L'economia non vola (e neppure l'ottimismo)
 
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La sola ragione per pagare ad un consulente le commissioni per una consulenza in materia di investimenti è che questo consulente sia in grado di anticipare al Cliente ciò che succederà nel futuro alle economie ed ai mercati finanziari: se il presunto consulente non dispone di questa qualità, non è ovviamente un consulente, ma soltanto una figura improvvisata che tira ad indovinare.

Sulla base di che cosa si possono formulare scelte di investimento, se non sulla base dei rendimenti attesi e dei rischi che abbiamo di fronte?

Vediamo un esempio concreto: in quanti, tra wealth managers, private bankers, personal bankers, robot advisors e promotori finanziari in genere avevano anticipato, nel gennaio scorso, un’inflazione al 5% negli Stati Uniti ed al 3,5% in Germania?

Recce’d certamente lo ha fatto, ed anche in una sede pubblica: noi ne abbiamo parlato, e scritto, fin dall’agosto 2020 proprio nel Blog.

Anticipare questi fatti, anticipare l’evoluzione della realtà, è il solo modo per non essere colti di sorpresa, è il solo modo per fare scelte di investimento vincenti, è il solo modo per investire sul valore delle cose, è il solo modo per non perdere definitivamente i propri soldi.

Ora, facciamo un secondo esempio.

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Proprio nella settimana appena conclusa, la banca di investimento più ascoltata al Mondo ha fatto una scelta forte: si è posizionata “sotto il consenso” per quello che riguarda le previsioni per la crescita del PIL negli Stati Uniti.

Tra gennaio e marzo 2021, questa banca di investimento insieme con tutte le altre banche di investimento aveva spinto le Reti di promotori finanziari a spingere sull’acceleratore dell’investimento azionario. Il tema di investimento da utilizzare allora, tre mesi fa, era il boom economico.

Già ad inizio 2021, Recce’d aveva scritto in questo Blog, ma in modo particolare, dettagliato ed analitico ai propri Clienti, che quelle previsioni erano irrealistiche e non sostenibili. Che erano puramente un argomento di vendita.

In tre mesi, il tema del boom economico è del tutto scomparso: quello che tiene in piedi le Borse, nel luglio 2021, non è più la crescita, bensì Powell. In sintesi, siamo tornati alla vecchia canzonetta che dice che “le Borse salgono perché non c’è alternativa, visto che la Federal Reserve non potrà mai alzare i tassi di interesse perché l’economia è debole”.

Capita l’aria che tira, con destrezza e rapidità la vecchia volpe Goldman Sachs si butta subito dalla parte opposta: dopo essere stata per mesi e mesi il capofila dell’ottimismo, dopo avere garantito ai propri Clienti il boom economico … zac, si butta dalla parte opposta.

Adesso Goldman Sachs si posiziona “al di sotto del consenso” ovvero al di sotto della media delle previsioni delle banche sue concorrenti. Adesso, sono loro, quelli di Goldman, “i più pessimisti”. Essere pessimisti adesso è un merito.

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Qualche lettore, forse distratto o forse superficiale, potrebbe dire a questo punto: ma che cosa ce ne importa? Comunque l’economia continua a crescere, e quindi .. l’investimento in azioni è bbbbuono.

Spieghiamo perché invece ve ne importa. Perché questa è una materia urgente. E lo spieghiamo partendo dall’immagine qui sotto.

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Come tutti i lettori sanno bene, le azioni quotate, ed in modo particolare le azioni quotate a New York, erano già follemente care prima della pandemia: oggi, su quell’eccesso è stato costruito, dai Governi e dalle Banche Centrali, un super-attico dell’eccesso, come viene dimostrato dal grafico.

Il rapporto tra prezzo ed utile delle Società quotate negli Stati Uniti stava nel gennaio 2020 a 19, e questo principalmente grazie al fatto che con una manovra fiscale a tutto oggi priva di una qualsivoglia spiegazione economica Donald J Trump aveva tagliato il prelievo fiscale sugli utili Societari. Senza quel taglio, saremmo stati ben oltre 22.

Il valore medio storico, del rapporto tra il prezzo di Borsa e l’utile per azione negli Stati Uniti è 13,5.

