Se Dio non le voleva tosate, non avrebbe creato le pecore

 

Oggi, giorno 7 ottobre del 2023, nel panorama dei mercati finanziari internazionali, quale è la cosa che somiglia al BTP di due anni fa, nel settembre del 2021, quando rendeva lo 0,50% circa?

Il nostro Post di oggi risponde a questa domanda. Ma va letto con attenzione.

Partiamo dall’immagine qui sopra: come diventa improvvisamente semplice, con il senno del poi, spiegare quello che sta succedendo. Persino il BTp al 5%, diventa una cosa ovvia, scontata, neppure da commentare.

Eppure, soltanto 24 mesi fa, ricordate?

Allora, 24 mesi fa, era una cosa “impossibile”. Da “gufi”. Da “pessimisti”. Da “catastrofisti”.

Ancora qualche settimana fa, erano moltissimi quelli che lo escludevano del tutto. “The Fed is done”. “L’inflazione sta scendendo”.

Noi ora riportiamo il nostro lettore indietro di quattro mesi. Era il giorno 3 giugno del 2023. In questo nostro Blog, pubblicammo quel giorno un Post molto esplicito.

Era stato pubblicato, da meno di 24 ore, il dato per occupazione e salari, negli Stati Uniti. Il dato che si chiama NFP, proprio come quello pubblicato ieri.

Noi di Recce’d, allora, il 3 giugno, scrivemmo proprio quello che leggete nell’immagine di apertura e che Goldman Sachs ha scritto solo tre giorni fa (lo leggete nell’immagine che segue).

E non basta! Non è tutto. Quel giorno decidemmo anche di regalare tutti i nostri lettori un utile suggerimento pratico.

Scrivemmo in quel Post: è rimasto, a questo punto, soltanto uno, tra i tanti scenari possibili. Tutti gli altri scenari (soft landing incluso) vanno messi da parte. E da quello, dall’unico scenario che rimane in piedi, si deve partire, per rifare il portafoglio titoli.

Chi allora ne approfittò, modificando il suo portafoglio sulla base di questa indicazione (e di quelle dei Post successivi del mese di giugno 2023), ha certamente fatto un buon affare. Un ottimo affare.

Adesso, dopo quattro mesi, che cosa siamo qui a scrivervi, dopo il dato NFP di venerdì 6 ottobre?

Ovviamente, le considerazioni che scrivemmo allora oggi sono ancora valide: ma a che cosa servono, in pratica?

Tutti lo vedono anche solo camminando per strada, parlando con i colleghi in ufficio, leggendo il Sole 24 Ore, scrivendo in chat oppure nella community, e guardando il TG, che lo scenario è esattamente quello che noi descrivemmo il 3 giugno.

Per conseguenza, parlarne oggi, a che serve?

Dobbiamo girare pagina e guardare avanti, se vogliamo renderci utili al nostro lettore.

Quindi, dobbiamo rispondere alla domanda: che cosa ci attende tra quattro mesi? Che cosa è, oggi, che equivale allo 0,50% del BTp di 24 mesi fa?

A differenza del 2 giugno, questa volta abbiamo deciso di essere MENO espliciti: amici lettori, dovrete anche … aiutarvi un po’ da soli. E’ divertente, secondo molti, gestire azioni ed obbligazioni, un passatempo, un hobby: e allora, quale migliore occasione di questa?

E d’altro canto: negli ultimi quattro mesi, grazie al nostro ampio lavoro di analisi delle informazioni e dei dati, e grazie ad un contatto quotidiano, noi di Recce’d abbiamo già anticipato al Cliente che cosa ci attende, sia sui mercati finanziari, sia per le economie, nei prossimi quattro mesi.

Nel Post che state leggendo, noi non abbiamo il medesimo spazio, non abbiamo le medesime risorse da impiegare … e non abbiamo neppure la voglia di farlo.

Al tempo stesso, per ringraziare i lettori che seguono questo Blog, come sempre presentiamo spunti molto concreti. dai quali potranno partire e (divertendosi) fare questa volta le scelte vincenti.

