Cinque anni di "politiche non convenzionali" hanno non solo gonfiato i prezzi degli assets finanziari in tutte le categorie, ma anche aumentato a livelli che non hanno precedenti il grado di correlazione tra tutte le maggiori asset classes. Il fenomeno che i media hanno etichettato "risk on - risk off" è proprio la (ormai consolidata) tendenza dei maggiori mercati a salire e scendere tutti insieme. Di questa situazione hanno beneficiato, fino ad oggi, gli investitori finali, che hanno visto la loro ricchezza finanziaria crescere (almeno sulla carta dei prospetti che riportano la situazione dei loro portafogli), ma anche le banche che intermediano i titoli e le case che vendono fondi comuni ed altri prodotti finanziari. Queste ultime due categorie hanno già messo in tasca le loro commissioni (e in contanti) e di certo non restituiranno nulla se i mercati nel 2014 dovessero invertire la rotta: agli investitori finali, invece, resterà il difficile compito di districarsi tra posizioni di portafoglio che spesso sono molto frammentate, ma soltanto nell'interesse di chi vende. La diversificazione, infatti, in questo nuovo "mondo non convenzionale" serve a poco o nulla.
Poco più di un mese fa abbiamo segnalato la ricomparsa, anzi il ritorno al centro delle analisi, del "premio al rischio" di cui godrebbe la Borsa rispetto alle obbligazioni: nelle ricerche della banche di investimento, nel corso del 2013, l'argomento torna con frequenza sempre maggiore, prendendo il posto di altri argomenti (crescita escape velocity, crescita degli utili aziendali sopra il 10%) che sono stati smentiti dai fatti. Ripetiamo che il "premio al rischio" sarebbe la differenza tra il rendimento "atteso" dall'investimento azionario e il rendimento nominale delle obbligazioni. In questo momento di mercato, il rendimento delle obbligazioni è compresso a livelli artificiali dagli acquisti di titoli obbligazionari da parte delle banche centrali, e per questo la differenza o "premio" rimane molto elevata. Questo argomento è un pericoloso equivoco, come abbiamo già scritto poco più di un mese fa, e vogliamo mettere in evidenza due ragioni: la prima è che il "premio al rischio" viene calcolato allo stesso modo sia che l'indice della Borsa USA sia a 1200 punti, sia che si trovi a 1750 punti: il "rendimento atteso" non tiene conto del livello assoluto del mercato, e questo è un errore grave, come in molti hanno già messo in evidenza; il secondo, gravissimo equivoco, è pensare che il rendimento medio storico della Borsa sia destinato a ripetersi anche nei prossimi dieci o venti anni. E questa è una previsione quanto meno azzardata, visto che negli ultimi 12 anni, per ben due volte, l'indice S&P500 ha toccato gli 800 punti.
Questo video descrive, in modo sintetico ma efficace, la trappola in cui si trova la politica di Ben Bernanke, costretto a prolungare all'infinito la politica di QE, anche di fronte ai gravi rischi creati dalle distorsioni macroscopiche sui mercati finanziari.
La Grande Depressione che si è avviata nel 2007 con la crisi dei money market funds non si è ancora chiusa, e al contrario è presente oggi, più che due anni fa, il rischio di un peggioramento del quadro (sia finanziario, sia per l'economia reale). Cinque anni di politica ZIRP e quattro anni di politica QE hanno prodotto nulla: ed è giustificato chiedersi, a questo punto, se al di là di evidenti errori di giudizio individuali non sia anche responsabilità di vecchi schemi e metodi, modi di pensare e convinzioni, insomma di un paradigma superato dai tempi. Convinzioni, che molti ritengono di "senso comune" (common sense) quando invece sono solo il prodotto di vecchie teorie economiche e vecchi modi di pensare. Alcuni esempi? Tra i più evidenti degli ultimi anni, c'è l'impulso agli investimenti che arriverebbe dai bassi tassi di interesse (c'è chi sostiene, autorevolmente, che è tutto il contrario), e il fatto che la stabilità favorisce la produttività dell'economia reale e l'incertezza è il peggior nemico degli investitori. Da questo punto di vista, sembra respirare un'aria da Vienna all'inizio del XX secolo.
In questo blog il 22 aprile abbiamo scritto dei rendimenti di lungo periodo: è utile riprendere l'argomento utilizzando un recente articolo sulle medie storiche. Utile, e anche divertente, è il leggere la ricostruzione del tipico argomento commerciale utilizzato per "piazzare" portafogli bilanciati di fondi comuni di investimento. Si fa osservare che
Based on the previous fifty or eighty years’ worth of data, an Englishman in 1910 would have concluded that Britannia would always rule the waves. A Frenchman in 1788 would have concluded that France would always be a monarchy. A Papal advisor in 1515 could have used 1,000 years’ of data to conclude that the Vatican would remain the supreme power in Europe indefinitely. Intelligent men and women did exactly this, in their millions.
L'articolo inoltre cita fonti scientifiche che hanno prodotto abbondante evidenza sulle distorsioni indotte da queste medie storiche: in questo post ci limitiamo a segnalare un ampio lavoro di Mebane Faber che sottolinea l'importanza di avere il controllo del maximum drawdown. Ma senza bisogno di scomodare l'accademia, è la semplice osservazione dei mercati che ci dice che oggi è non solo inutile, ma dannoso costruire il portafoglio sulla base delle medie storiche di rendimento e rischio: i fatti osservati nel mese di giugno 2013 sono una conferma evidente.