'd insisterà. Noi non riusciamo proprio ad adattarci alle immagini di Clienti investitori "con l'anello al naso", come li vorrebbe il questionario CONSOB pubblicato in settembre. Noi siamo più che certi di parlare a una platea di lettori quanto meno curiosa e critica: forse scoraggiata dalla lingua inglese degli allegati, oppure dalla matematica.

Non scoraggiatevi: non serve una comprensione di dettaglio, serve una comprensione di sostanza, alla quale siamo certi che la maggior parte dei lettori sono già arrivati. Qualcosa che vi faccia comprendere che le notizie di ogni giorno, quelle ad esempio su MPS, la Manovra Finanziaria, la crisi del petrolio e la crisi di Brexit e la crisi della Cina, aumentano solo la confusione e non vi aiuteranno ad investire per il meglio, né ad ottenere performances positive.

Per questa ragione Recce'd insisterà: dopo i primi cinque Post, ci prendiamo una pausa, ma torneremo sul tema "Accademia", che poi invece è un tema molto pratico. Ed organizzeremo anche incontri (sia sul Web sia in varie città d'Italia, nei prossimi mesi) proprio su questi temi: invece di buttarvi fumo negli occhi sulla "direzione dei mercati", come fanno i più, tenteremo di mettere a vostra disposizione strumenti concreti per valutare, scegliere, decidere e liberarvi di vecchie pratiche obsolete e non produttive.

Facciamo un po' di Accademia (parte 4)

In Finanza ci sono dibattiti perenni, che non finiscono mai: spesso, perché non possono trovare una fine, visto che il punto del contendere non è chiaro, non è ben definito.

Uno di questi è il dibattito tra "gestione attiva" e "gestione passiva": il trucco, in questo caso, sta nel fatto che i due concetti (gestione attiva e gestione passiva) cambiano continuamente.

Prendete la "gestione passiva": se parliamo di un solo indice di mercati, è tutto (quasi) chiaro. La gestione punta a replicare l'indice. Certo l'indice avrà in futuro entrate ed uscite, e quindi ... e poi, dovremmo tenere conto nel replicare del'indice della necessità di ribilanciamenti, e non potremmo farli ogni giorno, e meno che mai ogni cinque minuti. Insomma, ci sono alcune difficoltà, ma minori.

Se però invece parliamo di un portafoglio composto, magari da più indici oppure addirittura da più classi di attività, allora cade ogni certezza. I consulenti e i venditori dicono al Cliente che la scelta "ottimale" o meglio ancora "ottimizzata" è "replicare il mercato". Il punto è che questo "mercato" non lo ha mai definito nessuno: sono solo le azioni? E di che Paesi? E con quale peso sul totale? E quali indici e sottoindici? Oppure volte anche le obbligazioni? E le valute cash? le commodities? Gli alternativi? Insomma: che cosa diavolo è questo "mercato?

Ma non basta: qui la questione dei ribilanciamenti diventa seria, e può stravolgere la performance. Come se non bastasse poi quasi tutti ci mettono le "mosse tattiche", e tutto diventa ... una disastrosa insalata russa come in una puntata di Hell's Kitchen. Un caos a cui nessuno sa più dare un senso. Purtroppo, il caso viene fatto coi vostri soldi, e non con quelli di chi vi consiglia.

Quindi: l'investimento "passivo" è in realtà una cosa mal definita che produce ed ha prodotto in passato quasi sempre risultati negativi. Allora torniamo ad occuparci di investimento "attivi": sullo spunto di un lavoro recente pubblicato da AQR, la Società di Gestione di Cliff Asness, forse il più noto Quant del Pianeta.

Cliff ha scritto pochi giorni fa, introducendo questo tema:

The related topics of, “How much active management is necessary?” (and, conversely, “How much indexing would start to be a problem for market efficiency in both pricing accuracy and liquidity?”) and the more speculative, “What would happen if everyone indexed?” are perennials that have fascinated me and many others for many years. But all such discussion always runs into the problem of Bill Sharpe. Well, not Bill in general, but specifically his observation that, properly defined (no easy task itself since this involves proper definition of the all-encompassing capitalization weighted investable market portfolio), all active management must net to zero (before fees and trading costs; and thus lower than passive returns after these subtractions).

Qui Cliff parla di cose che furono pensate e scritte dal Nobel Bill Sharpe alla fine degli Anni Cinquanta, ovvero sessanta anni fa: eppure, all'interno dell'industria del risparmio, sia il top management sia tutte le Reti di vendita a tutto oggi fondano le loro politiche commerciali ancora sugli strumenti media/varianza che Sharpe elaborò sessanta anni fa. Da qui l'estrema attualità, perché in questo modo non si cerca di proteggere l'interesse dei Clienti bensì quello delle Case di gestione e delle Reti di vendita.

