Detox: “siamo tutti socialisti oggi”
Questo Post è il secondo di una serie, iniziata sette giorni fa. La serie è dedicata al solo tema di mercato oggi rilevante. Ovvero il Detox.
Sette giorni fa avete letto del rischio principale che oggi sta di fronte ai mercati finanziari. Oggi vi raccontiamo della filosofia economica sottostante.
Seguiranno, a breve, altri tre Post sul tema Detox: approfondiremo il dollaro USA, la visione per il futuro delle economie, ed il nuovo ruolo delle Banche Centrali (del tutto diverso da quello svolto tra il 2009 ed il 2024).
La grade maggior parte degli investitori oggi è nella totale confusione. Chiede supporto, chiede elementi che aiutino a capire. chiede analisi di qualità: e non ne trova.
Domina l’ansia, domina l’incertezza, ed in molti casi domina persino la paura.
Il quadro che era stato disegnato, a questi, dalle Reti di venditori di prodotti finanziari (promotori finanziari che si fanno chiamare private banker oppure family banker oppure financial advisor) è andato in pezzi nello spazio di soli 60 giorni. Quello che a tutti voi è stato raccontato in gennaio è stato ridotto in macerie nello spazio di poche settimane. Oggi, non esiste un nuovo quadro di riferimento.
I titoli dei quotidiani, si concentrano su Trump. L’investitore, che oggi si concentrasse su Trump e sulle tariffe, non ha capito nulla di ciò che sta succedendo ai suoi risparmi.
Spieghiamo in modo molto sintetico, grazie ad una serie di immagini.
Che cosa ha prodotto questo vero e proprio terremoto?
Se leggiamo i quotidiani, tutto è stato innescato dagli Stati Uniti. Non è il modo in cui Recce’d legge la situazione attuale delle economie e dei mercati.
Ma restiamo, per il momento, alla interpretazione prevalente sui media. I quotidiani ed i TG, per non parlare dei social (che come sempre amplificano il rumore) sono strapieni di titoli sulle tariffe. Trump in effetti è ogni giorno più aggressivo (nelle sue dichiarazioni), insieme con i suoi Ministri.
Perché lo fa? Perché è così tanto aggressivo?
E per quale ragione va all’attacco dei suoi antichi alleati, e non di Paesi “nemici” come Cina, Russia ed IRAN?
Perché sembra che Trump voglia creare una situazione di caos economico? E persino una recessione globale?
Non è difficile da capire.
Ce lo ho spiegato lui stesso, Donald Trump. Insieme con i suoi Ministri
E noi lo abbiamo già spiegato a tutti voi, nelle ultime settimane, proprio qui nel Blog.
Guardando soltanto al 2025, Recce’d ha trattato in numerose occasioni della nuova realtà del 2025, tra le quali vi ricordiamo
il Post datato 11 gennaio 2025, dove vi abbiamo anticipato che “la crisi finanziaria è già iniziata” (più di due mesi fa)
il Post datato 9 febbraio 2025, dove vi abbiamo anticipato le considerazioni che oggi leggete sulle politiche di emissione dei Titoli di Stato USA
il Post datato 22 febbraio 2025, dove vi abbiamo segnalato alcune possibili alternative alla vostra attuale asset allocation per affrontare con successo questa nuova fase dei mercati
uno dei due Post datati 15 marzo, dove potete leggere le nostre valutazioni in merito alla profondità della crisi che è in corso
un secondo Post datato 15 marzo, dove potete leggere dell’impatto della crisi sui vostri portafogli di investimento.
A tutto questo, ovviamente, si aggiunge il Post che precede questo, datato 22 marzo 2025. Il primo della serie che Recce’d dedica al Detox.
Le tariffe di Trump, sono un mezzo: e non il fine. Questo ci auguriamo che i nostri lettori lo abbiano ben chiaro.
Le tariffe servono a trasmettere un messaggio di “potere politico” al di fuori degli Stati Uniti.
Le tariffe non risolvono il problema, e neppure sono il problema.
Il problema, quello vero, si chiama Detox, come abbiamo illustrato già sette giorni fa, nel Post che precede questo che ora state leggendo, ed anche in alcuni Post precedenti già citati poco sopra.
Questa è la situazione, oggi. Che cosa se ne ricava, per la gestione del proprio risparmio?
