Longform'd. Strategia per i tre trimestri del 2023: No Happy Landing
Proprio ieri sera, Nick Timiraos ha pubblicato questo grafico.
Il grafico è banale, nei suoi contenuti: espone semplicemente una serie di dati. Ma chi è Nick Timiraos?
Nick Timiraos è un giornalista del Wall Street Journal, a cui la totalità (o quasi) degli operatori di mercato attribuisce il ruolo di “portavoce non ufficiale” di Jerome Powell.
Ecco la ragione per la quale mettiamo alla vostra attenzione questo grafico. Il grafico è banale, ma potrebbe non essere banale l’intenzione dietro alla sua pubblicazione.
Proviamo a rileggere i dati del grafico sopra insieme con il titolo del Financial Times qui sotto.
Nell’immagine il FT ci racconta che c’è stato un forte calo dell’inflazione in Europa, e ci spiega anche che questo calo va attribuito al calo dei prezzi dei prodotti energetici.
Per noi investitori questo titolo è utile ed interessante. Con una serie di semplici osservazioni, possiamo fare infatti un passo avanti, verso una migliore comprensione dello stato attuale delle economie e dei mercati finanziari.
Sarà sufficiente associare tre osservazioni:
il dato nell’immagine è calcolato anno-su-anno
un anno fa, i prezzi delle materie prime (energia in particolare) erano tutti ai massimi
l’inflazione oggi in Europa è al 7%, lira più lira meno
Non aggiungiamo altri commenti, per due ragioni
non ce n’è bisogno: i dati ed il grafico sono chiarissimi
l’inflazione, nel marzo 2023, non è affatto importante
L’inflazione, oggi, non è importante per quello che riguarda il futuro dei nostri portafogli, e le performances future in particolare:
l’inflazione è poco importante, per quello che riguarda i rendimenti futuri di azioni, obbligazioni, valute e materie prime
l’inflazione è di poco aiuto, per noi che abbiamo la necessità di stimare e di prevedere quanto si potrebbe perdere, nel 2023, su azioni, obbligazioni, valute e materie prime
Ci chiederanno in molti, a questo punto, per quale ragione abbiamo aperto il nostro Post parlando di inflazione.
Lo scopo è facile da spiegare: l’inflazione oggi NON è importante per i rendimenti futuri degli asset, ma resta molto importante per i media. Per tutto il mondo della comunicazione. Per le Reti di promotori finanziari (Generali, Allianz, FINECO, Fideuram e compagnia), che ne fanno un argomento di marketing.
Questi insieme di cose, nel breve termine (ma soltanto nel breve e brevissimo termine) influenza l’andamento dei mercati finanziari: per questa ragione noi di Recce’d abbiamo il dovere professionale di occuparcene (anche se ne faremmo volentieri a meno: ma oggi Legge e normativa proteggono quel tipo di comportamenti commerciali).
Il tema dell’inflazione in calo, in questa parte finale del marzo 2023, si intreccia con un secondo tema forte dei media e delle Reti di vendita, che è quello relativo ai fallimenti bancari.
Banche di investimento, media e Reti di promotori finanziari, in uno sforzo comune, hanno immediatamente “rigirato la frittata” e raccontato alla massa dei risparmiatori che i fallimenti delle banche sono una grande fortuna per tutti, per la ragione che consentono alle Banche Centrali di allentare la stretta sui tassi e ritornare a fare crescere i loro attivi.
Come dite? Avete ragione! La cosa suona troppo stupida per essere creduta. Eppure, nel brevissimo termine (quindici giorni) funziona. Infatti, si leggono titoli come
la crisi bancaria è alle spalle
ovvero titoli che in modo esplicito mistificano la realtà ed ingannano i lettori. Non si tratta di una novità, ed anzi siamo abituati a questi tentativi. Era già successo qualche cosa di simile, proprio all’inizio di questo 2023.
