Chiariamo ancora una volta: sul piano operativo, sul piano delle performances, sul piano della gestione del portafoglio, del destino di Banca Monte dei Paschi a Recce'd importa NULLA: una azienda da decenni gestita in modo pessimo e per fare favori personali, azeinda a piccola capitalizzazione, azienda locale. La terza banca italiana? Nei sogni forse ... sul mercato conta ZERO. Le ragioni per le quali Recce'd ha dedicato questa serie di otto Post alle vicende di MPS sono tutte rivolte al futuro: perché ci saranno ALTRI casi di questa natura, e non solo nel settore bancario. E poi, per noi investitori, ci sono lezioni importantissime da ricavare: ad esempio, sul ruolo dei mezzi di informazione. Ed infine, c'è la nostra simpatia, e supporto, agli investitori truffati e ai dipendenti (la maggior parte, ma non tutti) in buona fede. Dipendenti e collaboratori oggi ricattati con lo strumento della paura.
Peccato, perché solo dipendenti e collaboratori potrebbero fare svoltare verso il meglio questa situazione: con una pubblica assunzione di responsabilità. Loro dovrebbero parlare, e tutto il giochetto che si sta tentando di montare in un attimo salterebbe.
Ma ora torniamo alla stampa, alla quale dedicammo pochi giorni fa il terzo Post di questa serie, per documentarne il ruolo, attivo e non marginale, nella vicenda.
Leggiamo lo scorso giovedì su La Repubblica, a firma del vicedirettore Massimo Giannini (già conduttore di Ballarò alla Rai) che sulla vicenda MPS "mancano delle risposte". Questo articolo, che vi suggeriamo di leggere, è una lunga ed articolata denuncia. Ecco un estratto di quell'articolo, con i passaggi che Recce'd giudica più significativi:
Anche il nuovo premier, dopo aver varato il decreto salva-Mps, tira un sospiro di sollievo, come fece il vecchio premier il 22 novembre 2015, dopo aver varato il decreto salva-Etruria. Sollievo malriposto. Allora come oggi. Il salvataggio della banca più antica del mondo avrà costi enormi, ancora incalcolabili. (…) Per il resto, il ministro dice: "Non sono affatto pentito di aver sostenuto, nel rispetto del ruolo di tutti, l'operazione di mercato". Ma non era forse già chiaro a luglio che la "strada privata" avrebbe portato a un vicolo cieco? Si può considerare il licenziamento di un amministratore delegato come Fabrizio Viola, deciso con una telefonata fatta "per conto" dell'allora premier Renzi il 7 settembre, una mossa "nel rispetto del ruolo di tutti"? O qui non c'è forse una clamorosa invasione di campo della politica, che invece di salvare la banca quando le condizioni lo consentivano si è avventurata in un'improbabile "operazione di mercato"? (…) E poi, più in particolare sull'affare Mps: perché il Governatore della Banca d’Italia ripete dal gennaio 2013 che la banca "non ha problemi di tenuta ", mentre nei due anni successivi Viola è costretto a chiedere aumenti di capitali per ben 8 miliardi? Perché in estate non si oppone alla cacciata dello stesso Viola, decisa da Renzi il 6 luglio dopo una colazione di lavoro a Palazzo Chigi con il presidente di Jp Morgan, Jamie Dimon? Perché in autunno non si oppone al rinvio dell'aumento da 5 miliardi, che Renzi decide di spostare a dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre, per evitare di dover mettere la faccia su un sicuro fallimento? (…) Da settembre, dopo la famigerata "telefonata di licenziamento" di Padoan, ai vertici Mps siede Marco Morelli, già dirigente della banca ai tempi di Mussari. Insieme a Jp Morgan e Mediobanca (finora curiosamente rimasta "al riparo" da critiche) è proprio Morelli a farsi garante della cosiddetta operazione "di mercato", cioe del reperimento dei 5 miliardi di capitali privati. Ed è proprio Morelli a ventilare fino all'ultimo la possibilità che grandi fondi esteri intervengano nella ricapitalizzazione, nel ruolo di "anchor investor", convincendo il Tesoro a rinviare fino all'ultimo un intervento pubblico su Mps che si poteva e si doveva fare almeno sei mesi fa. Dunque: quando e con chi ha parlato Morelli, tra i rappresentanti del fondo sovrano del Qatar? Quali sono stati i suoi interlocutori nel fondo gestito da George Soros? E quali offerte concrete aveva in mano, quando il 7 dicembre il cda della banca ha chiesto alla Bce una proroga al 20 gennaio 2017, per il closing dell'operazione? È il minimo che si possa chiedere a un manager che ha un compenso fisso di 1,4 milioni, superiore a quello del suo pari grado di Bnp Paribas. Per gestire la peggiore delle grandi banche europee, guadagna più di quello che guida la migliore. Come direbbero un Longanesi o un Flaiano: ah, les italiens...
