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"... ma tanto alla fine la Fed poi taglierà i tassi e ci salverà tutti"
 

Vi sarete già accorti che qualche cosa sta succedendo sui mercati finanziari.

Questo “qualcosa” che sta succedendo ovviamente NON riguarda soltanto le Borse.

E tuttavia, sui media, sui quotidiani ed al TG, si parla e si scrive soprattutto delle Borse.

Noi in questo Post partiamo allora da un velocissimo riassunto (trovato sul Web) di quello che sta succedendo in Borsa. Ed ovviamente, parlando di Borsa, il Mondo intero guarda sempre e solo alla Borsa di New York.

Le azioni hanno chiuso la loro peggiore settimana in quasi due anni con un altro round di intense negoziazioni instabili venerdì, facendo crollare l'S&P 500 al di sotto della sua media mobile a 200 giorni, un livello di supporto che aveva retto da maggio 2020. Sia l'S&P che il Dow hanno chiuso per la terza settimana consecutiva di perdite, rispettivamente in calo del 5,7% e del 4,6%, mentre il Nasdaq Composite è crollato del 2,7% venerdì e del 7,6% della settimana, il peggior calo settimanale da marzo 2020. Netflix è stato il primo importante titolo tecnologico a registrare il quarto trimestre gli utili e le azioni sono crollati del 22% venerdì dopo che il gigante dello streaming ha registrato una crescita degli abbonati più lenta e guidato verso ricavi inferiori alle attese nel trimestre in corso. Altri sostenitori del Nasdaq come Amazon, Meta Platforms e Tesla sono scesi di oltre il 4%, con Apple e Tesla sul ponte per riportare guadagni la prossima settimana. Le forti perdite nei titoli di crescita hanno spinto il Nasdaq ulteriormente in territorio di correzione, in calo di oltre il 14% dal suo massimo di novembre, poiché i tassi di interesse in aumento fanno pressione sui titoli tecnologici rendendo le loro valutazioni elevate meno interessanti.

Alcuni, tra voi lettori, sono poco attenti: alcuni, tra di voi, sono convinti che agli investimento “è sufficiente dare uno sguardo ma ogni tre-sei mesi”. Alcuni, tra voi lettori, pensano che “i prodotti che ho in portafoglio camminano da soli”, e con questa semplice frase vogliono intendere che “il prodotto che si chiama Fondo Comune produce la sua performance indipendentemente dagli alti e dai bassi dei mercati”.

Altri lettori, però, sono più attenti, meno superficiali e meno ingenui, ed hanno già interpellato il proprio wealth manager, il proprio personal banker, il proprio private banker, il proprio family banker, il proprio robot advisor magari: in ogni caso, il proprio promotore finanziario.

E noi di Recce’d non facciamo alcuna fatica a immaginare ciò che voi, amici lettori vi siete sentiti rispondere.

Non abbiamo dubbi, che le frasi che voi amici lettori avete ascoltato sono del tipo “non c’è motivo di preoccuparsi”, “va ancora tutto bene nel Mondo (lo dice anche Briatore)”, “è solo un temporaneo momento di debolezza”, “non bisogna essere schiavi della propria emotività e vendere”, “la cosa da fare è stare fermi ed aspettare che passi”.

Insomma: i ribassi di Borsa non significano nulla. Le Borse recuperano: recuperano sempre e comunque. E chi ha venduto, allora? Chi ha venduto è un fesso. perché le Borse salgono sempre.

Lo dice anche, ad esempio, il consulente americano, molto noto, che si chiama Zacks e che leggete qui sotto.

Soltanto pochi, tra voi lettori, si è soffermata a chiedersi: “che cosa potrebbe farci uscire da questa situazione che vedo oggi?”.

Tra gli operatori, sui mercati finanziari, l’operazione “restituire subito l’ottimismo” è già cominciata.

E l’argomento forte è quello che leggete qui sotto nelle tre immagini.

Le prime due immagini qui sopra sono due Tweet che dicono: “più rapido è il ribasso, e prima la Federal Reserve comincia a comperare qualsiasi cosa sui mercati finanziari”, e poi “perché non passiamo subito alla nuova fase, nella quale la Fed sui mercati compera direttamente le azioni?”.

La terza immagine qui sopra ci crea però qualche difficoltà, nel recupero dell’ottimismo: ci fa notare che “le Borse potrebbero entrare in un bear market, e questa volta la Fed sta ancora facendo il QE”, e poi ci mette qualche dubbio sul livello di Borsa in corrispondenza del quale scattrebbe la cosiddetta “Fed put”, ovvero gli acquisti di titoli da parte della Fed.

Bank of America dice “sotto quota 4000 dell’indice S&P 500”. Cosa che, da un punto egoistico, a noi di Recce’d andrebbe anche bene. Dal punto di vista dell’operatività sui portafogli modello.

Ma sarà vero? Possiamo crederci? E’ questa una base solida per la nostra operatività di portafoglio?

Forse sì, forse no, e secondo noi di Recce’d no. Occorre prendere in esame anche altri fattori.