Ripercorriamo insieme i primi tre mesi del 2023: se leggete il Sole 24 Ore oppure MF oppure il Corriere della Sera, potreste ricavarne l’impressione che
nel primo trimestre 2023 le Borse hanno recuperato
ma si tratta solo di una illusione ottica. Lo S&P 500 è salito del 5% circa, rispetto allo 1 gennaio 2023, mentre in Europa il rialzo è stato del 7%. Ma proprio nel primo trimestre, e proprio nel mese di marzo, avete anche visto che lo S&P 500 può perdere il 5% in una sola settimana; ed avete anche visto che gli indici di Borsa europei possono perdere il 7% in due sole sedute.
Sarebbero veri guadagni, questi?
Vediamo insieme, adesso, quello che davvero è accaduto nel primo trimestre 2023. Non è difficile né complicato.
Nelle prime due-tre settimane del nuovo anno, la spinta (come sempre potente) dei venditori era orientata a riportare la massa dei risparmiatori alla mentalità dell’anno 2021. Il tentativo era quello di fare dimenticare il 2022, ed la tempo stesso di convincere la massa dei risparmiatori che “è tutto come prima, funziona tutto come prima: anche se l’inflazione, purtroppo (sorpresa!) … non è più transitoria!”. Questo tentativo ha funzionato, ma per poco: appunto, per due o tre settimane.
Il tentativo è fallito, già in febbraio, quando sono arrivati i dati: quei dati ci avevano detto che:
non ci sarà alcun “soft landing”
ed è in questo stato di sorpresa/amarezza (per l’esercito dei venditori) che è iniziato il mese di marzo.
Poi, però, è fallita SVB: e tutti (i venditori, i promotori finanziari, i financial advisors, eslcusi quelli di Credit Suisse) hanno … brindato a champagne.
Questo episodio dei fallimenti, in piccolo, è la ripetizione di quello che è successo con la pandemia 2020: ovvero, a fronte di una notizia negativa, i venditori, le banche di investimento, e tutti quegli “analisti” che di professione producono materiale pubblicitario per manipolare i risparmiatori, hanno immediatamente colto questa occasione per scrivere
le Banche Centrali potranno ammorbidire, allentare la stretta, aumentare la liquidità in circolazione.
Tutti, ormai, avete capito bene che questi mercati finanziari, ed i prezzi che oggi si vedono sui mercati, sono tenuti in piedi (per ora, e solo per ora) da argomenti come
la liquidità abbondante
la mancanza di alternative
FOMO
ed altre stupidaggini di questa natura.
Tutti voi lettori ormai siete consapevoli (almeno, se leggete regolarmente i lavori di Recce’d) che tutto questo funziona, ma soltanto nel breve termine: poi, la realtà riprende sempre il comando.
Ovviamente, sarà così anche nel 2023, come sempre è stato nel 2022, nel 2021, nel 2020, ed anni precedenti. Per convincersene, basta ritornare alle due prime immagini del nostro Post.
Ragione per la quale, la fine del primo trimestre del 2023 è l’occasione perfetta per rivedere, rivalutare e ripensare per intero tutto il proprio portafoglio titoli.
Noi in Recce’d siamo a vostra disposizione, se intendete cogliere questa occasione che i mercati offrono, ed agire nel vostro interesse sia a protezione del vostro patrimonio sia per potenziare le vostre performances 2023, cogliendo le grandi opportunità disponibili oggi.
Performances che al contrario, se siete investiti con una asset allocation di tipo tradizionale
(ovvero: tot azioni e tot obbligazioni, e qualche polizza Vita: la asset allocation tipica dei “cosiddetti consulenti”, sia nelle Reti di promotori, sia nelle Società che si presentano come “indipendenti”)
rischiano di essere nel 2023 ancora più deludenti di quelle del 2022.
A supporto di quanto abbiamo appena scritto, c’è proprio la storia del primo trimestre 2023: se siete in grado di analizzare i fatti del primo trimestre 2023 con attenzione (oppure se avete qualcuno davvero competente che è disponibile ad aiutarvi) arriverete alla medesima conclusione.
