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Ribilanciare il portafoglio: che cosa significa?

Reti commerciali e consulenti (e anche i più raffinati financial advisors) hanno in comune la pratica periodica del "ribilanciamento del portafoglio", un concetto di cui è chiara la valenza commerciale (fare "muovere" il Cliente) mentre è meno chiara l'efficacia in termini di risultato della gestione di portafoglio.

La necessità di ribilanciare periodicamente viene spiegata, anche sulla stampa specializzata (ad esempio sul Wall Street Journal) dalla necessità di avere un "portafoglio strategico" e poi delle "correzioni tattiche".

Ma è davvero necessario? Questo modo di procedere nel tempo ha prodotto risultati sempre meno soddisfacenti per chi investe ed è quindi legittimo chiedersi su che cosa si basa.

Per portafoglio strategico si intende un portafoglio sulla base di medie pluriennali di rischio e rendimento, secondo tradizione. In genere si utilizzano le "classi di attività", ma questo approccio può essere impiegato anche ad una sola classe di attività: di recente, ne ha scritto ancora il Wall Street Journal.

La lettura di questi ed altri contributi ci porta a concludere che la tradizione di cui sopra è funzionale prima di tutto alla collocazione di prodotti del risparmio gestito. Non viene indicata (né qui né altrove) una motivazione forte, un fondamento teorico oppure empirico per giustificare la pratica dei "ribilanciamenti".

Ci sembra che, nell'interesse dell'investitore, sia preferibile non affidarsi a tecniche che possono apparire di "facile comprensione" ma che, al tempo stesso, sono di dubbia utilità.

Sul CAPM

La sterminata letteratura che si è accumulata negli ultimi 50 anni sui modelli della tradizione di Markowitz non può certo essere risolta in poche righe.

Ci pare però utile segnalare un articolo recentissimo che offre una ricapitolazione dei punti deboli più noti di quei modelli, e del CAPM in particolare. Ci pare utile perché ancora oggi una larga parte dell'industria italiana adotta modelli di asset allocation che si fondano su questi principi.

Principi che, come chiarisce lo studio che segnaliamo, risultano tutt'altro che indiscutibili.

I rendimenti "di lungo periodo"

Notizie di stampa con confermano, anche di recente, che i grandi investitori istituzionali continuano ad adottare obiettivi di rendimento nell'ordine dell'8% medio annuo per i loro attivi finanziari.

Da questo fatto deriva "rischio sistemico" perché proprio da quei rendimenti dipenderà la copertura delle passività di assicurazioni e fondi pensione. Come si vede nel grafico sotto, ipotesi diverse sui rendimenti medi di lungo periodo producono drammatiche differenze di risultato.

Da questo fatto si ricava anche che l'industria è rigida e non sa adattarsi al cambiamento, ovvero ad un contesto di mercato che, negli ultimi quindi anni, si è profondamente modificato (come è stato scritto in numerose occasioni).

Gli investitori istituzionali continuano ad adottare politiche di portafoglio convenzionali, basate sulle asset allocations ​per classi di attività e su una qualche versione abbellita del classico rischio/rendimento di Markowitz, senza prendere atto che l'evidenza ha del tutto invalidato quei modelli. Ma, come risulta dalla tabella di pagina 29 di una recente ricerca di Research Affiliates,​ un generico portafoglio 60/40 ha reso per l'investitore USA meno del 4% annuo nel decennio 2001-2010: il dato più basso dagli anni Trenta.

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