Tra voi lettori, e in generale nel pubblico, chi è più informato ed è più abile nel ragionamento in genere esprime questa visione delle cose: “l’inflazione si fermerà non appena le Borse crollano”. Lo leggete anche nell’immagine qui sotto.

Questo è un concreto passo avanti, almeno nell’analisi: perché si fa entrare l’inflazione nel nostro quadro prospettico.

E’ un passo avanti importante: l’inflazione non c’era, nel 2000 e poi nel 2008. Va presa almeno in considerazione.

Ma al tempo stesso, anche se è un passo avanti nell’analisi, poi noi investitori siamo costretti a domandarci: sarà vero? Quello che viene detto nel Tweet che segue può essere una base concreta per fare nuove scelte di investimento?

Il nostro parere è che è possibile: allo stesso tempo, noi NON la vediamo così. Questo non è il nostro modo di leggere le cose, oggi.

E sicuramente NON è questa, la nostra base su cui fondiamo la nostra nuova operatività dei portafogli modello.

Ecco come la vediamo noi di Recce’d: il quadro oggi è molto, molto, molto più articolato e complicato.

Ci sono numerosi altri fattori che potrebbero risultare determinanti.

Noi non approfondiremo oggi questa analisi in questo Post: lo abbiamo fatto prima, e per tempo. Per settimane ed anzi mesi. Quando andava fatto, quando era ancora utile su un piano operativo.

Per i Clienti, ogni giorno. ma pure qui, nel Blog: come potete verificare in modo facile, tornando indietro a rileggere i nostri Post degli ultimi mesi.

Ci limiteremo, in questo specifico Post, a riproporre una utilissima descrizione di quattro possibili temi di mercato delle prossime settimane: che è stata prodotta, proprio la settimana scorsa, da Bank of America.

Una lettura utilissima, proprio dal punto di vista pratico e della nostra, e vostra, operatività sui portafogli.

Se avete letto con attenzione quello che è scritto nell’immagine qui sopra, scritto da Bank of America per la precisione, forse avete capito che è meglio farsi come minimo qualche domanda.

Per aiutare i nostri lettori a farsi le domande, quelle giuste ed utili, vi chiediamo di ritornare al momento in cui il vostro promotore finanziario, il vostro wealth manager, il vostro robo-advisor, vi ha raccontato che “non bisogna mai vendere, perché le Borse salgono sempre”.

Bene, allora noi (nuovamente) vi proponiamo di rileggere i dati del grafico che segue.

Qui sotto leggete quale è stato l’andamento della Borsa del Giappone dal 1990 ad oggi: in trent’anni, la Borsa di Tokyo ha fatto assolutamente NULLA.

E non basta: da 28000 punti è scesa fino a 7000 punti: un calo del 75%.

E non basta: nel 1990, l’economia del Giappone era la SECONDA economia del Pianeta, e sui giornali si leggeva che stava per diventare la PRIMA.

In che modo vi può essere utile leggere i dati del grafico qui sopra? Dovreste avere già compreso, ma se non fosse così, allora proviamo ad allungare l’arco temporale coperto dal grafico.

Lo facciamo con il secondo grafico qui sotto.

Si tratta, anche in questo secondo grafico, della Borsa di Tokyo. E forse voi lo avevate dimenticato, messo da parte, rimosso.

Può esservi utile, arrivati a questo punto, rivedere un grafico che al contrario voi lettori guardate ogni giorno: il grafico che ci racconta cosa ha fatto l’indice della Borsa di New York in un periodo che va dal 1980 ad oggi.

A voi investitori, non resta che prendere un foglio di carta, e disegnarci sopra quello che pensate che farà, questo grafico, nei prossimi uno, due, cinque, dieci, venti anni.

Da che cosa cominciare? Che cosa potrebbe aiutarvi, a disegnare il futuro dell’indice Dow Jones Industrial di New York?

Tra i tanti suggerimenti, ve ne proponiamo uno: qui sotto il titolo dice che l’indice della Borsa USA non si comporterà, in futuro, come quello della Borsa di Tokyo che avete visto in precedenza.

E voi, amici lettori, come la vedete al proposito?

Ci auguriamo che l’esercizio di disegno che vi abbiamo appena proposto vi sia utile. E che sia anche divertente.

Ma se per caso non vi piace disegnare, allora vi aiutiamo a passare il tempo leggendo qualche cosa.

Si tratta di un articolo di qualche mese fa, che noi vi avevamo già proposto in lettura proprio qui, nel nostro Blog.

Lo riproponiamo oggi, a distanza di qualche settimana, perché qualche volta è utile rileggere le cose dopo qualche tempo.

Molte cose, di settimane prima, risultano invecchiate e non più utili. Alcune di queste cose, rilette due mesi dopo, sembrano autentiche stupidaggini.

Altre cose, rilette dopo qualche mese, risultano anche più utili: e fanno dire, al lettore, “ah, se ci avessi fatto più attenzione allora …”.

Augurando al lettore una utile, ed efficace, gestione del proprio portafoglio titoli, a fronte di una situazione che si evolve in modo rapido, noi chiudiamo ricordando a tutti che proprio nella settimana che inizia con lunedì 24 febbraio ci sarà una nuova riunione del Consiglio delle Federal Reserve.