Ad esempio, prendiamo le ultime due settimane di marzo 2023 dei mercati finanziari: nelle utile due settimane, la “forza di vendita” ha spinto con forza su una ipotesi, ovvero che “non ci saranno più rialzi dei tassi”, una ipotesi che è sostenuta da un solo argomento, ovvero che “a causa della crisi delle banche l’economia rallenterà”.
Se a voi sembra di averla già sentita, è perché … la avete in effetti già sentita. da oltre un anno, si va avanti così: ogni due mesi arriva qualcuno e ci spiega che
l’economia finirà in recessione ma è un bene, perché scenderanno anche i tassi di interesse.
Noi in Recce’d non siamo più bambini, e da qualche anno: questo tipo di “rosee” aspettative ci fanno sorridere, da sempre, perché tradiscono anche a prima vista uno scopo commerciale, che poi è sempre quello di “raccontare una storia consolante” così da tenere fermi gli investitori nelle loro posizioni sulle Polizze Vita, sulle Polizze UCITS, e sui Fondi Comuni di Investimento. Lo scopo è di tenerli fermi su quelle posizioni, perché su quelle posizioni la massa dei risparmiatori paga commissioni molto elevate, e spesso senza neppure rendersene conto, perché “fare domande è sgarbato” oppure perché “è un argomento tecnico, è difficile da capire”.
Oggi, noi di Recce’d ci prendiamo la responsabilità di scrivere in modo chiaro che è impossibile che i fallimenti delle banche abbiamo MIGLIORATO le prospettive di obbligazioni, azioni, materie prime e valute. Fa persino un po’ ridere, se ci pensate, leggere una cosa simile. Un mese fa, era chiaro che NON ci sarebbe stato alcun “soft landing”: oggi, alla fine del mese di marzo, è diventato quasi una certezza.
Prendete ad esempio il grafico qui sopra: voi, amici lettori, voi come la vedete, mettendo insieme questo grafico e le due immagini precedenti? Voi, come la pensate, la situazione. Andiamo bene? Andiamo verso il meglio?
La domanda che segue è: come si comporterà, il vostro attuale portafoglio di titoli, Fondi Comuni e polizze, visto che non c’è più (non c’è mai stato) il “soft landing”? E quale sarà, invece, lo scenario dei mercati e delle economie in questo 2023?
Noi di Recce’d, ovviamente, abbiamo il nostro scenario, ovvero uno scenario che riteniamo più probabile rispetto a tutti gli altri, per i restanti tre trimestri del 2023, e ne scriviamo in modo regolare la mattina in The Morning Brief.
In questo Post, invece, aiuteremo (come sempre facciamo) in modo concreto, e gratuito, i lettori del sito di Recce’d a costruire per loro stessi uno scenario che non sia … sdolcinato, che non sia consolatorio, che non sia distante dalla realtà. Che sia al contrario uno scenario concreto, vicino alla realtà, e proprio per questo utile a fare le proprie scelte in materia di investimenti.
Lo scenario proposto da Recce’d (sul quale si fonda la strategia per i nostri portafogli modello) NON è uno scenario “commerciale”, come quelli ai quali voi lettori siete tutti abituati: questo perché Recce’d non ha nulla da vendere, nessun “prodotto finanziario” con le commissioni ben nascoste.
Recce’d mette invece a vostra disposizione una competenza professionale che nel corso degli anni si è dimostrata superiore sia nei risultati sia nella comunicazione agli attuali standard di mercato. Superiore come risultati: e superiore come protezione del portafoglio modello di Recce’d dai fallimenti e dai tanti rischi dei mercati finanziari. Rischi che (come avete tutti visto) sono sempre lì, proprio dietro l’angolo: non se ne scrive e non se ne parla fino al giorno prima, e poi tutto d’improvviso … c’è soltanto quello di cui parlare e scrivere.
Sono tutti così tanto consapevoli di questo, ovvero che i rischi sono reali e stanno proprio dietro l’angolo, e che viviamo in un’epoca di rischio “sistemico”, ovvero di rischio di “crollo della civiltà”, e di “rischio perenne e non risolvibile” che adesso (come abbiamo già spiegato sopra) che i pubblicitari dei marketing, i venditori porta-a-porta, e quelli che … vendono i divani in TV ci spiegano che il rischio è diventato in bene collettivo. Più c’è rischio, e più le Banche Centrali ci aiuteranno, noi poveri infermi, zoppi e accattoni.