Come dice qui sopra Asness, se seguiamo le teorie di Sharpe, Markowitz e soci siamo costretti a concludere che "la somma dei risultati di tutti i gestori attivi fa sempre zero". Da qui, l'argomento commerciale che "è preferibile affidarsi alle gestioni passive": argomento che, purtroppo, è falso, perché al Cliente investitore invece interessa non la "somma zero", ma il modo in cui comprendere QUALI gestioni "attive" producono valore per il Cliente, e QUALI altre invece distruggono i soldi ed il valore del Cliente. L'argomento (di Jack Bogle ed altri grandi) che i Fondi Comuni attivi non hanno mai prodotto valore per i Clienti è indistruttibile, perché fondato su dati solidissimi. Ma questo argomento dice solo che la gestione "presunta attiva" di quei Fondi Comuni tradizionali distrugge valore: non dimostra che ogni gestione attiva distrugge valore. Anzi, il contrario.

Anche Asness, però, in questo 2016, arriva ad una conclusione simile, partendo da un lavoro del suo collaboratore Lasse Pedersen:

Lasse shows that once you add necessary turnover into real world indexing – which can come from additions and deletions to the index or from corporate actions – the ironclad tyranny of Bill’s math is broken. And once you add information asymmetry (not a big assumption as indexers, by definition, claim and have no information) you restore an important role for active management. Lasse also presents initial investigations of these more realistic cases, showing that the magnitude of the effects are not trivial (My first thought in reading Lasse’s draft was, “Sure, but this will be trivial.” Lasse says no!). Anyway, this is supposed to be an introduction to, not a full exposition of, Lasse’s work, which I obviously encourage you to read. I think it’s the beginning of an important, underappreciated line of thinking in a long, fascinating and important topic; and I think it achieves this by taking on something we all assumed was obviously true. How many of us often just cite “the average can’t beat the average” and move on assuming we’ve smashed whoever we were debating? I know I have done it many times. Sharpe’s insight is, in my opinion, likely still mostly true, perhaps entirely true. But Lasse has, at the very least, created some doubt for me in something I was pretty sure about.

Noi in Recce'd siamo assolutamente certi che la "gestione attiva" aggiunga valore al Cliente: non certo quella dei Fondi Comuni tradizionali (long-only) che è basata su presupposti che vanno CONTRO gli interessi dei Clienti che ci investono, ma quella consapevole ed innovativa che sfrutta ogni giorno i migliori strumenti di valutazione, alimentandoli con le migliori informazioni. Come in ogni altra professione del Pianeta, c'è chi lavora peggio e chi meglio, c'è chi arriva prima e chi dopo, c'è chi produce risultati positivi e chi ne produce di negativi e "spolpa" i propri Clienti. E' solo nel mondo della Finanza che c'è ancora chi perde tempo, ed energia, per convincere gli altri che non è così.

 

Facciamo un po' di Accademia (parte 3)

Come si stabilisce il valore di un titolo? Che sia un'azione, una obbligazione, una valuta, un'obbligazione strutturata, un certificato, o tutto ciò che voi volete, c'è un solo metodo, universale, di valutazione: il DCF.

Questa non è Teoria della Finanza: è una cosa molto più semplice. E' senso comune. Il prezzo oggi di un qualsiasi investimento finanziario deve, obbligatoriamente, essere pari (esattamente) al valore dei flussi di cassa che chi investe riceverà in futuro. Non c'è alternativa, e non c'è margine di errore.

La teoria della Finanza inizia qui: perché detto nel modo in cui lo abbiamo detto sopra, sembra un meccanismo semplicissimo. Invece poi si tratta di fare i conti: e lì iniziano le complicazioni, e lì diventa indispensabile avere una Teoria della Finanza.

Perché? Le ragioni sono cento, ma la prima, la più importante, quella dominante, è capire che 100 euro oggi non sono uguali a 100 euro tra cinque anni. Per questo, tutti i flussi di cassa futuri, che deriveranno dall'investimento finanziario fatto, andranno SCONTATI.

Scontare vuole dire: trovare un modo per esprimere il valore oggi di 100 euro tra cinque anni (oppure due, o dieci, come volete). Non è semplice: occorre fare una operazione di SCONTO, e quasi sempre la si fa utilizzando il livello dei tassi di interesse IN FUTURO. Altra complicazione.

E poi ci sono ancora altre complicazioni: prima fra tutte, la INCERTEZZA dei flussi di cassa futuri. Incertezza che si può trattare, su cui si può lavorare: in Recce'd la gran parte delle nostre attività di valutazione dei titoli riguarda proprio il COME trattare l'incertezza (vedi anche il Post precedente). Incertezza che, per adesso, evitiamo di tirare in ballo in questo Post.

