Longform'd. Fight the Fed! (parte 1)
Quello che vi presentiamo in questo Post è una anteprima. La seconda, dopo quella che avete visto nel mese di agosto.
In questo Post, potete infatti vedere il formato di una nostra nuova serie di pubblicazioni. La nuova serie, che si chiama appunto Longform’d), fa parte di un certo numero di nuove iniziative di comunicazione che Recce’d lancerà nel prossimo trimestre.
Nel Longform’d, noi manterremo il nostro solito stile, asciutto, to the point e legato all’attualità dei mercati finanziari: ma andremo più a fondo. La situazione nella quale investiamo i nostri soldi è seza precedenti, e richiede analisi di maggiore ampiezza: tutto ormai è correlato.
Non troverete alcuna indicazione operativa in Longform’d: quelle sono ovviamente riservate ai nostri Clienti.
Si tratta di un tipo di analisi che oggi non potete trovare in alcuna altra sede. Non lo trovate leggendo i quotidiani, oppure seguendo le TV specializzate, e soprattutto non lo trovate nel materiale pubblicitario delle Reti che vendono Fondi Comuni.
Per i primi episodi, questi Longform’d verranno messi in modo gratuito a disposizione del pubblico.
Poi, sarà introdotta una formula a pagamento: sia perché il lavoro si paga, sia per scoraggiare i perditempo, sia per non fare un favore ai venditori, che ogni giorno sono alla disperata ricerca di un nuovo argomento per “piazzare la merce”.
Nel Blog, abbiamo deciso di presentare ai lettori questo secondo Longform’d diviso in due Post successivi, per facilitarne la lettura.
A fronte di fatti senza precedenti, come la pandemia che ci ha colpiti nel 2020, ognuno di noi, in qualsiasi posizione lavorativa e sociale, si ritrova costretto ad improvvisare una reazione, a dare una risposta ad un’emergenza che non esiste nei libri di testo, neppure nelle migliori Università.
Di fronte alla pandemia, molte persone hanno scelto di schierarsi su posizioni estreme: da un lato il terror panico e la fobia, ed all’estremo opposto la negazione di chi sostiene che “non è importante, e non bisogna cambiare stile di vita”
Esponenti politici di primo piano hanno assunto un atteggiamento del secondo tipo: in particolare negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Brasile. Molti uomini politici, e personaggi noti ai media, lo hanno fatto anche in Italia. Non ha detto bene a loro, almeno fino a oggi 25 ottobre 2020.
Ma in situazioni come queste, che sono senza precedenti, c’è da mettere in conto la comparsa di atteggiamenti estremi, perché disperati: hai paura e non sai più di chi fidarti.
Ci si può fidare soltanto del tempo. Il tempo mette a posto ogni cosa, e con il tempo i fatti forniscono le risposte: di chi puoi fidarti e di chi avresti dovuto fidarti fin dall’inizio.
Come declinare queste considerazioni, analizzando la situazione dei mercati finanziari internazionali?
I mercati finanziari esprimono ogni giorno il loro modo di vedere, molto più tempestivi di qualsiasi sondaggio di opinione.
Ma attenzione: i prezzi che tutti i giorni vedete sui mercati finanziari non riflettono unicamente delle libere opinioni. I prezzi sui mercati finanziari esprimono un “modo di vedere le cose” che è gravemente condizionato dagli interessi economici particolari.
Il mercato dei titoli finanziari fino ad oggi è stato dominato da operatori che possono offrire ai Clienti, e guadagnare, soltanto dalle posizioni cosiddette LONG: compera la Borsa, compera le obbligazioni, compera le valute. vendere? mai. Si tratta di operatori che devono “vendere la merce”, “piazzarla” all’investitore finale. E la merce sono i Fondi Comuni di investimento, le polizze Unit Linked, i certificati. Si devono vendere all’investitore (anche agli investitori istituzionali, ovviamente, come i Fondi Pensione e le assicurazioni) , come dice la Direzione Commerciale: e riuscire poi a non farlo mai uscire, a non farlo mai vendere.
Ecco spiegata in modo semplice per la quale, in questo 2020, dopo la forte caduta del mese di marzo sia le azioni sia le obbligazioni sono tornate sui prezzi massimi di sempre. Nella sua ingenuità, lo ha spiegato benissimo il Presidente Donald J. Trump, che dice “Prezzi di Borsa più alti fanno tutti più ricchi”, e non importa se a quei prezzi corrisponde effettivamente un sottostante che ha un maggiore valore, oppure se si tratta di prezzi costruiti … sull’aria. Se quando poi vai a vendere quell’asset finanziario, ci ricavi dei soldi ma non c’è nulla da comperare.
Si spiega in questo modo il fatto che tra aprile e giugno il mercato ha puntato tutto su una ripresa a V, e quindi su una rapida soluzione di ogni problema, epidemia inclusa. Senza avere alcun fondamento o alcuna ragione solida a sostenere questo punto di vista.
Poi, da giugno ad oggi, tutto si è fermato sui mercati finanziari. Ed è ritornata anche l’epidemia. Adesso, che cosa succederà?