Davvero voi, amici lettori, volete rappresentare voi stessi come i mendicanti del Manzoni, alla perenni ricerca della carità delle Banche Centrali? Intendete fare questo uso, dei vostri risparmi di una vita?
Oppure, preferite farvi qualche domanda? Ad esempio, preferite capire dove vi trovate e perché? Chi, e in che modo, ci ha portati in questa situazione?
Oggi ne ragioniamo con i nostri lettori, rileggendo insieme un articolo di Martin Wolf del Financial Times che abbiamo tradotto per i lettori del Blog.
Quindi, di chi o cosa è la colpa? Perché, a 15 anni dall'inizio dell'ultima crisi finanziaria, potremmo assistere a un'altra crisi? Per molti è colpa di un lungo periodo di tassi d'interesse bassissimi imposti dalle banche centrali. Per altri, è colpa del culto del salvataggio.
Non c'è bisogno di guardare lontano per trovare le origini intellettuali di queste opinioni. Si trovano nell'economia austriaca. Come dice Brad DeLong nel suo eccellente libro Slouching Towards Utopia, questa visione è che "il mercato dà, il mercato toglie; sia benedetto il nome del mercato". Gli austriaci non hanno del tutto torto. Ma non hanno nemmeno del tutto ragione.
L'essenza dell'argomentazione è che la crisi finanziaria transatlantica del 2007-15 è stata il prodotto di una politica monetaria eccessivamente allentata. Quindi, la politica monetaria eccessivamente allentata, insieme ai salvataggi, ha ostacolato la distruzione creativa che avrebbe riportato l'economia a una salute vigorosa. Infine, dopo Covid, un'altra ondata di politica monetaria eccessivamente allentata, unita a una politica fiscale aggressiva, ha causato un'inflazione elevata e un'ulteriore fragilità finanziaria. Ora tutti i polli stanno tornando al loro posto. La storia è semplice. Ma è sbagliata.
Il declino trentennale dei tassi d'interesse reali è un fatto notevole a partire dalla fase precedente la crisi finanziaria. Il Regno Unito ha emesso gilt indicizzati dall'inizio degli anni '80. La caratteristica più notevole della serie è che i tassi di interesse reali sono diminuiti di 30 anni. La caratteristica più notevole della serie è l'enorme calo dei rendimenti reali, passati da un picco del 5% nel 1992 all'1,2% nel 2006, poi al meno 1,4% nel 2013 e al meno 3,4% nel 2021. Le banche centrali da sole, per quanto demenziali possano essere, non potrebbero garantire un calo di oltre otto punti percentuali dei tassi di interesse reali in tre decenni.
Se questo enorme calo dei tassi di interesse reali fosse stato incompatibile con le esigenze dell'economia, si sarebbe sicuramente assistito a un'impennata dell'inflazione. Con l'inflazione bassa fino a poco tempo fa, i titoli nominali sono scesi quasi a zero Quindi, cosa stava succedendo? I grandi cambiamenti di fondo sono stati la liberalizzazione finanziaria, la globalizzazione e l'ingresso della Cina nell'economia mondiale.
Questi ultimi due non solo hanno abbassato l'inflazione. Hanno anche introdotto nell'economia mondiale un paese con un surplus di risparmio colossale. Inoltre, l'aumento delle disuguaglianze all'interno dei Paesi ad alto reddito, unito all'invecchiamento della popolazione, ha creato enormi eccedenze di risparmio anche in alcuni di essi, in particolare in Germania. Per bilanciare la domanda e l'offerta a livello mondiale, erano quindi necessari investimenti eccezionali alimentati dal credito, in particolare nel settore immobiliare. Per fortuna o no, la liberalizzazione finanziaria ha facilitato questo boom creditizio.