Questo non è tutto: la parte più importante deve ancora arrivare.

La cosa di maggiore importanza, nel leggere questo dato, è la seguente: gli utili di cui si parla qui sono utili attesi. Previsti. Sono le previsioni delle banche di investimento. Sempre ottimistici e sempre pompati. Utili che possono scendere.

E adesso veniamo ad oggi: oggi il rapporto tra prezzo di Borsa ed utile atteso, a New York, è in media di 25. Il rialzo della Borsa, dopo la pandemia, è del tutto (al 100%) spiegato dall’incremento del rapporto tra prezzo ed utile. E’ spiegato, in misura del 100%, dal fatto che le azioni sono diventate più care. Ancora più care. Ve lo confermano anche i dati del grafico che segue.

La media storica sta sotto del 60% circa. Ma non basta: perché anche in questo caso sono utili attesi: non li garantisce nessuno, ma proprio nessuno.

Ed eccoci ritornati alle previsioni di Goldman Sachs.

Dovrebbe apparire ovvio, anche a lettore più distratto, che quelle che oggi sono le “previsioni di consenso per gli utili delle Società quotate” possono reggersi in piedi soltanto se il tasso di sviluppo dell’economia nel suo insieme, del PIL, rimane quello che oggi è previsto.

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Se quel tasso di sviluppo scende, rispetto alle previsioni, gli utili scendono, rispetto alle previsioni.

Ora, è pur vero che Gamestop ed AMC sono due Società fallite le cui azioni sono salite anche del 500%, ma questo tipo di giochetti funziona solo per le micro-caps, e non funziona con la Borsa nel suo insieme..

Ecco: Recce’d vi ha condotto fino a questo punto: ora, per ciò che ne consegue, provate voi a fare due calcoli. Oppure, se credete, contattateci e rivediamo insieme l’intero ragionamento. Siamo qui a vostra disposizione. Per evitarvi l’imbarazzo di dire anche voi: “Ma chi avrebbe potuto prevederlo?”.

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Mercati oggiValter Buffo
Il titolo vola (come l'ottimismo)
 
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I nostri attenti lettori avranno certamente preso nota del “forte rialzo” del titolo Unicredit dopo i risultati trimestrali: il titolo qui sopra ci racconta che il titolo “vola”, e potete vedere il rialzo di venerdì scorso qui sotto nel grafico.

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Come dite? No si vede il rialzo di venerdì 30 agosto? Invece si vede: armatevi di un microscopio.

Non scriviamo del titolo Unicredit perché interessati al titolo Unicredit: in Recce’d ci occupiamo di investimenti, ed il titolo Unicredit oggi non è un investimento. Non è un’azienda, bensì è un ramo della Pubblica Amministrazione. Il titolo Unicredit oggi è presente in Borsa per due semplici ragioni: la BCE acquistando i Btp per una decina di anni ha salvato Unicredit dal fallimento, ed il pubblico si è fatto convincere che in futuro, qualsiasi cosa accada, lo Stato italiano non lascerà mai fallire Unicredit. Soltanto per questa ragione oggi esiste ancora una “azienda” a nome Unicredit, e su queste basi il valore che noi attribuiamo ad Unicredit, ed alle “aziende” di questo tipo, è pari a zero.

Se non ci interessa Unicredit, ci interessa però ritornare agli anni 2004-2007, quando le banche dominavano i listini in Italia, in Europa, nel Mondo.

La situazione era di fatto identica a quella che noi investitori affrontiamo oggi: il pubblico si era fatto convincere che era assolutamente garantito il futuro glorioso di queste aziende bancarie, alle quali era stato affidato il ruolo di guidare il Pianeta verso nuovi traguardi.

Al pubblico risultava impossibile pensare ad un futuro diverso da quello, tutti erano sicuri, tutti erano tranquilli ed avevano le idee chiarissime. Proprio come accade oggi con Apple, Microsoft, Amazon, Google, Facebook. Come accade oggi, anche allora, se non stavi con loro, se non ti allineavi a quella visione delle cose … rischiavi di venire preso per pazzo.