Per rispondere a questa domanda, partiremo da una premessa che è necessaria. Forse, avete sentito qualcuno affermare che i consulenti indipendenti prendono posizioni critiche al solo scopo di attirare l’attenzione: perché cercano il clamore che richiama l’interesse. Forse, qualcuno tra i nostri lettori ha pensato in qualche occasione che Recce’d assume troppo spesso posizioni negative, oppure critiche, oppure tutte e due.
Noi, in Recce’d sappiamo che non è così: e lo possiamo dimostrare molto facilmente, e a chiunque: sarà sufficiente, proprio per chiunque, ritornare indietro di qualche anno, e leggere quello che c’è scritto qui, in questo stesso Blog, ed in pubblico, e da anni, Poi rispondete voi stessi, da soli: siamo forse stati troppo pessimisti? Oppure Recce’d è stata realista, mentre chi vi ha detto, e ripetuto, in modo insistente, che tutto va bene e che non esistono dubbi sul futuro è alla meglio un ingenuo, ed alla peggio un imbroglione?
Ma torniamo a noi: in Recce’d sappiamo di non essere pessimisti. Anzi, la posizione di Recce’d è decisamente ottimista in questo 2020: noi siamo pienamente fiduciosi nella forza del libero mercato e della libera economia, che senza ombra di dubbio saprà creare nuove ed enormi opportunità travolgendo un sistema economico ormai spinto ai limiti della collettivizzazione, sul modello dell’economia collettivizzata di Krushev e Breznev
Ed infatti, Recce’d ripete da anni che le opportunità di guadagno sono enormi, ed in questo 20’20 del COVID-19 le opportunità di investimento sono le maggiori degli ultimi 100 anni; e siamo molto, molto ottimisti e fiduciosi, perché i nostri Clienti queste opportunità le potranno cogliere.
il punto, è capire come.
Per questo, è necessario ritornare a quelli che dicono che chi è scettico, chi è critico, che non porta il proprio cervello all’ammasso e sceglie di guardare in faccia la realtà è un pessimista, magri uno jettatore, uno che vuole per forza vedere tutto nero
C’è chi dice che sono in particolare gli indipendenti, ovvero i gestori (quali siamo noi di Recce’d) ed i consulenti che hanno scelto la strada dell’indipendenza dalla grande industria del risparmio, a puntare tutto sul pessimismo, sul sottolineare i rischi, e sul non volere accettare che “tutto andrà bene”
A tutti questi amici, che diffondono questa idea tra il pubblico dei risparmiatori, a tutti questi “autorevoli” opinionisti, anche a quelli interessati, noi regaliamo qui di seguito un articolo pubblicato dal Financial Times la settimana scorsa
Questo articolo lo ha scritto un professionista del settore: ma non è un gestore ovvero un consulente indipendente: no, chi scrive qui è lo strategista (senior) di una delle più grandi banche internazionali, ovvero HSBC: leggete e ripensate a quello che noi abbiamo appena scritto qui sopra. Noi commenteremo dopo che avete letto
The deficit reality is that we are in effect borrowing from our collective economic futures
Stephen King OCTOBER 22 2020 The author is HSBC’s Senior Economic Adviser and author of ‘Grave New World’
In a world in which government debt is rapidly rising, it’s hardly surprising that there’s growing interest among investors in Modern Monetary Theory. After all, one of its central claims is that budget deficits are, from a financing perspective, an irrelevance. So long as increased government borrowing doesn’t lead to inflation — and, at the moment, there really isn’t much of it around — we can all afford to relax. As Stephanie Kelton notes in her book The Deficit Myth, governments with access to a printing press are “currency issuers” (exceptions include, most obviously, members of the eurozone). As such, all their spending could, in principle, be financed via the creation of cash. Taxes may serve other purposes — the redistribution of income and wealth, the discouragement of “sinful” behaviour — but, in the world of MMT, they serve no useful macroeconomic role.
In the real world, however, taxes are crucial. The fundamental difference between government finances and those of companies and households is not access to a printing press but, instead, the coercive power to raise taxes. A company making a severe loss cannot reduce that loss by imposing taxes on everyone else. A government can. A worker receiving a pay cut cannot force others to make up the difference. A government can. Armed with this knowledge, creditors are understandably willing to accept mostly lower returns on government bonds than on other investments.
Put simply, the risk of government default in the face of an adverse economic shock is lower than for other would-be borrowers. Admittedly, there are limits, dictated largely by the political capacity of a government to raise revenues in difficult circumstances. Emerging markets often end up resorting instead to devaluation, default or inflation. In anticipation, borrowing costs spike. Still, imagine for a moment that governments embrace MMT. Imagine too, as MMT proponents suggest, that control of the printing press is taken away from unelected central bankers and given to “accountable” elected fiscal representatives. Would we be any better off? Far from it. Giving elected representatives the keys to the printing press is the equivalent of giving a gambling addict the keys to the casino. For many politicians, the primary objective is to remain in power. As such, they will too often be incentivised to pursue instant gratification at the expense of longer-term stability.