Proprio come facemmo a gennaio, quando grazie al nostro lavoro quotidiano ed approfondito tutti i nostri lettori, in modo gratuito, hanno saputo con grandissimo anticipo sulla massa che il 2023 non sarebbe stato “l’anno delle obbligazioni” ed hanno allo stesso tempo saputo da noi che non ci sarebbe stato il “soft landing”.

Un bel vantaggio, sulla massa degli investitori. Un grande vantaggio. E del tutto gratuito. Mica male …

Oggi spostiamo quindi l’attenzione sui prossimi quattro mesi: come sarà intorno a voi lo scenario dei mercati finanziari e delle economie a febbraio 2024? Che cosa sarà, nei prossimi quattro mesi, a fare la strada che ha già fatto quel BTp allo 0,50%?

Il periodo qui indicato (ottobre - febbraio), come facilmente capirete, è decisivo.

Ora passiamo alle indicazioni concrete: una, in particolare, la leggete nell’articolo che segue, dove vi viene spiegato che la PAURA non è (a differenza di quello che vogliono farvi credere) il NEMICO dell’investitore. Al contrario, è un amico prezioso.

Quell’amico che vi spiega perché salire in ciabatte sul Monte Bianco è una grossa, grossissima sciocchezza.

Il mercato obbligazionario, da questo punto di vista, da sempre è un AMICO di noi investitori finali. Ci insegna come evitare di scivolare nei burroni.


I mercati obbligazionari, notoriamente, possono spaventare tutti. E se non sei ancora spaventato da quello che sta succedendo a loro, forse dovresti prestare maggiore attenzione.

In meno di tre mesi, i tassi di interesse a lungo termine sono aumentati di quasi un intero punto percentuale negli Stati Uniti, trascinando verso l’alto gli oneri finanziari per governi, aziende e famiglie in tutto il mondo.

E non accennano ancora a fermarsi. Martedì 3 ottobre, il rendimento dei titoli del Tesoro USA a 10 anni, il punto di riferimento mondiale per il capitale a lungo termine, è aumentato di altri 0,11 punti percentuali raggiungendo un nuovo massimo in 16 anni, dopo un’altra serie di dati sorprendentemente forti provenienti dal mercato del lavoro statunitense, che ha costretto gli operatori di mercato a respingere ancora una volta le loro aspettative di una recessione americana. In Europa, la sua controparte tedesca, il Bund a 10 anni, rende ora quasi il 3%, un livello che non vedeva dal 2011.

Come ha sottolineato lo stratega della Deutsche Bank Jim Reid, l’accordo del fine settimana per evitare lo shutdown del governo statunitense ha, se non altro, peggiorato le cose nel breve termine per le obbligazioni, “poiché ha eliminato un rischio tangibile per l’economia” e ha reso più facile per il governo La Federal Reserve continuerà ad aumentare i tassi di interesse. I mercati ora ritengono più probabile un altro rialzo della Fed prima della fine dell’anno.

Ma questa è solo metà della storia. Normalmente, l’aumento dei tassi a lungo termine (espressi dai rendimenti dei titoli di Stato) va di pari passo con una crescita economica più forte e con le aspettative di inflazione futura. Questa volta non è così. Sia l’economia europea che, nonostante i dati sul mercato del lavoro, quella statunitense stanno sostanzialmente rallentando, e ciò sta rendendo più difficile per la Cina, la seconda economia più grande del mondo, generare qualsiasi tipo di slancio economico proprio. L’aumento dei tassi di interesse in un momento di crescita debole o vacillante comporta doppi problemi per i governi, che di conseguenza devono pagare di più per coprire i propri deficit di bilancio.

Ciò che va, torna

Questa è la tanto attesa sbornia economica della pandemia. Dopo aver investito denaro per risolvere i problemi causati dal Covid-19, l’Occidente è ora costretto a frenare l’inflazione che esso ha causato. Negli Stati Uniti, nell’Eurozona e nel Regno Unito, le banche centrali stanno drenando liquidità dal sistema finanziario, rendendo il denaro più scarso e spingendone il prezzo fino a livelli mai visti dal 2007.

Ma allo stesso tempo, i governi sono ancora a corto di liquidità: il solo Tesoro americano prevede di prendere in prestito 1,85 trilioni di dollari dai mercati nella seconda metà di quest’anno, per ricostituire le proprie casse dopo un grave stallo sul tetto del debito e per finanziare un enorme gap di bilancio.