E fu così, che negli anni del “polo di aggregazione”, della “espansione nell’Est Europa”, e della “acquisizione di banche in Germania”, Unicredit arrivò a 400 euro. In due anni poi passò da 400 a 40, poi ci si rese conto che erano ancora troppi, ed oggi siamo a 10. Niente Europa dell’est, niente Germania, filiali che chiudono, dipendenti che vengono licenziati, attaccati al respiratore artificiale (ma sempre pagando all’amministrazione delegato molti milioni di compenso).

Semplicemente, quelli erano anni di una collettiva esaltazione che diventò poi un’ossessione: una frenesia collettiva che si allarga a tal punto, che la massa degli investitori si convince di un qualcosa che poi nella realtà non esiste.

Come già scritto più sopra, non si trattò di un fenomeno soltanto italiano: in tutto il Mondo, in quegli anni, i titoli bancari in Borsa assunsero il medesimo ruolo che oggi vedete per Apple, Amazon, Google, Microsoft, Facebook. E tutte le nostre Reti di promotori, insieme con le banche internazionali di investimento, tutti in coro a cantare la medesima canzone, che dava per assolutamente certo il dominio del Mondo da parte delle banche per almeno 50 anni a venire.

Se oggi parlate con un investitore al dettaglio, magari in una chat, al bar, alla macchina del caffé in ufficio, nei corridoi dell’ospedale oppure del Tribunale, o magari in fila all’anagrafe, vi diranno tutti di avere venduto tutti i titoli delle banche proprio nel 2008. E’ falso: moltissimi investitori che si fecero spingere dai promotori finanziari a acquistare titoli bancari nel 2007 li hanno ancora oggi nei propri portafogli. E mediano, mediano, mediano. E piangono, piangono, piangono.

Ripetiamolo ancora: questi fenomeni di psicosi di massa coinvolsero in quegli anni l’intero Mondo occidentale. Spregiudicati ed incompetenti private bankers spinsero gli investitori finali ad acquistare azioni delle banche a man bassa, solo per poi abbandonarli al loro destino 12 mesi dopo. Come accade oggi, con Facebook, Apple, Amazon, Google e Microsoft.

Prendiamo ad esempio il titolo della banca Citigroup, uno dei grandissimi Istituti globali.

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Il grafico qui sopra come avrete già notato ricorda per molti aspetti l’altro grafico, visto più in alto, per il titolo Unicredit.

Il caso di Citi è anche più significativo, rispetto al caso di Unicredit, perchè la Società è senza dubbio più grande e più importante, perché la Società in questione ha svolto un ruolo più importante nello sviluppo internazionale dell’industria bancaria, ed anche per le famosissime dichiarazioni del suo amministratore delegato, nel 2007.

In una (famosissima) intervista al Financial Times, rilasciata quando ormai tutti avevano capito che la Grande Crisi Finanziaria era inevitabile (un’altra somiglianza tra quella situazione e la nostra attuale situazione) Chuck Prince disse: “Finché la musica suona, non continuiamo a ballare”. Anni dopo, ci fu persino una Audizione al Parlamento proprio su questa dichiarazione, come leggete qui sotto. Una frase che riassume in modo perfetto lo spirito di quegli anni, e di questo 2021.

Ai moltissimi investitori che si convincono di avere “reinventato l’acqua calda”, ai moltissimi investitori che si fanno convincere che “questa è un’epoca del tutto nuova e diversa”, a tutti quelli che affermano che “le vecchie regole dell’investimento non valgono più”, può essere utile ricordare che quindici anni fa il branco la pensava esattamente come oggi.

Con una importante differenza: in quel 2007, la situazione era molto meno grave di quella di oggi. I i rischi, in quel 2007, era molto più gestibili di quelli che i mercati finanziari e le economie dovranno affrontare nelle prossime settimane e mesi. Il rischio, per gli investitori, era molto più piccolo nel 2007 che nel 2021.

E c’è persino più gente che “continua a ballare” oggi, rispetto al 2007 di Chuck Prince.

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Mercati oggiValter Buffo
La sola certezza che abbiamo
 
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Il giorno 7 luglio, in questo Blog, Recce’d ha pubblicato un importante Post sull’inflazione, che meriterebbe di essere riletto prima di vedere i dati USA per l’inflazione la settimana prossima.

