Longform’d. Perché il mercato non è un aliante
 

Lo sentite? C’è un rombo sordo, cupo, che viene da lontano ma cresce, cresce, cresce intanto che si avvicina.

Lo vedete? E’ il profilo di un’onda gigante, che si vede in lontananza, ma che inesorabile si avvicina.

Ma il cielo? Il cielo è sereno … e quindi perché mai preoccuparsi, oggi, basta tenere il naso all’insù, verso quel cielo azzurro.

Che importanza volete che abbiano, quelle nuvole nere all’orizzonte?

Sarà soltanto un temporale di fine estate … no?

Ma si tratta soltanto di un temporale di fine estate? Oppure, sotto i vostri occhi si sta svolgendo la Nuova Era?

La settimana scorsa, qui nel nostro Blog, noi di Recce’d avevamo pubblicato una dettagliata analisi del tema “rendimenti”.

Abbiamo anticipato i fatti, come sempre facciamo. La settimana appena conclusa dei mercati internazionali è stata dominata proprio dal tema “rendimenti”.

Le immagini che trovate proprio qui sopra vi raccontano un po’ dei fatti dell’ultima settimana dei mercati finanziari.

Allo stesso tempo, questa serie di immagini vi racconta di alcune delle scelte operative che Recce’d ha fatto, per i propri Clienti, attraverso i nostri portafogli modello.

Molto, molto, molto tempo fa.

Ricordate? Mentre a voi spiegavano di “comperare i BTp e poi tenerli fino alla scadenza”. Proprio allora.

Avete dato uno sguardo ai prezzi dei vostri BTP, di recente?

Ma veniamo da allora ad oggi.

Come è costruita, la strategia di investimento applicata, nel settembre del 2023, da Recce’ ai suoi portafogli modello? Va aggiornata? E come?

La strategia di Recce’d nel settembre 2023 è riassunta in modo molto efficace dall’immagine che apre il Post, la prima immagine che avete visto più in alto.

Ed è spiegata in modo particolareggiato dall’articolo che leggete di seguito. In particolare, nei paragrafi che trovate al fondo dell’articolo.

Un lungo, qualificato, e dettagliato articolo, che vi suggeriamo di leggere nella sua interezza.

E’ MOLTO importante tenere a mente che l’articolo risale alla prima metà di agosto, e quindi nell’articolo si fa riferimento a dati che furono pubblicati nella prima metà di agosto.

La sostanza NON cambia: ed anzi, si è nel frattempo rafforzata (e lo capirete chiaramente, proprio leggendo l’articolo nella sua interezza).

Di Niall Ferguson

13 agosto 2023 ore 06:00 CEST

Sono vecchio: compirò 60 anni l'anno prossimo. Quindi non credo a Babbo Natale. Non credo alla fatina dei denti. E sono dannatamente scettico anche riguardo all'“atterraggio morbido” di Jay Powell. Ho visto abbastanza presidenti della Fed nel corso degli anni per sapere che gestire la politica monetaria non è affatto come pilotare un aereo. Se i piloti mondiali avessero la stessa percentuale di successo dei banchieri centrali mondiali nel raggiungere la stabilità dei prezzi, la maggior parte di noi sceglierebbe di guidare o navigare.

Potresti chiederti di cosa mi sto lamentando? Giovedì abbiamo ricevuto gli ultimi dati sull’inflazione statunitense e andavano bene. Il tasso di inflazione dei prezzi al consumo nel mese di luglio è stato pari al 3,2% su base annua, in aumento solo di poco rispetto al 3% di giugno. Da parte di coloro che avevano prematuramente previsto che l’inflazione sarebbe stata “transitoria”, ora sentiamo rivendicazioni. Come dice Humpty Dumpty ad Alice: “Quando uso una parola, significa esattamente quello che scelgo che significhi: né più né meno”. L’inflazione è superiore al target da quasi due anni e mezzo. Ogni volta che tornerà al 2%, ci verrà detto: “Questo è ciò che intendevamo per transitorio!”

I dati più recenti sull’inflazione potrebbero sembrare suggerire che io e altri abbiamo sbagliato a mettere in guardia da una ripresa degli anni ’70.

Gli ottimisti hanno guadagnato terreno da quando la crisi bancaria della scorsa primavera è scomparsa dalle notizie. Ora è quasi mainstream suggerire che l’economia possa tornare all’obiettivo della Fed di un’inflazione del 2% senza una recessione.

Continuo a dover ricordare alla gente che il sogno di una disinflazione indolore era un’illusione ricorrente degli anni ’70. Le uniche volte in cui la Fed riuscì a ridurre l’inflazione in quell’infelice decennio furono le recessioni: nel 1970, 1974-75 e 1980.

Ora, non sto insistendo sul fatto che la storia si ripeta, perché non è così. Né dirò che fa rima, perché la storia è molto più simile a un verso sciolto, se non a una prosa flusso di coscienza nello stile dell’Ulisse di James Joyce. È solo un’euristica utile per giustapporre questo decennio a quelli precedenti. Prendiamo quindi sul serio l’analogia preferita da luminari del Team Transitory come Viktor Shvets di Macquarie Group Ltd., ovvero che l’inflazione del 2021-22 somigliava alle esplosioni di inflazione che seguirono la prima e la seconda guerra mondiale.

Questa non era un’argomentazione intrinsecamente negativa, soprattutto nel caso della prima guerra mondiale. È vero, la pandemia di Covid-19 non fu così letale in termini relativi come la pandemia influenzale del 1918-19, che uccise una quota maggiore della popolazione mondiale. e molti più giovani. D’altro canto, le misure fiscali e monetarie utilizzate dai governi occidentali per compensare gli effetti dei lockdown a partire dal 2020 sono state in qualche modo simili al finanziamento della guerra mondiale.

Tuttavia, concludere dalle esperienze degli anni ’20 e ’40 che ci stiamo dirigendo verso un atterraggio morbido economico significa ignorare la realtà storica. In ogni caso, l’esplosione dell’inflazione del dopoguerra fu interrotta da una recessione e da un doloroso periodo di deflazione, seguito subito dopo da un boom. In termini sia di inflazione che di crescita, i periodi del dopoguerra furono altamente volatili rispetto agli standard del passato più recente. È troppo presto per escludere un percorso altrettanto accidentato negli anni 2020.

Considera dove siamo. L’inflazione complessiva è scesa rapidamente, considerando che nel giugno dello scorso anno era superiore al 9%. L’inflazione “non-core” – il tasso di inflazione per cibo ed energia, che la Fed esclude per calcolare l’inflazione “core”, ma che il pubblico nota realmente – è ora negativa.

Possiamo ragionevolmente prevedere un’ulteriore pressione al ribasso da parte delle abitazioni e delle auto usate nei prossimi mesi. Come ha osservato la settimana scorsa James Mackintosh del Wall Street Journal, se gli Stati Uniti misurassero l’inflazione come fa l’Europa, senza includere l’equivalente dei proprietari o l’affitto figurativo, l’inflazione core sarebbe già scesa al 2,3%.

E tutto questo è stato ottenuto senza le sofferenze del mercato del lavoro che associamo a una recessione. L’economia statunitense ha continuato ad aggiungere posti di lavoro quest’estate a un ritmo impressionante. Il tasso di disoccupazione (3,5%) è tornato ai livelli pre-pandemia, un tasso che non vedevamo da mezzo secolo.

Una parte fondamentale della storia è ovviamente che l’amministrazione del presidente Joe Biden sta fornendo più di 2 trilioni di dollari per sovvenzionare gli investimenti in infrastrutture, tecnologia verde e microchip. Ma c’è anche la resilienza del mercato immobiliare, come ha recentemente osservato Torsten Slok di Apollo Management, dimostrando quanto gli americani siano meno sensibili agli aumenti dei tassi ipotecari rispetto a 15 anni fa.

Quindi quest’anno gli investitori si sono divertiti a scalare il proverbiale muro della preoccupazione. Nonostante oltre 500 punti base di rialzi dei tassi di interesse, a fine luglio i titoli azionari erano solo del 3,8% al di sotto del picco di dicembre 2021. Nel frattempo, la seconda economia più grande del mondo ha l’opposto di un problema di inflazione.

Secondo i dati pubblicati la scorsa settimana, l’inflazione annua dei prezzi al consumo in Cina è stata pari a meno 0,3% a luglio. I prezzi alla produzione sono diminuiti del 4,4%, riflettendo un rallentamento della crescita cinese e un crollo sia delle esportazioni che delle importazioni. Questo ricorda più il Giappone degli anni ’90 che qualsiasi altro paese degli anni ’70.

Tuttavia, gli sviluppi in Cina illustrano anche la debolezza della metafora dell’atterraggio morbido. A differenza degli aerei, gli aerei a volte possono scendere dal cielo, colpire la pista e poi continuare a scendere, solcando l’asfalto e nel sottosuolo.

Una metafora alternativa è l’“economia Riccioli d’Oro”, un tempo popolare, che si supponeva non fosse né troppo calda né troppo fredda. Come confermerà chiunque cucini regolarmente il porridge, questo rimane solo per brevissimo tempo alla temperatura “giusta”. Prima di ciò, scotta le labbra dei tuoi figli. Non molto tempo dopo, fa freddo e poco appetitoso.

Uno dei segnali evidenti che l’economia statunitense è ancora troppo calda per Riccioli d’oro è che la retribuzione oraria media sta aumentando a un tasso annuo del 5,1%. Il recente accordo dei Teamsters con United Parcel Service Inc., in risposta a una minaccia di sciopero, è stato particolarmente generoso. La United Auto Workers sta attualmente cercando un aumento salariale del 40%. Questo non è il modo per tornare all’inflazione al 2%. E, come ha detto un mese fa l’ex segretario al Tesoro Larry Summers, “non si ferma l’inflazione salariale senza un rallentamento significativo dell’attività economica”.

Come potrebbe l’economia americana passare da troppo calda a troppo fredda? In primo luogo, esiste la concreta possibilità che i dati sull’inflazione in autunno possano spingere il tasso annuale nuovamente verso il 4% o anche più, a causa dei cosiddetti “effetti base” (denominatori in aumento più lenti rispetto alla seconda metà dello scorso anno combinati con variazioni mensili superiori alle attese).

Se la Federal Reserve rispondesse aumentando di altri 25 punti base entro la fine dell’anno, coglierebbe di sorpresa la maggior parte degli investitori. Tuttavia, i recenti movimenti al rialzo dei rendimenti obbligazionari a lungo termine ci stanno in parte dicendo di non dare per scontato che questo ciclo di rialzi sia finito.

Questi rendimenti in aumento ci dicono anche che la politica fiscale è indifendibilmente allentata. Lo stesso messaggio è stato lanciato da Fitch Ratings Inc. il 1° agosto, quando ha tolto agli Stati Uniti il rating di credito AAA. Dite quello che vi piace delle società di rating – e la gente lo ha sicuramente fatto quando S&P Global Ratings ha fatto la stessa mossa nel 2011 – questa volta sembra molto diverso.

La settimana scorsa il Congressional Budget Office ha alzato la stima del deficit di quest’anno al 6,5% del PIL. Si tratta di una cifra indifendibile quando l’economia è in piena occupazione. Come osserva Fitch, la cattiva aritmetica fiscale dell’aumento dei tassi su un ampio stock di debito sta già prendendo piede.

Fitch prevede che il rapporto statunitense tra pagamenti di interessi e entrate raggiungerà il 10% entro il 2025, rispetto a una media del 2,8% per gli altri titoli sovrani con rating AA e dell’1% per quelli con rating AAA. Questo calcolo diventerà davvero molto sgradevole se il tasso del debito corretto per l’inflazione dovesse superare il tasso di crescita sottostante dell’economia.

Agli studi universitari di economia tutti imparano che la politica monetaria agisce con ritardi lunghi e variabili. Ma il tempo che intercorre dal momento in cui la curva dei rendimenti si inverte (quando i tassi di interesse a breve termine salgono al di sopra di quelli a lungo termine, come è accaduto nel luglio dello scorso anno) all’inizio di una recessione può variare tra i quattro e i 16 mesi. I modi in cui i tassi più alti agiscono sull’economia sono complessi, ma una cosa è certa: sono una brutta notizia per tutti i debitori che devono rifinanziare le proprie passività nell’anno a venire.

Come ci ha ricordato di recente Martin Wolf del FT, i tassi più alti sono anche una cattiva notizia per le banche che hanno concesso molti mutui ipotecari a basso tasso prima del 2022, o che hanno accumulato titoli di stato nei loro bilanci. La settimana scorsa, Moody’s ha ridotto i rating di credito di 10 banche statunitensi più piccole e ha dichiarato che stava rivedendo sei banche più grandi. Ciò ci ha ricordato che la crisi che ha fatto saltare in aria la Silicon Valley Bank e altre banche la scorsa primavera non è realmente finita. Come la crisi dei risparmi e dei prestiti degli anni ’80, potrebbe essere appena iniziata.

Come possono cinque punti percentuali aggiuntivi di oneri finanziari non incidere profondamente su un’economia che è molto più indebitata rispetto agli anni ’70? Come riportato da Bloomberg il mese scorso, tra il 2008 e il 2021 l’importo delle obbligazioni ad alto rendimento e dei prestiti con leva finanziaria è più che raddoppiato, arrivando a 3.000 miliardi di dollari. Circa 70 miliardi di dollari di debito delle società possedute da società di private equity vengono scambiati a livelli difficili.