Sicuramente, Powell userà la sua ben nota capacità di parlare senza dire nulla: dirà “non abbiamo ancora deciso”, “potremmo sempre cambiare idea strada facendo” e soprattutto “noi ci occupiamo sempre di mantenere la calma sui mercati finanziari”.

Tutto sta nel vedere se anche questa volta questo atteggiamento pagherà così come ha pagato negli ultimi 10 anni. Oppure se, invece, nel frattempo qualche cosa è cambiato.

With markets swinging around like yoyos spun by drunken monkeys ever since the bizarro ramp following Powell's uberhawkish presser, which one day later - when humans finally took over trading from the algos - transformed into an even more furious selloff, investors have coalesced around just one question: how low do stocks have to fall for Powell to capitulate and end his rate hiking plans, or said otherwise, what is the strike price of the Fed put?

As a reminder, over the past decade, any time markets sold off between 10-15% (and in some cases even less), we would immediately experience some intervention from the Fed - be it verbal or actual - to stabilize risk assets. In fact, the biggest drawdown in the post-Lehman era (until the covid collapse) was the 20% bear market observed on Christmas Eve 2018 which promptly crashed the Fed's tightening plan.

And, of course, the 30%+ crash in the aftermath of the covid pandemic, is how we got the biggest monetary and fiscal stimulus in world history, ushering in not just helicopter money but also explicitly backstopped markets, when the Fed started buying up corporate bonds.

However, this may all be now over, because as traders search for that magical level in the S&P500 that will force the Fed to cry CTRL-P, Morgan Stanley's chief equity strategist, Michael Wilson, has some bad news - this time around, the strike price on the Fed's put is lower. Quite a bit lower.

As Wilson writes in his latest weekly note, which we profiled earlier this week, in "Morgan Stanley Warns The Fed's Turbo Taper Will Trigger Market Chaos Over "The Next 3-4 Months", Wilson writes that while his base case always assumed the Fed would respond appropriately to the higher inflation, the pivot by Chair Powell at his recent Congressional testimony was more aggressive than what Morgan Stanley had expected, especially in light of the new Covid variant, which at the time was a known unknown.

And with Omicron now looking like a lower risk to growth than 2 weeks ago - despite the media's best efforts to spark another round of global panic - this only raises the probability that the Fed will indeed taper its asset purchases much faster than the last tapering episode in 2014, something Powell confirmed on Wednesday when he revealed that the Fed's latest dots expect some 3 rate hikes in 2022.

But while the pace of the Powell taper may change, where there is a notable difference from previous Fed is that, according to Wilson, Fed Chair Powell "will be under much less pressure from the White House versus the last time they tried to take the punch bowl away in late 2018."

Part of this is due to the fact that inflation is a much bigger problem today for Biden than it was in 2018 - see "Biden Starts To Freak Out About Soaring Inflation" - and part of it is due to Wilson's observation that this White House is not as preoccupied with the stock market.

Bottom line, according to Morgan Stanley, "the Fed put still exists but the strike price is much lower now, in our view. If we had to guess, it's down 20% rather than down 10% unless credit markets or economic data really start to wobble."

And while Wilson may well be right that for Biden containing soaring inflation is more important than preserving the wealth effect - because we have reached a point where the two are mutually exclusive - sacrificing markets to contain inflation could be a huge mistake. Why? Because as Wilson also observes, if asset markets correct more significantly - as they would in a 20% correction - "it could have a greater than normal effect on the economy too given how levered the consumer is to the stock market and other asset prices like housing and crypto currencies."

As he then notes, when just considering the stock market, it's easy to see that consumer net worth has increased dramatically as many key assets have risen inexorably over the past 18 months: "While this is a good thing for consumer demand if prices remain elevated, it definitely increases the odds that tapering could be tightening for the economy, too, if it leads to a significant asset price deflation. We think the risk of that is greatest over the next 3-4 months as the Fed exits QE on this faster time table."

Mercati oggiValter Buffo
Come nel 1978 e nel 1992
 

A noi ricorda un popolare gioco televisivo, che si chiama “la ghigliottina”.

Ogni mattina, da almeno due mesi, leggiamo un nuovo nome come candidato alla Presidenza della Repubblica. Un nome che, dopo qualche giorno o settimana, poi viene ghigliottinato.

A nostro giudizio, è più divertente il gioco a premi TV: questa “ghigliottina” del Quirinale noi non la troviamo divertente, per nulla.

Però ne scriviamo, perché alcune di queste vicende potrebbero poi ritornare utili nella gestione delle posizioni investite.

Oggi ripartiamo da una recente dichiarazione del Primo Ministro italiano:

“Mi è venuto spontaneamente di chiedermi come mai dopo gli anni ’60 si sono interrotti i tassi di crescita e, come mi disse un amico, il giocattolo si è rotto”, ha detto oggi il presidente del Consiglio Mario Draghi nel suo intervento all’assemblea annuale di Confindustria. Il presidente del Consiglio ha provato a darsi una risposta: “Le mutazioni del quadro internazionale, Bretton Woods, il prezzo del petrolio, due guerre, la grande inflazione, hanno cambiato il quadro internazionale, ma anche in questo quadro così difficile alcuni Paesi hanno affrontato gli anni ’70 con successo e una caratteristica che separa gli altri Paesi dall’Italia è il sistema delle relazioni industriali che lì sono state buone, mentre da noi col finire degli anni ’60 si è assistito alla totale distruzione delle relazioni industriali. Perciò insisto su questo, perché niente è più facile che nel momento in cui il quadro cambia, le relazioni vadano particolarmente sotto pressione e invece bisogna essere capaci di tenerle”.