Che cosa ne ricaviamo, di davvero importante, noi gestori di portafogli modello, e voi lettori ed investitori? Principalmente quattro conclusioni di carattere operativo, che ora andiamo a dettagliarvi.
PRIMA CONCLUSIONE: l’inflazione, oggi, non interessa più a nessuno. Lo leggete nell’immagine qui sotto. Anticipate le ricadute sul vostro attuale portafoglio. Rivedete la asset allocation, Ripensate la strategia di investimento.
SECONDA CONCLUSIONE: i promotori finanziari (financial advisor, private banker o wealth manager) di Mediolanum, di Fineco, di Fideuram, di Allianz, di Banca Generali, sono ancora al lavoro per cercare di convincervi ad acquistare Fondi Comuni e GPM, sulla base di una vecchia impostazione, superata dai fatti.
La potete leggere qui sotto, sintetizzata dall’immagine. Recce’d vi ripete che le cose, nella realtà, funzionavano così trenta anni fa, oggi non funzionano più così, il Mondo è diverso. Seguire questo tipo di criteri, per la asset allocation e la strategia di investimento, nel 2025 è dannoso, se tenete ai vostri risparmi. Avete bisogno di una impostazione radicalmente diversa.
Oppure, rimanete così come siete: ma siete oggi piazzati … proprio male.
TERZA CONCLUSIONE: davanti ai mercati finanziari, davanti a voi e davanti a noi, oggi nel marzo 2025 rimane un solo scenario possibile , proprio come Recce’d ha scritto in questo Post nel 2023 ed anche nel 2024.
Ad esempio nel giugno del 2023 e poi ancora nel mese di ottobre 2023.
Se ci avete letti allora, oggi vivete questi mesi senza alcuna ansia o paura. Noi, nel 2023, vi avevamo anticipato tutto ciò che leggete sul Sole 24 Ore e Milano Finanza oggi.
Resta da esporre una QUARTA CONCLUSIONE ma lo faremo solo in chiusura del Post che state leggendo.
Ora, concentriamo l’attenzione sulla strategia di gestione del portafoglio di investimenti finanziari.
La vostra strategia di investimento vi permetterà di guadagnare, da questo scenario che oggi tutti si trovano ad affrontare?
Oppure vi siete fatti convincere che “sì, è vero, siamo destinati a perdere soldi, ma non si può sfuggire, non c’è modo di guadagnare, per i prossimi cinque anni”.
Attenzione, che non è vero: anzi, è una bugia colossale. Quando si passa ad una Nuova Era, per gli investitori ci sono le più grandi opportunità di investimento di sempre.
Se siete interessati a coglierle, queste grandissime opportunità di guadagno (che ovviamente non sono Nvidia, e neppure Tesla, e neppure il Bitcoin) dovete iniziare a ragionare in modo diverso e poi soprattutto a fare scelte diverse, scelte di mercati, scelte di posizioni, scelte di strumenti finanziari, scelte di consulenti.
Consulenti che hanno professionalità ed onestà sufficienti, per spiegare a voi investitori che NO, questa NON è la “solita recessione”, e meno che mai la “solita correzione dei mercati finanziari”.
Questa NON è “la solita recessione” e questa NON è “la solita correzione dei mercati finanziari”.
Questo è il Detox.
Se non avete un consulente affidabile e competente a disposizione, e se il vostro consulente sta ancora cercando di convincervi a tenere in portafogli i disastrosi Fondi Comuni, i dannosi certificati, e le pericolose GPM, come sempre ha fatto …
… allora contattate Recce’d. Insieme, vedremo di rimettere a posto uno schema come quello che segue (quello che JP Morgan proponeva ai Clienti per il 2023): come vedete, loro non ci aveva capito assolutamente nulla, del Mondo e dei mercati finanziari, a differenza di Recce’d.
Fino a questo punto, in questo Post vi abbiamo offerto una ricapitolazione: tutte cose già note, già viste nei fatti, scritte da Recce’d anni fa.
Se persino oggi non le avete capite, allora cari amici lettori siete … in grossi guai. Il vostro disagio, e la vostra ansia, sono pienamente giustificate.
Per aggiungere qualche cosa di originale, ora noi di Recce’d vi regaliamo un nuovo spunto di strategia, una nuova visione.
Ci spostiamo, quindi, fuori dall’attualità e in una prospettiva strategica.