È vero, la quota di obbligazioni societarie – spazzatura e investment grade – da rimborsare o rifinanziare nei prossimi due anni è scesa dal 26% del 2007 al 16% di oggi. Ma si tratta ancora di 790 miliardi di dollari di debito in scadenza nel 2024, che saliranno a oltre 1.000 miliardi di dollari nel 2025.

Secondo Goldman Sachs Group Inc., ogni dollaro aggiuntivo di spesa per interessi costringe le aziende ad abbassare le spese in conto capitale di 10 centesimi e il costo del lavoro di 20 centesimi, licenziando i dipendenti o tagliando i loro salari.

Pressioni simili si fanno sentire sui governi con costi di servizio del debito in rapido aumento. E non dimenticare gli effetti imprevedibili della “stretta quantitativa”. La Fed non sta solo alzando i tassi a breve termine. Sta anche cercando di ridurre il proprio bilancio riducendo le sue partecipazioni in obbligazioni a lungo termine. Come ha riconosciuto Powell nella sua testimonianza di giugno alla Commissione per i servizi finanziari della Camera, abbiamo già visto che il QT può avere conseguenze inaspettate sul mercato obbligazionario, soprattutto in un momento di aumento delle emissioni di obbligazioni da parte del governo.

Le incertezze associate prima all’inflazione e poi all’aumento dei tassi di interesse potrebbero spiegare perché – nonostante il calo dei prezzi, la piena occupazione e l’aumento dei salari – gli americani comuni si sentono così insoddisfatti dell’economia. Lo scorso giugno, quando l’inflazione ha raggiunto il picco, l’indice Gallup Economic Confidence ha toccato il punto più basso (meno 58) da febbraio 2009 (meno 64), al punto più basso della crisi finanziaria. Da allora si è leggermente ripreso, ma rimane sorprendentemente negativo (meno 32 a giugno). È stato fermamente positivo durante l’amministrazione del presidente Donald Trump. Per ragioni che devono preoccupare i responsabili della campagna di Biden, gli elettori sono molto meno entusiasti della “Bidenomics” di quanto lo stato oggettivo dell’economia indurrebbe ad aspettarsi.

Se questo è ciò che provano gli elettori prima di una recessione, come potrebbero sentirsi se ce ne fosse una da qui al giorno delle elezioni? Con il 41% di consensi, secondo gli ultimi sondaggi, Joe Biden sta meglio di Jimmy Carter nella stessa fase della sua presidenza (28%), ma è più o meno nella stessa posizione di Gerald Ford e molto peggio di George H.W. Bush. Tutti e tre non sono riusciti ad assicurarsi un secondo mandato alla Casa Bianca.

Come ho sostenuto sullo Spectator di maggio, gli strateghi democratici hanno realizzato la prima parte del loro piano generale. Una raffica di cause legali sta assicurando che Trump sia l’unico candidato per la nomina repubblicana ad ottenere una seria copertura mediatica. Il problema è che la seconda parte del loro piano – in cui Biden batterà nuovamente Trump nel novembre del prossimo anno – non è garantito che funzioni.

Cosa implicherebbe una vittoria di Trump per il futuro dell’economia? Paul Dans, che sta conducendo il progetto di transizione Trump 2.0 presso la Heritage Foundation, ha riassunto la sua visione come “il Progetto Manhattan incontra l’Empire State Building incontra il D-Day”. L’unica cosa che tutte e tre queste cose avevano in comune era che costavano un sacco di soldi. È una scommessa sicura che la rielezione di Trump non inaugurerà un’era di austerità.

E se Trump dovesse anche cercare di limitare l’indipendenza della Federal Reserve – cosa che potrebbe, secondo Russell Vought, che ha diretto l’Office of Management and Budget nel 2020-21 – i mercati potrebbero essere poco entusiasti.

Ora aggiungiamo l’incertezza geopolitica di quest’anno all’incertezza politica del prossimo anno. In Ucraina ci sono pochi segnali di una fine imminente della guerra. Il Wall Street Journal ha riportato la scorsa settimana le discussioni su “una soluzione di pace duratura ed equa alla guerra” che hanno coinvolto alti funzionari di 42 paesi, con l’Arabia Saudita a svolgere il ruolo di ospite. Ma i russi non c’erano. È difficile porre fine a una guerra senza entrambi i combattenti nella stanza.

Le guerre sono inflazionistiche. Quanto più a lungo durerà questa guerra e quanto più potenti saranno gli armamenti schierati da ciascuna parte, tanto più inflazionistica sarà, esercitando una pressione al rialzo sui prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia. Qualcosa di simile vale per la nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina, che non mostra alcun segno di “disgelo”, come Biden aveva sperato a maggio.

A giugno, il Congresso nazionale del popolo cinese ha approvato l’espansione della sua legge sulla sicurezza nazionale per consentire “contromisure” più forti contro le misure economiche occidentali dirette contro Pechino. Queste misure continuano ad arrivare. La settimana scorsa, Biden ha emesso un ordine esecutivo che vieta di fatto agli americani di investire in alcune società cinesi che sviluppano semiconduttori avanzati e computer quantistici.

Esiste una potente logica strategica per disaccoppiare le economie statunitense e cinese. Ma nessuno dovrebbe fingere che non avrà costi. La globalizzazione ha abbassato i prezzi. La Seconda Guerra Fredda ha inevitabilmente l’effetto opposto.

Gli storici futuri – se l’intelligenza artificiale non avrà condannato la mia specie all’estinzione – si stupiranno della quantità di tempo che gli economisti negli anni 2020 hanno dedicato a calcolare varie misure dell’inflazione con un punto decimale.

Si chiederanno anche perché per spiegare al pubblico gli effetti della politica monetaria sia stata utilizzata un’analogia così negativa come quella dell’atterraggio di un aereo.

Questo decennio non sarà identico agli anni ’70. Né replicherà l’esperienza degli anni ’20 o ’40. Ma l’idea che possiamo riprenderci dagli eccessi fiscali e monetari degli ultimi tre anni senza sofferenza economica – in un momento di polarizzazione politica e conflitto geopolitico – sembra storicamente poco plausibile. A meno che tu non creda ancora a Babbo Natale, alla fatina dei denti e a Riccioli d'oro.

Altro da Niall Ferguson su Bloomberg Opinion:


Niall Ferguson nell’articolo precedente ci ha spiegato in modo eccellente le ragioni per le quali il “soft landing” e tutto il suo contorno di “ottimismo a buon mercato” non è un argomento sul quale è possibile fondare una strategia di gestione del proprio portafoglio di investimenti finanziari.

Non è un argomento solido e credibile.

E’ invece un argomento fragile e debole, inventato e sviluppato dai ragazzini del marketing delle banche di investimento (tra le quali ovviamente JP Morgan, UBS, Bank of America, Goldman Sachs, Morgan Stanley) per “piazzare la merce” ai Clienti finali (la “merce” in questione va dai Fondi Comuni alle polizze assicurative, dagli IPO alle nuove emissioni di obbligazioni; tutto quello che serve ad “acchiappare i vostri soldi”).

Noi di Recce’d scrivemmo chiaramente, già nel 2022 e poi ancora a inizio 2023:

“il soft landing non esiste”.

Chi ci ha dato retta, di sicuro NON ha sbagliato.

Con l’articolo che segue, noi vi spieghiamo (anzi: lo facciamo spiegare da Mohamed El Erian) le ragioni per le quali il fatto che il soft landing non esiste ha implicazioni pesanti per l’intero panorama della finanza internazionale. Passiamo quindi adesso dalla prospettiva per gli Stati Uniti alla prospettiva globale.

L’economia globale quest’anno è piena di sorprese sconcertanti. La crescita del PIL del Giappone sta attualmente superando quella della Cina, e le vendite al dettaglio di luglio negli Stati Uniti sono state il doppio delle previsioni di consenso, nonostante la Federal Reserve americana abbia perseguito uno dei cicli di rialzo dei tassi più concentrati degli ultimi decenni.

Nel Regno Unito, la crescita salariale è salita a un tasso annualizzato del 7,8% e l’inflazione core è rimasta elevata, anche dopo 14 aumenti consecutivi dei tassi da parte della Banca d’Inghilterra (e altri in arrivo). Nel frattempo, Brasile e Cile hanno tagliato i tassi di interesse, divergendo dalle aspettative del mercato secondo cui la Fed manterrà i tassi alti per un periodo prolungato.

Queste stranezze sono solo alcune delle tante, e ad aumentare la complessità ci sono le incerte implicazioni di significativi cambiamenti strutturali all’orizzonte. Questi includono la necessaria transizione verso un’energia a zero emissioni di carbonio, la rivoluzione dell’intelligenza artificiale e vari altri cambiamenti guidati dall’innovazione. Se si aggiungono le tensioni geopolitiche e la ritirata dalla globalizzazione economica e finanziaria, si apre un’ampia gamma di scenari potenziali.

Con così tanti pezzi in movimento e in condizioni così non convenzionali (e in molti casi senza precedenti), navigare in questo panorama sarebbe una sfida per chiunque. È allora che trovo particolarmente utile ritornare a un semplice quadro analitico che ho imparato all’inizio della mia carriera di economista. Si tratta di una versione estrema di una “equazione in forma ridotta” che gli economisti utilizzano per concentrarsi solo su una manciata di fattori chiave per prevedere i risultati. Questi fattori potrebbero non spiegare completamente un fenomeno, ma questa strategia è migliore che fare affidamento su un insieme di fattori impraticabilmente ampio e ingombrante.

Le sfide di crescita che la Cina, il Regno Unito e l’Eurozona si trovano ad affrontare non sono suscettibili di soluzioni politiche rapide

Nel contesto odierno, il mio approccio analitico pone una semplice domanda: quale singola informazione sarebbe più preziosa se fossi bloccato su un’isola deserta per sei mesi e volessi capire cosa è successo all’economia globale in quel periodo? Considerato lo stato attuale delle cose, vorrei innanzitutto sapere come gli Stati Uniti hanno gestito la dinamica crescita-inflazione. O, più precisamente, vorrei sapere se la Fed ha ottenuto un “atterraggio morbido” (riportando l’inflazione verso il suo obiettivo senza causare un forte aumento della disoccupazione).

Questa informazione è fondamentale, perché l’economia globale attualmente non dispone di motori alternativi. Dopotutto, le sfide di crescita che la Cina, il Regno Unito e l’Eurozona si trovano ad affrontare non sono suscettibili di soluzioni politiche rapide; un sistema finanziario internazionale ancora indebitato e con elevati livelli di debito non può permettersi un altro aumento dei tassi di interesse statunitensi e un forte apprezzamento del dollaro; Il Giappone deve ancora capire come uscire senza intoppi dalla sua politica di “controllo della curva dei rendimenti”; e l’economia globale continua a subire una graduale frammentazione.

A prima vista, le prospettive che la Fed ottenga un atterraggio morbido sembrano promettenti. L’inflazione è scesa dal picco di oltre il 9% dello scorso anno a poco sopra il 3%, avvicinandosi molto all’obiettivo del 2%. Allo stesso tempo, la spesa delle famiglie continua a trainare la crescita economica e i bilanci aziendali sono solidi. Queste condizioni suggeriscono che l’economia statunitense può assorbire l’impatto cumulativo dell’aumento dei tassi da parte della Fed di cinque punti percentuali, evitando al tempo stesso gli effetti della vacillante crescita cinese e del flirt intermittente dell’Europa con la recessione.

Ma, come ha recentemente sottolineato lo storico dell’economia Niall Ferguson, “gestire la politica monetaria non è affatto come pilotare un aereo”. Questa similitudine sembra particolarmente applicabile all’attuale Fed, per diverse ragioni.

  1. Innanzitutto, il manuale operativo della Fed è obsoleto. Il suo “nuovo quadro monetario” è, infatti, adatto al decennio precedente di domanda aggregata insufficiente piuttosto che a questo decennio di offerta aggregata insufficiente.

  2. In secondo luogo, la zona di atterraggio della Fed è discutibile, perché l’obiettivo di inflazione che sta perseguendo potrebbe essere troppo basso date le attuali realtà strutturali e secolari.

  3. In terzo luogo, con la sua eccessiva attenzione alle condizioni immediate, la Fed potrebbe finire per trascurare i futuri andamenti dei venti che incontrerà al variare della sua altitudine. In quarto luogo, ha avviato la sequenza di atterraggio tardi, dopo un lungo periodo in cui aveva erroneamente definito l’inflazione come “transitoria” prima di attuare finalmente un intenso ciclo di rialzi dei tassi. E, infine, non è chiaro se la Fed abbia imparato abbastanza dai suoi errori di previsione e comunicazione per apportare le necessarie correzioni di rotta.

Sì, l’economia statunitense ha sfidato gli scettici mantenendo una crescita robusta, superiore a quella di altre grandi economie, e nonostante i tassi di interesse notevolmente più alti e i significativi venti sfavorevoli esterni. Ma il proseguimento di questa performance eccezionale dipende dalla capacità della Fed di stabilire un tasso di inflazione basso e stabile senza innescare una recessione.

Si tratta di un delicato atto di bilanciamento e qualunque cosa accada influenzerà in modo significativo il resto dell’economia globale e il modo in cui i politici affrontano la straordinaria incertezza di oggi.

La mia speranza è che tra sei mesi celebreremo il successo della Fed nel realizzare un atterraggio morbido e nel posizionare gli Stati Uniti e l’economia globale per gestire le entusiasmanti, ma impegnative, transizioni secolari e strategiche che ci attendono.