In the early-1970s, the UK embarked on what became known as the “Barber boom”, thanks to the efforts of Conservative chancellor of the exchequer Anthony Barber to engineer an election victory in 1974. As it turned out, the Tories lost and, two years later, the UK ignominiously had to accept a bailout from the IMF. Central bank independence provides a useful bulwark against such behaviour. More importantly, inflation and taxes are, in many ways, simply two sides of the same coin. Those governments without access to tax revenues can instead “debase the coinage”. Supporters of MMT claim this will never happen, yet history suggests otherwise: after all, it has been a tried and tested policy of kings and queens over hundreds of years. Too often, those with access to the printing press are prepared to take undue risks in the hope that “this time it’s different”. Recommended Martin Wolf The threat of long economic Covid looms In truth, inflation helps solve the financing issues that proponents of MMT claim no longer exist.
Negative real interest rates, a result of higher-than-anticipated inflation, serve to redistribute wealth away from private creditors (pensioners, for example) to public debtors. Much the same could be achieved through a wealth tax. At this point, we come full circle: the distinction between the printing press and taxes begins to break down. Thanks to Covid-19, government debt is rising rapidly and, for that matter, appropriately. In the face of recurring lockdowns, we are better off allowing companies and workers to enter a period of economic “hibernation” in the hope that, once the virus is under control, they can thaw out. The alternative of multiple business failures and mass unemployment is of no use to anyone. In the process, however, we are in effect borrowing from our collective economic futures.
At some point, some of us will be presented with a bill which, if hibernation policies succeed, we will be in a reasonable position to pay. The political process will decide whether that bill comes in the form of higher taxes, more austerity, rising inflation or eventual default. That, I’m afraid, is the deficit reality.
Ci sono numerosi riferimenti alla teoria MMT, in questo articolo. Se interessati, potete leggere ciò che Recce’d ha scritto su MMT, qui nel Blog oppure su SoldiOnline.it, negli ultimi anni. Ma anche se non lo fate, la comprensione di questo Longform’d è in ogni caso possibile.
Chiusa la parentesi MMT, torniamo a noi. Nelle parti dell’articolo che abbiamo evidenziato in grassetto, lo strategista di HSBC ci offre uno spunto utilissimo, per ritornare al nostro primo Longform’d, quello di due mesi fa
E qui chiudiamo la premessa (troppo lunga?) ed entriamo nel merito del nostro secondo Longform’d, che è quello anticipato dal titolo. Sia il titolo di oggi, sia il titolo di agosto.
Un investitore consapevole, in questa parte finale del 2020, deve rendersi conto che le Banche Centrali oggi sono il peggiore nemico della propria sicurezza finanziaria, e della stabilità del proprio portafoglio di investimenti. E deve agire sul proprio portafoglio nel modo che ne consegue.
Dopo alcuni decenni di “Don’t fight the Fed” ora il nuovo imperativo è quello opposto, per qualsiasi investitore: “Fight The Fed”
Come già chiarito, nel precedente Longform’d, noi di Recce’d scriviamo soprattutto a proposito della Federal Reserve americana non per il gusto dell’esotico, bensì perché la BCE ormai conta poco, per i mercati finanziari e quindi per i nostri investimenti. E la Banca del Giappone conta nulla. Entrambe, la BCE e la BoJ, sono costrette in un angolo, da cui non possono uscire, e quindi sono impotenti. Se voi seguite con una certya regolarità i mercati finanziari, ve ne sarete sicuramente resi conto: sui quotidiani ed ai TG la BCE occupa sempre la prima pagina, ma se poi andate a vedere la reazione dei mercati alle mosse della BCE (dopo una settimana, un mese oppure un anno) non trovate mai nulla.
La sola Banca Centrale le cui mosse possono oggi influenzare il rendimento dei nostri investimenti è la Banca di Cina. Oltre alla Fed, naturalmente.
Nella situazione che oggi dobbiamo affrontare, e per le scelte che oggi dobbiamo fare per i nostri investimenti ed i nostri portafogli, è necessario avere una comprensione profonda di ciò che la Banca Centrale più importante del Mondo dice, e di ciò che poi fa (le due cose raramente corrispondono, come vedremo dopo).
Un esempio concreto: in questo preciso momento, è possibile comprendere perché le Borse hanno perso la loro centralità, e sono meno importanti di obbligazioni, valute e materie prime, soltanto se si ha capito nel dettaglio ciò che succede nel Magico Mondo dei banchieri Centrali.
Ma lasciamo da parte l’operatività sui portafogli. E procediamo con ordine, ripartendo dall’inizio. Che è il 2019.
la svolta ad U del 2019
Siamo certi che la gran parte dei nostri lettori non ricorda. ha dimenticato. Eppure, la nostra storia di oggi inizia proprio in quel gennaio 2019: è allora, nel gennaio 2019, che arriva il primo riconoscimento ufficiale che “abbiamo dei problemi”.
In modo ufficiale, si comunica al Mondo intero che “la più grande economia della storia” non è mai esistita, che ci sono forti rischi per la crescita delle economie, e per conseguenza che ci ci sono rischi per la stabilità finanziaria. Da dove arrivarono in quel gennaio, i segnali che portarono a questa marcia indietro precipitosa, ed anzi una vera e propria “svolta ad U”? Ovvio: dai mercati finanziari.