Ed anche questo, amici lettori, se non lo avete capito, vi espone al rischio di danni importanti nella gestione del vostro risparmio. E entro breve tempo.
Ciò su cui Recce’d oggi vi suggerisce di riflettere a fondo è appunto un tema strategico: come si può spiegare che le tariffe, strumento di politica economica tipico di una politica economica centralizzata, dirigistica e quindi di stampo socialista ed avversata dai liberali, sia al centro di un disegno politico messo in pratica da esponenti di una cultura politica, di stampo conservatore, che si è da sempre contraddistinta per essere favorevole al libero mercato, alla liberta degli scambi commerciali, ed al “minimo intervento possibile dello Stato nell’economia?”.
Noi adesso ve lo facciamo spiegare da un avversario politico di Trump: da un personaggio che si colloca all’estremo opposto rispetto a Trump ed alla sua Amministrazione. Una figura il cui pensiero ha radici anche nel marxismo, e che successivamente l’Europa ha conosciuto come Ministro delle Finanze greco ai tempi della crisi del debito.
Proprio gli avversari, in molti casi, sono capaci di cogliere, e poi spiegare, le intenzioni autentiche di un leader politico.
Leggiamo per questo motivo oggi un articolo di Yannis Varoufakis. L’articolo che segue, articolo che noi giudichiamo molto chiaro e concreto ed utile per tutti gli investitori.
Come abbiamo già precisato in precedenti occasioni: vi chiediamo di leggere opinioni di altri, il che non significa che sono le nostre opinioni.
Semplicemente, noi giudichiamo che, in molte parti, questo contributo che segue vi sarà utile, perché vi aiuta a ragionare sui fatti e non sulle storielle fantasiose che leggete sui social, che leggete sui quotidiani, che ascoltate dai GR e dai TG.
Se siete interessati invece alle nostre opinioni, ed alla nostra visione strategica, potete contattarci attraverso la nostra pagina CONTATTI: vi richiameremo subito, e ne parleremo insieme.
Di fronte alle mosse economiche del presidente Trump, i suoi critici centristi oscillano tra la disperazione e una toccante fede che la sua frenesia tariffaria si esaurirà. Presumono che Trump sbufferà e sbufferà finché la realtà non esporrà la vacuità della sua logica economica. Non ci hanno fatto caso: la fissazione tariffaria di Trump fa parte di un piano economico globale solido, anche se intrinsecamente rischioso.
Il loro pensiero è radicato in un'idea sbagliata di come si muovono i capitali, il commercio e il denaro nel mondo. Come il birraio che si ubriaca della sua stessa birra, i centristi hanno finito per credere alla loro stessa propaganda: che viviamo in un mondo di mercati competitivi in cui il denaro è neutrale e i prezzi si adeguano per bilanciare la domanda e l'offerta di ogni cosa. L'ingenuo Trump è, in effetti, molto più sofisticato di loro in quanto capisce come il potere economico grezzo, non la produttività marginale, decida chi fa cosa a chi, sia a livello nazionale che internazionale.
Sebbene rischiamo di essere spiati dall'abisso quando proviamo a guardare nella mente di Trump, abbiamo bisogno di comprendere il suo pensiero su tre questioni fondamentali:
perché crede che l'America sia sfruttata dal resto del mondo?
Qual è la sua visione di un nuovo ordine internazionale in cui l'America possa tornare ad essere "grande"?
Come pensa di realizzarlo?
Solo allora potremo produrre una critica sensata del piano economico di Trump.
Allora perché il Presidente crede che all'America sia stato fatto un cattivo affare? La sua principale lamentela è che la supremazia del dollaro può conferire enormi poteri al governo e alla classe dirigente americani, ma, in ultima analisi, gli stranieri lo stanno usando in modi che garantiscono il declino degli Stati Uniti. Quindi ciò che la maggior parte considera un privilegio esorbitante dell'America, lui lo vede come un fardello esorbitante.
Trump si lamenta del declino della produzione manifatturiera statunitense da decenni: "se non hai acciaio, non hai un paese". Ma perché dare la colpa al ruolo globale del dollaro? Perché, risponde Trump, le banche centrali straniere non lasciano che il dollaro si abbassi al livello "giusto", al quale le esportazioni statunitensi si riprendono e le importazioni vengono frenate. Non è che le banche centrali straniere stiano cospirando contro l'America. È solo che il dollaro è l'unica riserva internazionale sicura su cui possono mettere le mani.