Due delle tre maggiori economie dell’Eurozona, Francia e Italia, hanno presentato la scorsa settimana progetti di bilancio per il 2024 che hanno ampiamente superato le stime precedenti, e martedì il Tesoro francese ha pubblicato dati che mostrano che il gap di finanziamento del settore pubblico finora quest’anno è aumentato del 25%. rispetto all’anno precedente, a 188 miliardi di euro.

E mentre è la Federal Reserve statunitense a dettare il passo per quanto riguarda l’inasprimento delle condizioni finanziarie globali, è in Europa e nei mercati emergenti che gli effetti si fanno sentire più forti, poiché il rialzo del dollaro spinge nuovamente il prezzo del petrolio e di altre importazioni essenziali. a livelli estremi.

“Nel tentativo di far fronte alla stretta della Fed e di proteggere le loro valute, alcune banche centrali – in particolare in Europa – sono state indotte ad aumentare i tassi in modo troppo aggressivo”, ha detto Dario Perkins, responsabile della ricerca macro globale presso TS Lombard, in una recente nota ai clienti. “La festa post-COVID degli Stati Uniti è diventata una sbornia europea, un’altra puntata degli esorbitanti privilegi americani”.


Siamo sicuri che, per ognuno dei nostri lettori, il linguaggio del precedente intervento è chiaro e comprensibile.

Così come siamo sicuri che i nostri amici lettori sono in grado di fare da soli: sanno prendere le osservazioni appena lette, e tradurle in una strategia di gestione del loro portafoglio titoli che risulterà efficace, produttiva, e capace di controllare i rischi.

Ma se proprio ci fosse qualcuno, magari qualche caso isolato, che giudica utile confrontarsi con un professionista, per affrontare con successo questo passaggio che abbiamo di fronte (proprio come si fa con il medico specialista, quando si ha un problema da risolvere: oppure chiedete un suggerimento al vostro verduriere?) ecco che allora noi di Recce’d abbiamo qualche soluzione da presentarvi, molto pratica e decisamente affidabile, come già sapete visto che seguite da anni il nostro sito Web.

Se ci volete contattare, è semplicissimo: il nostro sito Web mette a disposizione più di una modalità.

Con grande piacere ci metteremo a disposizione, per confrontare le vostre attuali posizioni con le prospettive (a quattro mesi, ma pure a quattro anni) per il dollaro USA, il petrolio, l’oro e le azioni. Ed ovviamente anche per i tassi.

Prospettive che (ormai ve ne siete resi conto) NON sono quelle che vi aveva raccontato a gennaio 2023 il financial advisor, il wealth manager, il private banker ed il robo advisor, il sito Web, la chat, la community, il TG, PLUS del Sole 24 Ore.

Come accade regolarmente, ogni anno.

Intanto, oggi 7 ottobre, Recce’d vi suggerisce molto concretamente … di occuparvi di pecore.

Di pecore si scrive, infatti, nell’utile articolo, che è anche molto brillante, che leggete di seguito

Dalle nostre parti, tra gli amici ed i Clienti di Recce’d, non ci sono pecore, ma neppure una. Non pecore e non agnelli sacrificali..

Dalle vostre parti, come sono le cose? Se vi guardate intorno, nei paraggi, vedete pecore?

Chiudiamo il nostro Post più in basso, con una velocissima considerazione finale.

Quando pensiamo al calo dei valori patrimoniali, tendiamo a concentrarci sui prezzi delle case, sulle azioni e persino sulle belle arti, sul vino e sui mobili antichi.

Ma che ne dici di questo, a proposito di “crollo dei prezzi degli asset”: quando emesso meno di due anni fa, il Gilt indicizzato del marzo 2073 aveva un prezzo di circa £ 330 per unità di azione; il prezzo attuale è di sole £ 62, ovvero meno di un quinto del suo valore al momento della vendita iniziale.

L’effetto è stato quello di trasformare un rendimento negativo del 2,5% in uno positivo dell’1,13%.

Nessuno sa cosa abbia spinto gli acquirenti originali a pagare un prezzo così gonfiato. Anche quando furono emessi, era ovvio che si stava preparando un grave periodo di inflazione.