I tassi delle banche centrali hanno tentato, e per lo più fallito, di mantenere alti i tassi di interesse Tutto questo è esploso nella crisi finanziaria. La decisione presa allora fu quella di non avere un'altra grande depressione. Non rimpiango il mio sostegno a questa decisione evidentemente saggia. Ma, data la realtà dell'economia mondiale e l'impatto della crisi, era necessario un continuo sostegno fiscale o una politica monetaria ultra-allentata. La prima è stata esclusa. Quindi, bisognava optare per la seconda. I dati sull'offerta di moneta mostrano perché sia i tassi d'interesse ultrabassi che il quantitative easing sono stati fondamentali.
Dopo la crisi finanziaria, ci sono stati lunghi periodi in cui il contributo privato alla crescita della massa monetaria era negativo, perché il credito si stava contraendo. Se i tassi di interesse fossero stati più alti e le banche centrali non avessero ampliato la base monetaria, come invece hanno fatto, la massa monetaria sarebbe crollata. Non credo nella nostra capacità di stabilizzare la domanda stabilizzando l'offerta di moneta. Ma lasciare che imploda è un'altra questione.
Milton Friedman avrebbe considerato essenziale l'azione delle banche centrali nello stabilizzare la crescita della massa monetaria dopo la crisi finanziaria. Lo penso anch'io. L'inflazione di fondo è stata bassa per più di due decenni e mezzo Poi è arrivato il Covid.
A questo punto, le autorità monetarie e fiscali hanno commesso quelli che si sono rivelati grandi errori. La crescita monetaria è esplosa. Secondo il FMI, anche il deficit fiscale strutturale del gruppo delle sette principali economie è aumentato di 4,6 punti percentuali tra il 2019 e il 2020 e si è ridotto appena nel 2021. Questa combinazione ha alimentato un'impennata della domanda superiore a quella che l'offerta poteva soddisfare, visti i ripetuti blocchi della Cina e la guerra in Ucraina. Il risultato è stato, speriamo, un'impennata temporanea dell'inflazione e un aumento dei tassi di interesse, che ha causato un altro shock al nostro fragile sistema bancario. In sintesi, le banche centrali non erano i malvagi burattinai che si immaginavano, ma burattini sotto il controllo di forze più potenti. Certo, hanno commesso degli errori.
Forse la politica monetaria avrebbe dovuto "appoggiarsi al vento" un po' di più prima della crisi finanziaria, il QE sarebbe terminato un po' prima dopo la crisi e il sostegno monetario sarebbe stato ritirato più rapidamente nel 2021. Ma, dato il nostro sistema finanziario liberalizzato e gli enormi shock subiti dall'economia mondiale, sono scettico sul fatto che tutto ciò avrebbe fatto una grande differenza. Le crisi erano inevitabili.
Certamente, la legione di critici deve specificare con precisione cosa avrebbero raccomandato al loro posto e quali effetti si sarebbero aspettati dalle loro alternative. Abbiamo bisogno di specificare e quantificare i controfattuali. Quanto avrebbero dovuto essere alti i tassi di interesse? Quanto si sarebbero aspettati un crollo finanziario, un crollo economico e un aumento della disoccupazione dopo la crisi finanziaria? Perché pensano che le imprese avrebbero investito di più se i tassi di interesse fossero stati più alti? Anche se la produttività sarebbe aumentata uccidendo le imprese "zombie", perché sarebbe stata una buona cosa se i costi includevano una produzione inferiore per un periodo prolungato?
Come tutte le istituzioni umane, le banche centrali sono imperfette e talvolta incompetenti. Ma non sono pazze. L'idea che ciò che è andato storto nelle nostre economie negli ultimi decenni sia principalmente la politica monetaria allentata è una scappatoia.
Si basa sull'illusione che esista una soluzione semplice alle carenze dei nostri sistemi finanziari e delle nostre economie reali. Le cose non sarebbero meravigliose se le banche centrali fossero rimaste inerti. Non possiamo abolire la politica democratica. La politica economica deve essere adattata al nostro mondo, non al XIX secolo.