Sul medesimo tema abbiamo letto, la settimana scorsa, un utilissimo articolo di Otmar Issing, che ha occupato posizioni di vertice alla Bundesbank proprio sul finire del Millennio precedente.

Questo articolo è molto utile sia per le considerazioni che vengono proposte in materia di inflazione, sia perché ci presenta un punto di vista (per una volta) europeo anziché americano. Inoltre è utile per riportare alla vostra attenzione il tema della stagflazione, che Recce’d vi propose alla metà dello scorso anno e che oggi è citato, trattato, analizzato da tutti (almeno, da tutti quelli che hanno anche soltanto un briciolo di competenza e conoscenza).

Per l’analisi dei dati attuali, e delle implicazioni nella gestione dei nostri portafogli, riprenderemo in settimana nel nostro quotidiano The Morning Brief lo spunto che Otmar Issing ci ha fornito nella frase conclusiva dell’articolo qui proposto. Che dell’intero articolo è la cosa più utile, tra tante utili.

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The Return of Inflation?

Jul 16, 2021 Otmar Issing

Though they have received most of the attention, supply bottlenecks are hardly the only factor to consider when assessing the recent surge of inflation. Far more important are broader structural changes in the economy and the alarmingly complacent attitude of central banks.

FRANKFURT – After many years of low inflation, prices have risen almost everywhere in recent months. Energy and commodities have been leading the way, owing mainly to post-lockdown supply bottlenecks. But while such obstacles are widely seen as temporary, implying that the inflationary spike will disappear soon, other factors are at work as well, implying that it won’t.

Chief among these longer-term factors is the rapid growth of money. Most monetary aggregates (not just central-bank money) have risen at a breathtaking pace, though this development seems not to worry central banks and many economists. With money having disappeared from the leading models used to explain inflation, the Nobel laureate economist Milton Friedman’s famous dictum that “inflation is always and everywhere a monetary phenomenon” is rarely quoted anymore.The “Quantity Theory” claims that inflation’s causality runs from money to prices. Yes, empirical evidence seems to have largely undermined Friedman’s hypothesis with respect to moderate inflation.

But the fact remains that nominal wages and the prices of goods and services cannot keep on rising without a corresponding expansion of money. And strong monetary growth over time can also increase risks in the development of asset prices and financial stability.After more than a decade in which a variety of factors – globalization and demographic change, to name just two – have exerted downward pressure on prices, the world might now be on the cusp of a broader economic “regime change.”

Rising health-care expenditures in aging societies, the reduced pace of globalization, supply-chain disruptions, and recent calls for reshoring production to higher-cost regions represent new sources of exogenous price pressure. Under these conditions, wages, too, might be pushed upward.At a time when central banks are almost yearning for somewhat higher inflation and ignoring the rapid growth of money, such a change in the real sector is likely to indicate a shift from a deflationary to an inflationary environment.

Many of the factors seen today were prominent features of the 1960s and 1970s, the last time inflationary pressures were building up.Should we expect the return of stagflation? It is hard to say, because we are experiencing an exceptionally high degree of the kind of unquantifiable uncertainty that the economist Frank Knight argued is impossible to integrate into traditional forecasts. In addition to the dramatic structural changes the global economy has undergone in recent years, the pandemic might have created the conditions for consequences that we cannot currently foresee.

Worse, central banks seem to be relying largely on models that lost much of their forecasting capacity years ago, owing to their lack of viable theoretical explanations for what determines financial flows, risk premia, and asset prices. More than a decade after the 2008 financial crisis, the main general equilibrium models used by central banks hardly even consider the large heterogeneity among households in terms of wealth, outstanding long-term debt positions, uninsured risks, and expectation formation. As such, they are unequipped to capture the complex effects that systematic policies or systemic shocks have on wealth distribution and inequality, and thus on aggregate demand.