Il richiamo agli Anni Settanta noi lo troviamo appropriato: tanto che in questo Post noi ne scrivemmo a partire dall’agosto di due anni fa, e poi in modo regolare nei mesi successivi.

Gli anni Settanta, nel titolo che abbiamo selezionato per aprire questo Post, vengono poi associati ai primi anni Novanta.

La cosa ci ha colpiti nel profondo: come molti di voi ricorderanno, il 1978 ed il 1992 sono entrambi anni di particolare importanza, nella storia dell’economia italiana.

Nel 1978, fu decisa la partecipazione dell’Italia allo SME nel pieno della Seconda Crisi Energetica. Nel 1992, l’Italia fu costretta ad una dolorosissima svalutazione, a causa di un rialzo globale dei tassi ufficiali di interesse.

Fatto sta che nel 1992 le cose iniziano a non andare come si pensava. La Bundesbank aveva iniziato ad alzare i tassi nel triennio 1990-’92, al fine di contrastare l’accelerazione dei tassi d’inflazione dopo la riunificazione delle due Germanie. Se il costo del denaro tedesco era ancora del 6% nell’agosto del 1990, nel luglio del 1992 era salito all’8,75%. Inevitabilmente, l’Italia doveva seguirne le scelte (ah, quanto eravamo “sovrani” con la lira), altrimenti i capitali sarebbero defluiti verso la Germania, destabilizzando il cambio e minacciando la nostra permanenza nello SME. Ciampi i tassi effettivamente li alza, ma commette un errore pacchiano quell’estate, vale a dire di esternare il suo “dolore” per quella misura. E così, il 6 luglio alza il tasso ufficiale di sconto (TUS) dal 12% al 13%, ma già il 17 dello stesso mese si trova costretto a intervenire con un nuovo rialzo al 13,75%. Perché? I mercati non avevano digerito quella doglianza e i capitali avevano accentuato la fuga, specie dopo che la notte del 10 luglio il governo aveva imposto un prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti.

La drammatica estate ’92

Per tutta l’estate, Bankitalia cercò di difendere il cambio. Anzi, aveva iniziato a farlo da inizio anno, se è vero che nei primi 9 mesi dell’anno “brucia” riserve valutarie per 50 mila miliardi di lire (12 mila miliardi nel solo mese di luglio), qualcosa come oltre 25 miliardi di euro attuali. Tuttavia, a settembre la situazione diventa insostenibile. Di quel passo, Palazzo Koch sarebbe rimasta a corto di dollari, marchi, etc., per importare beni e servizi dall’estero. La bilancia dei pagamenti sarebbe entrata pericolosamente crisi. Da qui, la decisione di abbandonare lo SME attraverso la svalutazione della lira. In pochi mesi, il cambio contro il dollaro passa dai 1.078 lire di fine agosto ai 1.583 della primavera ’93.

Adesso ritorniamo al presente: solo 12 mesi fa, al momento della formazione del Governo Draghi, il panorama nazionale era dominato dall’unità di intenti, e dall’ottimismo e dalla positività.

Oggi, le cose non stanno più così: a distanza di soli 12 mesi, si respira un’aria di emergenza.

Tanto che, come abbiamo già visto in recenti episodi del passato, dall’estero arrivano “autorevoli” indicazioni su ciò che noi, in quanto Paese, dovremmo fare.

Il principale organo di informazione finanziaria del Pianeta, che si chiama Financial Times, la settimana scorsa ci ha informati che sarebbe preferibile Draghi a Berlusconi, come nuovo Presidente.

Dal Financial Times, ai mercati finanziari ed a Wall Street, il passo è brevissimo: e la Repubblica (che ha fatto da “organo ufficiale” del Governo in carica fin dal primo giorno) ci informa che anche Wall Street vorrebbe Draghi al Quirinale.

Magari, è vero. Magari no. Magari è lo stesso Draghi ad averlo raccontato a quotidiani che conosce benissimo.

Ciò che a noi investitori importa NON è questo: come investitori a noi importa di osservare che l’unanimità del 2021 non esiste più: oggi è tutti contro tutti. E anche Draghi contro tutti.

Come dice il Governatore Zaia: “ragionateci sopra”.

Mercati oggiValter Buffo
E' già in corso una guerra: ma non ve lo hanno (ancora) detto
 

Il titolo che leggete qui sotto nella prima immagine del nostro Post non costituisce certamente una sorpresa, né una novità, per voi lettori. Sono infatti numerose le voci che si sono alzate (con mesi, e mesi, di ritardo) a spiegare … autorevolmente che le Banche Centrali sono in ritardo e che dovrebbero essere “molto molto più restrittive” già oggi-

Ciò che fa sorridere, ed anche ridere, è che oggi lo dicono tutti quelli che tre mesi fa ci annunciavano una “inflazione transitoria”, e lo dicono con il tono più naturale che è possibile. Senza neppure fare lo sforzo di spiegarci perché: perché in soli tre mesi, hanno capovolto le loro affermazioni.