È naturale che le banche centrali europee e asiatiche tesaurizzino i dollari che fluiscono verso Europa e Asia quando gli americani importano cose. Non scambiando la loro scorta di dollari con le proprie valute, la Banca centrale europea, la Banca del Giappone, la Banca popolare cinese e la Banca d'Inghilterra sopprimono la domanda (e quindi il valore) delle loro valute. Ciò aiuta i loro esportatori ad aumentare le vendite in America e a guadagnare ancora più dollari. In un circolo infinito, questi dollari freschi si accumulano nelle casse delle banche centrali straniere che, per ottenere interessi in sicurezza, li usano per acquistare debito pubblico statunitense.
Ed ecco il problema. Secondo Trump, l'America importa troppo perché è un buon cittadino globale che si sente obbligato a fornire agli stranieri le riserve di dollari di cui hanno bisogno. In breve, la produzione manifatturiera statunitense è in declino perché l'America è un buon samaritano: i suoi lavoratori e la sua classe media soffrono affinché il resto del mondo possa crescere a sue spese.
Ma lo status egemonico del dollaro sostiene anche l'eccezionalismo americano, come Trump sa e apprezza. Gli acquisti di titoli del Tesoro USA da parte delle banche centrali straniere consentono al governo degli Stati Uniti di gestire deficit e pagare un esercito sovradimensionato che manderebbe in bancarotta qualsiasi altro paese.
Ed essendo il perno dei pagamenti internazionali, il dollaro egemonico consente al Presidente di esercitare l'equivalente moderno della diplomazia delle cannoniere: sanzionare a piacimento qualsiasi persona o governo.
Questo non è sufficiente, agli occhi di Trump, per compensare la sofferenza dei produttori americani che sono indeboliti dagli stranieri i cui banchieri centrali sfruttano un servizio (riserve in dollari) che l'America fornisce loro gratuitamente per mantenere il dollaro sopravvalutato. Per Trump, l'America si sta indebolendo per la gloria del potere geopolitico e l'opportunità di accumulare i profitti altrui.
Queste ricchezze importate avvantaggiano Wall Street e gli agenti immobiliari, ma solo a spese delle persone che lo hanno eletto due volte: gli americani nelle zone centrali che producono i beni "maschili" come l'acciaio e le automobili di cui una nazione ha bisogno per rimanere vitale.
E questa non è la peggiore delle preoccupazioni di Trump. Il suo incubo è che questa egemonia sarà fugace. Nel 1988, mentre promuoveva la sua Art of the Deal su Larry King e Oprah Winfrey, si lamentava: "Siamo una nazione debitrice. Qualcosa accadrà nei prossimi anni in questo paese, perché non puoi continuare a perdere 200 miliardi di dollari all'anno".
Da allora, si è sempre più convinto che si stia avvicinando un terribile punto di svolta: mentre la produzione americana diminuisce in termini relativi, la domanda globale di dollari aumenta più velocemente dei redditi statunitensi. Il dollaro deve quindi apprezzarsi ancora più velocemente per tenere il passo con le esigenze di riserva del resto del mondo. Questo non può andare avanti per sempre.
Perché quando i deficit statunitensi superano una certa soglia, gli stranieri andranno nel panico. Venderanno i loro asset denominati in dollari e troveranno un'altra valuta da accumulare. Gli americani si troveranno in mezzo al caos internazionale con un settore manifatturiero distrutto, mercati finanziari abbandonati e un governo insolvente.
Questo scenario da incubo ha convinto Trump che è in missione per salvare l'America: che ha il dovere di inaugurare un nuovo ordine internazionale. Ed è questo il succo del suo piano:
realizzare nel 2025 uno shock anti-Nixon decisivo, uno shock globale che annulli il lavoro del suo predecessore ponendo fine al sistema di Bretton Woods nel 1971 che ha guidato l'era della finanziarizzazione.
Al centro di questo nuovo ordine globale ci sarebbe un dollaro più economico che rimane la valuta di riserva mondiale, il che abbasserebbe ulteriormente i tassi di prestito a lungo termine degli Stati Uniti. Trump può avere la botte piena e la moglie ubriaca (un dollaro egemonico e titoli del Tesoro USA a basso rendimento) e mangiarsela (un dollaro deprezzato)? Sa che i mercati non lo faranno mai di loro spontanea volontà. Solo le banche centrali straniere possono farlo per lui. Ma per accettare di farlo, devono prima essere spinte all'azione. Ed è qui che entrano in gioco i suoi dazi.