Il mio timore, tuttavia, è che il processo sarà molto più complicato di quanto molti analisti economici e di mercato si aspettano, gettando un’ombra un tempo evitabile su uno dei pochi punti luminosi dell’economia globale.

Mohamed El-Erian è il presidente del Queens' College dell'Università di Cambridge e professore alla Wharton School dell'Università della Pennsylvania.


Abbiamo letto che cosa pensa El Erian del soft landing. Ora per completezza aggiungiamo l’opinione espressa la settimana scorsa da due ex-membri della Federal Reserve.

(Bloomberg) -- Due ex politici della Federal Reserve concordano sul fatto che la banca centrale americana difficilmente riuscirà ad ottenere un atterraggio morbido dell'economia, mentre non sono d'accordo su cosa dovrebbe fare dopo.

Intervenendo giovedì a un webinar dell’American Enterprise Institute, l’ex vicepresidente della Fed Donald Kohn ha affermato che la banca centrale probabilmente avrà bisogno di aumentare ulteriormente i tassi di interesse, mentre l’ex governatore della Fed Kevin Warsh ha messo in guardia dal farlo e ha affermato che i tassi probabilmente hanno raggiunto un picco.

Dopo aver aumentato i tassi di oltre cinque punti percentuali negli ultimi 18 mesi, il presidente della Fed Jerome Powell e i suoi colleghi hanno lasciato la politica invariata mercoledì, segnalando che un ulteriore aumento era probabile entro la fine dell’anno.

Nelle proiezioni economiche rilasciate dopo il loro incontro, i politici vedono la disoccupazione salire al 4,1% alla fine del prossimo anno dal 3,8% attuale, mentre la crescita rallenta all’1,5% nel 2024 dal 2,1% nel 2023, secondo le loro previsioni mediane. Si prevede che l’inflazione scenda al 2,5% alla fine del 2024 dal 3,3% del quarto trimestre di quest’anno.

Kohn, che ora è senior fellow presso la Brookings Institution, ha affermato di ritenere basse le probabilità che la Fed raggiunga un “perfetto atterraggio morbido”.

"Dovranno smorzare la domanda un po' più di quanto lo sia stata finora e creare un po' di allentamento nel mercato del lavoro", ha detto, aggiungendo che vede una "discreta possibilità di un atterraggio morbido" per il mercato del lavoro.

Warsh ha affermato che un atterraggio morbido è meno probabile ora rispetto a sei settimane fa: il dollaro è più forte, i prezzi dell’energia sono più alti e i tassi di interesse a lungo termine sono in aumento.

“Niente di tutto ciò è positivo per un atterraggio morbido”, ha detto il visiting fellow dell’Hoover Institution, aggiungendo: “Non penso che dovrebbe essere necessario aumentare i tassi”.

Warsh, tuttavia, vede il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni aumentare “materialmente” poiché gli investitori diventano sempre più preoccupati sia per gli ampi deficit di bilancio degli Stati Uniti sia per il rischio di un’inflazione più elevata e più volatile in futuro.

Inoltre, alcuni dei maggiori acquirenti di titoli del Tesoro negli ultimi anni si stanno ritirando, ha affermato. Ciò include la Fed, che ora sta riducendo le sue partecipazioni obbligazionarie, Cina e Giappone, secondo Warsh.

Giovedì il rendimento della banconota a 10 anni si è attestato al 4,49%, in aumento rispetto al 3,87% della fine dello scorso anno.


Come sempre facciamo, noi di Recce’d prendiamo una posizione chiara, e non ci nascondiamo dietro ad un dito. Ed ecco, quindi, le principali indicazioni operative, le principali indicazioni concrete per la gestione degli asset finanziari, che si ricavano dalle analisi che avete appena letto.

Leggiamo quindi un commento del notissimo Bill Ackman, gestore di fama mondiale, che tocca proprio uno dei temi dei quali più spesso abbiamo discusso, nel nostro sito, alla pagina TWIT TWOO, alla pagina MERCATI, alla pagina NEL MOTORE DELLA PERFORMANCE, ed ovviamente anche qui nel Blog.

Ricordate, amici lettori, quelle “obbligazioni al 4% che poi portiamo alla scadenza”?

Tema che, correttamente, Bill Ackman lega al tema della “Nuova Era dei mercati” e poi alla pigrizia mentale della massa, che è portata a pensare che “in futuro più o meno le cose andranno come sono andate nel passato”.

Credo che i tassi a lungo termine, ad esempio i tassi a 30 anni, aumenteranno ulteriormente da qui. Pertanto, rimaniamo obbligazionari short attraverso il possesso di swaption.

Il mondo è un luogo strutturalmente diverso da quello che era. Il dividendo della pace non esiste più. Gli effetti deflazionistici a lungo termine derivanti dall’esternalizzazione della produzione in Cina non esistono più. Il potere contrattuale dei lavoratori e dei sindacati continua ad aumentare. Gli scioperi abbondano, ed è più probabile che si verifichino quando gli scioperi riusciti ottengono sostanziali aumenti salariali. I prezzi dell’energia stanno aumentando rapidamente. Non riempire nuovamente l'SPR è stato un errore fuorviante e pericoloso. Le nostre risorse strategiche non dovrebbero mai essere utilizzate per raggiungere obiettivi politici a breve termine. Ora dobbiamo ripristinare l’SPR mentre l’OPEC e la Russia tagliano la produzione. La transizione energetica verde è e rimarrà incalcolabilmente costosa. E l’aumento dei prezzi del gas aumenterà le aspettative inflazionistiche.

Chiedi semplicemente al tuo americano medio. Vedono i prezzi alla pompa e al supermercato e non credono che l’inflazione si stia moderando. Il nostro debito nazionale ammonta a 33mila miliardi di dollari e sta crescendo rapidamente. Non vi è alcun segno di disciplina fiscale da parte dei partiti o dei presunti candidati presidenziali. E ogni tetto al debito è un’opportunità per il nostro governo diviso e i suoi attori più estremisti di attirare l’attenzione dei media e per la nostra nazione di minacciare il default.

Questo non è un buon modo per reclutare i tanti nuovi acquirenti di cui abbiamo bisogno per le nostre obbligazioni. Il governo vende settimanalmente centinaia di miliardi di banconote, banconote e obbligazioni. La Cina e altre nazioni straniere, storicamente i principali acquirenti del nostro debito, ora stanno vendendo. E l’esperimento di svolgimento del QT è appena iniziato. Immagina di provare a fare una massiccia IPO in cui il sottoscrittore, gli addetti ai lavori e i venditori allo scoperto vendono tutti contemporaneamente, competendo per colpire ogni offerta in discesa mentre gli analisti declassano i loro rating a “Vendi”.

La nostra economia sta sovraperformando le aspettative. La spesa per le principali infrastrutture sta iniziando a contribuire alla crescita economica e all’offerta di debito aggiuntivo. Le previsioni di recessione sono state spostate oltre il 2024.

Il tasso di inflazione a lungo termine non tornerà al 2%, non importa quante volte il presidente Powell lo ribadirà come suo obiettivo. È stato fissato arbitrariamente al 2% dopo la crisi finanziaria in un mondo molto diverso da quello in cui viviamo adesso.

L’altra sera mi sono imbattuto nel CIO di uno dei più grandi gestori patrimoniali a reddito fisso del mondo e gli ho chiesto come stava andando. Sembrava che avesse avuto una giornata dura. Mi ha salutato dicendo: “Ci sono semplicemente troppe obbligazioni” – un vero e proprio tsunami di nuove emissioni ogni settimana. Gli ho chiesto cosa avrebbe fatto al riguardo. Ha detto: “L’unica cosa che puoi fare è stare alla larga”.

Sono rimasto sorpreso da quanto bassi siano i tassi a lungo termine. Penso che la migliore spiegazione sia che gli investitori obbligazionari considerassero il 4% un tasso di interesse elevato perché i tassi non superavano il 4% da quasi 15 anni.

Quando gli investitori hanno visto l’“opportunità” di assicurarsi il 4% per 30 anni, l’hanno colta come un’“opportunità che capita una sola volta nella loro carriera”, ma il mondo di oggi è molto diverso da quello che hanno vissuto fino ad ora.

Il tasso di inflazione a lungo termine più il tasso di interesse reale più il premio a termine suggeriscono che il 5,5% è un rendimento appropriato per i titoli del Tesoro a 30 anni. E chiedersi se lo 0,5% sia un tasso reale a lungo termine sufficiente in un mondo sempre più rischioso. E i fattori tecnici potrebbero far sì che i rendimenti salgano ancora, soprattutto nel breve termine. Oggi ne abbiamo visto l'inizio. Non è passato molto tempo da quando la generazione precedente pensava che il 5% fosse un tasso di interesse basso per un’obbligazione a lungo termine a tasso fisso. Ma potrei sbagliarmi. L’intelligenza artificiale potrebbe salvarci.

Una seconda analisi, sempre di Bill Ackman, e datata 3 agosto 2023, è ancora più utile ed interessante oggi, ad un mese e mezzo di distanza.

Ecco spiegato (sinteticamente) in che modo Recce’d arriva a decidere sulle operazioni che riguardano i portafogli modello: analisi di questo tipo sono il presupposto di base, sia per le operazioni che noi abbiamo fatto sui portafogli modello, sia per le operazioni che al contrario abbiamo deciso di NON fare.

Sono rimasto sorpreso dal fatto che i tassi a lungo termine statunitensi siano rimasti bassi alla luce dei cambiamenti strutturali che probabilmente porteranno a livelli più elevati di inflazione a lungo termine, tra cui la deglobalizzazione, costi della difesa più elevati, la transizione energetica, diritti crescenti e una maggiore potere contrattuale dei lavoratori.

Di conseguenza, sarei molto sorpreso se non ci trovassimo in un mondo con un’inflazione persistente pari a circa il 3%. Dal punto di vista della domanda/offerta, anche i titoli del Tesoro a lungo termine (T) appaiono ipercomprati. Con 32mila miliardi di dollari di debito e ampi deficit a perdita d’occhio e tassi di rifinanziamento più elevati, un’offerta crescente di T è assicurata.

Quando si associano le nuove emissioni al QT, è difficile immaginare come il mercato possa assorbire un aumento così ampio dell’offerta senza tassi materialmente più elevati. Sono rimasto anche perplesso sul perché non ha finanziato il nostro governo nella parte più lunga della curva alla luce dei tassi a lungo termine sostanzialmente più bassi. A mio avviso, questa non sembra una gestione prudente dei termini.

Consideriamo poi il desiderio della Cina (e di altri paesi) di separarsi finanziariamente dagli Stati Uniti, il fatto che l’YCC finisca in Giappone aumentando l’attrattiva relativa delle obbligazioni in yen rispetto ai T per il più grande proprietario straniero di T, e le crescenti preoccupazioni sulla governance degli Stati Uniti, sulla responsabilità fiscale e divisioni politiche recentemente menzionate nel downgrade di Fitch. Quindi, se l’inflazione a lungo termine è del 3% anziché del 2% e la storia regge, allora potremmo vedere il rendimento del T a 30 anni = 3% + 0,5% (il tasso reale) + 2% (premio a termine) o 5,5%, e può succedere presto.

Ci sono molti momenti nella storia in cui il mercato obbligazionario riprezza il segmento lungo della curva nel giro di poche settimane, e questo sembra uno di quei casi. Ecco perché siamo short sul T a 30 anni: in primo luogo come copertura sull’impatto dei tassi LT più elevati sulle azioni, e in secondo luogo perché riteniamo che sia una scommessa a sé stante ad alta probabilità.

Sono pochi i macroinvestimenti che offrono ancora rendimenti asimmetrici ragionevolmente probabili e questo è uno di questi. Le migliori coperture sono quelle in cui investiresti comunque anche se non ne avessi bisogno. Questo si adatta a questo disegno di legge, e penso anche che abbiamo bisogno di una copertura.

3:06 · 3 agosto 2023

Come vedete, qui non si parla e non si ragiona in modo astratto: queste sono considerazioni molto concrete, e chi le ha seguite (quando noi di Recce’d ne scrivemmo, mesi e mesi fa) oggi porta a casa dei risultati positivi.

Gli altri invece no.

Altre indicazioni operative sono offerte dall’articolo che segue, e che chiude il nostro Post.

Si tratta di indicazioni esplicite: non c’è quindi da parte nostra, necessità di aggiungere alcun chiarimento.

Vi invitiamo però a contattarci, attraverso gli indirizzi e-mail che trovate nel sito, allo scopo di ricevere indicazioni ancora più specifiche, su strumenti, timing, peso percentuale e composizione del portafoglio, oppure per un’analisi dei rischi che corrono le vostre attuali posizioni dato il contesto che il nostro Post vi ha descritto nel dettaglio.

La recessione americana è semplicemente ritardata, non cancellata. La narrativa dell’atterraggio morbido è un mito.