A spiegarlo, due anni fa, furono in coro la Banca del Giappone, la BCE, e naturalmente la Federal Reserve. Rileggiamo che cosa scriveva, il 2 febbraio 2019, il quotidiano Wall Street Journal
By Nick Timiraos
Feb. 2, 2019 7:00 am ET
The Federal Reserve reversed course earlier this past week when it put interest rate rises on hold, prompted by rising risks to U.S. growth in the months ahead, rather than any signs the economy’s health is faltering now.
Fed Chairman Jerome Powell signaled on Wednesday the central bank will move to the sidelines to see whether the threats—including from the slowing global economy, trade tensions and the effect of the Fed’s rate increases over the last two years—generate a sharper-than-anticipated slowdown for a U.S. economy that continues to look solid by most measures.
The Fed’s new stance marked a U-turn from six weeks earlier when it raised rates and penciled in two increases in 2019.
To understand what happened, consider the two risks officials have confronted over the past few years.
One is the risk that inflation accelerates as economic slack disappears, forcing the Fed to raise rates rapidly. This framework is embodied by the Phillips curve, which holds that tighter labor markets will drive stronger wage growth and faster price increases. While this relationship has broken down in recent decades, it strongly animates thinking inside the Fed.
The second risk is that a world of slower growth and an excess of savings over investment means the economy can’t tolerate interest rates as high as they used to be. This is sometimes called “secular stagnation.” It is one reason Japan’s aborted efforts to raise interest rates in the 1990s and early 2000s kept throwing its economy into recession.
After many years of historically slow U.S. growth, the economy accelerated last year. Fed officials began worrying more about the inflation risk, which under the Phillips curve framework called for lifting rates to pre-empt those price pressures. For more than a year, the unemployment rate has been at or below the bottom of a range—from 4% to 4.6%—that Fed officials estimate is consistent with stable inflation.
Why Investors Are Obsessed With the Inverted Yield Curve
Amid a shaky marketplace, investors are eyeing the yield curve for signs of economic stability. History shows that when the yield curve inverts, a recession may soon follow. Photo Composite: Stephanie Swart for The Wall Street Journal.
In addition, tax cuts and federal spending increases last year provided new economic stimulus. A similar episode during a low-unemployment spell in the late 1960s led to high inflation.
But this time, inflation hasn’t taken off, and has instead stayed just below the Fed’s 2% target. With the economy facing new headwinds, Mr. Powell said Wednesday the inflation risks had diminished—and with it, the need for additional, pre-emptive rate rises.
“They have shifted to being more worried about secular stagnation than they are about the risk of late-‘60s inflation,” said Lewis Alexander, chief U.S. economist at Nomura Securities.
While global growth had shown signs of stumbling last year, data for Europe and China turned worse last fall. One problem for the Fed is that its main macroeconomic model doesn’t neatly account for global economic and financial linkages that began buffeting markets last year, said Andrew Levin, a former Fed adviser who now teaches at Dartmouth College.
“You’re in an environment where U.S. rates seem low but they’re actually high” compared to other rich economies, said St. Louis Fed President James Bullard in an interview.
Meanwhile, the Fed’s moves to raise rates had started to bite. Steven Blitz, chief U.S. economist at TS Lombard, traces the market’s recent swoon and the ensuing Fed pivot to late September, when the central bank pushed interest rates above the inflation rate for the first time in a decade.
For investors, higher rates meant something they hadn’t seen in a while: the ability to earn money holding cash. The return of cash as a viable asset class contributed to the repricing that has taken hold across other investment classes, said Mr. Blitz.
(…) Officials in early December had begun thinking about slowing their rate increases in 2019 and how to communicate this shift publicly.
They raised rates at their Dec. 18-19 meeting and sought to signal this milder policy path, said Mr. Bullard.
Their projections charted a shallower path of future rate increases. Mr. Powell tried to signal greater uncertainty about that path at his press conference. And the Fed’s policy statement watered down its language signaling future rate increases.
“All of that was not enough,” said Mr. Bullard.
Markets were already nervous about slowing global growth, trade tensions and the Fed’s rate plans before the December meeting. Investors turned even gloomier when Mr. Powell sounded more committed to tighter policy than many thought was warranted by the gathering growth risks.
Market volatility in the following days fueled a sudden rise in borrowing costs for businesses and households and falling stock prices. Short-term bond yields began rising above longer-dated yields, a so-called inversion of the yield curve that often precedes recessions by a year or two.
Inverted yield curves can steer lenders away from long-term loans to more-profitable short-term debt, constraining the availability of credit.
These tighter financial conditions shifted the way Fed officials perceived the risks to their forecast, particularly because it looked like poor communication about their intentions might be responsible for the narrowing in bond-yield spreads.
Financial markets settled down on Jan. 4 after Mr. Powell signaled more strongly that rate increases would be on hold.
Fed officials are calculating the combined effects of tighter financial conditions and a slowdown in foreign economies could keep a lid on domestic inflation, even if U.S. economic growth remains solid this year.