Questo è ciò che i suoi critici non capiscono. Pensano erroneamente che lui creda che i suoi dazi ridurranno da soli il deficit commerciale degli Stati Uniti. Lui sa che non lo faranno. La loro utilità deriva dalla loro capacità di spingere le banche centrali straniere a ridurre i tassi di interesse nazionali. Di conseguenza, l'euro, lo yen e il renminbi si indeboliranno rispetto al dollaro. Ciò annullerà gli aumenti dei prezzi dei beni importati negli Stati Uniti e lascerà inalterati i prezzi pagati dai consumatori americani. I paesi soggetti a dazi pagheranno di fatto i dazi di Trump.
Ma i dazi sono solo la prima fase del suo piano generale. Con dazi elevati come nuova impostazione predefinita e con denaro straniero che si accumula nel Tesoro, Trump può aspettare il momento giusto mentre amici e nemici in Europa e Asia chiedono a gran voce di parlare. È allora che entra in gioco la seconda fase del piano di Trump: la grande negoziazione.
A differenza dei suoi predecessori, da Carter a Biden, Trump disdegna gli incontri multilaterali e le trattative affollate. È un uomo uno a uno. Il suo mondo ideale è un modello a mozzo e raggi, come una ruota di bicicletta, in cui nessuno dei singoli raggi fa molta differenza nel funzionamento della ruota. In questa visione del mondo, Trump si sente sicuro di poter gestire ogni raggio in sequenza. Con i dazi da un lato e la minaccia di rimuovere lo scudo di sicurezza americano (o di schierarlo contro di loro) dall'altro, ritiene di poter convincere la maggior parte dei paesi ad acconsentire.
Acconsentire a cosa? Per apprezzare sostanzialmente la loro valuta senza liquidare le loro riserve a lungo termine in dollari. Non solo si aspetterà che ogni raggio riduca i tassi di interesse nazionali, ma chiederà cose diverse a diversi interlocutori.
Ai paesi asiatici che attualmente tesoreggiano la maggior parte dei dollari, chiederà di vendere una parte dei loro asset in dollari a breve termine in cambio della loro valuta (che quindi si apprezza).
Da un'eurozona relativamente povera di dollari e costellata di divisioni interne che aumentano il suo potere negoziale, Trump potrebbe chiedere tre cose: che accettino di scambiare i loro titoli a lungo termine con titoli a lunghissimo termine o forse persino perpetui; che consentano alla produzione tedesca di migrare in America; e, naturalmente, che acquistino molte più armi prodotte negli Stati Uniti.
Riesci a immaginare il sorrisetto di Trump al pensiero di questa seconda fase del suo piano generale? Quando un governo straniero acconsentirà alle sue richieste, avrà ottenuto un'altra vittoria. E quando un governo recalcitrante resiste, i dazi restano, dando al suo Tesoro un flusso costante di dollari di cui può fare a meno nel modo che ritiene opportuno (dato che il Congresso controlla solo le entrate fiscali).
Una volta completata questa seconda fase del suo piano, il mondo sarà diviso in due campi: un campo protetto dalla sicurezza americana a costo di una valuta apprezzata, della perdita di impianti di produzione e degli acquisti forzati di esportazioni statunitensi, comprese le armi.
L'altro campo sarà strategicamente più vicino forse alla Cina e alla Russia, ma comunque collegato agli Stati Uniti attraverso un commercio ridotto che fornisce comunque agli Stati Uniti entrate tariffarie regolari.
La visione di Trump di un ordine economico internazionale desiderabile potrebbe essere violentemente diversa dalla mia, ma questo non dà a nessuno di noi la licenza di sottovalutarne la solidità e lo scopo, come fanno la maggior parte dei centristi.
Come tutti i piani ben congegnati, questo potrebbe, ovviamente, andare storto. Il deprezzamento del dollaro potrebbe non essere sufficiente ad annullare l'effetto delle tariffe sui prezzi pagati dai consumatori statunitensi. Oppure la vendita di dollari potrebbe essere troppo grande per mantenere bassi i rendimenti del debito statunitense a lungo termine. Ma oltre a questi rischi gestibili, il piano generale verrà messo alla prova su due fronti politici.
