Molto rumore per nulla
Le prime due settimane del 2023 sono state contraddistinte da un ritorno: il ritorno del dibattito sul “pivot”.
La reazione dei mercati è stata decisamente contenuta: più ampia e visibile nel comparto obbligazionario, più modesta, e differenziata, nel comparto delle azioni (New York rimane in zona 4000 punti dove stava già nel settembre 2022, l’Europa in recupero, la Cina è piatta da anni).
Recce’d vi ha già scritto, mesi fa, che nel 2023 l’inflazione NON sarà un tema di mercato: allo stesso tempo, noi NON siamo sorpresi di questo tentativo, fatto nelle prime due settimane del 2023, di riportare sulle prime pagine dei quotidiani il tema “pivot”. Non è la prima volta, non è l’ultima volta, ed accadeva anche nella prima parte degli Anni Settanta, come vedremo più avanti.
Non è una novità che si tenti di manipolare il mercato: il recentissimo esempio dell’a “inflazione transitoria” è un esempio perfetto.
Quella che solo 12 mesi fa era “l’inflazione transitoria” oggi si chiama “pivot” oppure “soft landing”.
Ripetiamo: il tema “inflazione” NON sarà decisivo, nel 2023, per determinare le performances di azioni, obbligazioni, valute e materie prime: lo è stato nel 2022, quando la “grande illusione” della “inflazione transitoria” è saltata per aria.
Nel 2023, o meglio nelle restanti 50 settimane, i rendimenti ed i rischi sulla base dei quali facciamo e faremo le nostre scelte per i portafogli modello sono altri.
E tuttavia abbiamo scelto di dedicare, ancora una volta, un nostro Post a questo argomento: può essere utile, per i nostri lettori, nn tanto per le stime e le previsioni di rendimento (e rischio), quanto per descrivere con concreti esempi come funziona oggi il mercato finanziario internazionale, a partire dalle banche di investimento (la cosiddetta sell side) passando per i Fondi Comuni di Investimento (la cosiddetta buy side) per finire con le Reti di financial advisors, di private bankers, di wealth managers, insomma di quelli che vengono a casa vostra per vendervi le polizze, le UCITS, i certificati e tutta … la rumenta.
Il dato di giovedì 12 gennaio 2023 può servire come esempio, di come funzionano i meccanismi di questa catena di vendita, colossale, che ha come scopo quello di “piazzare la merce” proprio nel vostro portafoglio titoli.
Il dato del quale stiamo parlando arriva dagli Stati Uniti: ma potete applicare, senza bisogno di alcuna modifica, il medesimo ragionamento e le medesime valutazioni ai dati che arrivano dall’Europa.
Del dato che leggete qui sopra, pubblicato giovedì 12 gennaio 2023, i media e tutte le banche di investimento che cosa hanno messo in grande evidenza? Hanno sottolineato il calo dell’inflazione negli Stati uniti, dal massimo del 9,1% fino al 6,5%, del dato anno-su-anno.
Un calo importante, non ci sono dubbi: ma quanto importante, per noi che gestiamo un portafoglio in titoli ed asset finanziari? Un dato in che misura significativo, per ciò che riguarda il futuro dei nostri asset? In che misura questo dato modifica i rendimenti attesi, i rendimenti futuri, degli asset e delle classi di asset finanziari? In che misura questo dato modifica i rischi futuri, sulla base dei quali noi gestori dobbiamo ponderare i rendimenti per modificare i portafogli modello?
Da questo specifico punto di vista, il dato dell’immagine sopra conta nulla. Zero. Lo vedete, molto facilmente, nel grafico qui sotto.
Osservate con attenzione: leggete i dati del grafico. Questa è la realtà con la quale voi investitori vi dovete confrontare: la realtà dei fatti, quei fatti che determinano sia i rischi, sia i rendimenti dei vostri asset finanziari.
Come tutti voi avete visto, tra il 2020 ed il 2022.
Osservate bene il grafico sopra: in particolare il riquadro giallo.
L’inflazione, come vedete, è diminuita dal massimo dello 9,1% al 6,5% di dicembre 2022. Ma l’inflazione nella sua versione “core” (la linea di colore nero) oggi è la stessa di un anno fa: il dato di oggi, nella sostanza, è il medesimo del gennaio 2022.
Il dato di oggi sta al 5,7%. Ricordate a che livello sta il costo ufficiale del denaro? Sta al 4,75%. Un punto percentuale SOTTO.
Siete sorpresi, dallo scoprire che oggi l’inflazione è la medesima di 12 mesi fa? La spiegazione di questo fatto è semplicissima e ve la presentiamo nell’immagine sotto.