“Inflation is not running away from us,” said Dallas Fed President Robert Kaplan in an interview Friday. “My base case for the next couple of quarters would be that we take no action.”
Prendete nota: ciò che la Federal reserve anticipò ai mercati a metà dicembre del 2018 (“i tassi di interesse ufficiali verranno normalizzati nel 2019 perché tutto va bene, e quindi e saliranno”) fu del tutto smentito da ciò che la Federal Reserve disse ai mercati trenta giorni dopo (“i tassi di interesse scenderanno perché le cose non vanno bene”). Trenta giorni. . Pensateci bene, perché potrebbe succedere di nuovo. Ed anzi, succederà.
la ripresa delle operazioni di QE nel settembre 2019
Era dunque il gennaio 2019, circa due anni fa, quando improvvisamente tutte le Banche Centrali del Pianeta si dissero “preoccupate”. Di che cosa? Del fatto che i mercati finanziari erano in calo, in quei mesi. E tanto bastava per metterli nel panico.
Per il resto, come avete potuto leggere sopra, c’era soltanto una gran confusione, nulla di preciso e nulla di chiaro (Trump in quei giorni continuava ad insistere sulla “più grande economia di sempre”).
La realtà è che erano i mercati finanziari a preoccupare, a fare paura ai banchieri centrali. L’effetto calmante, la forte anestesia, che le Banche Centrali avevano messo in circolo nel gennaio 2019, annunciando la fine della normalizzazione e quindi dei rialzi dei tassi ufficiali, era già finita (prima ancora di essere cominciata, per dire tutta la verità). L’effetto calmante durò poco o nulla.
E infatti, nel settembre 2019, eravamo tutti nuovamente in emergenza, Ce lo spiegò proprio la Federal Reserve, che ci disse che il mercato interbancario negli Stati Uniti aveva smesso di funzionare, e che era indispensabile intervenire subito, ed in modo massiccio: fu allora, nel settembre del 2019, sei mesi prima dell’epidemia da COVID-19, che la Federal Reserve ci spiego di dovere ricorrere, nuovamente, al QE, il quantitative easing. Anche se con un pudore che sfiorava l’ingenuità per qualche mese si tentò di spiegare al pubblico che quel QE … “non era un QE, ma solo un acquisto di titoli pubblici con soldi creati dalla Banca Centrale”.
E quindi un era QE. La vicenda fu poi ribattezzata dai media come “Repo-crisis”, la crisi dei Repo (che poi sono i pronti-contro-termine”).
Voi lettori ed investitori in quei mesi venivate rassicurati quasi ogni giorno, naturalmente dalla Rete di promotori altrimenti detti private bankers, ma pure dalla stampa nazionale e internazionale, dai TG, da CNBC ed altri media specializzati, e anche dai politici (Donald J. Trump in testa) che “tutto andava per il meglio”, che “non c’erano problemi”, che “i mercati finanziari sono stabili”.
Non era vero. Erano balle.
Lo hanno dimostrato i fatti successivi: primo fra tutti, e più clamoroso di tutti, il fatto che quelle “misure di emergenza” sono continuate fino ad oggi, ed anzi sono poi cresciute nelle dimensioni e nello spettro degli strumenti utilizzati. Ma sopra ogni altra cosa, lo dimostra il fatto che, la settimana scorsa, è stata la stessa Federal Reserve a riconoscere, in una dichiarazione pubblica, che quelle operazioni iniziate nel settembre 2019 erano da intendersi come un QE. Lo leggete nell’immagine sotto, e lo potete facilmente recuperare sul Web.
Ai più attenti, ai non-venditori, a chi ragiona con la propria testa, e con competenza, era chiarissimo già allora. Eravamo ritornati in una situazione di crisi. Recce’d lo scrisse più volte, nelle diverse sedi nelle quali pubblichiamo il nostro lavoro di analisi. Lo scrivemmo anche nel Blog: eccone qui un esempio del settembre 2019 tra i tanti disponibili nel nostro Blog ancora oggi. Ed eccovi anche le nostre considerazioni di quattro mesi più tardi, nel gennaio 2020, e quindi prima dell’esplosione dell’epidemia.
Quindi, noi non eravamo pessimisti. Noi non eravamo “quelli sempre negativi”. Noi eravamo lucidi, ed abbiamo tenuto per voi gli occhi aperti, lavorando ed analizzando. Gli altri invece erano confusi. Oppure incompetenti. Oppure imbroglioni. Oppure un po’ di tutte e tre le cose.
il COVID-19 nel febbraio 2020
Recce’d iniziò una serie di Post sull’epidemia di COVID-19 il 29 gennaio 2020 (fate attenzione alle date, è tutto documentato): quello che successe nelle settimane che seguirono si poteva vedere chiaramente già allora, ovvero a fine gennaio. Il COVID-19 fu banalmente il pretesto che portò sotto i riflettori fragilità e debolezze che erano già prima ben chiare, sia a noi sia a chi esercita l’Autorità (politica e di politica monetaria) come i fatti che avete appena letto vi dimostrano.