La prima minaccia politica al suo piano generale è interna. Se il deficit commerciale inizia a ridursi come previsto, il denaro privato estero smetterà di inondare Wall Street. All'improvviso Trump dovrà tradire la sua tribù di finanzieri e agenti immobiliari indignati o la classe operaia che lo ha eletto.
Nel frattempo, si aprirà un secondo fronte. Considerando tutti i paesi come raggi del suo hub, Trump potrebbe presto scoprire di aver creato dissenso all'estero. Pechino potrebbe gettare la cautela al vento e trasformare i BRICS in un nuovo sistema di Bretton Woods in cui lo yuan svolge il ruolo di ancoraggio che il dollaro ha svolto nella Bretton Woods originale. Forse questa sarebbe l'eredità più sorprendente, e la punizione, del piano altrimenti impressionante di Trump.
Yanis Varoufakis is an economist and former Greek Minister of Finance. He is the author of several best-selling books, most recently Another Now: Dispatches from an Alternative Present.
Da questo testo, che riassume lo stato dei fatti al marzo 2025 ed offre anche una sua interpretazione, noi ora riprendiamo quello che, a nostro parere, è il passaggio più importante. E precisamente, quello dove l’Autore scrive:
Ed è questo il succo del suo piano: realizzare nel 2025 uno shock anti-Nixon decisivo, uno shock globale che annulli il lavoro del suo predecessore ponendo fine al sistema di Bretton Woods nel 1971 che ha guidato l'era della finanziarizzazione.
Ripetiamo che, se non avete ancora compreso questo aspetto della realtà al marzo 2025 allora siete in grande ritardo, e il vostro risparmio (tutto intero) corre oggi rischi dei quali non vi rendete conto.
Ripetiamo: si tratta di comprendere che questa non è “la solita recessione” e che questa non è “la solita correzione dei mercati”.
Molti se ne sono già resi conto, e noi ora sfruttiamo il lavoro di uno di questi osservatori: in particolare, vi facciamo leggere nel seguito l’articolo del Financial Times pubblicato la settimana scorsa.
Ma prima, come promesso, la nostra quarta conclusione a carattere operativo, che voi potete (dovete) applicare subito, modificando la vostra asset allocation attuale e poi seguendo una diversa strategia per l’impiego dei vostri risparmi.
QUARTA CONCLUSIONE: oggi, nel marzo 2025, è il momento giusto per fare a sé stessi una domanda cruciale. Non fra un anno o due: dovete farvela oggi stesso. La domanda è questa (immagine sotto): Trump ha detto a noi europei (ed al resto del Mondo) che “non può più fare affidamento su di noi” attraverso le tariffe. Che cosa accade adesso sui mercati finanziaria globali, non appena che arriva (ed arriva, possiamo esserne certi) dalla Federal Reserve un messaggio identico?
In questo mese, molti investitori si sentono storditi e confusi. Non c'è da stupirsi: mentre il governo degli Stati Uniti flirta con un altro shutdown e il presidente Donald Trump intensifica la sua guerra commerciale, gli indici di incertezza economica sono saliti alle stelle, superando persino la pandemia del 2020 o la crisi finanziaria globale del 2008.
Ma l'incertezza potrebbe peggiorare. Perché in mezzo a tutti gli shock tariffari, aleggia un'altra domanda: l'assalto di Trump al libero scambio potrebbe portare anche ad attacchi ai liberi flussi di capitale? I dazi sulle merci potrebbero essere un preludio ai dazi sul denaro?
Fino a poco tempo fa, l'idea sarebbe sembrata folle. Dopotutto, la maggior parte degli economisti occidentali ha da tempo considerato gli afflussi di capitale come una cosa positiva per l'America, poiché hanno contribuito a finanziare il suo debito nazionale e le sue attività commerciali da 36 trilioni di dollari. Ad esempio, Elon Musk, consigliere di Trump, ha beneficiato degli investimenti cinesi, alcuni dei quali sono privati.