Abbiamo scelto di proporre questo articolo di Martin Wolf ai nostri lettori per una serie di ragioni:
questo articolo è scritto benissimo
questo articolo è molto informativo per il lettore (a differenza del 95% dei commenti pubblicati dalla stampa)
questo articolo NON è (lo ripetiamo: NON è) in sintonia con il nostro modo di rileggere le vicende degli ultimi 15 anni, perché OMETTE una serie di fatti nel suo racconto; lo ripetiamo: NON è questo il nostro modo di vedere le cose
con la sola eccezione del giudizio sugli anni 2020 e 2021
questo articolo aiuta ognuno dei nostri lettori a comprendere (a meraviglia) che tutto ciò a cui abbiamo assitito, nel primo trimestre 2023 è soltanto un inizio
questo articolo conferma ciò che noi abbiamo scritto più e più volte, nel 2022: è iniziata una Nuova Era, per i mercati finanziari e quindi per noi investitori; oggi non è ancora chiaro tutto, del futuro che ci aspetta; è invece chiarissimo, anche dalle parole di Wolf, quello che è finito, per sempre, e che quindi NON ritornerà
Aggiungiamo una nostra considerazione (una sola, tra le tante possibili, che esporremo successivamente nel nostro The Morning Brief): pur essendo che noi NON condividiamo quello che Wolf scrive qui, siamo però anche noi del parere che
sarebbe sbagliato assumere che SENZA gli interventi delle Banche Centrali tutto sarebbe andato a meraviglia.
Riconosciuto questo, però, sarebbe stato molto importante che Wolf avesse anche riconosciuto che oggi, nel marzo del 2023, questo NON è l’equivoco principale che va risolto.
Nel marzo del 2023, purtroppo, la massa degli investitori rimane imbambolata ed intontita di fronte all’immaginetta delle Banche Centrali come a Napoli in molti stanno a bocca aperta di fronte al San Gennaro che sanguina. La massa degli investitori, ancora oggi, resta intimamente convinta che le Banche Centrali siano onnipotenti, ed ottengano sempre quello che vogliono. Il che è falso: ma questa illusione collettiva ha già prodotti danni gravissimi (ed altri sono in arrivo a breve).
Nel suo articolo Wolf scrive che:
Come tutte le istituzioni umane, le banche centrali sono imperfette e talvolta incompetenti. Ma non sono pazze. L'idea che ciò che è andato storto nelle nostre economie negli ultimi decenni sia principalmente la politica monetaria allentata è una scappatoia.
Su questo, noi di Recce’d potremmo anche essere d’accordo: ma ben più grave, ed appunto drammatica, è quell’altra scappatoia, che sta proprio nel credere che le Banche Centrali non siano più istituzioni umane, imperfette ed incompetenti, ma siano invece perfette ed onnipotenti. E quindi, la sola guida a cui affidarsi per investire il proprio risparmio.
Questo è un errore grave, una falsità enorme: che dura da troppo tempo, e che produrrà nei prossimi anni danni molto gravi al pubblico dei risparmiatori, da lungo tempo disabituati a valutare le scelte delle Banche Centrali in modo critico. Inclusi i salvataggi di SVB e di Credit Suisse.
Ora, per chiudere il lungo Post, e contribuire alle vostre future scelte di investimento, vi invitiamo alla lettura di un secondo articolo. Il secondo articolo integra il precedente: passa però dall’esame del passato all’esame del futuro.
Per molti investitori, dopo un tumultuoso primo trimestre 2023, il problema più grande oggi è la mancanza di uno scenario di riferimento. A noi sono molti che chiedono
voi vedete la recessione, oppure la stagflazione, o che cosa?
Recce’d non scappa mai di fronte alle domande dirette, come tutti ormai sapete.
In questo specifico caso, rispondiamo come segue:
la domanda è tempo perso.
Per quale ragione è tempo perso? Perché nulla, di ciò che oggi abbiamo davanti agli occhi, è mai accaduto in precedenza. Affidarsi a vecchie etichette, a vecchi scenari, come stagflazione oppure recessione, equivale a buttare via il tempo. Molti si domandano
Lasceranno correre l’inflazione al 5% per cinque anni?