No: noi non siamo dei geni, e neppure dei maghi o delle cartomanti.
Sono gli altri, la gran parte degli altri, che NON VUOLE vedere quello che tutti vedono. Era così nel gennaio 2020, ed è così anche oggi.
La nostra serie di Post dedicati agli effetti del COVID-19 sui mercati finanziari proseguì nelle settimane successive, fino alla fine di marzo: ecco qui un link.
Era chiaro, già allora, che nel pubblico degli investitori si sarebbe diffusa una crisi di fiducia. Di fiducia nella Banche Centrali. Noi lo scrivemmo qui.
la svolta dell’agosto 2020
Come in tutte le tre precedenti occasioni che abbiamo appena riportato alla vostra attenzione, anche nel mese di agosto 2020 la Federal Reserve è stata costretta ad agire. Non è stata una decisione di Powell: è stata soltanto una conseguenza, una mossa automatica, una mossa forzata. Il mercato striilla e la Fed risponde, sempre. .
La Fed, come le altre maggiori Banche Centrali, si è cacciata in una situazione nella quale non è più libera di agire: deve, viene costretta ad agire, e ad agire in una certa direzione, dalle fragilità di un sistema, che è perennemente a rischio crollo. E nessuno lo sa meglio delle Banche Centrali, in costante ansia ed apprensione.
Ed è per questo che nell’agosto 2020, la Banca Centrale americana decide di annunciare una svolta, che è forse la svolta più importante di tutta la sua storia, e che sui mercati finanziari (fino ad oggi) pochi hanno capito e nessuno ha spiegato, nelle sue implicazioni, al pubblico dei risparmiatori.
Nessuno lo ha fatto, tutti hanno finto di ignorare la cosa, allo scopo difendere interessi di parte, interessi che sono opposti a quelli del risparmiatore finale, al quale Recce’d si rivolge, senza passare per alcuna mediazione (che sia il “prodotto finanziario” oppure che sia il “venditore ovvero promotore ovvero private banker ovvero family banker ovvero wealth manager ovvero consulente).
Noi di Recce’d, che investiamo i vostri risparmi senza per questo affidarli a qualche misterioso gestore che sta dall’altra parte del Mondo (e che non informa il venditore di quello che sta facendo oggi e che farà domani coi soldi del Cliente), noi di Recce’d facciamo un lavoro quotidiano di informazione ed analisi, per la gran parte rivolto in modo esclusivo ai nostri Clienti, perché il Cliente deve in ogni momento capire, prima di investire.
Spiegare dopo, ai Clienti, perché si sono fatti i danni è un mestiere di altri: è il mestiere dei promotori finanziari, dei consulenti, dei private bankers e dei wealth managers. Di tutti quelli che, fino a un minuto prima, vi dicono che “non potrebbe andare meglio, è tutto calmo, non ci sono incertezze all’orizzonte”.
Recce’d investe sul rapporto con il Cliente, ed investe moltissimo: infatti, noi possiamo dire oggi di avere un rapporto con il Cliente che è unico. Nessun altro operatore del nostro settore ci arriva neppure vicino.
Questo di cui stiamo parlando nel Post è un esempio eccellente: sulla svolta della Federal Reserve, che risale a due mesi fa, tutta l’industria ha steso un velo di silenzio. Commercialmente, non si può andare a raccontare che la Fed punta ad una inflazione al 2,5%, ed allo stesso tempo spiegare al Cliente perché “il Fondo Comune Obbligazionario è un ottimo affare”. Non è possibile, dato che nella situazione attuale una scelta simile garantisce a chi ci investe delle forti perdite.
Come faccio a vendere i Fondi Comuni, le polizze Unit Linked, e i certificati, con dentro obbligazioni che rendono se va bene lo 0,50%, dopo che dalla fonte più ufficiale che esista mi si dice che l’inflazione salirà al 2,50%, e che io perderò (almeno) il 2% l’anno? Come glielo spiego?
Ed ecco la ragione per la quale tutti, dai private bankers ai family bakers, dai promotori finanziari a certi cosiddetti consulenti, tutti hanno steso un velo, nascondendo ai Clienti la realtà. Ovvero, che andranno a perdere soldi, se rimangono investiti così come sono investiti oggi.
Noi di Recce’d al contrario di questo argomento abbiamo già scritto: a questo tema abbiamo dedicato il nostro primo Longform’d due mesi fa.
Oggi, ci ritorniamo perché proprio dai mercati è venuta la conferma che è questo, il tema centrale: ovvero che dopo anni passati ad occuparci solo di Borsa (anche per effetto di spinte improprie dall’esterno) nei prossimi mesi ed anni al centro dell’attenzione degli investitori ritorneranno le obbligazioni ed i loro rendimento, insieme con le valute e le materie prime.
Vediamo, perché, ricapitolando in modo sintetico la situazione nelle sue caratteristiche principali.
Già prima dell’annuale appuntamento tra i banchieri centrali a Jackson Hole, in agosto, era diffusa la convinzione tra gli analisti che qualche cosa sarebbe successo.