La risposta, suppongo, è che se Dio non avesse voluto che fossero tosate, non avrebbe creato le pecore.

Anni di tassi di interesse estremamente bassi avevano condizionato gli investitori a pensare che i tassi sarebbero rimasti bassi per sempre. Qualsiasi inflazione sarebbe transitoria, presumevano. Le lezioni vengono nuovamente faticosamente reimparate.

Gli acquirenti sarebbero stati principalmente fondi pensione britannici che intendono detenere le azioni fino alla scadenza per scopi di allineamento delle passività, quindi si potrebbe giustificatamente sostenere che, almeno per loro, qualsiasi volatilità del prezzo nel frattempo non ha molta importanza.

Eppure si tratta di soldi veri, e anche le perdite sono abbastanza reali; Quasi inosservati al di là delle pagine finanziarie, negli ultimi due anni i titoli di stato hanno vissuto un mercato ribassista di proporzioni drammatiche.

Il Linker 2075 a lunga scadenza potrebbe rappresentare un caso estremo, ma nessun titolo gold è rimasto indenne, poiché il governo sta riscontrando a sue spese la liquidazione in grande perdita del programma di acquisto di asset di “quantitative easing” della Banca d’Inghilterra.

Le azioni acquistate nella parte superiore del mercato vengono, stranamente, scaricate nella parte inferiore, con il contribuente costretto a farsi carico delle perdite.

La scorsa settimana, il sell-off del mercato obbligazionario si è riacceso, alimentato dall’idea che, sebbene i tassi di interesse possano ora aver raggiunto il picco, le banche centrali probabilmente li manterranno a livelli elevati più a lungo di quanto si pensasse in precedenza – “Table Mountain” piuttosto che il profilo saliscendi assunto un tempo dal Cervino.

Se questo fosse stato il mercato azionario o immobiliare, il crollo in corso di oggi sarebbe stato regolarmente notizia in prima pagina, ma al di fuori degli intenditori della finanza, è stato a malapena notato.

Ciò che ovviamente è stato notato è il rapido aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse; il crollo del mercato obbligazionario è solo il rovescio della medaglia di questa storia più ampia. Quando i tassi di interesse salgono, i prezzi delle attività scendono.

Tuttavia, il crollo dei valori serve anche a ricordare fortemente che non esiste qualcosa come un “asset privo di rischio”, un’idea che tuttavia continua a sostenere i mercati dei titoli di stato ed è in primo luogo l’unica ragione per cui gli investitori li acquistano.

Quando si investe in un titolo di Stato, si ha almeno la certezza che alla scadenza ripagherà integralmente il suo valore nominale, presupponendo che nel frattempo il governo non vada in default, cosa che almeno in Gran Bretagna non è mai accaduta. Lo stesso, tra l’altro, non si può dire della Germania, della Francia e nemmeno degli Stati Uniti.

Il rischio principale è tuttavia l’inflazione, che è una sorta di default legale e backdoor, e se si tratta di un acquirente straniero, anche quello del deprezzamento della valuta. Questi due fattori possono distruggere valore con la stessa efficacia di qualsiasi volatilità dei prezzi.

Siamo già stati qui. La situazione fu ancora peggiore negli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80, quando generazioni di risparmiatori furono spazzate via dall’esposizione ai titoli di Stato. Mentre l’inflazione aumentava, abbiamo assistito a qualcosa di simile a uno sciopero degli acquirenti, causando un’ulteriore impennata dei tassi.

Poi arrivò Paul Volcker con quello che oggi può sembrare ovvio buon senso ma che all’epoca era un pensiero completamente rivelatore: se la Federal Reserve non avesse iniziato a fissare tassi di interesse al di sopra del tasso di inflazione, gli investitori avrebbero smesso del tutto di acquistare titoli di stato.

La Fed ha agito di conseguenza e, guarda un po’, l’inflazione ha cominciato a diminuire, innescando un mercato rialzista dei titoli di Stato durato quasi 40 anni. Alla fine i governi scoprirono che potevano prendere in prestito per quasi nulla.