Ma alcuni economisti anticonformisti, come Michael Pettis, hanno da tempo dissentito da questa visione ortodossa. Pettis vede questi afflussi di capitali non come "solo" l'inevitabile e benefico corollario del deficit commerciale americano, ma come una maledizione debilitante. Questo perché gli afflussi aumentano il valore del dollaro, favoriscono un'eccessiva finanziarizzazione e svuotano la base industriale americana, dice, il che significa che "il capitale è diventato la coda che scodinzola il cane del commercio", causando deficit.
Pettis vuole quindi dei freni, come le tasse. E sei anni fa, la senatrice democratica Tammy Baldwin e Josh Hawley, la sua controparte repubblicana, hanno emanato una proposta di legge del Congresso, il Competitive Dollar for Jobs and Prosperity Act, che chiedeva tasse sugli afflussi di capitali e una politica di dollaro debole della Federal Reserve.
La proposta di legge sembrava morta. Ma il mese scorso American Compass, un think-tank conservatore vicino al vicepresidente JD Vance, ha dichiarato che le tasse sugli afflussi di capitali potrebbero aumentare di 2 trilioni di dollari nel prossimo decennio. Poi la Casa Bianca ha emesso un ordine esecutivo "America First Investment Policy" che si impegnava a "rivedere se sospendere o terminare" un trattato del 1984 che, tra le altre cose, aveva rimosso una precedente tassa del 30 percento sugli afflussi di capitali cinesi.
Questo non ha fatto notizia, poiché Trump stava "inondando la zona" con altre distrazioni, in particolare sui dazi. Ma ha spaventato gli osservatori asiatici e probabilmente ha contribuito ai recenti cali del mercato azionario statunitense, poiché alcuni investitori sono fuggiti preventivamente.
In realtà, uno spostamento delle tasse potrebbe non verificarsi, o non riguardare nessuno se non i cinesi. Trump è (in)famosamente mutevole, il che rende difficile prevedere la politica futura, in particolare poiché il suo entourage è diviso in almeno tre fazioni in guerra: populisti nazionalisti (come Stephen Bannon), tecno-libertari (come Musk) e repubblicani del Congresso pro-Maga. Le ultime due fazioni potrebbero combattere i limiti al capitale, a causa delle preoccupazioni sulla destabilizzazione dei mercati del Tesoro.
Ma Trump è anche desideroso di usare tutti gli strumenti disponibili per rafforzare la sua influenza sulla scena mondiale. E le idee di Pettis sembrano essere influenti tra alcuni consiglieri, come il segretario al Tesoro Scott Bessent, Stephen Miran, il presidente del Council of Economic Advisers, e Vance.
Questo trio sembra intenzionato a ridisegnare il commercio e la finanza globali, tramite un presunto accordo di Mar-a-Lago, sebbene le loro ambizioni siano su una scala più grande dell'accordo di Plaza del 1985. Quest'ultimo ha "semplicemente" indebolito il dollaro tramite un intervento valutario congiunto, ma la visione di Miran di un accordo di Mar-a-Lago include anche una possibile ristrutturazione del debito statunitense, che costringerebbe alcuni detentori di titoli del Tesoro a scambiarli con obbligazioni perpetue.
Alcuni analisti finanziari ben inseriti, come Michael McNair, si aspettano anche di vedere un fondo sovrano, sostenuto dalle riserve auree americane, che acquisterebbe asset non in dollari per bilanciare gli afflussi di capitale (come, ad esempio, le risorse della Groenlandia). Una terza idea è quella di imporre tasse sugli afflussi di capitale in senso più ampio. Questo potrebbe diventare l'approccio preferito se l'idea degli swap del debito lascia le agenzie di rating minacciare di declassare il debito statunitense.
"L'obiettivo finale [del trio] non è una serie di accordi [commerciali] bilaterali, ma una ristrutturazione fondamentale delle regole che governano il commercio e la finanza globali [per rimuovere] i flussi di capitale distorti", afferma McNair. "Resta da vedere se questo approccio avrà successo, ma la strategia in sé è più coerente e di vasta portata di quanto la maggior parte degli osservatori riconosca".
Vorrei sottolineare che non sto sostenendo questa ipotesi, né prevedendo con certezza che accadrà davvero. E va notato che le teorie di Pettis provocano indignazione tra molti economisti tradizionali.
Ma Pettis non si pente. E i critici dovrebbero anche notare che il disegno di legge Baldwin-Hawley del 2019 non è stato solo applaudito da gruppi conservatori come American Compass, ma anche da alcune voci sindacali. Dal momento che ha un fascino populista, potrebbe ancora decollare.
