Il titolo vola (come l'ottimismo)

 
2021_Jan_1045.png

I nostri attenti lettori avranno certamente preso nota del “forte rialzo” del titolo Unicredit dopo i risultati trimestrali: il titolo qui sopra ci racconta che il titolo “vola”, e potete vedere il rialzo di venerdì scorso qui sotto nel grafico.

2021_Jan_1044.png

Come dite? No si vede il rialzo di venerdì 30 agosto? Invece si vede: armatevi di un microscopio.

Non scriviamo del titolo Unicredit perché interessati al titolo Unicredit: in Recce’d ci occupiamo di investimenti, ed il titolo Unicredit oggi non è un investimento. Non è un’azienda, bensì è un ramo della Pubblica Amministrazione. Il titolo Unicredit oggi è presente in Borsa per due semplici ragioni: la BCE acquistando i Btp per una decina di anni ha salvato Unicredit dal fallimento, ed il pubblico si è fatto convincere che in futuro, qualsiasi cosa accada, lo Stato italiano non lascerà mai fallire Unicredit. Soltanto per questa ragione oggi esiste ancora una “azienda” a nome Unicredit, e su queste basi il valore che noi attribuiamo ad Unicredit, ed alle “aziende” di questo tipo, è pari a zero.

Se non ci interessa Unicredit, ci interessa però ritornare agli anni 2004-2007, quando le banche dominavano i listini in Italia, in Europa, nel Mondo.

La situazione era di fatto identica a quella che noi investitori affrontiamo oggi: il pubblico si era fatto convincere che era assolutamente garantito il futuro glorioso di queste aziende bancarie, alle quali era stato affidato il ruolo di guidare il Pianeta verso nuovi traguardi.

Al pubblico risultava impossibile pensare ad un futuro diverso da quello, tutti erano sicuri, tutti erano tranquilli ed avevano le idee chiarissime. Proprio come accade oggi con Apple, Microsoft, Amazon, Google, Facebook. Come accade oggi, anche allora, se non stavi con loro, se non ti allineavi a quella visione delle cose … rischiavi di venire preso per pazzo.

E fu così, che negli anni del “polo di aggregazione”, della “espansione nell’Est Europa”, e della “acquisizione di banche in Germania”, Unicredit arrivò a 400 euro. In due anni poi passò da 400 a 40, poi ci si rese conto che erano ancora troppi, ed oggi siamo a 10. Niente Europa dell’est, niente Germania, filiali che chiudono, dipendenti che vengono licenziati, attaccati al respiratore artificiale (ma sempre pagando all’amministrazione delegato molti milioni di compenso).

Semplicemente, quelli erano anni di una collettiva esaltazione che diventò poi un’ossessione: una frenesia collettiva che si allarga a tal punto, che la massa degli investitori si convince di un qualcosa che poi nella realtà non esiste.

Come già scritto più sopra, non si trattò di un fenomeno soltanto italiano: in tutto il Mondo, in quegli anni, i titoli bancari in Borsa assunsero il medesimo ruolo che oggi vedete per Apple, Amazon, Google, Microsoft, Facebook. E tutte le nostre Reti di promotori, insieme con le banche internazionali di investimento, tutti in coro a cantare la medesima canzone, che dava per assolutamente certo il dominio del Mondo da parte delle banche per almeno 50 anni a venire.

Se oggi parlate con un investitore al dettaglio, magari in una chat, al bar, alla macchina del caffé in ufficio, nei corridoi dell’ospedale oppure del Tribunale, o magari in fila all’anagrafe, vi diranno tutti di avere venduto tutti i titoli delle banche proprio nel 2008. E’ falso: moltissimi investitori che si fecero spingere dai promotori finanziari a acquistare titoli bancari nel 2007 li hanno ancora oggi nei propri portafogli. E mediano, mediano, mediano. E piangono, piangono, piangono.

Ripetiamolo ancora: questi fenomeni di psicosi di massa coinvolsero in quegli anni l’intero Mondo occidentale. Spregiudicati ed incompetenti private bankers spinsero gli investitori finali ad acquistare azioni delle banche a man bassa, solo per poi abbandonarli al loro destino 12 mesi dopo. Come accade oggi, con Facebook, Apple, Amazon, Google e Microsoft.

Prendiamo ad esempio il titolo della banca Citigroup, uno dei grandissimi Istituti globali.

2021_Jan_1052.png

Il grafico qui sopra come avrete già notato ricorda per molti aspetti l’altro grafico, visto più in alto, per il titolo Unicredit.

Il caso di Citi è anche più significativo, rispetto al caso di Unicredit, perchè la Società è senza dubbio più grande e più importante, perché la Società in questione ha svolto un ruolo più importante nello sviluppo internazionale dell’industria bancaria, ed anche per le famosissime dichiarazioni del suo amministratore delegato, nel 2007.

In una (famosissima) intervista al Financial Times, rilasciata quando ormai tutti avevano capito che la Grande Crisi Finanziaria era inevitabile (un’altra somiglianza tra quella situazione e la nostra attuale situazione) Chuck Prince disse: “Finché la musica suona, non continuiamo a ballare”. Anni dopo, ci fu persino una Audizione al Parlamento proprio su questa dichiarazione, come leggete qui sotto. Una frase che riassume in modo perfetto lo spirito di quegli anni, e di questo 2021.

Ai moltissimi investitori che si convincono di avere “reinventato l’acqua calda”, ai moltissimi investitori che si fanno convincere che “questa è un’epoca del tutto nuova e diversa”, a tutti quelli che affermano che “le vecchie regole dell’investimento non valgono più”, può essere utile ricordare che quindici anni fa il branco la pensava esattamente come oggi.

Con una importante differenza: in quel 2007, la situazione era molto meno grave di quella di oggi. I i rischi, in quel 2007, era molto più gestibili di quelli che i mercati finanziari e le economie dovranno affrontare nelle prossime settimane e mesi. Il rischio, per gli investitori, era molto più piccolo nel 2007 che nel 2021.

E c’è persino più gente che “continua a ballare” oggi, rispetto al 2007 di Chuck Prince.

2021_Jan_1051.png
Mercati oggiValter Buffo