When Federal Reserve Chairman Jerome Powell opens the Kansas City Fed’s annual gathering of global central bankers and economists on Thursday, some observers expect a “historic” and “profoundly consequential” unveiling of new policy thinking on inflation targeting. But Powell’s speech—the culmination of a project that began almost two years ago when the Fed pledged to “conduct a broad review of the strategy, tools, and communication practices it uses”—probably won’t deliver much beyond what had already become standard practice before the emergence of the coronavirus. Nor will Powell’s speech likely be used to make news with new plans for boosting the economy. So far during the pandemic, the Fed has been perfectly willing to act when necessary without regard for its formal meeting schedule—cutting rates twice between meetings as well as launching a host of crisis-era programs and new facilities to keep markets and businesses functioning. Instead, the likeliest refinement to be laid out in the speech is a formal endorsement of “average inflation targeting,” an idea devised a couple of years ago by Thomas Mertens and John Williams of the Federal Reserve Bank of New York. Indeed, according to the minutes of the Fed’s Open Market Committee’s July 28-29 meeting, the policy review review is likely to lead only to refinements of the Fed’s existing “Statement on Longer-Run Goals and Monetary Policy Strategy.”
Come abbiamo scritto più in alto, la Fed è stata costretta a fare questo annuncio, definito sopra “storico ed insieme profondamente consequenziale”. Non è stata una libera scelta di politica monetaria: la Fed è stata costretta ad agire così dal fallimento della propria politica, quello a cuii si devono sia la “inversione ad U” sia la ripresa del QE del 2019, episodi dei quali abbiamo scritto più in alto.
An effective monetary policy operates via several mechanisms. Unfortunately, none of them works very well at the moment. Central banks can offer cheap financing for government spending, but that’s of little use if the political consensus to act breaks down, as it has in the U.S. Easy money can induce borrowing and spending in the private sector, but that requires a fall in the real rate of interest, which is difficult to achieve if inflation is also falling. Slashing interest rates can weaken the currency, making exports cheaper, but if foreign economies aren’t growing overseas sales won’t pick up much. Monetary easing boosts asset prices, but if the associated increase in wealth is in the hands of the “haves,” overall spending won’t increase much. Many of these challenges will be on the minds of central bankers as they exchange views over Zoom. Absent the towering Tetons, central bankers may struggle to find much monetary inspiration. We believe that Powell will indicate the Fed’s willingness to tolerate higher inflation. He may emphasize the need for symmetrical inflation outcomes around a 2% objective, permitting the Fed to accommodate an overshoot of inflation now, after a prolonged period of below-target outcomes. If so, the Fed’s intention will be to lower real interest rates via a rise in longer-term inflation expectations. Lowering real interest rates is necessary to boost the effectiveness of monetary policy. But it is not sufficient. As Keynes pointed out nearly a century ago, the real rate of interest will not equilibrate savings and investment at full employment if confidence in the future (“animal spirits”) is eroded. Still, in the absence of supportive fiscal measures, the Fed must do what it can.
Da ciò che vedete, tutti sapevano: la scelta era stata ampiamente anticipata attraverso i mezzi di informazione. Restano ad oggi invece del tutto oscure, mai spiegate, le motivazioni. La Fed ha annunciato una svolta nei propri obbiettivi (che prima erano la crescita dell’economia reale, ed al tempo stesso la protezione dall’inflazione) annunciando di avere come obbiettivo una maggiore inflazione, ma non ha spiegato quali saranno le implicazioni di questa svolta. Come sempre si vuole fare passare il messaggio che la svolta non costa nulla ma farà stare tutti meglio. Una panacea, e a costo zero!
Naturalmente, anche questa è una balla. E noi, investitori, le conseguenze ce le dobbiamo andare a capire, a stimare, a calcolare da soli. Oppure con l’aiuto di qualcuno, che ne abbia gli strumenti e le capacità: che sia quindi un consulente nel senso proprio, e non un “consulente che in realtà è un venditore di prodotti”.
Noi con il nostro Lonform’d di oggi regaliamo a tutti lettori un aiuto, un contributo, una serie di elementi informativi che li aiuteranno a prevedere le conseguenze di questa svolta.
In estrema sintesi (questi temi sono stati, e saranno, oggetto di specifici approfondimenti nelle nostre varie pubblicazioni dedicate ai Clienti) ecco un elenco delle implicazioni che saranno più importanti per noi investitori, attraverso una nostra accurata selezione di interventi e commenti.
(I contributi che leggerete sono in lingua inglese, d’accordo: ma come avete letto è ufficiale l’inclusione nel vocabolario della lingua italiana Devoto-Oli di termini come “lockdown” “droplet” “spillover” e molti altri, quindi, anche a voi lettori chiediamo un pizzico di adattamento e di pazienza)
When I first came into the business 21 years ago, the dollar was strong and interest rates were high. Financial conditions were tight. This meant that companies had to be very disciplined in order to sell goods overseas and meet debt service costs. Now, financial conditions are very loose, and corporations are flabby. I am starting to think that this is the rule, rather than the exception. Can you imagine a Treasury secretary today saying that he or she was pursuing a strong dollar policy? Can you imagine Fed Chairman Jerome Powell raising interest rates to 3%? That is what we would need to wring the excesses out of the economy and the stock market. That is what we would need to fight inequality. If you don’t take the pain now, there is going to be more pain later. From a fiscal and monetary standpoint, the presidential election is more or less irrelevant. We’re on a path to financial destruction, and one outcome will get us there a little faster than the other. If tech and financialization were the two big trends from the last 20 years, inflation will be the big trend of the next 20.