Leggiamo poi venerdì 30, sulla prima pagina del Corriere della Sera, a firma (ancora) Giavazzi, quello che segue:
Il problema è che un intervento di queste dimensioni non ce lo potremmo permettere. Portare il debito pubblico da 133 a 134 per cento circa del Pil (questo sarebbe il costo di un intervento di 20 miliardi) non è ideale ma neppure drammatico: alzarlo di 5 punti rischierebbe invece di far salire il costo di tutto il debito. Ce lo potremmo permettere solo chiedendo l’aiuto dell’Europa attraverso il Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, cosiddetto Fondo salva Stati. Cioè mettendo le nostre banche sotto la tutela europea. Con una differenza importante: il Mes non è un’istituzione comunitaria, cioè non è un braccio dell’Unione Europea. È semplicemente un accordo fra Stati, in cui ciascuno, e la Germania in particolare, ha diritto di veto. Questo è ciò cui puntano alcuni in Germania. Salvare l’Italia, che rimane uno dei primi mercati per le esportazioni tedesche, ma metterci sotto tutela. Possiamo evitarlo? La possibilità di non essere messi sotto tutela dipende quindi da che cosa ci aspettiamo accadrà alla nostra economia.
Leggiamo quindi, grazie a questi due articolisti, che:
1. il Governo italiano non ha affatto "chiuso", bensì piuttosto ha "aperto" la fase di crisi per Banca MPS
2. che la Banca d'Italia per anni ha mancato nei suoi doveri istituzionali (verso la collettività) in questa vicenda
3. che gli Amministratori di MPS hanno l'obbligo (anche sotto il profilo penale) di documentare le informazioni che sono state fornite ai mercati, e dimostrare che non si trattava di false comunicazioni a mezzo stampa; ed insieme a loro devono essere chiamate a rispondere sia Mediobanca, sia JP Morgan; e subito, non tra cinque anni: oggi stesso, se l'Italia è ancora un Paese sovrano
4. che è reale e concreta la possibilità di un "commissariamento" dell'Italia intera per effetto della cattiva gestione di MPS e della sua crisi.
A noi di Recce'd questi sembrano quattro punti molto importanti: così tanto importanti che in Recce'd ne scrivemmo mesi e mesi fa, in più occasioni. Sui giornali invece nulla: fino a fine 2016, non si erano accorti di queste cose, perlatro molto evidenti.
Ci fa piacere rileggere le nostre parole nei due articoli citati? No, per nulla: al contrario ci preoccupa molto. Recce'd fa un altro mestiere, non siamo giornalisti, e vorremmo potere utilizzare le informazioni che leggiamo sui quotidiani per migliorare e non invece peggiorare il nostro grado di conoscenza dei fatti, e quindi per fare meglio il nostro vero lavoro. Se persino noi arriviamo prima di La Repubblica e Corriere della Sera, c'è motivo di essere preoccupati sulla qualità dei mezzi di informazione.
Noi qui potremmo anche chiudere: tutto è chiaro, in queste parole e nel nostro commento. Essendo oggi il primo giorno di un nuovo anno, ci permettiamo un lusso che non ci concediamo mai. Parleremo dei massimi sistemi.
Lo spunto ce lo ha fornito un terzo articolo, pubblicato ieri 31 dicembre 2016, sempre su la Repubblica, dall’ex-Direttore Ezio Mauro. Articolo che, lo diciamo subito, a noi in Recce’d è piaciuto molto, perché a nostro parere illumina la delicatezza di un passaggio storico, sociale, politico che per il momento alla gran parte del pubblico sfugge ancora del tutto. Descrive il nuovo Mondo, un Mondo dove viviamo, e in cui investiamo i nostri risparmi.
A nostro parere però nel pezzo di Ezio Mauro c’è un grande errore, che proveremo poi a legare con quanto scritto qui sopra. Leggiamo insieme le conclusioni di Mauro:
Il risultato è un deserto culturale, dove di fronte all’impatto devastante delle tre crisi e alla fatica della democrazia manca la capacità nella destra di governo e soprattutto nella sinistra di elaborare un pensiero alternativo alla cultura dominante, con il riformismo (ultima speranza politica della sinistra dopo la sconfitta del comunismo) che si è ridotto a pura tecnica di gestione, agitando il cambiamento per il cambiamento, proprio per mancanza di una vera ambizione culturale, senza il coraggio di immaginare e impersonare un’alternativa. Con il risultato che l’alternativa sembra possibile solo fuori dal sistema. Si capisce che di fronte a questo male della democrazia prosperino gli imprenditori del peggio, coloro che non pensano ai rimedi ma all’unzione, perché non si propongono come medici ma come becchini, dopo essersi nutriti della crisi che li ha generati. L’ultimo paradosso della democrazia è questa capacità di produrre col suo malessere - e garantire - le forze antisistema, nate tutte dentro il processo democratico, per una debolezza culturale e istituzionale della politica tradizionale, come i fiori del male. Gli untori della crisi rischiano di ereditarne gli avanzi, incapaci di convertire la rabbia sociale che eccitano e raccolgono in un progetto culturale nuovo, appagandosi soltanto di dare forma pubblica agli istinti e ai risentimenti: come se fosse possibile fare politica soltanto contro, senza mai qualcosa in cui credere. (…) La conseguenza più rilevante non è nemmeno la partita contingente per il governo. Ma è il rischio che la buona vecchia cultura liberale - e tanto più quella liberal-democratica - stiano entrando in minoranza nel mondo occidentale. Il pensiero liberale ha influenzato le culture di governo della destra moderata e della sinistra riformista, le istituzioni e le costituzioni nate nel dopoguerra. Si capisce che il populismo, alla ricerca mitologica di un anno-zero, voglia cancellarlo. La sua scommessa è la politica senza cultura: non l’abbiamo ancora provata, si chiama tabula rasa.