Si tratta di una marcia indietro clamorosa: tanto clamorosa, che noi di Recce’d non ne ricordiamo una simile.

Ed al tempo stesso, ci fa piacere sottolineare che nella intera storia di Recce’d non troverete un solo episodio nel quale noi di Recce’d siamo stati costretti, dalla forza dei fatti, a fare una marcia indietro così improvvisa e clamorosa.

Ma torniamo all’articolo di cui leggete il titolo qui sotto.

E allora, che cosa c’è di così tanto importante, da riportare in questo Post, e proporre alla vostra lettura, l’articolo che segue?

L’Autore. la firma in calce all’articolo è di Bill Dudley. Bill Dudley viene, pensate un po’, proprio dalla Federal Reserve. E non basta: era a capo proprio della Federal Reserve di New York, e quindi quotidianamente era a contatto con i vertici di Goldman Sachs, di JP Morgan, di Morgan Stanley (e anche di Lehman Brothers, quando ancora non era fallita).

Vi chiediamo di leggere con attenzione l’articolo: più in basso noi vi proponiamo le nostre conclusioni.


I have news for those who think the U.S. Federal Reserve has turned more hawkish on inflation: It has only just begun.

True, the minutes from the Fed’s December policy-making meeting display growing concern. Officials are acknowledging that the labor market is already very tight, and that factors such as wage growth probably won’t be entirely transitory. They seem to be losing hope that more people will come off the sidelines to satisfy demand for workers. They’re looking increasingly likely to raise interest rates immediately after the Fed’s asset-purchase program ends in March — though there’s still the wildcard of how a resurgent pandemic will affect the economy.

Yet Fed officials remain incongruously dovish over the longer term. Consider their latest set of projections, released following the December meeting: In an economy with above-trend growth pushing unemployment below the level consistent with stable prices, the median forecast has inflation melting away, falling to 2.6% in 2022, 2.3% in 2023 and 2.1% in 2024. This could be justified if they expected to tighten monetary policy sharply, but they don’t. Their median projection for the federal funds rate at the end of 2024 is just 2.1%, well below the level they deem to be neutral.

This is a remarkable, even surreal forecast: Inflation won’t be a problem, even if the Fed does little to rein it in.

I see only a couple ways for this Alice-in-Wonderland fantasy to come true. First, today’s inflation could prove transitory, allowing the Fed to keep interest rates low — but this is inconsistent with the Fed’s own near-term analysis and hardly plausible when the ratio of unfilled jobs to unemployed persons is at an all-time high and wage growth is picking up markedly. Second, the neutral federal funds rate could be much lower than officials’ 2.5% median estimate, making the 2.1% rate projected for the end of 2024 much tighter – but there’s no evidence to support such a hypothesis, and indeed no Fed officials changed their estimate of the long-term neutral rate in December.

More likely, the Fed will have to leave the enchanted forest. This means becoming a lot more hawkish, both in the near term and over the next few years. As the economic recovery pushes unemployment unsustainably low — something that may already have happened — wage growth will spill into consumer price inflation.  The Fed will have to respond by taking interest rates above neutral well before the end of 2024.

How high might rates go? If inflation is running above the Fed’s 2% target, they must adjust both to compensate for higher inflation and to achieve tight monetary policy. So if inflation subsides to 2.5% to 3% as supply chain issues dissipate, then a federal funds rate peak in the 3%-to-4% range seems reasonable.

This is a much steeper path and higher peak than financial markets currently anticipate — roughly double what Eurodollar futures imply. Markets are starting to catch on, but only very slowly. At some point, the reckoning is likely to become disruptive, triggering a sharp rise in interest rates and a large drop in bond prices. The “taper tantrum” may have been merely delayed, not avoided. 


Avete notato il tono, amici lettori? Molto aggressivo, e a tratti anche derisorio: Dudley scrive ai “Fed officials” e parla di “alice nel paese delle meraviglie” e poi anche di “uscire dalla foresta incantata”.

E pensate che c’è qualcuno che leggendo i nostri Post su questi temi dice che le nostre sono “posizioni forti”! Noi un linguaggio come quello di Dudley lo abbiamo usato solo in rarissime occasioni.

La cosa dovrebbe colpirvi, in modo forte: per la semplice ragione che Dudley è un “Fed official”. E’ stato a capo della Fed di New York fino a due anni fa. Numerosissime decisioni, che lui qui in modo implicito attacca .. le ha prese lui! Lui stava con tutti quanti nella “foresta incantata”: ci è rimasto per anni ed anni ed anni.

Ecco la ragione per la quale questo articolo merita tutta la vostra attenzione: perché Dudley oggi scrive un articolo che sbeffeggia persone che con lui hanno condiviso tutto per decenni?

Noi non abbiamo trovato una risposta, fino a ieri.