Without that knowledge, one can only guess whether strong monetary growth reflects precautionary saving due to increased inequality, an inflationary fiscal-monetary shock, or both. This is particularly problematic in a world where central banks are massively expanding the money base by purchasing assets at high prices from a small group of relatively wealthy and informed investors.Expectations play the key role in forecasting future inflation, and these seem to be firmly anchored at low levels. But what if those expectations, after so many years of very low inflation, are now more backward- than forward-looking? Since the fear of inflation has disappeared from most radar screens, it is perhaps understandable that the recent price increases would be regarded as purely temporary. But, because monetary policies tend to have a long and variable time lag, it is risky to wait until after higher inflation has already taken root before beginning to taper quantitative easing or to raise interest rates.After all, what credibility will central banks have if inflation expectations have already lost their anchor? In an environment of extreme uncertainty, relying so much on the longer-term stability of inflation expectations is a risky bet. In times of a regime shift, uncertainty is so high that it is just impossible to form rational expectations.

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Aside from strong monetary growth, today’s extraordinarily high levels of private and public debt pose another incalculable risk. The sustainability of public finances in highly indebted countries rests on shaky ground, and is highly exposed to shocks that might come from many economic or geopolitical sources.

I am not predicting the inevitable return of high inflation. But I am concerned about strong monetary growth and its determinants, starting with central banks’ massive purchases of government bonds. Central banks seem far too sanguine about this risk. They are also ignoring the current environment’s heightened uncertainty, not least by issuing forward guidance that promises a rather long continuation of extremely low policy rates and high asset purchases.In the case of the eurozone, it is telling that some observers have begun to predict not inflation but a kind of Japanification: low inflation and nominal interest rates, high public deficits, and increasing fiscal and financial dominance. But, given the increase in wealth inequality and the likelihood that financial investors eventually will lose confidence in the sustainability of public finances, it is unclear whether such conditions would be politically sustainable. The only certainty is that neither a financial collapse nor an inflationary surge can be ruled out.

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La asset allocation, il private banker, ed il robot (parte 2)
 
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Il vostro wealth manager, il vostro private banker, il vostro consulente addetto alla vendita di polizze e Fondi Comuni e robot, insomma il vostro venditore vi avrà più e più volte intrattenuto sul tema della asset allocation: chiamatela costruzione del portafoglio, o come vi pare, ma resta che il vostro venditore vi deve vendere un portafoglio diviso tra azioni ed obbligazioni, meglio ancora se in Unit Linked e Fondi Comuni, così lui mette in tasca le retrocessioni delle commissioni, oppure attraverso la sua Società si mette in tasca comunque dei soldi sotto forma di commissioni che anziché essere retrocesse generato “regali” alla Società di cui voi siete (purtroppo per i vostri denari) Clienti.

Ne abbiamo già scritto sette giorni fa, nel primo Post con questo stesso titolo: oggi ne riscriviamo per portavi un esempio concreto.

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Moltissimi tra di voi avranno subito la “lezioncina” che poi trovate anche in tutti i manualetti da 5 euro su come “investire è facile”.

Questa lezioncina dice che per avere successo con il vostro portafoglio di investimenti siete assolutamente obbligati ad attenervi a tre criteri come la diversificazione, l’orizzonte temporale e la tolleranza al rischio.

Successivamente dovete procedere alla scelta del cosiddetto profilo di portafoglio: a basso rischio, bilanciato oppure ad alto rischio.

Amici lettori: a voi non sembra che qui manca qualche cosa? Anzi: manca proprio l’elemento di maggiore importanza.

Come è possibile, vi domandiamo, anche soltanto iniziare a costruire un portafoglio, se manca l’elemento più importante, o meglio l’elemento decisivo?

Si tratta di un quiz per la vostra estate, e vi diamo il tempo per rifletterci. Ne scriveremo poi tra sette giorni. Magari potete aiutarvi coi grafici di questa settimana e con quelli di settimana scorsa. E’ ciò che vi attende, ma soltanto nel caso di massima fortuna.

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Anticipiamo però in estrema sintesi la conclusione: se manca proprio quell’elemento, non ha senso neppure accennare alla diversificazione, al profilo di rischio e all’orizzonte temporale.

La settimana prossima vi spiegheremo perché il wealth manager ed il private banker fanno finta di essersi “dimenticati” di questo “dettaglio”, e poi perché non esistono né il “portafoglio a basso rischio”, né il portafoglio bilanciato”, né il “portafoglio ad alto rischio” del quale vi parlano e vi scrivono i vostri venditori con l’etichetta sulla giacca in americano.