Lo stimolo fiscale del governo nel 2023 ha temporaneamente aumentato il tasso di crescita del PIL. Tuttavia, lo stimolo fiscale non è una fonte affidabile di crescita economica. Mina la produttività a lungo termine. Crea inoltre problemi quali tasse più elevate, tassi di interesse più elevati e un’inflazione dannosa e destabilizzante.·

Se da un lato è vero che i consumatori e le imprese si sono bloccati su tassi di interesse bassi, ciò significa anche che le banche e altri istituti di credito devono fare i conti con un gran numero di titoli garantiti da ipoteca, prestiti al consumo e debito aziendale che sono significativamente sott’acqua. Questo è uno dei problemi affrontati dal sistema bancario statunitense e il motivo per cui ha richiesto l’intervento di salvataggio della Fed a marzo. Inoltre, le famiglie e le imprese disponevano di trilioni di dollari di risparmi in eccesso dovuti alla pandemia. Tuttavia, tali risparmi saranno esauriti entro la fine del quarto trimestre.

Quindi, mentre tutti questi punti spiegano perché la crescita del PIL è rimasta positiva, la ragione principale per cui la recessione è stata ritardata è il Bank Term Funding Program (BTFP) di Powell, che ha temporaneamente salvato l’intero sistema finanziario statunitense. Il BTFP è un’estensione dello sportello di sconto, che è sempre aperto alle banche in difficoltà. La finestra di sconto offre la possibilità di prelevare i beni sottomarini delle banche per tre mesi con uno sconto rispetto al loro attuale valore di mercato. Il BTFP, invece, offre alle banche un prestito per un anno e a valore intero. Tuttavia, questo non è lo stesso del QE, in cui la Fed toglie permanentemente gli asset deteriorati dalla banca e, in cambio, dà alla banca riserve bancarie, o credito Fed, per l’acquisto e poi promette di acquistare più di questi stessi asset nel futuro. futuro, spingendo i prezzi delle obbligazioni verso l’alto e i tassi di interesse verso il basso. Questo nuovo programma prevede che la banca riacquisti gli asset a pieno valore entro 12 mesi e addebiti un tasso di interesse che ora si avvicina al 5,5%. Ecco perché, allo stato attuale, il BTFP offre alle banche solo una tregua temporanea.

Ecco perché la recessione non sarà tenuta in sospeso ancora a lungo:

  1. La percentuale netta delle banche che inaspriscono gli standard di prestito è ora al 50,8%. Si tratta di un massiccio inasprimento di 82,3 punti percentuali dal 2021. Il carburante monetario dietro le bolle speculative e i consumi si sta esaurendo. È probabile che le conseguenze di questa contrazione monetaria si facciano sentire non appena l’economia si adatterà a un livello inferiore di liquidità e domanda.

  2. La curva dei rendimenti è stata invertita per 14 mesi ed è capovolta di ben 70 pb. Questa è l'inversione più lunga e ripida degli ultimi 43 anni. Le inversioni della curva non sono solo un indicatore coincidente. La curva dei rendimenti misura la differenza tra i tassi di interesse sulle obbligazioni a breve e a lungo termine e, quando è invertita, significa che gli investitori si aspettano rendimenti inferiori in futuro rispetto al presente. Inoltre mette sotto pressione le banche perché i loro asset guadagnano meno di quanto i depositanti richiedono per mantenere i loro soldi in banca.

  3. Il tasso di interesse effettivo che le banche si addebitano reciprocamente per i prestiti overnight, noto come tasso sui fondi federali (FFR), è aumentato da un 8% negativo a un 2% positivo. Ciò significa che la politica monetaria è diventata meno accomodante e più restrittiva. La stretta monetaria funziona con un ritardo di circa un anno. L’anno scorso in questo periodo il FFR era appena al 2,5%.

  4. Il tasso di crescita annuale dell’offerta di moneta M2 è diventato negativo dopo un massiccio aumento di oltre il 40% a seguito della pandemia. Anche il bilancio della Fed, che riflette i suoi interventi sui mercati finanziari, si è ridotto di 600 miliardi di dollari negli ultimi sei mesi, indicando che la banca centrale sta ritirando il suo sostegno all’economia. L’espansione del bilancio della Fed è stata uno dei principali motori dei prezzi degli asset e della liquidità all’indomani della pandemia, poiché ha iniettato trilioni di dollari nel sistema attraverso vari programmi. Tuttavia, quando la Fed allenta il suo bilancio, crea un effetto inverso, drenando denaro dai mercati ed esercitando una pressione al ribasso sui prezzi degli asset.

  5. La Federazione Nazionale delle Imprese Indipendenti (NFIB) e i Leading Economic Indicators (LEI) avvertono chiaramente che ci stiamo dirigendo verso una recessione. Le inadempienze su prestiti al consumo, carte di credito e prestiti auto sono ai livelli più alti da un decennio. I tassi di copertura degli interessi per le imprese statunitensi (EBIT/Interessi passivi) stanno diminuendo. Ciò significa che le aziende hanno meno capacità di onorare il debito in essere. Le aziende classificate come zombie e spazzatura impiegano milioni di persone e necessitano di bassi costi di finanziamento per sopravvivere, che non sono più disponibili. Esiste un ampio muro di scadenze del debito societario per i prossimi due anni. Il valore di 1,8 trilioni di dollari deve essere rifinanziato a tassi molto più alti. I redditi reali delle famiglie continueranno a soffrire a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia.

  6. Anche il mercato del lavoro mostra alcune crepe. La società di ricerche sul mercato del lavoro Challenger Gray e Christmas ha riferito che i piani di licenziamento aziendale sono aumentati del 210% rispetto allo scorso anno. Si tratta di licenziamenti programmati che devono ancora verificarsi. Ciò significa che il tasso di disoccupazione è sul punto di aumentare.

  7. E poi abbiamo il mercato immobiliare congelato: le richieste di acquisto di mutui sono diminuite del 27% e le rifinanziamenti sono diminuite del 31% a/a. I costi di finanziamento sono aumentati mentre il rapporto prezzo/reddito delle case è ai massimi storici. Nel frattempo, l’accessibilità economica della proprietà della casa è ai minimi storici. Secondo la National Association of Realtors (NAR), solo il 23% delle case negli Stati Uniti sono accessibili a chi acquista una casa per la prima volta. Quel numero era del 50% un anno fa. Le transazioni immobiliari sono in depressione, così come i rifinanziamenti di cash-out, che hanno fornito un enorme sostegno ai consumi. Dato che gli investitori possiedono il 20-25% di tutte le case unifamiliari, mi aspetto che un numero enorme di case in vendita arrivino sul mercato una volta che il reddito da locazione si esaurisce a causa di un mercato del lavoro in difficoltà. E, una volta che i prezzi delle case inizieranno a scendere, gli investitori faranno di tutto per incassare il presunto aumento del 43% dei prezzi delle case negli ultimi due anni.

  8. A proposito, la forza degli Stati Uniti – se si crede a questa narrazione – è particolarmente isolata nel mondo. L’UE sta entrando e uscendo dalla recessione mentre il resto delle economie del mondo sviluppato sono in difficoltà. La Cina, che ha tirato fuori il mondo dalla crisi finanziaria globale prendendo in prestito ingenti quantità di denaro per costruire la più grande bolla patrimoniale della storia, è ora un’economia disabile dal debito e quindi non è più in grado di salvare la propria economia, figuriamoci solo l’economia globale.

La semplice verità è che ci sarà un momento molto migliore per diventare più aggressivi con le azioni.

  • Non quando il rapporto prezzo/vendite è vicino a un livello record.

  • Non quando il rapporto azionario/PIL della TMC è vicino a un livello record.

  • Non quando il rendimento dei dividendi sull’S&P 500 è inferiore di circa 400 punti base rispetto a quello che puoi ricevere su un buono del Tesoro.

  • E non quando i premi per il rischio azionario sono prossimi allo zero.

  • Il rendimento degli utili derivanti dalle azioni non offre alcuna opportunità oltre al possesso di buoni del Tesoro. Gli investitori semplicemente non ricevono alcun compenso per il rischio aggiuntivo associato alle azioni.

Tuttavia, se a questo mix si aggiunge il recente aumento dei prezzi del petrolio, si ottiene una Fed che in questo momento non sta nemmeno pensando di tagliare i tassi di interesse. Ma Powell sarà scioccato. Dato che l’economia sta per sorprendere al ribasso in grande stile, credo che la Fed sarà in preda al panico per la riduzione dei tassi di interesse nel 2024. E qui si trova una grande opportunità per gli investitori astuti.

Michael Pento

Valter Buffo
I rendimenti dipendono dai rendimenti
 

Nella nuova Lettera al Cliente, spedita in mattinata del 15 settembre 2023 a tutti i nostri Clienti, ci siamo concentrati sui rendimenti.

Abbiamo proposto una carrellata dei rendimenti offerti dagli altri gestori (che siano gestori di GPM, gestori di Fondi Comuni, oppure gestori di altri veicoli, inclusi i portafogli modello: da questo punto di vista fa ZERO differenza).

Lo scopo di questo nostro sforzo è facilitare al massimo il confronto, il più ampio che è possibile, con i rendimenti dei portafogli modello di Recce’d.

E poi, ovviamente abbiamo scritto anche dei rendimenti futuri, mettendo a confronto le prospettive a 3, 6, 12, 24 mesi dei portafogli titoli degli altri (GPM, Fondi Comuni, financial advisors e Reti di vendita con i promotori a retrocessione) con le prospettive di portafogli modello costruiti su basi totalmente diverse da quelle tradizionali.

I portafogli modello di Recce’d, che come tutti sapete sono costruiti con le strategie basate sulle tecniche proprietarie del risk-neutral investing, delle quali abbiamo già scritto, e ancora scriveremo, alla pagina SCELTE DI PORTAFOGLIO.

Il confronto, tra i risultati a 12, 36, 48 mesi è semplice. Ma ciò che conta davvero è il confronto anticipato, quello che riguarda i prossimi 24 e 48 mesi.

Ed è qui, che entriamo nel merito del nostro nuovo Post.

Così come è stato negli ultimi 24 mesi, anche nei prossimi 24 mesi i rendimenti saranno soprattutto determinati dai rendimenti.

Spieghiamo meglio: tutti i vostri rendimenti, in questo specifico momento dei mercati finanziari (momento unico nella storia dei mercati) dipendono soprattutto dai rendimenti delle obbligazioni.

Quello è il fattore che pesa più di tutti (fatte salve, ovviamente, notizie totalmente inattese ed estranee ai mercati finanziari, come è stata ad esempio la guerra in Ucraina per le materie prime ed il petrolio).

In questo Post, regaliamo una parte del nostro lavoro di analisi, non grande ma significativa, a tutti i lettori che seguono il nostro Blog: i quali come sempre possono trovare, grazie al nostro Blog, informazioni selezionate ed analisi di altissima qualità.

Del tutto libere dai conflitti di interesse che orientano le indicazioni che tutti leggiamo ogni giorno, sia delle banche globali di investimento (JP Morgan, BNP Paribas, Morgan Stanley, UBS e avanti con l’elenco) sia dalle Reti di promozione finanziaria (Mediolanum, FINECO, Generali, Fideuram e via dicendo). Tutti i soggetti che abbiamo appena citato vi suggeriscono (e i fatti lo dimostrano, come avete già letto in centinaia di occasioni proprio in questo nostro sito) di fare quelle scelte di investimento che più convengono a LORO e non a VOI, investitori finali.

Fermatevi a ragionare, anche solo per pochi minuti: quante sono le occasioni nelle quali il vostro promotore finanziaro (il wealth manager, il private banker, il financial advisor) si è fermato con voi a rivedere le performance che avete ottenuto a tre, cinque, dieci anni, e quante volte vi è stato proposto un confronto, ampio e dettagliato, come noi di Recce’d abbiamo fatto, sia nella Lettera al Cliente di ieri, sia nella Lettera al Cliente del 19 agosto, sia anche nella Lettera al Cliente di metà luglio.

Quante volte, lo avete fatto, negli ultimi 10 anni?

Sapete come stanno andando le cose?

Siete consapevoli, di ciò che state facendo?

Come certamente ricordate, quando nel mese di gennaio tutto il Mondo, e il suo cane, vi spiegava che “il 2023 sarà l’anno delle obbligazoni”, noi di Recce’d vi abbiamo anticipato senza paura, senza nasconderci, senza giri di parole, che non era vero. Per nulla.

Proprio in data il 15 settembre 2022, il rendimento del Bund trentennale ha fatto segnare, come forse sapete, un livello record, il più alto degli ultimi 12 anni.

Fermatevi a riflettere almeno un attimo: il dato si riferisce al valore del debito pubblico si uno Stato, la Germania, che

  • è già in recessione; e che

  • ha un debito per rapporto al PIL del 65%, che significa meno della metà di quello dell’Italia.

Fatevi almeno due conti: mettete insieme la recessione, il debito, e i tassi a livello record. Se proprio non ce la fate, almeno chiamate il vostro financial advisor con urgenza: perché la cosa sta succedendo, proprio oggi, e proprio in questa realtà, la realtà dove vivete, la realtà dove investire i propri soldi.

E ci sono delle ragioni, forti: non la recessione, questo è certo. E allora, che cosa?

Fatti come questo, cambiano la vita delle persone.

Ne siete consapevoli?

Venendo in particolare alle scelte di investimento, la posizione sul Bund che è presente nei nostri portafogli modello oggi ha toccato anche lei una quotazione record. Fatti: non chiacchiere da aperitivo oppure da chat online.

A partire dal mese di gennaio del 2023, noi di Recce’d abbiamo insistito in modo particolare proprio su questo punto: per scegliere le vostre mosse, per definire la vostra asset allocation, per proteggere il vostro patrimonio dai gravissimi errori che vi vengono suggeriti, guardate soprattutto (quasi esclusivamente) ai rendimenti.