Poi proprio ieri abbiamo letto una dichiarazione di Jamie Dimon, a capo della banca più grande del Mondo (JP Morgan) , a capo della banca che più di ogni altra ha fatto soldi con il QE e anche con il COVID, a banco di una banca che più allineata dietro al potere politico non si può immaginare, se non in Russia o in Italia.

Jamie Dimon ieri venerdì 14 gennaio ha fatto una fortissima dichiarazione, così forte che in tantissimi, sul mercato delle obbligazioni, attribuiscono alla sua dichiarazione una brutale inversione di tendenza sul mercato dei Titoli di Stato USA. Lo vedete raffigurato sotto nel grafico: il rendimento venerdì sera ha poi chiuso molto vicino allo 1,80%.

Facciamoci solo tre domande:

  1. perché? perché Dimon esce allo scoperto con una considerazione che non tocca a lui e su un tema che abitualmente non frequenta?

  2. perché? perché tre giorni prima Bill Dudley scrive più o meno le medesime cose pubblicandole su Bloomberg?

  3. e perché due uscite pubbliche invece che parlarne ….nelle “solite segrete stanze”?

Noi vediamo una sola possibile risposta. non c’è più unanimità, non c’è più una sola linea da seguire e condivisa da tutti.

Ci sono più linee e più “partiti”.

E c’è, soprattutto, un conflitto forte, che è già avviato, e che potrebbe sa solo modificare il percorso dei mercati finanziari. Tutti i mercati.

Mercati oggiValter Buffo
La realtà prevale
 

Sono decine le occasioni nelle quali voi amici lettori avete letto, proprio in questo Blog, che uno dei pilastri sui quali noi di Recce’d basiamo le strategie di investimento per i nostri portafogli modello è la realtà. Proprio la realtà dei fatti: non le illusioni spacciate per realtà, non le campagne di quelli che sanno come utilizzare i media e la stampa, non le promesse di chi muove le leve della politica economica.

Noi ci affidiamo alla realtà, come principio ispiratore: per numerosi anni, al contrario, sui mercati finanziari è prevalsa la fantasia. Ma questo NON ci ha messi in crisi: i risultati dei Clienti parlano ancora oggi a nostro favore.

C’è stato chi per anni ha sostenuto che “i mercati finanziari possono rimanere scollegati dalla realtà”, intendendo con realtà la produzione, gli utili ed i salari. Ed anche, persino, l’inflazione.

Era una grande sciocchezza, che però, con l’aiuto dei media e delle Reti che vendono Fondi Comuni, ha preso per un certo tempo il sopravvento, arrivando a dominare il modo di pensare di medi e piccoli investitori (ma pure di una parte dei grandi investitori).

L’imperativo, la soluzione di ogni dubbio operativo, era “andare dove va la massa”.

Si è arrivati così alla “prevalenza del folle”, della quale abbiamo scritto di recente in due altri Post.

Nel 2022, tutto questo è finito: e non lo diciamo noi, lo dicono i giornali, le televisioni e persino le banche globali di investimento. Lo dicono persino i banchieri centrali, proprio loro che hanno montato tutto questo circo.

Lo documentiamo oggi, in un altro Post: mentre invece in questo post vi proponiamo in lettura un articolo che chiama in causa proprio il concetto di realtà. Come abbiamo spiegato nella Lettera al Cliente spedita oggi 15 gennaio 2022 ai nostri Clienti, su questa base si fonda la nostra aspettativa di risultati molto buoni, nel 2022. Il ritorno alla realtà di cui si scrive nell’articolo che potete leggere un po’ più sotto.

Di che cosa parla questo articolo che abbiamo scelto di mettere alla vostra attenzione?

SPOILER: l’articolo NON parla della Federal Reserve, ormai schiacciata in un angolo ed impotente, come testimonia anche l’immagine qui sotto. La Federal Reserve oggi, per noi investitori, conta poco.

La Fed conta poco, e conta poco anche l’inflazione. Come abbiamo scritto in un altro Post che pubblichiamo oggi, l’inflazione NON è oggi e NON sarà nel 2022 il maggiore problema per i mercati finanziari.

Anche noi come l’autore dell’articolo che segue riteniamo che un problema che potrebbe invece contare molto, e forse moltissimo, è un cambiamento nel modo di pensare agli investimenti.

Dopo venti mesi nei quali “chiunque era un genio”, e chiunque si sentiva autorizzato a pensare “io sono un genio e non ho bisogno di nessuno”, un bagno collettivo di umiltà potrebbe essere imposto proprio dall’andamento dei mercati finanziari. E naturalmente, come sempre, dalla realtà.

Per il benessere (finanziario, sociale e psicologico) di tutti noi, e delle future generazioni, questo tipo di pulizia prima arriverà e meglio sarà, per tutti noi.



The writer is an adjunct lecturer at William & Mary and the author of an upcoming book on confidence-driven decision-making

2021 was a year that will be long-remembered for retail investors’ flash-mobbing of “meme stocks” thanks to social media sites like Reddit and online trading platforms like Robinhood. The rocket ship emojis and popular trends that included trading in non-fungible tokens of cartoon bored apes were manifestations of a deep-running trend towards extreme abstraction. From spacs, to cryptocurrencies, to NFTs, to Web3 and the metaverse, what investors wanted most were things that, well, were difficult to explain.