In entrambi i casi, il punto chiave da capire è che sta emergendo un cambiamento nella filosofia economica che è potenzialmente tanto profondo quanto il ripensamento scatenato da John Maynard Keynes dopo la seconda guerra mondiale o quello spinto dai neoliberisti negli anni '80. Come ha recentemente detto Greg Jensen del fondo hedge Bridgewater, parafrasando Milton Friedman: "Siamo tutti mercantilisti ora". Non aspettatevi che ciò cambi presto.
gillian.tett@ft.com
Ed eccovi chiarito, grazie a questo articolo del Financial Times, il motivo del titolo che Recce’d ha dato a questo Post: si tratta, come avete capito, di una parafrasi, ovvero di una nostra modifica alla celeberrima frase di Milton Friedman. Nel 1965 Friedman disse (o meglio, si dice che abbia affermato) “siamo tutti keynesiani, oggi”. Poi, arrivarono gli Anni Settanta. E poi, gli Anni Ottanta. Ve ne abbiamo già scritto, in numerose occasioni.
Veniamo ad oggi. In Occidente, dopo la crisi finanziaria del 2007-2009, la paura portò i responsabili della politica e quelli dell’economia (le Banche Centrali) ad effettuare scelte spregiudicate, mal calcolate, molto azzardate, mai tentate prima e quindi dagli effetti imprevedibili.
Si trattò di scelte che oggi si rivelano dannosissime, e che si ispiravano ad una concezione statalista, se non socialista del funzionamento delle economie e dei mercati finanziari: si decise che “le perdite sono sulle spalle della collettività, ma i profitti sono e restano dei privati”.
Quelle scelte, oggi, si rivelano disastrose: ma la ricetta che è stata scelta per risolverle, come avete letto chiaramente, NON è quella di ridurre le interferenze che distorcono i mercati. Al contrario, tutti abbiamo preso la strada di maggiori interferenze, e di maggiori interventi diretti, di tutti gli Stati, nel funzionamento delle economie.
Come accade in Russia. Come accade in Cina.
Il fondo Bridgewater, come avete appena letto nell’articolo, ha scritto recentemente “siamo tutti mercantilisti ora”. Ma il Fondo Bridgewater, in questo caso, si sbaglia. Oggi “siamo tutti socialisti”, ovvero “statalisti”, ovvero “dirigisti”.
Il nostro suggerimento? Riflettete sulla frase di Milton Friedman, ma non prendetela alla lettera. Riflettete invece su quelle che erano, allora, le sue intenzioni. Quelle, le sue intenzioni di allora, vi saranno utilissime, anche oggi.
Nel suo libro del 1969, Carl Turner cita un articolo russo di I.G. Blyumin del 1947, riferendosi a quella che era già la "famosa osservazione".
La frase fu poi attribuita a Milton Friedman nell'edizione del 31 dicembre 1965 della rivista Time. (Sebbene generalmente attribuita a Friedman, l'economista Henry Hazlitt aveva usato in modo prominente quell'espressione un decennio prima in una rubrica del Newsweek). Nell'edizione del 4 febbraio 1966, Friedman scrisse una lettera in cui chiariva che la sua affermazione originale era stata "In un certo senso, ora siamo tutti keynesiani; in un altro, nessuno è più keynesiano".
L'espressione di Friedman era presumibilmente una replica all'affermazione del 1888 del politico britannico William Vernon Harcourt secondo cui "Siamo tutti socialisti ora"; una dichiarazione che è stata ristampata per un articolo di copertina della rivista Newsweek nel 2009.
Nel 1971, dopo aver ritirato gli Stati Uniti dal sistema di Bretton Woods,[9] Nixon è stato citato mentre diceva di essere "ora un keynesiano in economia", che è diventato popolarmente associato alla frase di Friedman.
Nel 2002, Peter Mandelson ha scritto un articolo sul The Times dichiarando "siamo tutti thatcheriani ora", riferendosi all'accettazione tra gli altri partiti politici delle politiche economiche di Margaret Thatcher.
La frase ha guadagnato nuova vita durante la crisi finanziaria del 2007-2008, quando gli economisti hanno chiesto massicci investimenti in infrastrutture e creazione di posti di lavoro come mezzo di stimolo economico.