Intendendo: ai rendimenti delle obbligazioni.

Come detto, nel gennaio 2023, “tutti” vi raccontavano che il 2023 sarà l’anno delle obbligazioni.

Ma in questa, come in molte altre occasioni quei ”tutti” parlavano senza capirne assolutamente nulla.

Per fortuna, però, quei “tutti” non erano veramente “tutti quanti”.

Recce’d, ad esempio, stava allora, ed è rimasta anche oggi, decisamente nel campo opposto. E non si tratta di un caso.

Recce’d ragiona solo nell’interesse del Cliente investitore finale: è questo che fa la differenza.

Recce’d, e proprio in situazioni come quella che affrontiamo oggi, da molti anni offre all’investitore italiano una concreta, reale, qualificata e competente alternativa alla massa dei “consulenti” (che per la verità per mestiere fanno soltanto i venditori di “prodotti” e guadagnano sulla base delle retrocessioni dai “prodotti” medesimi).

Ora che siamo arrivati alla metà del settembre del 2023, è chiaro a tutti che proprio quella questione, quella dei rendimenti delle obbligazioni, è la questione centrale: per le scelte di portafoglio, per la asset allocation, e per la performance finale. Tutti il resto, nel settembre 2023, è solo contorno: contorno colorato e rumoroso, come la carta che avvolge l’uovo di Pasqua.

A noi di Recce’d, non interessa la carta rumorosa, che si chiami Borsa, Nvidia, Bitcoin, Magnifici Sette, trading-on-line, opzioni 0DTE, e tutto il resto del TRASH che viene spinto attraverso i canali della “informazione finanziaria”.

Un TRASH che è del tutto simile a quel TRASH che impazza nella programmazione televisiva: un TRASH che ha già iniziato a stancare, se leggiamo bene le notizie che riguardano proprio il mondo italiano della TV e che tutti avete letto sulla stampa nazionale.

Tornando però ai mercati finanziari, e mettendo da parte tutto il TRASH, come sempre noi, in modo del tutto gratuito, regaliamo ai nostri affezionati lettori una parte del nostro lavoro professionale. Il nostro lavoro professionale, nella sua maggior parte, è riservato ai nostri Clienti: al tempo stesso, per premiare gli affezionati lettori che da anni ci seguono, ne pubblichiamo una parte in varie pagine del nostro sito.

Oggi, il nostro lavoro prende in esame quello che, poco più sopra, abbiamo definito la questione centrale per i mercati finanziari internazionali.

Dove vanno i rendimenti delle obbligazioni? E perché?

La domanda è cruciale: nel settembre del 2023, da questo dipendono le aspettative (del mercato, ma pure le vostre) di rendimento di azioni, obbligazioni, valute e materie prime.

La base sulla quale poggiano, alla metà del settembre 2023, lo S&P a 4500 punti, il petrolio a 90$, il dollaro USA a 1,065 contro euro, e i prezzi dei BTP ovviamente, la vedete nel grafico che segue.

Se nelle prossime settimane questo grafico cambia, tutto cambierà per conseguenza.

Noi, come sapete e come abbiamo già scritto sopra, non ci dilunghiamo in chiacchere da macchinetta del caffé, da chat online, da community di e-Toro o di altri trading-on-line. Non è quella, la nostra professione, non lo facciamo, e non lo faremo in futuro.

Lo abbiamo dimostrato concretamente, con cadenza più che settimanale, anche attraverso questo Blog, regalando ai lettori che ci seguono non le chiacchiere delle community, bensì analisi molto concrete ed indicazioni molto precise.

Ovviamente, non facciamo né faremo in futuro vedere nel nostro Blog i portafogli modello di Recce’d: non lo facciamo nel Blog perché quella parte del lavoro (la selezione degli strumenti, la scelta degli investimenti, il peso sul totale del portafoglio, il timing delle operazioni) è riservato in esclusiva ai Clienti che ci pagano le commissioni. E non potrebbe essere che così.

Ci sono, ovviamente, lettori che scelgono il fai-da-te: leggono da noi, poi applicano le nostre indicazioni da soli oppure con il promotore finanziario.

L’esperienza di noi che operiamo in Recce’d a noi ha insegnato che è proprio questa, la parte più complessa, difficile e delicata. E quindi ci porta a concludere che deve essere svolta in modo professionale: perché in quel modo si AGGIUNGE VALORE.

Nella nostra esperienza, agire in modo approssimativo, operare sulla base di informazioni scarse oppure su base intuitiva, affidarsi a ciò che si legge sui media e nelle chat senza fare il lavoro di analisi, e senza disporre delle competenze specifiche, tutto questo porta sempre a perdere dei soldi.

A questo proposito, abbiamo moltissimi dati, alcuni dei quali li abbiamo anche mostrati qui, nel Blog.

Ritornando al nostro tema di oggi, che è rendimento delle obbligazioni: il nostro quotidiano, e qualificato e dettagliato, lavoro di analisi lo riserviamo al Cliente, che legge ogni mattina il nostro The Morning Brief. Abbiamo però con regolarità regalato (attraverso questo Blog, la pagina TWIT - TWOO, la pagina NEL MOTORE DELLA PERFORMANCE e la nostra pagina MERCATI) una serie di concreti ed utili spunti a tutti i lettori.

Allo scopo di non ripetere cose che abbiamo già scritto, oggi presentiamo al lettre del Blog una sintesi che di recente è stata pubblicata dal settimanale The Economist.

Numerose di queste cose, Recce’d le scriveva nel Blog già mesi fa. Allo stesso tempo, il modo nel quale The Economist ha raccolto, ordinato e presentato le sue analisi è sicuramente utile ai nostri lettori, perché aiuta i lettori stessi a mettere ordine nelle proprie idee.

Recce’d dopo che avete letto questo articolo riprende il suo percorso sul tema dei rendimenti obbligazionari nel 2023.

Interrogare una favola non è di solito l'uso migliore del tempo di un investitore. Ma potrebbe esserci un'eccezione. La logica interna di "Riccioli d'oro e i tre orsi" e l'idea che l'economia possa essere "giusta" per i mercati finanziari meritano un'analisi.

All'inizio di quest'anno, la prospettiva di una recessione americana apparentemente inevitabile, conseguenza dell'aumento dei tassi d'interesse, ha animato le conversazioni in tutto il mondo finanziario. Ora, con l'inflazione in rapido calo, la crescita economica che appare solida e la Federal Reserve che sta almeno rallentando il ritmo dei rialzi dei tassi d'interesse, si parla di una situazione "Goldilocks": un'economia che non è né troppo calda (con un'inflazione in crescita) né troppo fredda (con un tasso di disoccupazione spiacevolmente elevato).

Mentre il quadro si è fatto più roseo, i rendimenti dei titoli di Stato americani sono saliti sempre di più. Il rendimento dei Treasury decennali è ora pari al 4,2%, dal 3,8% di inizio anno. I rendimenti reali, corretti per le aspettative di inflazione, sono ai massimi dal 2009.

È improbabile che tornino presto sulla terra. Oltre ai dati di crescita sostenuti - una stima molto seguita suggerisce che l'economia americana potrebbe crescere a quasi il 6% - anche la domanda e l'offerta sottostanti puntano al rialzo. Quest'anno il governo registrerà un deficit di bilancio pari a circa il 6% del PIL, una cifra destinata a crescere nei prossimi anni. Nel frattempo, dall'estate scorsa la Fed ha lasciato che circa 765 miliardi di dollari di Treasury presenti nel suo bilancio giungessero a scadenza senza essere sostituiti.

Queste buone notizie economiche hanno implicazioni meno rosee per le prospettive finanziarie di quanto ci si potrebbe aspettare. In effetti, diversi mercati sono già schiacciati dall'aumento dei rendimenti in un modo che minaccia la stabilità finanziaria. I rendimenti obbligazionari alle stelle implicano una notevole sofferenza finanziaria, anche se non ancora visibile. E la minaccia cresce ad ogni dato economico positivo.

Prendiamo gli immobili commerciali. Secondo l'agenzia immobiliare Colliers, i tassi di sfitto degli uffici americani hanno raggiunto il 16,4% a metà anno, superando il precedente record stabilito dopo la crisi finanziaria globale del 2007-2009. La combinazione di abitudini radicate di lavoro da casa e l'aumento dei tassi di interesse è stata brutale per i proprietari di immobili commerciali. La società di ricerca Capital Economics prevede un ulteriore calo dei prezzi del 15% entro la fine del 2024 e che la costa occidentale sarà particolarmente colpita.

La situazione dei proprietari di immobili commerciali potrebbe peggiorare anche se l'economia dovesse migliorare ulteriormente. Uno o due punti percentuali di crescita in più faranno tornare pochi affittuari. Ma l'aumento dei tassi di interesse che ne deriverà metterà sotto pressione le imprese che non potranno rifinanziare il debito accumulato a tassi bassi durante la pandemia di Covid-19. Newmark, una società di servizi immobiliari, individua un muro di scadenze di 626 miliardi di dollari di debito immobiliare commerciale in difficoltà (dove il debito senior del mutuatario vale l'80% o più del valore dell'immobile) che giungerà a scadenza tra il 2023 e il 2025.

Senza un rallentamento del mercato obbligazionario, molte aziende andranno a sbattere contro il muro.

I problemi degli immobili commerciali potrebbero diffondersi. Molti istituti di credito americani hanno concesso credito al settore. All'inizio di agosto Moody's ha declassato dieci istituti di piccole e medie dimensioni e ha messo sotto osservazione diversi istituti più grandi. L'agenzia di rating ha rilevato che le banche con un patrimonio inferiore a 10 miliardi di dollari hanno un'esposizione agli immobili commerciali pari al 279% dei loro fondi propri, rispetto al 51% di quelle con oltre 250 miliardi di dollari.

Anche i problemi che hanno colpito la Silicon Valley Bank, la First Republic Bank e la Signature Bank a marzo e aprile non sono scomparsi. I depositi in tutto il settore si sono a malapena ripresi dal crollo della primavera, con un aumento medio dello 0,02% a settimana negli ultimi quattro mesi, a fronte di una crescita media settimanale dello 0,13% negli ultimi quattro decenni. Il fascino del mercato obbligazionario, dove gli alti rendimenti offrono un'alternativa ai conti bancari a basso tasso di interesse, fa sì che la pressione non si allenti.

Per le imprese, i lavoratori e gli investitori azionari con minore leva finanziaria, il porridge economico sembra essere alla giusta temperatura. Anche nel mercato degli immobili residenziali, che è stato la scintilla della crisi finanziaria globale, i proprietari si sono ampiamente scrollati di dosso i rapidi aumenti dei tassi di interesse della Fed.

Ma le parti del mercato americano più vulnerabili all'aumento dei costi di rifinanziamento si trovano di fronte a un piatto di porridge freddo e poco appetitoso. Un risultato Goldilocks per alcuni è un incubo ribassista per altri. Se i rendimenti del Tesoro rimarranno elevati, potrebbe diventare sempre più difficile tenere separate le due realtà.

Uno degli scopi che Recce’d ha scelto di ottenere, preparando questo nuovo Post, è quello di aiutare chi ci legge a vedere, con la urgenza che la situazione richiede, quali sono le implicazioni del livello dei rendimenti obbligazioni FUORI dai mercati finanziari: le implicazioni per l’economia internazionale nel suo insieme

L’articolo di The Economist, che avete appena letto, è in questo senso un aiuto concreto al lettore.

Ma noi vogliamo aiutare ancora di più.

Per questo, vi proponiamo di leggere la sintesi, offerta dal Financial Times, di un documento presentato alla recentissima riunione del G20 di cui certamente avete letto (se non fosse altro, per la copertura mediatica garantita nell’occasione al Presidente del Consiglio italiano).

Questo riassunto di un documento elaborato dal Financial Stability Board vi sarà utile ad alzare lo sguardo: Recce’d vi suggerisce di uscire quanto prima dalla trappola del “oggi questo è salito, ed oggi questo è sceso” e realizzare, nel minore tempo possibile, che mentre sui mercati finanziari i prezzi oscillano giorno dopo giorno dopo giorno, è al di fuori dei mercati che si sta realizzando un cambiamento di portata storica.

Si tratta di un cambiamento magnifico, secondo il giudizio di noi di Recce’d, che riporterà i mercati finanziari ad un rapporto più equilibrato, e meno distorto, con la realtà.

E questo sarà un bene, per tutto noi investitori finali: qualcosa da festeggiare, e con una grande festa!

Ma per arrivare a quel punto, per ottenere questo risultato, saranno necessari numero passaggi, molti dei quali imprevedibili, e molti dei quali davvero pericolosi, per gli investitori che si faranno sorprendere con un portafoglio orientato dalla parte sbagliata.

Lo potete leggere nelle parole del FSB.

Questo secondo articolo chiude il nuovo Post di oggi: su questo medesimo argomento, però, Recce’d ha già iniziato a lavorare ad un secondo Post, che forse verà pubblicato durante la prossima settimana.

Buona lettura.

Il più potente organo di vigilanza finanziaria del mondo ha messo in guardia da "ulteriori sfide e shock" nei prossimi mesi, poiché gli alti tassi di interesse minano la ripresa economica e minacciano settori chiave come quello immobiliare.