Relative abstraction isn’t something investors pay much attention to. Instead, they discuss measures like relative valuation — how the current cost of a stock compares with times past or something else they might buy. “Stocks are cheap,” they say. Cheap and expensive are interesting measures, but they don’t tell the full story about investor confidence. It is what is cheap and expensive that reveals how we truly feel.

At lows in confidence, investors crave certainty. They buy shares in the safest companies, those with tangible assets, “real” earnings and cash flow, if they buy equities at all. On the other hand, at peaks in confidence, investors have an insatiable demand for possibility. They buy dreams at the highest price. Today, what is most expensive is what is the most extremely abstract — the enterprises that have the greatest “hypotheticality”, the anti-real as it were. The crowd adores everything that is at the far reaches of psychological distance — in time, in place and in familiarity. We all but need binoculars to see it out there on a far horizon.

Futuristic investment themes like space travel speak to our insatiable appetite for the psychologically distant opportunity. We’ve come a long way from the intense concreteness at the bottom of the 2008 financial crisis, when the greatest psychological distance investors were willing to consider was about as far as the mattresses in which many were intent on stuffing their physical cash and gold. Something else has changed, too: the scrutiny of what investors are buying. If markets only go up, why bother — especially as in many cases you won’t understand it anyway? Moreover, the past decade has been filled with financial deregulation — lowering disclosure requirements enabling more companies to go public while providing less information.

The net result of the high confidence is startling: investors are now committing the most money to the most abstract opportunities in history while paying the least amount of attention. Blind investing is one thing, but the extreme approach by investors cautions that we may have reached sentiment peak for the record books over the past year. Already hidden behind the move higher in the broader major stock indices, we have seen a steady retreat from extreme abstraction. Spacs, the “special purpose acquisition companies”, which raise funds and then look for a business to buy, now feel like a distant mania despite a modest rebound in their use late last year. The value of many of these hypotheticality-laden companies are down sharply. Shares in electric vehicle maker Lordstown Motors, one of the most prominent spacs, have fallen more than 90 per cent from their peak. And there is a decided drop in the energy around cryptocurrencies, that is also reflected in lower prices from peaks last year. History warns that the end of extreme abstraction does not augur well for those arriving last to the party.

As the market switches to other less abstract investment themes, the danger is that a vicious spiral develops. Not only would investors pivot to more “real” investments, but scrutiny intensifies on recent crowd favourites revealing that there was even less than meets the eye in many of them. We saw both behaviours when the dotcom bubble burst and in the aftermath of the 2008 financial crisis. And therein lies a final overlooked aspect to the past year. If 2021 was the peak of yet another bubble in ungrounded possibility, it will represent the third for this generation of investors. It’s hard to imagine many will take being fooled a third time well.

As I look ahead, the greatest risk to the financial markets isn’t a decline in corporate earnings or a policymaker mis-step, but an abrupt change in investor thinking. After years of devouring abstraction, does the crowd turn to more substantive investment themes — a year of getting real? That process would be far from smooth. Even if more solid ground is better for the long-term direction of markets, those who rushed in when prices were “to the moon” will be hurt as valuations return to earth.

Mercati oggiValter Buffo
Impotenti di fronte all'inflazione: a chi faranno pagare il conto?
 

Il nostro obbiettivo, attraverso questo Blog, è di offrire spunti molto concreti, e molto fondati, a tutti i nostri lettori, in merito alla gestione dei loro investimenti finanziari.

Da questi spunti, e da altri elementi, noi poi ricaviamo le nostre scelte di portafoglio, per i portafogli modello. Scelte che hanno prodotto, negli anni dal 2007 ad oggi, una performance positiva e superiore a quella media del mercato, con una volatilità complessiva dei portafogli inferiore a quella di strumenti comparabili sul mercato, e soprattutto INDIPENDENTE dalla direzione dei mercati. Facciamo performance sia quando i mercati salgono sia quando scendono.

Come fare performance nel 2022? Oggi vi offriamo uno spunto proprio in questo senso.

Leggete moltissimo di inflazione, sui quotidiani, Ascoltate parole e parole e parole sull’inflazione, in TV. E la grandissima parte di queste parole vi lascia al punto di partenza.

La grandissima maggioranza degli investitori si è trovata di fronte alla sorpresa dell’inflazione “non più transitoria”: proprio quelli a cui si affida da anni una fiducia illimitata ci hanno tutti tradito, raccontandoci che “l’inflazione è transitoria” quando persino il vostro cane (o pesce rosso) si era reso conto che quella era una balla, raccontata in modo strumentale.

La perdita di credibilità su questo tema, da parte dei banchieri centrali, ma pure delle grandi banche globali di investimento come JP Morgan oppure Goldman Sachs, e pure da parte delle grandi Reti di vendita italiane come FINECO, Fideuram, Generali, Allianz, Azimut e compagnia cantante è stata enorme, e peserà sui loro destini dei prossimi 5-10 anni. Perché tanto durerà l’inflazione, come minimo.

