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Uno sguardo al secondo semestre 2018 (parte 3)

Molti sostengono che per guardare avanti, per leggere il futuro, sono utili i grafici. Noi come sanno i lettori siamo molto scettici: al tempo stesso, teniamo d'occhio anche quei segnali.

Nel primo semestre 2018, trovare un "trend" come piace ai graficisti è stato, nei fatti impossibile. Ed infatti, per sei mesi ... silenzio assoluto.

Se guardiamo alle Borse in particolare, il solo segnale forte lo abbiamo visto nell'ultima settimana del semestre, con l'indice di Shanghai in "bear market", il DAX tedesco avviato verso il bear market, e l'indice Dow Jones di New York sotto la sua media a 200 giorni per la prima volta da metà 2016. Lo vedete qui sotto nel grafico.

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Questo per le Borse: se guardiamo alle materie prime, la situazione è più chiara? Sembra proprio di no. Il petrolio punta verso l'alto, ma proprio nelle ultime settimane ha fatto un giù e su clamoroso, con la discesa dopo i Vertice OPEC e poi il recupero nell'ultima settimana.

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Ma se quello del petrolio fosse un "trend", allora perché l'indice Bloomberg per le Materie Prime stia sotto il livello di fine 2017, come vedete nel grafico qui in basso? La situazione è più complessa di ciò che ci possono raccontare le righe tracciate su un grafico.

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Il solo grafico che a noi sembra chiarissimo resta quello del Bitcoin negli ultimi mesi: è un grafico fantastico, perché qui i fondamentali ovviamente non esistono, e quindi tutto era e resta nelle mani dei grafici. 

Chiediamo agli amici dei grafici di capire: che trend era, quello finito in dicembre? E che trend sarebbe, quello che arriva fino ad oggi? E quando cambierà, questo vostro "trend"?

Fate attenzione, amici lettori: questo grafico ci parla del passato, ma pure del nostro e vostro futuro. Dopo il Bitcoin, vedremo altri ... Bitcoin.

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Uno sguardo sul secondo semestre 2018 (parte 2)
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Il 2017 ci ha fatto soffrire, ed al contrario ha fatto godere il vasto esercito dei tifosi del "rialzo senza fine". Invece nel primo semestre del 2018 abbiamo visto realizzarsi una lunga serie di cose che Recce'd aveva anticipato ai Clienti, mentre l'esercito degli ottimisti di previsioni si è decisamente ridotto (sia nel numero, sia nell'ottimismo).

Il grafico qui sopra, che riguarda l'indice della Borsa più grande del Mondo, parla da solo.

In questo Post, partiremo citando un articolo del Wall Street Journal, dove si scrive (lo vedete sotto): non illudetevi che questi mercati siano "normali".

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A noi di Recce'd questa sembra a tutto oggi, come già sei mesi addietro, l'indicazione operativa più concreta e pratica e utile. Non illudetevi che i prezzi che vedete oggi siano normali, oppure sostenibili. Ed operate di conseguenza: preparatevi a fare risultati proprio sulla normalizzazione in arrivo.

Ed evitate di cadere nelle trappole: prima fra tutte, la trappola delle tariffe e dell'utilizzo che viene fatto di questo tema per spiegare gli alti e bassi dei mercati, come vedete a titolo di esempio nel titolo qui sotto.

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Ovvio che la Casa Bianca alimenta questo "incendio" mediatico, con chiare finalità elettorali: è evidente da ormai un anno e mezzo la volontà di questa Amministrazione di manipolare la Borsa degli USA, come testimoniato ad esempio dall'immagine che segue, dove abbiamo messo in evidenza il fatto che a mercati aperti un esponente della Amministrazione Trump va in tv (la solita CNBC) a dire alla Borsa che cosa deve fare. Incredibile. Ma vero.

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Questa volontà di manipolazione a noi di Recce'd non fa paura: nessuno, al Mondo, ha così tanto potere da controllare tutti i mercati. Ci sembra decisamente più importante, invece, l'atteggiamento dei media, che insistono su questo tema delle tariffe da mesi, come vedete nell'immagine che segue.

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Se come investitori vi fate e vi fare distrarre da questo tema mediatico, perderete di vista la sostanza dei fatti: perché le tariffe contano pochissimo, mentre conta moltissimo, per i vostri investimenti, ciò che succede in un altro ambito. Perché intorno a voi il Mondo sta cambiano rapidamente. Un accenno lo abbiamo trovato nella Rubrica della Posta del Wall Street Journal, e lo riportiamo qui sotto.

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Se volete concentrarvi su ciò che conta davvero, per i vostri futuri rendimenti di portafoglio, vi consigliamo di esaminare con la massima attenzione il grafico che segue, e di legge poi l'articolo che il Direttore Generale della Banca dei Regolamenti Internazionali (che è la Banca Centrale delle Banche Centrali) ha pubblicato la settimana scorsa sul Financial Times, articolo che riportiamo più in basso (in lingua originale).