Nel suo regolare aggiornamento ai leader del G20 in vista del vertice di questa settimana a Nuova Delhi, Klaas Knot, presidente del Financial Stability Board con sede a Basilea, ha dichiarato: "La ripresa economica globale sta perdendo slancio e gli effetti dell'aumento dei tassi di interesse nelle principali economie si fanno sempre più sentire".

"Nei mesi e negli anni a venire il sistema finanziario globale dovrà sicuramente affrontare ulteriori sfide e shock", ha aggiunto. Negli ultimi mesi i mercati finanziari si sono mantenuti relativamente stabili, una gradita tregua dopo una serie di crisi che quest'anno hanno colpito istituti di credito statunitensi di medie dimensioni come la Silicon Valley Bank e la Signature e hanno portato alla scomparsa del Credit Suisse europeo, che è stato inglobato nella rivale svizzera UBS.

Ma Knot ha affermato che i rischi nel sistema finanziario sono ancora evidenti, anche se il contagio dagli eventi di febbraio e marzo è stato limitato. Ha sottolineato che il settore immobiliare è un'area che le autorità dovrebbero "monitorare attentamente" per individuare eventuali segnali di stress, data la sua vulnerabilità agli aumenti dei tassi, e ha esortato "gli operatori finanziari di questi settori a gestire i loro rischi in modo adeguato".

L'aumento dei tassi d'interesse impiega tempo per ripercuotersi completamente sull'economia reale, poiché alcuni mutuatari sono titolari di prestiti a tasso fisso stipulati prima che le banche centrali come la Federal Reserve statunitense, la Banca Centrale Europea e la Banca d'Inghilterra iniziassero a inasprire la politica monetaria per contrastare l'impennata dell'inflazione.

Knot ha affermato che il potenziale di ulteriori tensioni sul mercato sottolinea l'opportunità di attuare "pienamente e coerentemente" le norme sul capitale bancario globale concordate dalle autorità di regolamentazione nel 2017 e che dovrebbero entrare in vigore entro il 2023.

Ha inoltre sottolineato la necessità di una regolamentazione più severa delle istituzioni finanziarie non bancarie - che comprendono tutto, dal credito privato agli hedge fund e alle assicurazioni - e ha affermato che è "fondamentale" attuare le riforme concordate per affrontare i rischi in questi mercati.

Le regioni si sono mosse a velocità diverse per quanto riguarda le misure di regolamentazione degli istituti finanziari non bancari, comprese le disposizioni relative ai fondi del mercato monetario, ai fondi aperti, ai margini, alla leva finanziaria e alla liquidità del mercato obbligazionario.

A luglio gli Stati Uniti hanno annunciato che non avrebbero attuato il regime patrimoniale delle banche fino alla metà del 2025, con circa sei mesi di ritardo rispetto all'UE e al Regno Unito, che a loro volta avevano già annunciato dei ritardi, per dare alle banche più tempo per adattarsi al nuovo regime. Anche se il pacchetto è stato ampiamente descritto come la "fine del gioco" per la regolamentazione post-crisi finanziaria globale, i responsabili politici stanno già considerando un'altra serie di perfezionamenti per affrontare alcune delle vulnerabilità che sono state esposte quest'anno.

Secondo il FT, queste misure comprendono un inasprimento delle norme sul capitale e sulla liquidità e l'obbligo per gli Stati Uniti di applicare misure concordate a livello globale a una gamma più ampia di banche.

Knot ha dichiarato che l'FSB pubblicherà presto un rapporto sulle "lezioni apprese" dalle crisi bancarie di quest'anno e sulle "priorità politiche per il futuro".

Valter Buffo
Si parla sempre di più di Italia
 

Come state messi coi BTp?

E sulla Borsa di Milano?

I vostri “consiglieri” vi hanno spinto, negli ultimi 12-14 mesi, a fare “private equity” in Italia?

Investimenti diretti e finanziamenti diretti?

Magari “Venture capital”?

Investire sull’economia reale?

Ed allora, farete bene a leggere con attenzione tutto ciò che viene detto e scritto sull’Italia dai media, giorno dopo giorno.

Con una frequenza sempre maggiore.

Farete bene a capire il perché di un intervento di Mario Draghi, proprio negli ultimi giorni, sul settimanale The Economist.

Intervento che, peraltro, all’apparenza è banalissimo, tanto banale da chiedersi proprio il perché sia stato pubblicato.

Ma andiamo avanti: andiamo al sodo.

Recce’d mesi fa aveva scritto, in modo ampio ed analitico, proprio di Italia in questo Blog.

Oggi non abbiamo tempo per un nuovo approfondimento, da regalare a chi segue il Blog, perché

siamo occupati a tempo pieno (full gas, come si dice) con lo sviluppo di proposte, servizi e formati di Recce’d, come già annunciato.

Ci appoggiamo allora ad un articolo, pubblicato di recente.

La firma è Osvaldo De Paolini, che tutti nel mondo degli investimenti conoscono per essere stato un noto, a volte controverso, giornalista di economia e finanza.

L’articolo che vi presentiamo oggi è stato pubblicato da Il Giornale.

Come sempre, è necessario chiarire che Recce’d NON E’ D’ACCORDO con tutto ciò che è scritto nell’articolo: alcune delle cose che leggerete ci sembrano condivisibili, altre (sono poche) totalmente assurde, se non dannose.

Detto tutto questo, l’articolo di De Paolini funziona come un eccellente elenco: riassume la gran parte dei temi “caldi”, di attualità ed anche urgenti, al 9 settembre del 2023.

Quindi è utile: è utile per voi lettori, per farvi riflettere sui BTp, sulla Borsa italiana, sui Fondi Comuni, sui certificati, sulle Polizze Vita, sulle Polizze UCITS.

Quindi: buona lettura, e … buon lavoro.

Se è chiara la direzione che il governo Meloni ha deciso di imboccare per impostare la manovra di bilancio, meno chiaro è dove intende reperire le risorse necessarie visto che la premier non prevede tagli.

Né sarà d’aiuto la congiuntura economica, che dopo un primo trimestre esaltante ora sembra più incline a fare passi indietro a velocità crescente.

Pochi i rischi di recessione, assicura il commissario europeo Paolo Gentiloni; e tuttavia in Confindustria hanno cominciato a fare gli scongiuri: segno che i rischi non sono pochi.

Il tutto sotto la minaccia di un nuovo rialzo dei tassi, visto che dalla Bce non giungono segni di inversione nonostante l’inflazione stia gradualmente calando e in barba all’ottimismo del governatore Ignazio Visco.

E se i primi a patire le conseguenze di questa ostinata politica di breve termine sono il cittadino gravato da un mutuo e la piccola impresa indebitata con le banche – situazioni assai diffuse nel nostro Paese - l’effetto a catena sul sistema si traduce in una caduta del Pil (ogni decimo di punto perduto costa allo Stato 2 miliardi di entrate in meno) e nell’aumento generalizzato del debito nel mentre le principali economie mondiali, alle quali siamo legati da importanti scambi commerciali, sono a loro volta alle prese con rallentamenti di intensità non prevista con conseguenze dannose sul nostro export.

Questo è lo scenario nel quale il governo è chiamato a concepire la sua prima vera Legge di Stabilità, con un bilancio devastato dalla bomba Superbonus (il buco potrebbe arrivare a quota 150 miliardi) e da altre costose mance introdotte dal governo giallo-rosso, e con il Patto di Stabilità ormai alle porte, che quand’anche trovasse applicazione in una nuova versione (ma l’accordo ancora non si intravede), impone un percorso decisamente meno agevole di quanto non lo sia stato per i governi Conte e Draghi che, va ricordato, hanno operato in sospensione delle regole europee di bilancio.

A questo proposito va citata la curiosa osservazione di Gentiloni, che nel tentativo di convincere l’Italia ad accogliere la proposta del nuovo Patto elaborata da Bruxelles, si premura di “avvertire” che qualora si arrivasse a fine anno senza accordo, scatterebbe immediatamente l’applicazione delle vecchie regole sebbene, ammette egli stesso, «del tutto inadatte a promuovere la crescita e a ridurre sostanzialmente il debito».

Ma se sai che producono nulla di buono, che «sono un brutto rischio», che senso ha reintrodurle? Solo perché lo pretende la “virtuosa” Germania, che poi tanto virtuosa non è? Non sarebbe meglio battersi per prolungare di un altro anno la sospensione, magari in previsione di un accordo più lungimirante e quindi maggiormente condiviso?

Singolare modo di ragionare, quello del commissario. Persino l’austero Mario Draghi si è convinto del fatto che per tenere insieme l’Europa sono necessarie più flessibilità e più condivisione.

Tra l’altro, non sembra che i principali partner europei, Germania in testa, stiano a loro volta vivendo una nuova età dell’oro, anch’essi appesantiti da un costo del denaro aumentato del 400% in un solo anno e rallentati da un export che sta subendo i colpi del nuovo “ordine mondiale”.

Ciò significa che anch’essi avranno bisogno di maggiore flessibilità. Appare perciò comprensibile che all’interno del governo vi siano ancora resistenze a sottoscrivere la nuova versione del Meccanismo europeo di stabilità - il famigerato Mes - se ciò può servire a rendere il Patto di stabilità meno rigido in materia di computo della spesa per investimenti.

Tutto questo per dire che pretendere miracoli dalla manovra verrebbe letto come una vile provocazione, soprattutto se le richieste dovessero partire dalle file della maggioranza.

Del pari, è sconsigliabile che nella ricerca delle coperture si replichi nel solco della tassa sui profitti delle banche, perché se il principio trova giustificazione nella logica per cui «tutti debbono contribuire», le modalità con le quali il provvedimento è stato annunciato non sono d’aiuto al Paese: gli investitori esteri hanno buona memoria, e se li affronti senza le dovute attenzioni il credito accordato potrebbe ridursi, e persino svanire di fronte a un nuovo strappo.

Inoltre, così facendo si scoraggiano banche da tempo impegnate nel sociale, come è il caso di Intesa Sanpaolo.

Per questo, se davvero si vogliono aiutare le piccole e medie imprese gravate da debiti deteriorati, è necessario seguire strade diverse da quelle suggerite da alcune voci della maggioranza: obbligare i fondi detentori a vendere sottocosto i crediti deteriorati, fissandone il prezzo per legge, oltre a cambiare le regole in corsa (sconsigliabile per molti motivi) equivarrebbe ad azzerare il concetto di mercato.

Né vale l’idea che per fare cassa in fretta sia necessario svendere parte del patrimonio industriale quotato e non quotato, quando si possono allocare diversamente risorse che da decenni ammorbano il bilancio dello Stato. Persino nel caso di Banca Mps, sebbene l’anomalia del controllore che possiede il controllato vada sciolta quanto prima per evitare indesiderate distorsioni, prima di pensare alla sua valorizzazione vale la pena di attendere che il costoso investimento del Tesoro produca frutti concreti.

Ciò, sempre che l’ansia di «ritenzione» manifestata da alcuni esponenti della Lega durante il Forum Ambrosetti non celi altre ambizioni: non ha portato bene l’ultima volta che qualcuno esclamò euforico «Allora abbiamo una banca!».

Valter Buffo
Facciamo in fretta (che manca il tempo)
 

Per ragioni di tempo, noi questa settimana pubblicheremo soltanto un estratto del più ampio Post che abbiamo intenzione di pubblicare in seguito (forse, durante la prossima settimana).

Vogliamo comunque regalare anche questo weekend, ai nostro affezionatissimi lettori, qualche spunto e qualche indicazione pratica, che scaturisce dall’ampio e approfondito lavoro di analisi del quale tutti ci riconoscono la validità.

Il tempo, per noi di Recce’d, è poco in questo mese di settembre perché (come già annunciato attraverso la pagina HOME e la pagina MERCATI) tra settembre e dicembre

rilasceremo una seri di novità di servizio e anche di informazione (sul nostro lavoro di analisi dei mercati finanziari).

Abbiamo fiducia che si tratti di innovazioni significative:

come minimo, innovazioni più significative di quelle apportate al nuovo i-Phone che verrà presentato martedì 12 settembre.

E proprio da qui, dal nuovo i-Phone, parte la nostra Estrema Sintesi.

La stampa italiana, da sempre, fa da grancassa a questi “Eventi” di Apple.

Molti promotori finanziari italiani anche: nel senso che usano questi “Eventi” per fare auto-promozione, e spingere il Cliente investitore verso i Fondi azionari, utilizzando la cosiddetta “hype” creata dai mass media su indicazioni di Apple.

Anno dopo anni, questi Eventi (di Apple e degli altri Big Tech) hanno progressivamente perso di significato. Si sono svuotati di senso.

Il giudizio di Recce’d è che oggi, nel 2023, contano un bel NULLA, per ciò che riguarda l’attività di gestione del portafoglio.

La nostra posizione su Apple e sui Magnifici Sette nei portafogli modello è stata fatta tempo fa, e per noi per ora va benissimo come è oggi.

Se ne parliamo oggi, è solo perché nelle ultime settimane il titolo Apple ha dato qualche problema: e Recce’d tempestivamente ne ha scritto

  • in modo ampio, ed analitico come sempre, nel proprio The Morning Brief

  • in modo sintetico, ed a puro scopo informativo, in TWIT - TWO (il nostro lettore poi avrà approfondito con il proprio promotore finanziario, ovvero il financial advisor, oppure sui siti Web; oppure nella chat o magari nella community).

E per il mercato finanziario internazionale, gli Eventi di Apple invece contano ancora qualche cosa?

Beh … ci farà sapere.