Se questi signori sono in grado soltanto di fare previsioni come quelle della tabella poco più sopra, allora che senso ha che noi investitori li prendiamo anche soltanto per un momento in considerazione?

Per conseguenza, a voi occorrono nuovi elementi, e nuovi punti di riferimento, per decidere che cosa fare con i vostri soldi, per evitare di farveli distruggere dall’inflazione.

Sul tema inflazione, Recce’d ha espresso da mesi una propria, molto chiara visione: non è e non sarà l’inflazione il principale problema, per noi investitori e per tutti i mercati finanziari, nel 2022.

E tuttavia, è necessario parlarne, capire, analizzare e poi agire, anche di fronte a questo problema (che si somma ad altri, più seri problemi).

Una lettura attenta e paziente dell’articolo del Financial Times che noi vi riproduciamo qui sotto può esservi utile: vi aiuterà a guardare oltre, a chiedervi “quali reazioni metterà in moto” l’inflazione che è qui con noi e che ci rimarrà un bel po’.

L’articolo è stato scritto da un signore che già un anno fa era dalla parte giusta: era tra quelli che poi “hanno avuto ragione”.

Nel mondo degli investimenti, uno dei più grandi errori che si possono fare è quello di credere che “tutti hanno ragione per un certo periodo, a seconda dei diversi momenti e delle diverse fasi”. E’ del tutto sbagliato: la storia è una sola, i fatti sono fatti: e alla fine i risultati li produce SOLO chi ha ragione.

Chi aveva detto che l’inflazione è transitoria, aveva torto: e di certo non è che tra sei mesi poi avrà ragione.

Il signore che scrive l’articolo qui sotto aveva ragione. Fine della storia.


The writer is president of Queens’ College, Cambridge, and an adviser to Allianz and Gramercy

Markets spent most of 2021 trading on assurances from major central banks, and the US Federal Reserve in particular, that inflation would be transitory and monetary policy would continue to remain in uber stimulus mode. That powerful conditioning fuelled the “everything rally” in markets. 2022 will be different. Markets will no longer have predictably massive liquidity injections to power them through uncharted and choppy economic waters. Crucially, investors will have to take a view on the durability and impact of the inflation surge, including the drivers of its eventual demise. For more than a decade, large-scale central bank purchases of assets boosted not just those being bought in markets but also virtually all other assets, be they financial or physical (such as housing, art and other collectibles).

This was particularly the case in 2021, when cash injections from central banks were at record monthly levels. After consistently dismissing the threat of inflation, the Fed’s “better late than never” pivot on the issue is part of a general shift in global central banking towards less monetary policy stimulus. While its policy stance will remain accommodative for quite a while, the world’s most powerful central bank is now set to completely stop its asset purchases by the end of the first quarter. An increasing number of other central banks (not only in the emerging world but also in some advanced economies such as Norway and the UK) have already embarked on interest rate hiking cycles.

All this comes at a time when fiscal policy in many countries is on the verge of being less stimulative, even though the Omicron coronavirus variant is damping economic growth. Having started late, the Fed faces challenges in reducing stimulus at a time when fiscal policy is less stimulative, market-based financial conditions are more volatile, strong household balances are being gradually eroded by inflation and solid consumer spending, and Omicron is fuelling inflationary pressures through new disruptions to supply chains and the availability of workers.

These challenges will not stop the Fed from increasing interest rates once it ends its asset purchases. But they do raise important questions as to the durability of the hiking cycle. Already markets are pushing against the notion that actual policy will validate the interest rate path projected by Fed officials at their December policy meeting. What is not clear is whether this would be a question of willingness or ability.

The possibility of the Fed losing its nerve, as it has done repeatedly in recent years, would be viewed by markets as constructive in the short term. It would keep the central bank engaged in offsetting hits to asset prices, which is particularly supportive for equities that benefit from the “least dirty shirt phenomenon” (ie, not comprehensively attractive but better than the vast majority of other asset classes). It would be even more supportive if this coincided with an orderly reduction in inflationary pressures, still the consensus view. This is still possible — just — if the Fed does more immediately to catch up with developments on the ground.

The “inability” scenario would be more problematic. Here, a system conditioned by more than a decade of floored interest rates and ample liquidity would quickly prove unable to tolerate higher rates. Tighter financial conditions, while warranted by persistent inflation, would foster a highly unfriendly combination of financial instability and lower private demand. In its extreme — that of stagflation — policies become a lot less effective at a time just when markets are dealing with the trifecta of hitherto-underpriced liquidity, credit and solvency risk. Inflation would eventually come down in this inability scenario but through a process that risks a sudden sharp drop in economic activity.

As the new year unfolds, both the Fed and markets have a huge stake in inflation coming down in an orderly way. But the window of opportunity for policy to achieve this is rapidly closing. The alternative is a disorderly drop, which would involve the even bigger Fed policy error of having to be too abrupt in tightening monetary policy after being way too slow previously. In addition to the direct damage to the economy, this would probably lead to financial market accidents that amplify another round of unnecessary, and much larger, harm to livelihoods.

Mercati oggiValter Buffo