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At first glance, the skies above financial markets look sunny, notably for credit markets. Term and credit spreads as well as volatility are very low by historical standards, while valuation and asset prices are high. But, as we argue in our just-released BIS Annual Economic Report, clouds are gathering on the horizon. Indeed, showers have already dampened spirits in some emerging markets. And worse could come if a further rise in the US dollar tightened financial conditions around the world: after all, post-crisis, companies in emerging economies and elsewhere have been all too eager to tap markets, while investors have been all too eager to oblige them. Will the stresses remain isolated? Or should we be worried about a more intense and widespread build-up of pressure?

Central banks still find it hard to forecast financial markets, just as meteorologists are not always successful in predicting the weather. At the BIS, we have come to appreciate how unrewarding it can be to flag risks when markets are running hot. Yet that is precisely when risks tend to be highest. Indeed, our analysis indicates that the risks ahead are material. A decade of unusually low interest rates and large-scale central bank asset purchases may have left many market participants unprepared, and have contributed to a legacy of overblown balance sheets. Financial conditions are easier than before the financial crisis, when many investors, households, corporations and sovereigns were caught out in the rain with no umbrella. And there is no denying that the room for manoeuvre in terms of monetary and fiscal policies is narrower today than at that time.

What are the specific threats and how could they affect credit markets? One threat could be a sudden decompression of historically low bond yields, a “snapback”, in core sovereign markets. When participants expect inflation to remain negligible far into the future, even mild inflation surprises can scare overstretched markets, as we saw earlier this year. This risk is more acute at a time when larger budget deficits and the gradual unwinding of the Fed’s large-scale asset purchases require investors to digest a bigger supply of bonds and bills. Another threat is a reversal in global risk appetite. This could be triggered by concerns about the sustainability of some sovereigns’ debt burdens, as we saw recently in the euro area periphery. Or it could be set off by an escalation of protectionist measures. (...) Or a reversal in risk appetite could be spurred by developments in some emerging markets, where financial cycles have turned or policies have failed to sufficiently strengthen fundamentals. (...)

Should stresses emerge, market liquidity will evaporate again: the insidious illusion of permanent liquidity has not gone away. But, compared with the past, the asset management sector will be more prominent in any market ructions, as it is now channelling much more money. Thus, the precise market dynamics are now harder to anticipate. Do these risks scream hurricane warning, summer storm or scattered showers? Hard to tell. It is worrying that post-crisis global debt, both public and private, has continued to rise in relation to GDP. (...) 

(...) let’s normalise monetary policy with a steady hand, in line with country-specific circumstances, while remaining alert to the risks ahead. One reason for the current vulnerabilities is that central banks have had to bear the burden of the post-crisis recovery. We cannot rely on them for ever. As the British novelist Mary Renault wrote: “There is only one kind of shock worse than the totally unexpected: the expected for which one has refused to prepare.” We must not let this opportunity slip from our grasp.

Agustín Carstens is general manager of the Bank for International Settlements

Uno sguardo sul secondo semestre 2018 (parte 1)

Oggi facciamo partire una serie di Post, dedicati non tanto al primo semestre che si è appena concluso, bensì al secondo semestre, e a che cosa fare con i portafogli di titoli. 

Per guardare avanti, abbiamo scelto di iniziare da ciò che è più importante: la crescita delle economie.

L'attenzione del Mondo intero, degli investitori e non, oggi si concentra in particolare sulla crescita degli Stati Uniti. Perché? Perché Trump ne ha fatto un'arma per la politica interna ed internazionale, ed agita come una clava i dati macro e di Borsa.

Anche nella settimana che si è appena conclusa, è stato un diluvio di dichiarazioni, alcune puntuali ed altre grossolane. Si vuole aumentare l'attenzione, e la tensione, sul dato epr la crescita del trimestre aprile giugno 2018.

Questo per due ragioni: la prima è che nel Q2 ci si attende un dato (su base annua) compreso tra il 3% ed il 4%. La seconda ragione è che, proprio nell'ultima settimana, abbiamo avuto la conferma definitiva che nel trimestre precedente, gennaio-marzo (Q1), la crescita si è fermata ad un modesto 2% (grafico sotto). Se anche si arrivasse, nel secondo trimestre, al 3,5%, la media del primo semestre non supererebbe il 3%. Notate inoltre che un dato trimestrale vicino al 4% si è registrato in numerose occasioni durante gli ultimi anni: e non ha mai avuto un significato particolare per i trimestri successivi.

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Per la ragione che abbiamo esposto sopra, si "sparano" cifre roboanti in dichiarazioni fuori controllo, c'è chi parla del 4% (sempre annualizzato), c'è anche ci scrive del 5%.

Se guardiamo alle stime che si fondano quanto meno su metodi chiari, ci viene detto che di starà sotto il 4%, e forse sotto il 3%: lo vedete nei due grafici che seguono qui sotto, che potete ritrovare sui siti della Federal Reserve di New York (quello più in basso) e della Federal Reserve di Atlanta (il grafico qui sotto).

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Perché questo dato è così importante? Come un giocatore al casinò, il Presidente Trump ha fatto un "all-in" sulla crescita economica, scommettendo tutto (più volte) sul fatto che i suoi tagli alle tasse avrebbero riportato l'economia USA ai tassi di crescita degli anni Sessanta. Sarà vero? Un "all-in" è una scelta molto rischiosa.