The Fed replaced its old symmetric 2% inflation target with a flexible average inflation-targeting framework. It emphasizes that the Fed will target an inflation overshoot in recoveries following inflation shortfalls during downturns. This has important implications for economic and policy outcomes over the medium term. Most specifically, under Powell’s leadership the Fed has now solidified a more dovish path than in previous recoveries. Under the new outcome-based approach, the Fed needs evidence of inflation before raising rates, rather than simply forecasting that it will rise. Had this policy framework been in place in the last cycle, with inflation and unemployment evolving exactly as they did, the Fed might have delayed lift-off to as late as 2018, with its overall policy stance more accommodative for longer. It’s not just policy outcomes that are likely to differ. A change in monetary policy dynamics is likely to feed through to inflation expectations, which are relevant to price- and wage-setting. This would make it more likely that the Fed can achieve its inflation targets over the current cycle and that average 2% inflation outcomes are attainable over time. To be sure, the change in the Fed’s framework makes us even more confident that inflation will be structurally higher over this cycle and beyond.
However, unlike nominal rates, real yields are not subject to these constraints and have a higher degree of freedom to reflect deteriorating macroeconomic fundamentals. What this implies is a (growing) level of decoupling between breakevens and inflation fundamentals. Meanwhile, BofA's models for breakevens are starting to show some significant widening relative to levels implied by fundamentals (roughly 20bp wide in the macro framework for 10y BEs, and 28bp in a more stringent model that takes into account the nominal level of yields, oil prices, and a liquidity conditions ). That said, while recent BE widening reflects some level of decoupling from inflation fundamentals driven by the zero rate floor and ultra-easy monetary policy, the depreciating dollar and some pricing of stagflation scenarios may have also contributed to the move. Stagflation? A far more ominous scenario is that, as Cabana notes, some investors may be pricing the risk of a stagflation scenario, as reflected by the growing inflows into inflation protected funds. Some may also expect higher inflation supported by ongoing QE and/or higher import prices supported by the depreciating dollar. That said, fund flows have slowed substantially after making up for March outflows likely due to the recent moderation of overall economic activity. Overall, the nominal/real rate and dollar dynamics are likely better suited to explain the recent rise in breakevens.
Federal Reserve officials’ promises to hold interest rates very low for a long time could pose a dilemma once the pandemic is over: how to deal with the risk of asset bubbles. Those concerns flared when Dallas Fed President Robert Kaplan dissented from the central bank’s Sept. 16 decision to spell out those promises. The Fed committed to hold short-term rates near zero until inflation reaches 2% and is likely to stay somewhat above that level—something most officials don’t see happening in the next three years. “There are costs to keeping rates at zero for a prolonged period,” Mr. Kaplan said in an interview. He added that he worries such a commitment “causes people to take more risk in that they know it’s much less likely that they’re going to be able to earn on savings.” The question of whether the Fed should raise rates to prevent bubbles from forming has long vexed officials. Mr. Kaplan’s concerns show how the lack of consensus could one day sow doubts over the central bank’s ability or willingness to follow through on the new lower-for-longer rate framework Fed Chairman Jerome Powell unveiled last month. (…) “I share a lot of Rob’s concerns,” said Boston Fed President Eric Rosengren, who doesn’t have a vote on the Fed’s rate-setting committee until 2022. “I am worried about financial-stability aspects of this policy. I think we’re going to need to address it over the next couple of years,” he said in an interview. Financial-stability concerns motivated Mr. Rosengren to vote against three separate interest-rate cuts last year. He has warned for years of potential excesses building in commercial real estate that would worsen a downturn, a prophecy he worries the pandemic will fulfill. “People reach for yield in commercial real estate when interest rates get quite low, and you start doing riskier projects, and when the economy hits a shock—in this case, it was a pandemic—it means that big losses are going to likely occur,” Mr. Rosengren said.
La nostra analisi proseguirà in un secondo Post, al quale per agevolare la lettura abbiamo affidato la seconda parte di questo secondo Longform’d.
Come già anticipato nel primo Longform’d, questi nostri documenti hanno l’obiettivo preciso di offrire al lettore una panoramica che sia non soltanto completa ma pure analitica, che presenti con ordine al lettore tutti gli elementi di giudizio, e che metta il lettore nella condizione di capire se i suoi investimenti attuali poggiano su basi solide e su scelte fatte in modo consapevole, e con tutte le necessario informazioni.
Abbiamo documentato nel primo Longform’d, e lo faremo anche nella seconda parte di questo lavoro, le ragioni per le quali Recce’d ritiene utile mettervi in guardia contro il principale nemico del vostro benessere finanziario: le Banche Centrali.