Oppure pesteranno sul pedale del freno?
Oppure, come hanno fatto fino ad oggi, continueranno a negare i dati che avete già visto nelle prime due immagini, portando così le economie alla deriva?
Chi oggi vi garantisce che arriverà uno di questi scenari, per il 2023, è una persona senza scrupoli. Oppure poco competente. Oppure, semplicemente, vi sta ingannando.
Ciò che tutti noi risparmiatori andremo a vedere, e ad affrontare con i nostri portafogli di investimenti finanziari, non ha alcun eguale nella storia dei mercati finanziari e delle economie. Non è possibile, oggi, dire quale sarà lo scenario che prevale. Come dice anche l’articolo qui sotto (e come noi vi scriviamo da almeno un anno) questo è un Cambio di Regime. Grandissimi rischi, ma pure grandissime opportunità di guadagno.
Non ci sarà un lieto fine per tutti. Questo segnatevelo.
E quindi, veniamo alla pratica: che cosa bisogna fare, per i portafogli titoli? Per avere un rendimento? Per proteggere il patrimonio?
Il migliore consiglio pratico che noi di Recce’d siamo in grado di darvi, oggi all’inizio del secondo trimestre 2023? Non siate pigri. Non addormentatevi alla guida. Reagite alla realtà che cambia. Non cercate di fare tutto da soli: questo non è un mercato per bambini, non è un mercato per dilettanti, non è un mercato da fai-da-te. Il momento è serio: fate i seri, almeno con i vostri soldi. Questo non è un videogioco: non esiste il tasto RESET, stiamo parlando dei vostri soldi, e non di quelli del Monopoli.
Noi di Recce’d non vi … portiamo a spasso raccontando di scenari da favola come il soft landing. E neppure vogliamo generare ansia parlando di stagflazione. Molto più seriamente, vi diciamo. … che noi non sappiamo … dove sarà l’atterraggio.
La differenza sta in un fatto, molto semplice: noi sappiamo pilotare questo aereo in situazioni difficili: lo dimostra la nostra storia. Noi abbiamo l’esperienza necessaria, e siamo discretamente bravi.
Non vi serve un “venditore di scenari”: a voi serve di affrontare il nuovo, e lo sconosciuto. A voi serve qualcuno che vi affianchi quotidianamente con competenza e diligenza professionale. Camminando insieme a noi ogni giorno, seguiremo insieme l’evoluzione della realtà, e voi potrete appropriarvi (attraverso i nostri portafogli modello) delle notevoli soddisfazioni che questa realtà oggi ci mette a disposizione.
Per quanto possa sembrare inverosimile, il crollo della Silicon Valley Bank getta una luce interessante sulla spinosa questione se gli obiettivi di inflazione delle banche centrali debbano essere innalzati per ridurre il rischio che una politica monetaria troppo rigida provochi una recessione.
La SVB, infatti, per quanto inetta nella gestione del rischio e nel giudizio sugli investimenti, è stata in ultima analisi una vittima del regime di politica monetaria della Federal Reserve statunitense. Nel periodo successivo alla crisi finanziaria del 2007-9, le forze deflazionistiche hanno rappresentato la sfida principale per i responsabili delle politiche delle banche centrali. Il loro problema non era come far scendere l'inflazione entro l'obiettivo, ma come farla risalire al livello prefissato. Per farlo, potevano ricorrere a tassi d'interesse nominali bassissimi o addirittura negativi.
Una conseguenza di questa estrema licenza monetaria, come sottolinea Edward Chancellor nel suo libro The Price of Time, è stata una pletora di distorsioni del mercato, tra cui la creazione della "bolla di tutto", in cui i prezzi di quasi tutti i beni sono stati spinti ad altezze astronomiche. Con il reddito degli asset fortemente depresso, gli investitori sono stati spinti a cercare il rendimento senza badare al rischio.