Il mercato internazionale, in questo 2023, è andato nella più totale confusione, come tutti avete visto: l’immagine qui sopra dice che

le Borse oggi sono guidate dai tassi, dal petrolio e dal dollaro USA

ma sarà davvero così?

Proprio in questi momento, Recce’d trova il proprio lavoro particolarmente divertente.

Ci diverte sempre, ogni volta, il vedere un buona parte del mercato che si muove con affanno alla ricerca di punti di appiglio, di un ancoraggio, di un senso.

Si trovano in questa situazione, in particolare, tutti quelli che non hanno fatto, e che quindi non dispongono di, una analisi adeguata e approfondita ben prima di fare le proprie scelte di investimento.

Farlo prima, anziché dopo, è decisivo: per i vostri soldi, amici lettori, è decisivo sapere oggi quello che succederà mercoledì prossimo con i dati USA per l’inflazione.

Parlarne giovedì prossimo, invece, a che cosa servirà?

Come dicevamo poco sopra, il mercato … ci farà sapere. Ci farà sapere se conta di più, per la gestione del portafoglio in titoli, la nuova fotocamera dello i-Phone oppure “i tassi, il petrolio ed il dollaro USA”.

Oppure altro, amici lettori: vi ricordiamo che c’è anche dell’altro.

E non è proprio il caso di procedere “a spanne”, perché qui si sta parlando dei vostri soldi.

E a proposito dei vostri soldi: andiamo sul pratico, andiamo sul concreto. Come piace fare a noi di Recce’d.

Le grandi Case di Fondi, come Blackrock e PIMCO, nella prima settimana del mese di settembre del 2023 spingono sulle obbligazioni.

Anche il Corriere della Sera, e Milano Finanza lo fanno, e lo hanno fatto proprio nell’ultima settimana, e con titoloni.

Voi amici lettori, che cosa fate. Comperate obbligazioni, e Fondi Obbligazionari, come dicono PIMCO e Blackrock?

E’ “l’affare della vita”, hanno detto PIMCO e Blackrock. Volete perdervi “l’affare della vita”?

La proposta di Blackrock e di PIMCO, in questo momento, è in contrasto con quello che ci dicono i mercati: ma, ovviamente, tra sei mesi potrebbe essere davvero “l’occasione della vita”.

E a proposito del momento dei mercati internazionali: a noi di Recce’d la frase che leggete nel riquadro in rosso, sopra nell’immagine, è sembrata la più utile tra tutte quelle che abbiamo letto nell’ultima settimana.

Fatevi magari aiutare da un amico in chat per la traduzione.

E tenete in particolare considerazione tre parole usate in quella frase:

  • goldilocks

  • turning point

  • break.

A proposito di turning point.

Noi di Recce’d, venerdì mattina, abbiamo aperto il nostro The Morning Brief che i Clienti ricevono in esclusiva con l’immagine qui sopra. Che parla di turning point. E che si domanda:

se non sei capace di cogliere i punti di svolta, allora perché hai un lavoro in Finanza?

che poi è proprio la domanda che voi dovreste fare al financial advisor, al private banker, al wealth manager ed anche al robo-advisor.

Dovreste chiedergli:

ma tu, a che cosa servi, esattamente? Che mestiere fai?

Mettetegli davanti l’immagine qui sotto, e chiedetegli

e allora, che cosa facciamo?

E per concludere, ci resta poi sempre il petrolio, che su La Repubblica ieri andava “verso i 100$”. Adesso che farà? sale? Scende?

E decide Biden?

Oppure Bin Salman?

Magari la Russia?

L’IRAN?

La Cina?

Magari decide la Ricciolidoro della fiaba, oppure Barbie?

Magari Elon Musk.

Ma soprattutto: visto il vostro attuale portafoglio, e la sua composizione nelle diverse asset class, a voi farà bene se sale oppure se scende?

Vi siete già fatti due conti, intanto che l’addetto alla pompa vi fa il pieno di gasoli per il motore Diesel?

Valter Buffo
La "doppia percezione": si vuole "tenere tutto fermo" proprio perché tutto si muove
 

E’ in corso il meeting a Cernobbio, e fino a questo momento la copertura dei media italiani è stata decisamente inferiore a ciò che di solito siamo abituati a vedere: il numero di servizi nei TG e di articoli in prima pagina è decisamente inferiore alla media.

Come si spiega?

Può darsi che ci siano meno cosa de dire e da discutere.

Oppure, questo tipo di “eventi” ha cominciato a venire a noia: in effetti, il clamore mediatico da sempre è di molte volte superiore ai contenuti del meeting. Si potrebbe anzi affermare che, nel corso di eventi di questo tipo, i partecipanti si sentano in dovere di dire il meno possibile, riservando gli interventi significativi ad altre sedi.

Oppure (terza ipotesi) la questa scarsa attenzione dei media corrisponde una generale tranquillità: si dice poco perché c’è poco da dire. Tutto è tranquillo, all’orizzonte, e non ci sono difficoltà da affrontare con urgenza.

Recce’d lascia ai suoi lettori il compito di risolvere questo dubbio. Al tempo stesso, con questo Post noi ci proponiamo di aiutare concretamente i lettori interessati a trovare la risposta giusta.

Partiamo proprio dalla nostra amata Italia: è corretto guardare al futuro (anche immediato) della nostra economia come se all’orizzonte non ci fosse alcun serio ed urgente problema da risolvere? E’ corretto presentare l’attuale situazione dell’Italia come se l’Italia fosse un’economia tutto sommato stabile? Si può dire che il solo, grande problema sia il rapporto con l’Unione Europea, e quindi i fondi che arrivano con il Pnrr e poi il Patto di Stabilità?

Leggendo il resoconto giornalistico che segue, si ricava proprio questa impressione.

CERNOBBIO — Per il nuovo Patto di stabilità probabilmente è meglio aggiornarsi all’anno prossimo, per evitare “esercizi provvisori” e partire finalmente nel 2025 con un Patto nuovo e definitivo, concordato con calma e stavolta davvero granitico.

Tecnicamente non è impossibile rivedere con un atto politico comune — così come un atto politico è stata la sospensione per il periodo pandemico — la decisione di reinstallare automaticamente il “vecchio” Patto con tutto il suo carico di penalizzazioni per il nostro Paese, al quale farebbe seguito l’anno dopo il nuovo Patto: più semplice prorogare ancora di un anno la sospensione.

È questa la posizione espressa un po’ a sorpresa da alcuni degli economisti, imprenditori e manager riuniti a Cernobbio per il Forum Ambrosetti.

La situazione spagnola

«Troppo complicato è a questo punto impostare la necessaria svolta perché questo diventi veramente un Patto di crescita, per prima cosa, e poi di stabilità che è una derivata della crescita», dice Vincenzo Boccia, imprenditore nel settore della stampa, già presidente della Confindustria e oggi a capo della Luiss.

«C’è un problema politico connesso con la complessa situazione spagnola: se continua l’attuale incertezza e non si riesce a formare un governo, è difficile che Madrid nel suo semestre di presidenza, che scade il 31 dicembre, riesca a risolvere un problema così complesso», aggiunge Enrico Giovannini, più volte ministro, ordinario di Statistica economica a Tor Vergata.

La presidenza belga

«Il prossimo semestre sarà presieduto dal Belgio, Paese più o meno benigno nei nostri confronti come la Spagna, con una storia di debito pesante dal quale però è vero che si sono riscattati», riflette Brunello Rosa, docente alla London School of Economics e alla Bocconi.

«Insomma — aggiunge Rosa — potrebbe essere tentato di darci qualche lezione. In più c’è l’incognita della prossima Commissione, che sarà nominata dopo le elezioni europee di primavera e potrebbe essere espressione di una maggioranza di forze conservatrici tradizionalmente ostili all’Italia».

Ma quello che toglierà davvero tempo, dice a sua volta l’imprenditore Riccardo Illy, «sarà la determinazione delle cifre di cui non tener conto ai fini del debito/Pil. Sicuramente andranno inseriti fra queste gli investimenti per il miglioramento energetico».

Le regole fiscali

In ogni caso «non c’è dubbio che occorrano regole fiscali condivise — sintetizza Alessandro Terzulli, capo economista della Sace che presenterà oggi al Forum uno studio su Pmi e export — e che quelle in vigore prima della pandemia siano da cambiare».

Il negoziato (si riprende all’Ecofin fra due settimane) è bloccato su due posizioni. Una, alla quale aderisce (senza troppa convinzione) l’Italia, prevede che per il rapporto debito/Pil si intraprenda un negoziato one-on-one con la Commissione per stabilire piani di rientro “personalizzati”.

La paura del governo è che la Commissione acquisisca troppo potere a danno dal sacro sovranismo. La seconda posizione è quella classica tedesca, con cifre e percentuali prefissate e uguali per tutti (magari un po’ meno rigide che in passato) che offrano un riferimento preciso e ineludibile.

Gli sbilanci macroeconomici

«Ma i livelli di debito sono diventati così diversificati, e in grado davvero se mal gestiti di determinare sbilanci macroeconomici che coinvolgerebbero l’intera Eurozona, che è davvero difficile pensare a un parametro unico», obietta Rosa.

Per Giovannini l’urgenza è un’altra: «Qualsiasi sia la formula scelta, bisogna che la Commissione si metta in grado, e inserisca le modalità nel nuovo patto, di prevenire le conseguenze di eventi violenti e prolungati come la pandemia e la guerra, di fronte alle quali pur con importanti successi si è trovata spesso in difficoltà».

Giovannini, che è portavoce dell’Associazione per lo sviluppo sostenibile, puntualizza che già nei trattati formativi dell’Ue si parlava di “deducibilità fiscale” per terremoti o alluvioni, «ma ora bisogna assolutamente aggiungere gli interventi sul dissesto idrogeologico e la mitigazione di tutti gli altri disastri ambientali: costa meno che intervenire a tragedia compiuta».



La questione, per noi investitori, che tutti abbiamo nel nostro portafoglio titoli posizioni su asset italiani, non si tratta di una questione marginale. Al contrario, è decisivo capire se è questa una rappresentazione corretta dello stato attuale dell’economia e della finanza in Italia, oppure se questo tipo di resoconti fa parte di un dibattito di tipo politico.

Un dibattito politico che si svolge a lato dell’evoluzione della realtà: della realtà dell’economia e della realtà della finanza nazionale.

Su questo si è espresso, in una intervista a La Repubblica, Mohamed El Erian.



CERNOBBIO — «L’Italia rischia grosso nell’attuale momento di sbandamento di alcune delle economie per lei più importanti. È più che mai necessario che trovi al suo interno le forze, la coerenza e la capacità progettuale per risollevarsi». Mohamed El-Erian, presidente del Queen’s College di Cambridge («quello in Inghilterra, l’unico Cambridge che esiste», scherza), conosce bene l’economia del nostro Paese («questo è il mio decimo Cernobbio»). Dalle sue parole traspare un misto di paura e speranza quando gli leggiamo il dato negativo sul Pil: -0,4% nel secondo trimestre, peggio del -0,3% valutato inizialmente dall’Istat.

Questo brusco arretramento del Pil si affianca alla crescita zero della Germania, che peraltro ha conosciuto già una lieve recessione quest’inverno. Cattivi segnali?

«Pessimi. La Germania paga per l’eccessiva dipendenza dall’energia russa, e ora per la debacle cinese. Ecco, se dovessi stilare una classifica partendo dal basso delle economie mondiali partirei dalla Cina, in condizioni davvero precarie, poi la Germania, quindi l’Eurozona per cui la Germania è l’economia-guida, e al vertice l’America che è riuscita a evitare la recessione, non solo ma sta progredendo. L’accelerazione dell’America è una delle poche grandi sorprese positive in questo momento».

L’Europa riuscirà nella stessa operazione?

«Non è sicuro. I serrati rialzi imposti dalla Bce devono ancora dispiegare tutti i loro effetti, positivi ma specialmente negativi. Purtroppo i mali della locomotiva tedesca si riverberano a catena. La locomotiva sta marciando all’indietro: la buona sorpresa è semmai che ancora non ha trascinato in basso tutti gli altri».

Cosa deve fare l’Italia per schivare questa minaccia?

«Una cosa è certa: l’Italia è sensibile a quanto succede sia in Cina che in Germania, molto di più di quanto non sia sensibile a quello che succede negli Stati Uniti. Un’altra certezza è che deve farcela con le sue forze, che non sono poche, anzi, ma sicuramente sottoutilizzate. Ci sono pochi Paesi così intrinsecamente ricchi come l’Italia, con la sua industria e non dimentichiamoci con il turismo che è una permanente macchina da soldi. Potrebbe fare molto di più: mi dà l’impressione invece di una macchina da corsa che va sempre con la seconda ingranata e non riesce ad alzare la marcia».

Rischia di essere trainata verso il basso?

«Esatto. Pensate a Paesi che sono diventati esempi di successo senza nessuna risorsa iniziale, come Singapore dove tutto è dovuto alla buona gestione. Così l’Italia: il suo salto di qualità è funzione di quello che riuscirà a fare il governo, che deve assumere un ruolo trainante nell’impostare gli investimenti privati, interni e provenienti dall’estero, in favore dei settori più avanzati in grado di guidare la modernizzazione le cui basi peraltro già possiede: hi-tech, meccanica strumentale avanzata, intelligenza artificiale, fonti energetiche sostenibili».

Questo “traino” dovrà avvenire con incentivi?