Ciò che invece oggi vogliamo sottolineare, con forza, è che calcoli come questi sono complicati anche dal contingente. Dall'attualità. dal momento di mercato, Dalle prime pagine dei giornali.

Un esempio molto forte e significativo è stato prodotto, la settimana scorsa, dalla Società di Gestione Bernstein, che ha lavorato sui problemi del modello di SCONTO (il DCF) in un momento come quello attuale: Bernstein si è chiesto: "con che tassi di interessi farò l'operazione di SCONTO, se i tassi di interesse stanno sempre a ZERO?

Perché ci sembra utile parlarne? per spiegare a tutti quelli che credono di avere in mano il "modello definitivo", quello superiore ad ogni altro, quello che funziona come una macchinetta sforna soldi, che i modelli vanno sì conosciuti, sì utilizzato, ma pure, OGNI MATTINA migliorati. Che è proprio ciò che noi in Recce'd facciamo ogni giorno.

L'importanza pratica di ciò che abbiamo appena scritto la ha chiarita proprio Bernstein:

The problem is that [DCF models] were invented and historically used in a world where risk free rates averaged 5% or more. In a world where the risk free rate is close to zero then the errors in such models explode. Specifically, if the overall discount rate (WACC) falls from 10% to 5% in a very simple DCF then the proportion of the net present value accounted for by cash flows more than 5 years in the future rises from 70% to 95%. How far in the future can any analyst forecast? We would suggest that any human’s ability to forecast financial variables more than about 5 years in the future is limited at best. At the very least small errors at that forecasting horizon become very significant.

Qualcuno forse a questo punto è già annoiato, e pensa: "Ma queste sono questioni tecniche, vanno lasciate ai professionisti". NON FATELO, neppure per un attimo: la principale ragione dei vostri insuccessi, nelle attività di investimento, è proprio l'esservi accontentati di servizi modesti, consigli e consulenze modeste, di qualcuno che vi tiene l' mezz'ora a parlarvi del Governo Renzi e vi illude che le cose siano semplici e che sia sufficiente una chiacchierata da bar.  Non è sufficiente: ed è per questo che se avete una carie non vi rivolgete al ferramenta sotto casa, ma cercate un dentista.

Oggi, chi non è in grado almeno di capire, se non di padroneggiare, i problemi di questo Post e del Post precedente non può, e non dovrebbe, dare consigli e suggerimenti su come costruire il portafoglio titoli, su come modificarlo, su come gestire i vostri investimenti e su quanto rischio prendere.

Detto questo, torniamo a Bernstein ed al loro lavoro sui modelli DCF in un'epoca di tassi a zero. E vediamo le loro conclusioni:

What should investors do? We cannot reject discounting and there is no choice but to use it anyway. So we will keep using DCFs. We just have to be aware that a by-product of the low rate world is a scale of forecast error that is outside the bounds of what has been previously seen and it is likely that those forecast errors may swamp any other differences between stocks. What would definitively break such a model? By construction, if the overall discount rate fell below the growth rate then the NPV becomes undefined, though in a semi-permanent low rate environment presumably expected growth rates fall too. We have already seen European companies issue debt at negative yields and in Japan 10 year rates are set at 0. Any move lower in discount rates would, we suggest, cause a significant methodological problem for financial analysis.

Non abbiamo tradotto: come già scritto altre volte, tradurre vuole dire alterare il significato originale. E poi il Web, la Rete, mette a disposizione centinaia di traduttori automatici. Si tratta di una piccola fatica.

Ieri sul Financial times è stato chiamato in causa il maggiore esperto al mondo di modelli base di valutazione: si chiama Aswath Damodaran (Stern University). Gli è stato chiesto di questo lavoro di Bernstein, ed ha risposto così:

This piece by Bernstein tells me more about how DCF is practiced (or mangled) at Bernstein than it does about DCF itself. As the piece indicates, a Bernstein DCF is a Robo DCF where as the risk free rate changes, nothing else does and not surprisingly the value goes up. In reality, the risk free rate is part of a macro economic ecosystem that is interconnected. As the risk free rate has dropped, it is reflecting lower economic growth and inflation (which should be showing up as lower growth rates in your cash flows) and higher risk premiums (the same factors driving down risk free rates are increasing risk worries). The net effect is what drives value.

In questa risposta di Damodaran, a noi piace una sola cosa: il punto in cui si sottolinea che il tasso di sconto (tasso di interesse) non può essere preso e valutato in modo isolato, ma può essere compreso solo se considerato come parte di un tutto, di un "macroeconomic ecosystem that is interconnected". Il successo delle politiche di investimento di Recce'd (e di altri) si basa proprio sul fatto di essere capaci di vedere, nel modo giusto e prima degli altri, queste interconnessioni, e sfruttarle per fare scelte di investimento che anticipano "il mercato". In questo, una gestione attiva, condotta in modo appropriato, e con scelte consapevoli, sarà sempre superiore a qualsiasi automatismo e qualsiasi ROBO.