Trump non ha più molto tempo: le Elezioni di novembre potrebbero costargli la maggioranza al Parlamento. E per questa ragione, Trump oggi alza la voce (anche attraverso i suoi collaboratori, ed anche a rischio di fare salire ancora la tensione, persino arrivando a tensioni con la Federal Reserve), promette sempre di più, ed al tempo stesso intensifica le manovre diversive, come il Vertice con Kim, il Vertice con Putin, e le tariffe commerciali.

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Recce'd ritiene che nei prossimi tre trimestri vedremo tassi di crescita delle economie (non soltanto negli Stati Uniti) inferiori alle attese che oggi sono "il dato di consenso". Ci saranno altre sorprese negative, come già avete visto per l'Europa e la Cina nel primo semestre (il grafico qui sotto è chiarissimo in questo senso). E questo cambierà molte cose: a cominciare dalle stime per gli utili dei prossimi trimestri.

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Wyle E. Coyote (Parte 5)
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Il grafico qui sopra descrive (anche con il suo commento) alla perfezione le Borse del 2018, invariate ed inchiodate nei loro indici maggiori, con DAX, Dow Jones e Shanghai ben sotto i livelli di fine 2017, ma con un esplosivo settore Tech negli Stati Uniti che tiene in piedi tutto.

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Nel secondo grafico, vedete la divergenza clamorosa negli ultimi tre mesi tra l'indice delle small caps USA (linea di colore blu) e l'indice della Borsa di Shanghai (di colore rosso): come se le due realtà appartenessero ad Universi paralleli.

La responsabilità per questa schizofrenia, che come vedrete fra poco tempo è pericolosissima (e purtroppo, non solo  per chi crea la situazione), e di tutti quelli che spingono da sempre per "comperare quello che sale" come formula per operare in Borsa, e di quelli che poi cavalcano questa ubriacatura emotiva generale, incluse le grandi banche di investimento. Per questo (oltre che per alcune manipolazioni dall'esterno), accade quello che vedete qui sopra nei due grafici.

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La Banca di Investimento Merrill Lynch è solo una tra quelle che hanno gridato all'allarme, con il grafico qui sopra: quelli che vedete sono i flussi di investimento verso Fondi ed ETF specializzato nel settore Tech USA, anno per anno (il dato per il 2018 è annualizzato: si prende il dato per sei mesi e si moltiplica per due). Come vedete bene, una vera e propria mania.

La stessa cosa, la avete vista fino a dicembre 2017 per i Bitcoin.

Purtroppo, quando arriverà il crash inevitabile, la ricaduta negativa sarà per tutti, o quasi, gli investitori (non per i portafogli di Recce'd, va precisato): sarà un danno generale, provocato soltanto da una piccola fetta di operatori, quelli che corrono dietro alle "medie mobili" spinti ovviamente dai promotori finanziarie  dalle banche di investimento. Quelli che dicono: "i fondamentali ... ma non farmi ridere!".

Il crash ormai non si può evitare: è solo questione di tempo. La responsabilità è di questi forsennati delle medie mobili, ma allo stesso tempo è di quelli che avevano promesso interventi risolutivi, dopo la Grande Crisi Finanziaria, ed invece poi si sono fatti stordire dalla politica monetaria ultra accomodante, accontentandosi di dire che "non si vedono segnali di crisi", quando al contrario era necessario stroncare, togliere le radici a certe forme di esercizio dell'attività di servizio ai risparmiatori.

Quando quei signori vedranno "i segni della crisi", sarà tardi. Proprio come quando Wyle E. Coyote si rende conto di dove si trova.

La posta in gioco in Europa (parte 1)

I siti internazionali hanno rilanciato nell'ultima settimana alcune dichiarazioni dell'attuale Ministro dell'Interno, che in realtà risalgono a qualche mese fa (allora, non era il Ministro dell'Interno).

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Rilette a distanza di alcuni mesi, colpiscono noi soprattutto per l'accenno all'Europa: "entro un anno si deciderà de una Europa unita esiste ancora, se l'intera cosa ha ancora un senso oppure no".

Soltanto pochi mesi fa, una frase di questo tipo appariva ai più come una fuga in avanti, come una forzatura. Oggi, però, si leggono su tutta la stampa nazionale titoli non molto distanti: ad esempio, qui sotto un titolo di oggi di La Repubblica.

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Non accusateci di catastrofismo: non siamo i soli a vedere in bilico Istituzioni che sono nate nel dopoguerra. Ad esempio, anche il Capo della NATO ha denunciato, di recente, un rischio simile.

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Per chi investe, si tratta di un tema della massima attualità: i prezzi di obbligazioni ed azioni, in Eurozona, sono tutti dipendenti, a filo doppio, dal destino delle Istituzioni europee, dalla UE alla BCE.

Anni fa si è deciso di fare leva sui mercati, distorcendone i prezzi, per finalità politiche che poco avevano a che vedere coi mercati e gli investimenti: ora, quella scelta rischia di tornare indietro come un boomerang.