Questa, in sostanza, è stata la storia di SVB, banca di innumerevoli aziende tecnologiche. All'apice del boom tecnologico, la SVB ha registrato un afflusso massiccio di depositi. Poiché questi superavano di gran lunga le potenziali opportunità di prestito, dovette trovare sbocchi di investimento per il denaro. Con la carta a breve termine che non offriva quasi nulla, ha cercato il rendimento e ha immobilizzato i fondi in 120 miliardi di dollari, principalmente in titoli garantiti da mutui ipotecari a lungo termine con rating elevato. Gli strumenti a lunga scadenza sono particolarmente vulnerabili all'aumento dei tassi di interesse.
Pertanto, quando la Fed ha inasprito tardivamente la politica monetaria in risposta a un'inflazione inaspettatamente elevata, il calo del valore di mercato del portafoglio di SVB ha quasi azzerato il suo capitale. Questo non avrebbe avuto importanza se i depositanti avessero mantenuto la fiducia nella banca, perché non ci sarebbero state perdite se i titoli fossero stati mantenuti fino alla scadenza. Ma la comunità tecnologica è andata nel panico, c'è stata una corsa ai depositi e SVB ha dovuto vendere gli asset svalutati, precipitando così il proprio fallimento.
Potremmo essere solo all'inizio di una serie di episodi di instabilità finanziaria che aumenteranno il rischio che, nel tentativo di riportare l'inflazione al 2%, la Fed e le altre banche centrali danneggino gravemente la produzione e l'occupazione. Non sorprende, quindi, che ci sia un coro crescente di richieste di innalzare gli obiettivi di inflazione dal 2 al 3%. E ciò non è irragionevole se, come ha sostenuto l'ex capo economista della Banca d'Inghilterra Andy Haldane, stiamo assistendo a uno spostamento verso l'alto del livello globale dei prezzi di equilibrio.
In ogni caso, non esiste alcuna giustificazione teorica per equiparare il 2% alla stabilità dei prezzi. Tuttavia, spostare l'asticella degli obiettivi sarebbe come arrendersi all'inflazione. La credibilità delle banche centrali, già ridotta, subirebbe un danno enorme e le aspettative di inflazione schizzerebbero alle stelle. Per questo motivo, le banche centrali si arrangieranno, eventualmente seguendo il suggerimento di Haldane di estendere l'orizzonte temporale per il raggiungimento dell'obiettivo del 2% o di sospenderlo temporaneamente, promettendo di rifarlo alla prima data possibile. Ma questo lascia due domande più ampie.
Quello che abbiamo imparato sull'inflation targeting è che in tempi di deflazione provoca la semina di instabilità finanziaria. Poi, quando l'inflazione ritorna, provoca lo scoppio di crisi finanziarie quando i tassi di interesse vengono aumentati per tornare all'obiettivo di inflazione. In realtà sembra funzionare solo quando i prezzi sono comunque stabili.
Oh, cielo. Un caso, quindi, di cambio di regime? Purtroppo, qualsiasi altro regime potrebbe comportare una maggiore discrezionalità e quindi una minore responsabilità. Modificare il regime esistente potrebbe essere l'opzione meno peggiore. C'è poi la questione di come l'obiettivo del 2% influisca sulla capacità dei governi di ridurre gli attuali livelli molto elevati di debito pubblico.
Il rimedio tradizionale è una combinazione di crescita, che produce entrate fiscali sostenute per aiutare a pagare il debito, e di inflazione, che riduce il valore reale del debito. Tuttavia, la crescita è anemica e un obiettivo di inflazione del 2% riduce le possibilità di default informale attraverso l'inflazione. Nel panico generale successivo al crollo della SVB, le banche si sono affrettate a prendere in prestito 330 miliardi di dollari di fondi di riserva dalla Fed.
Si sta facendo strada la speculazione che la Fed possa rinviare ulteriori rialzi dei tassi. Siamo quindi bloccati nell'annosa situazione in cui la politica non si appoggia ai boom, ma si allenta aggressivamente nei periodi di crisi, mentre il debito continua a crescere inesorabilmente.
Non ci può essere un lieto fine per questa storia.
john.plender@ft.com