Facciamo un po' di Accademia (parte 2)

Abbiamo deciso di dedicare una serie di Post ad argomenti tecnici: si tratta delle tecniche per costruire e gestire un portafoglio. Argomenti forse un po' complicati, e non sempre di stretta attualità: e tuttavia, siamo certi che molti dei nostri amici che ci seguono attraverso il sito si rendono conto che, affidandosi al caso, le scelte di portafoglio resteranno perdenti, e i risultati dei propri investimenti resteranno negativi.

Ed è allora forse il caso di fare un piccolo sforzo, per uscire dalla trappola nella quale la gran parte dei Clienti risparmiatori italiani è stata costretta, per le ragioni che abbiamo dettagliato nel primo Post di questa serie (che potete leggere più sotto).

Oggi partiamo dalla gestione del rischio: una cosa che, per la maggior parte dei consulenti, dei promotori, dei private bankers, diventa importante solo una volta l'anno, quando salta in aria la Cina. E quando a voi non serve più.

La gestione del rischio, invece, per voi investitori e per noi gestori è fondamentale proprio quando, come negli ultimi mesi di mercati sembra (sembra soltanto) che non succeda nulla. E' proprio allora che sono della massima importanza gli strumenti che consentono di misurare quanto rischio c'è nei vostri portafogli.

La gran parte dei nostri amici, a questo proposito, si sarà sentita raccontare, tante e tante volte, che la misura più efficiente del rischio è la volatilità passata: "negli ultimi 30 anni, la volatilità delle azioni è risultata doppia o tripla di quella delle obbligazioni".

Recce'd vi ha già scritto, in più occasioni, che utilizzare vecchi strumenti come questi oggi non solo è inutile: per voi potrebbe essere molto dannoso. La volatilità media storica non solo non vi serve: vi inganna. La ragione? Riflettete: il rendimento attuale del Bund a 10 anni è ai minimi degli ultimi 120 anni. Centoventi: non dieci. Che cosa ve ne importa, in un contesti simile, di sapere quale è la volatilità media degli ultimi 30 anni? Voi siete costretti a muovervi in una situazione senza precedenti. 

Che fare allora? primo: buttate via i vecchi arnesi (e anche chi ve li propone ancora). Secondo: pretendete che chi si presenta per darvi suggerimenti e consigli sia almeno informato delle tecniche alternative che oggi tutto il mondo conosce e che sono disponibili. Noi in Recce'd ad esempio utilizziamo da sempre e con successo la tecnica della simulazione, e la stima del "maximum drawdown", ovvero la misura di quanto potrebbe perdere a fronte di specifici eventi ognuno degli assets presenti nel portafoglio.

Tra gli studi più recenti su questo tema, uno propone la misura dello Expected Draw Down (EDD):

What EDD proposes is that investors should focus not on volatility, but on the maximum expected drawdown. The maximum drawdown will be affected by market direction; consequently, the market expectations can be used to measure expected drawdown. If you have a positive view on the stock market, the expected downside risk or drawdown over some horizons will be shifted up by some linear amount related to your expectation. Similarly, if you have a negative market view, your expected drawdown will get worse.  Hence, you can directly use your expectations to place a tilt on drawdown exposure relative to the no view  case. The authors center on the idea that expectations can be focused on factors such as market betas to provide the drawdown tilts. What truly makes the EDD framework useful is that it is simple to implement and just an extension of what investors currently do with risk parity. Of course, there is no way around the problem of forecasting skill, but even a simple approach based on trend may help provide appropriate market tilts to control maximum drawdown.

Nel Post noi vogliamo aiutarvi a capire l'intuizione che sta dietro la tecnica: per dettagliare la tecnica di calcolo e di stima, dovremmo utilizzare un linguaggio che non è adatto al Blog (e che forse non sarebbe neppure utile). Il lettore che coglie l'intuizione sottostante da domani saprà distinguere da chi propone soluzioni concrete e chi propone vecchi strumenti privi di qualsiasi utilità.

In estrema sintesi: quando guardate il vostro portafoglio, fareste bene a chiedervi, oppure a chiedere al vostro consulente, che sia banker o promotore, "quanto potrei perdere?" in questo specifico momento di mercato e su quella specifica posizione in portafoglio, piuttosto che perdere tempo con le volatilità storiche che vi vengono generalmente proposte come misura dei rischi che state correndo, e che vengono associate (tagliate ... con l'accetta) a qualcosa che chiamano "profilo di rischio".

E sapete che, se vi servisse un supporto, Recce'd è sempre al vostro fianco. Non è semplice? Vero: ma chi mai vi ha detto che investire è una cosa semplice? Di certo qualcuno che non ha a cuore il vostro interesse.