Si è girato il Mondo (in 80 giorni) (parte 2)
 
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Ci è sembrata efficace la titolazione di La Repubblica questa mattina e per questo la riportiamo qui sopra.

Ci piace leggere il termine “tracollo” e ci piace leggere delle “nuove vette”. Ci piace perché sono due segni del tempo, del mercato nel quale investiamo oggi: il “tracollo” è un calo dello 1,5%, e le nuove vette sono distanti dalle vette precedenti (come sempre) solo dello 0,1%.

Ma, come vogliono le grandi banche di investimento, e naturalmente anche le nostre Reti di promotori e private banker e wealth managers, la stampa oggi ha il compito di “creare l’evento” e di suscitare emozioni forti anche se non succede nulla. ha il compito di tenere alto l’interesse, anche quando non succede nulla. ha il compito di fare vedere al pubblico quello che non c’è.

In aggiunta, della titolazione di Repubblica a noi piace molto anche la scelta del termine “piccoli trader”: notate la scelta del termine trader al posto del termine investitore.

Anche in questa espressione, ritroviamo un segno dei nostri tempi, ed una caratteristica del mercato nel quale operiamo, che è l’influenza del pubblico retail e delle piattaforme di trading sui maggiori indici.

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Una influenza che è stata amplificata nel 2021 dalla diffusione dell’uso dei contratti di opzione da parte di un pubblico al dettaglio che, nel 95% dei casi, non sa che cosa sia un contratto di opzione.

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Una influenza che è stata creata, ed alimentata, da scelte di politica monetaria e di politica fiscale che 15 mesi fa furono presentati come “misure di stimolo all’economia per contrastare la pandemia” ma che invece oggi, come Lagarde ha ben spiegato solo due giorni fa, sono presentate come “misure di stimolo non legate alla pandemia, e che potrebbero rimanere per sempre”.

Perché l’economia reale non funziona più, ed è attaccata al respiratore artificiale.

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Come i nostri Clienti sanno bene, per una serie di informazioni e dati a loro forniti da noi di Recce’d nell’ultimo anno e mezzo, l’effetto di questi “piccoli trader” si vede solo se e quando quelli che Repubblica nel suo titolo definisce “grandi gestori” stanno senza muove nulla. Ed oggi, da tre mesi, sono proprio tutti fermi.

E questo è il dato più importante, dell’ultima settimana ma pure del periodo dalla metà aprile ad oggi.

La storia della “crescita boom senza inflazione”, oggi, non la compera più nessuno: ci sono rimasti soltanto i “piccoli trader” a comperare i ribassi. ma poi, dopo tre giorni, chi subentra? Nessuno, e quindi i piccoli trader vendono e quindi arriva “il tracollo” che dice Repubblica (dello 1,5%).

La titolazione qui sopra, in poche righe, dice molte cose utili a voi lettori, che nella gran parte non siete piccoli trader ma investitori (piccoli, medi e grandi, non ha importanza). Dei titoli di questi giorni, portate a casa soprattutto il dato che nessuno si muove, che nessuno compera più la favoletta del “boom economico senza inflazione”, e chiedetevi che cosa verrà dopo, da lunedì in poi.

Se restringiamo lo sguardo alla settimana che si apre lunedì 26 luglio, troviamo la riunione della Federal Reserve e poi il dato USA per l’inflazione PCE. Della riunione (come promesso la settimana scorsa) non scriveremo nulla: non conta nulla, ormai, perché Powell potrà soltanto ripetere “l’inflazione non c’è”, e poi pregare. Non ha carte in mano, non ha carte da mettere sul tavolo, deve solo sperare. Del dato invece c’è da dire moltissimo, e molto scriveremo sia durante la settimana nel nostro The Morning Brief, sia tra sette giorni, nella nuova Lettera al Cliente di fine luglio.

La settimana dopo, poi leggeremo i dati USA per la disoccupazione e i dati USA per i salari: come dice La Repubblica qui sopra, “saranno giorni volatili”, e come noi abbiamo scritto sette giorni fa, nel Post che aveva il medesimo titolo, il 80 giorni si è ribaltato tutto, e la volatilità degli ultimi 5 ne è la conseguenza.

E ne sta arrivando altra.

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