L’errore che Mauro commette, a parere di Recce’d, è questo: attribuire troppe responsabilità agli “untori della crisi”, invece di dedicarsi a comprendere cosa ha generato la crisi, che non è stata innescata dagli “untori”, vorremmo dire a Mauro: è stata creata, e poi amplificata, proprio da quelli che lei considera “i buoni”. E qui serve un esempio concreto, ed allora torniamo a MPS: Mauro parla di “buona vecchia cultura liberale”, ed è proprio qui che diventa del tutto evidente il suo errore, perché quella stessa cultura liberale a cui lui si richiama è stata da tempo messa in soffitta da “falsi liberali” che la hanno sostituita con una coltura marcatamente conservatrice, e per nulla liberale. La cultura liberale vuole, anzi esige, che aziende malate come MPS lascino il posto (fatti alcuni tentativi di rimetterle in piedi) ad aziende nuove e più sane, più giovani e più dinamiche, libere dalle zavorre del passato.
Bloccando questo ricambio, imponendo al di sopra del mercato che “le” banche debbano per sempre essere “queste banche che vendiamo oggi” (le MPS, ma pure le Mediobanca, e pure le JP Morgan), si è negato proprio il pensiero liberale. Un’economia liberale è in continua, e a volte rapida e violenta, evoluzione. Le economie Occidentali oggi sono mummificate, e in esse si aggirano in prevalenza aziende Zombie (anche in altri settori, ed anche nel settore dei mezzi di comunicazione quanti esempi si potrebbero fare?). Non è il populismo che vuole cancellare la cultura liberale: sono proprio quelli che sono stati favoriti dalle linee di finanziamento di MPS (oppure Unicredit, Intesa, Banco Popolare, fate voi lettori), non li hanno mai restituiti, in una logica del “meglio tirare avanti” e “mai cedere la posizione”, e che oggi hanno il terrore che si sappia, che venga fuori. Così hanno bloccato un intero sistema bancario: Mauro invece che guardare a Le Pen e Salvini dovrebbe cercare i nemici nella sua stessa squadra. Invitiamo Ezio Mauro a riflettere sul fatto che anche senza MPS (o Mediobanca) il mondo continuerebbe ad esistere, così come continuerebbe a funzionare anche senza La Repubblica, e come continuerà a funzionare anche senza Obama e Renzi. Nessuno è insostituibile, ed il mondo ha necessità assoluto da cambiamenti, rivolgimenti e trasformazioni che rendano le strutture più adatte alla Società che è in costante evoluzione. Senza MPS, Mdiobanca e Unicredit, l'Italia funzionerebbe forse meglio, e non peggio come sostengono i diretti interessati.
In questa chiave, risulta chiaro le critiche che partono ogni mattina verso l’Europa, la cui “eccessiva rigidità” metterebbe in pericolo questo “meraviglioso piano di salvataggio” sono solo argomenti strumentali, e spesso anche enormi sciocchezze scritte da soggetti che sono al minimo imbecilli, ed al massimo male intenzionati manipolatori della pubblica opinione. Per spiegare il perché, utilizziamo ancora il recente articolo di Giavazzi per il Corsera, già citato:
Quello che manca nella posizione del governo è il senso della drammaticità di queste decisioni. Palazzo Chigi e il ministero dell’Economia gestiscono la crisi come se quelle che ci troviamo ad affrontare fossero tutte scelte normali. La gravità di un passaggio, pur necessario, come la nazionalizzazione della terza banca del Paese viene messa in sordina. Il tentativo comprensibile di tranquillizzare gli italiani si trasforma agli occhi tedeschi (e non solo) in una insopportabile leggerezza nell’affrontare i problemi: le banche, come la crescita, o le riforme ancora da fare.
Esatto: è proprio così, ed hanno ragione i tedeschi: è una leggerezza palpabile, insopportabile, ed irresponsabile (perché poi i costi li pagheremo noi).
Sono i tedeschi, in questo caso, a difendere gli interessi dei cittadini e risparmiatori italiani, con la nostra stessa politica, contro le nostre Autorità di settore e contro i nostri mezzi di informazione.