E con poche eccezioni, in effetti lo hanno fatto, culminando in un’orgia di nuovi prestiti durante la pandemia, quando le banche centrali compiacenti erano pronte a riacquistare il debito non appena poteva essere emesso.

È una costante fonte di stupore che non ci sia già stato un danno al sistema maggiore a causa di questo periodo di abietta follia. Gli unici esempi evidenti finora sono la crisi degli investimenti guidati da responsabilità, interamente autoinflitta, durante la breve presidenza di Liz Truss, e il crollo della Silicon Valley Bank negli Stati Uniti, dove i depositi erano stati investiti nella svalutazione dei titoli del Tesoro statunitense.

Deve esserci una litania di altri casi simili nascosti nell’ombra, in particolare nel settore bancario ombra. In ogni caso, dopo una simile correzione ci si aspetterebbe una carneficina ancora più grande. Klaas Knot del Financial Stability Board ha recentemente lanciato un’indagine sulle potenziali vulnerabilità, ma potrebbe essere già troppo tardi.

E così arriviamo alla domanda da 64mila miliardi di dollari. Il crollo del mercato obbligazionario ha ormai ampiamente fatto il suo corso? La risposta dipende dalla traiettoria futura dell’inflazione.

I mercati continuano a scommettere pesantemente sull’idea di un “atterraggio morbido”, ovvero di una riduzione costante dell’inflazione fino al livello target, ma senza un aumento significativo della disoccupazione o una riduzione della produzione. Storicamente ciò non si verifica quasi mai. Quasi invariabilmente, le banche centrali esagerano con l’inasprimento e finiscono per far crollare l’economia.

Ciò che è veramente diverso questa volta, tuttavia, è il mercato del lavoro ancora vivace. Ciò ha mostrato recenti segnali di indebolimento in Gran Bretagna e in Europa, ma sta ancora avendo successo negli Stati Uniti.

Anche il prezzo del petrolio ha ripreso a salire, alimentando i timori di un’altra crisi energetica invernale. In altre parole, non è ancora del tutto chiaro se il drago inflazionistico sia stato ucciso.

Tuttavia, se i tassi di interesse si sono effettivamente stabilizzati, allora si può presumere che anche i prezzi dei titoli di Stato abbiano ampiamente toccato il fondo e potrebbero addirittura essere considerati di nuovo in grado di offrire un valore decente.

I prezzi delle obbligazioni in genere iniziano a salire circa tre o quattro mesi dopo che i tassi ufficiali hanno raggiunto il loro picco. Ma non possiamo ancora essere certi di essere a quel picco. Le banche centrali tengono i mercati nel dubbio. È questo il top o solo una pausa per riprendere fiato?

I governi e gli investitori sui mercati obbligazionari di tutto il mondo pregheranno che si verifichi la prima ipotesi, e forse questa è la strada da scommettere.

Ma non aspettarti che le cose tornino come prima. Ricorda la regola di Volcker: l’unica garanzia di stabilità dei prezzi è che i tassi di interesse siano sempre superiori al tasso di inflazione. Ecco come dovrebbe essere la normalità, non il contesto di tassi di interesse a zero del decennio pre-pandemia.

L’immagine di Giulio Tremonti, che vedete qui sopra, a noi di Recce’d serve per chiudere il Post ricordando al lettore una importante verità.

Dopo, è tutto semplice: spiegare ciò che accade, è facilissimo.

Dopo, diventa tutto … evidente.

Anche il BTp, quando stava allo 0,50% di rendimento, era “del tutto normale” e destinato a durare “per sempre”. Oggi, dopo soltanto 24 mesi, sta al 5%: e di nuovo, sono molti gli interlocutori che lo trovano “normale”.

Era molto difficile, invece, affermare le cose che si leggono nell’immagine anche soltanto nove mesi fa: allora, erano “di nessuna importanza”, e si aggiungeva che “non interessano nessuno”.

Chi è bravo, chi è competente, chi ha le necessarie capacità professionali, ANTICIPA questi fatti.

Noi di Recce’d lo abbiamo anticipato: ed è soltanto in questo modo, che si garantisce al Cliente di un servizio di qualità superiore, e risultati decisamente superiori.

Tutto il resto, in questa professione, è solo contorno, è solo decorazione, è soltanto FUFFA.

Valter Buffo