«Anche, affiancati però da politiche ben finalizzate e infrastrutture adeguate. Il tutto deve incentivare la produttività, dopodiché i risultati saranno esponenziali. Gli Stati Uniti hanno imbracciato decisamente quest’esigenza con particolare riferimento alla sostenibilità, e hanno varato l’Inflation Reduction Act. I risultati già si vedono».

L’Europa con il NextGenEU ha lanciato un programma analogo.

“Ma sul suo successo grava l’incertezza applicativa in alcuni Paesi primo fra tutti l’Italia, e poi l’incompleta realizzazione dell’Europa. È come una sedia con quattro gambe: l’unione monetaria, l’unione fiscale (nel senso anglosassone di convergenza delle politiche di bilancio, ndr), l’unione bancaria, un processo comune di “decision making”. Solo la prima di queste gambe è solida: e la sedia così non si può reggere».


Come avete appena letto, Mohamed El Eria esprime una visione decisamente diversa da quella che era presentata nel precedente articolo. Non esiste solo il Patto di Stabilità.

Non solo questa visione di El Erian è decisamente meno centrata sull’Europa, e meno centrata sulla politica nazionale, ma si intravede anche un livello più elevato di fragilità.

Dove nel primo intervento si vedeva una situazione “tutto sotto controllo, nessuna emergenza, servono solo pochi ritocchi politici”. Qui si legge invece di una situazione fragile, che rapidamente potrebbe andare al “fuori controllo”.

Come già detto, lasciamo a chi ci legge di scegliere quale posizione assumere nel proprio portafoglio titoli: noi di Recce’d sui portafogli modello le scelte le abbiamo fatte, e a tempo debito, che vuole dire MOLTI mesi fa, quando in effetti dovevano essere fatte.

Oggi, è comunque tardi.

Per chiudere il Post, però, vogliamo uscire allo scoperto: non vogliamo nasconderci, e prendiamo una posizione in pubblico. Così che i nostri lettori possano, tra tre mesi, tra sei mesi, tra dodici mesi, ripresentarci questo Post e chiederne conto.

Non è una novità: Recce’d da sempre si espone a questo tipo di verifiche ex-Post: ad esempio, con grande regolarità noi mettiamo a confronto i risultati ottenuti dai portafogli modello e quindi dai nostri Clienti con quelli dei Fondi Comuni Flessibili, dei Fondi Comuni Bilanciati, di tutte le GPM che sono offerte ai risparmiatori in Italia, ma pure con quelle del Fondi di tipo Hedge.

In questo momento, ognuno di questi confronti per noi è favorevole: ma se anche in futuro non fosse favorevole, noi continueremo a fare questo raffronto come minimo una volta al mese ed ogni volta che è necessario.

Torniamo però al tema del Post, e (come scritto sopra) prendiamo una posizione.

Lo facciamo utilizzando il lavoro di un notissimo giornalista italiano, Ferruccio De Bortoli, che ha voluto questa settimana sottolineare sul proprio quotidiano (Corriere della Sera) il grande numero di argomenti che vengono, in questo momento, trascurati dalla massa degli investitori.

Come le sue parole, De Bortoli si colloca più vicino ad El Erian qui sopra, piuttosto che all’atteggiamento di chi è stato intervistato nel primo articolo di questo Post.

Trovate più sotto le nostre considerazioni conclusive.


Uno dei temi più appassionanti, e per certi versi inquietanti, di questa ripresa riguarda la doppia percezione dei fenomeni globali. Non solo a livello di opinione pubblica ma anche e soprattutto da parte dei grandi gestori di fondi che hanno a che fare poi con i nostri risparmi.

La domanda di fondo è la seguente: si può pensare realmente che la perdita di peso specifico globale delle democrazie e delle economie di mercato non abbia in prospettiva un impatto rilevante sul benessere reale di una parte del mondo in affanno se non in ritirata?

Sul piano geopolitico l’allarme è elevato. Al di là di una guerra alle porte dell’Europa che continua e della quale ci si interessa sempre meno, nonostante un andamento tutt’altro che favorevole per Kyiv, destano forti timori le tensioni crescenti nel Pacifico e le preoccupazioni sull’accerchiamento cinese di Taiwan. Pechino, nonostante le frenata della propria economia, è poi capofila della nuova stagione, allargata potenzialmente ad altri sei Paesi, dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa).

Al contrario, sul versante più strettamente finanziario e dell’andamento dei mercati sembra solo una questione di inflazione troppo alta e di tassi d’interesse. Lo testimoniano i lavori del tradizionale incontro dei governatori centrali a Jackson Hole.

Economie di mercato che hanno subito ben due choc imprevisti (la pandemia e la guerra), sembrano volersi concentrare unicamente sulle questioni di crescita e di transizione energetica e digitale, quasi a esorcizzare pericoli di altra natura che però non sono del tutto scomparsi, per esempio una guerra tra valute e il debito, soprattutto dopo l’esplosione della bolla immobiliare cinese con le difficoltà di Evergrande — che ha chiesto la protezione dai creditori negli Stati Uniti -—e Country Garden.

Ma l’alto livello di indebitamento pubblico e privato non costituisce per il momento un’emergenza generale. Anzi, c’è un discreto consenso sul fatto che la lotta al riscaldamento climatico richiederà nuovi debiti, sottovalutando forse la loro sostenibilità per alcuni Paesi (Italia compresa). Ricapitolando, da una parte vi è la preoccupazione crescente per gli equilibri strategici e per la relativa perdita di peso dei Paesi del G7 di fronte al dinamismo del cosiddetto Global South, per l’allargamento del fronte dei Brics che attenua l’isolamento internazionale di Putin e accresce la leadership cinese.

La minaccia fantasma al dollaro

Ma se la frammentazione politica inquieta, quella economica e finanziaria lo fa assai meno. La minaccia di sostituire il dollaro in alcune delle transazioni che interessano le materie prime energetiche e rare, in gran parte dominio dei regimi autoritari, è stata poco più che una boutade, ma nasconde comunque l’intenzione politica, che non andrebbe sottovalutata, di essere meno dipendenti dal dollaro. Con l’annunciato, ma non sicuro, ingresso nei Brics (come si chiameranno?) di Arabia Saudita, Emirati, Iran, Argentina, Egitto ed Etiopia, la nuova coalizione varrebbe il 36 per cento del prodotto interno lordo mondiale.

Lo scetticismo espresso da Ian Bremmer sul Corriere è condiviso dallo stesso inventore dell’acronimo Brics, Jim O’ Neill, che lo coniò all’inizio del secolo quando lavorava per Goldman Sachs. Ma è indubbio che sia in atto un movimento politico, confuso e contraddittorio finché si vuole, ma certamente alternativo e critico con l’Occidente, gli Stati Uniti e l’Europa. Difficile ritenere che tutto ciò non abbia ripercussioni di qualche natura anche sul mercato dei capitali. Eppure i grandi gestori non appaiono per nulla preoccupati. Forse perché la capacità di reazione agli choc è stata superiore a ogni più rosea previsione.

La risposta dell’industria farmaceutica occidentale al Covid è stata incomparabilmente più efficace di quella cinese o russa. Nessuno immaginava che l’Europa, e segnatamente l’Italia, potessero liberarsi così presto dal ricatto energetico russo. E ancora nessuno prevedeva che la penuria dei chip, dei semiconduttori, che l’Occidente non produceva da tempo, si trasformasse in così poco tempo, in una potenziale abbondanza d’offerta, grazie anche alla minore attività di mining, la dispendiosa, soprattutto sotto il profilo energetico, attività di creazione di criptovalute. Danilo Taino sul Corriere ha spiegato con chiarezza come periodicamente l’idea di sostituire il dollaro faccia capolino in stati che vogliono contrapporsi o distinguersi ancora di più dal potere occidentale e americano.

La svolta brasiliana

La svolta di Lula è per certi versi clamorosa, soprattutto nell’avvicinamento a Putin. Tra l’altro, a dimostrazione della relativa compostezza del fronte dei Brics allargato, si segnala che i maggiori disinvestimenti in titoli cinesi, per il timore di un effetto domino, sono avvenuti proprio dai partner vecchi e nuovi di questo gruppo del Global South. È vero che il peso del dollaro negli scambi internazionali è diminuito secondo i dati del Fondo monetario. Le riserve mondiali erano al 79% in dollari nel 1999, sono scese al 59%o nel 2022.

La corsa tecnologica dei Brics

Gli Stati Uniti hanno congelato, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, metà delle riserve valutarie russe in dollari. E altrettanto hanno fatto con altri Paesi sotto sanzioni, come l’Iran. Ritorsioni politiche che saranno sempre più difficilmente attuabili, in altre condizioni. Non certamente contro la Cina che continuava a possedere, a fine dicembre 2022, seppur in discesa rispetto al massimo del 2010, circa 860 miliardi di titoli del debito pubblico americano. «Sull’importanza crescente dei Brics conservo qualche nota di scetticismo — dice il filoso e analista geopolitico Alessandro Aresu, autore de Il dominio del XXI secolo, edito da Feltrinelli — sono soprattutto una potenza demografica. L’India di Modi, che ha appena conquistato il polo sud della Luna e tra l’altro registra lo spostamento rilevante di una parte di produzione di Apple dalla Cina, la cui economia è in vistoso rallentamento, non è in sintonia politica, religiosa con gli altri partner.

Le differenze di varia natura sono rilevanti. Però è vero che il G7 è sempre meno rappresentativo degli equilibri mondiali e questa frammentazione si rifletterà inevitabilmente sugli obiettivi di decarbonizzazione e sul rischio di dipendenza dalla Cina per alcune tecnologie essenziali nella transizione, come l’elettrico e il solare. Ma negli ultimi tempi si è notato un discreto spostamento di produzioni manifatturiere da Pechino verso la Thailandia, il Vietnam e l’Indonesia, il cui peso nell’economia mondiale è cresciuto ben oltre quello di alcuni membri dei Brics».

Il dollaro e la nuova guerra delle valute

«Ciò che mi colpisce — commenta Ernesto Paolillo che è stato a lungo presidente del Forex, cioè degli operatori su valute e cambi — è notare come grandi gestori di asset management, banche commerciali, istituzioni che investono molto nella ricerca, nell’era dell’intelligenza artificiale, trascurino del tutto i pericoli che possono derivare, nel campo delle valute, da una nuova fase della conflittualità mondiale. Eppure negli ultimi tempi abbiamo assistito alla svalutazione della moneta cinese, per non parlare del rublo che conta poco, il dollaro appare sovrappesato rispetto all’euro. Le coperture sui rischi di cambio sono pressoché inesistenti. E oggi i derivati per proteggersi costano poco, anche per la modesta volatilità dei mercati. Una situazione che però non è destinata a durare nel tempo».

Come sapete bene, il lavoro di Recce’d per i suoi lettori, ma soprattutto verso i nostri Clienti, NON è quello di “informare”.

Recce’d NON fa “informazione”, come invece fanno i tre articoli che avete appena letto.

Recce’d per mestiere utilizza i tre articoli, e migliaia di altre informazioni, per ottenere dai propri modello una performance eccellente (nel confronto con tutti le possibili alternative di investimento disponibili) a rischio rigidamente controllato (in termini di oscillazione del valore del portafoglio e di minusvalenze).

I tre articoli che avete appena letto, da questo punto di vista, sono ricchissimi di spunti, che devono poi essere tradotti da Recce’d (ed anche da voi lettori di Recce’d) in pratica operativa, ovvero in scelte di portafoglio.

In questo specifico momento, le nostre scelte operative:

  1. danno poca importanza a quanto viene detto nel primo dei tre articoli

  2. attribuiscono maggiore importanza invece a ciò che dice El Erian nel secondo articolo

  3. e danno infine GRANDE importanza a ciò che ha scritto De Bortoli

Questo (chiariamo subito) NON significa che ciò che De Bortoli scrive noi abbiamo fatto: non è così. Noi abbiamo invece UTILIZZATO ciò che De Bortoli scrive (insieme con altri elementi di valutazione) per confermare oppure modificare le scelte per i portafogli modello di Recce’d.

In particolare, abbiamo utilizzato questi passaggi che mettiamo per voi lettori in evidenza:

  • La domanda di fondo è la seguente: si può pensare realmente che la perdita di peso specifico globale delle democrazie e delle economie di mercato non abbia in prospettiva un impatto rilevante sul benessere reale di una parte del mondo in affanno se non in ritirata?

  • Economie di mercato che hanno subito ben due choc imprevisti (la pandemia e la guerra), sembrano volersi concentrare unicamente sulle questioni di crescita e di transizione energetica e digitale, quasi a esorcizzare pericoli di altra natura che però non sono del tutto scomparsi, per esempio una guerra tra valute e il debito

  • Ma è indubbio che sia in atto un movimento politico, confuso e contraddittorio finché si vuole, ma certamente alternativo e critico con l’Occidente, gli Stati Uniti e l’Europa. Difficile ritenere che tutto ciò non abbia ripercussioni di qualche natura anche sul mercato dei capitali.

  • notare come grandi gestori di asset management, banche commerciali, istituzioni che investono molto nella ricerca, nell’era dell’intelligenza artificiale, trascurino del tutto i pericoli che possono derivare, nel campo delle valute, da una nuova fase della conflittualità mondiale

E voi, amici lettori, che cosa giudicate rilevante, per la vostra attuale posizione del portafoglio titoli? Che posizione avete preso, su temi come questi?

Valter Buffo