Leggete con attenzione questo grafico: sono soltanto due le componenti dell’inflazione che, rispetto al mese di giugno, hanno rallentato, e precisamente l’energia (petrolio e gas) e le auto usate.
Non si vede alcun miglioramento, nelle altre componenti.
Se poi passiamo dal dato alle previsioni per lo stesso dato, osserviamo le medesime cose, ma in modo ancora più chiaro
Come potete vedere, il sondaggio tra gli operatori di mercato condotto da Bloomberg ci racconta che ancora alla metà del 2021 tra gli operatori risultava prevalente l’aspettativa di una inflazione USA al 1,5%, la medesima previsione di tutti i dieci anni precedenti. Le previsioni degli operatori vengono corrette (in modo drammatico) tra il mese di marzo ed il mese di dicembre 2021, come vedete nel tondo di colore azzurro.
Nel 2022 si stabilizzano all’interno di un intervallo ristretto: e qui vedete con grande chiarezza (dentro il riquadro di colore rosso) che le previsioni di fatto NON sono cambiate, neppure negli ultimi mesi. Il calo che si vede in questo dato è trascurabile, per non dire insignificante.
Il grafico qui sopra ci racconta di un cambiamento epocale: di una Nuova Era.
Di questa Nuova Era, di questo Regime Shift, di questo Paradigm Shift, Recce’d vi ha scritto più di una volta in questo Blog, e fin dal 2020. Oggi resteremo quindi sul dato per l’inflazione, e soprattutto sul modo nel quale le Reti di promotori, le banche di investimento, e i media, UTILIZZANO questo dato per manipolare la massa degli investitori.
Investitori che, come tutti sapete, vengono quotidianamente aggrediti dai messaggi
dalle banche di investimento: ad esempio con l’immagine qui sopra, già commentata durante questa settimana alla pagina TWIT-TWOO; ed il nostro commento si è dimostrato azzeccato;
e naturalmente attraverso la Rete dei financial advisors che vendono le quote dei Fondi Comuni di Investimento ed altra … roba incommentabile.
Financial advisors, private bankers e wealth managers che 12 mesi fa vendevano ancora la “inflazione transitoria” e che oggi … ci riprovano più o meno che la medesima robaccia: la “narrativa dominante” oggi è quella che vedete seguendo la linea verde nel grafico qui sotto, mentre ciò che oggi dice la Federal Reserve è la linea di colore rosso.
Come può determinarsi una differenza così enorme, nelle previsioni, tra mercato e Banca Centrale?
La spiegazione è semplicissima, addirittura banale: la linea di colore blu è fatta da Aziende ed individui che, a posteriori, NON rispondono delle performances. La linea di colore verde è tracciata da gente che vuole “vendere la roba”, ovvero “piazzare la merce”. Oggi. ha degli obbiettivi di vendita, oggi.
E poi, tra 12 mesi … ma chi se ne importa, tra 12 mesi? Il venditore avrà già cambiato lavoro, settore, Paese.
A lui, al venditore, la performance, la vostra performance di portafoglio, NON interessa. A lui interessa quello che vende oggi, a gennaio 2023.
E quindi lui, il venditore, si butta alla disperata, sullo scenario più ottimistico che è possibile: per farvi sognare ad occhi aperti, e farvi fare quegli investimenti che a lui rendono di più (lui riceve retrocessioni e quindi è co-interessato con chi produce i “prodotti finanziari” che lui vi sta piazzando; e la Legge che dovrebbe sanzionare i conflitti di interesse fa tutto l’opposto: protegge questi conflitti e chi grazie a questi conflitti fa tutti i propri ricavi).
Voi investitori, e gestori del vostro portafoglio titoli, come noi di Recce’d, che facciamo la gestione dei portafogli modello da proporre al Cliente, dobbiamo sfuggire a quella trappola, non lasciarci imbambolare da scenari troppo ottimistici, e non lasciarci punire dai conflitti di interesse.
Noi investitori, e noi gestori di portafogli modello, dobbiamo sapere fare scelte autonome, informate, fondate. Partendo dall’analisi degli scenari futuri più probabili, più vicini alla realtà (e NON alla fantasia del promotore finanziario)
L’immagine qui sopra la utilizziamo al solo scopo di fare un esempio: NON sono queste le probabilità secondo Recce’d (e neppure gli scenari, per dirla tutta):
Voi lettori avete la capacità di costruirvi uno strumento indispensabile per la decisione sulle scelte di investimento come è questo?
Ve ne ha mai parlato oppure scritto il wealth manager? No? Ma a che razza di financial advisor vi affidate?
Come dicevamo: l’immagine serve solo da esempio. Ma può esservi utile immediatamente, per ricordarvi che l’inflazione NON è il solo fattore sul quale ragionare.
Ed anzi: secondo Recce’d, e non solo secondo Recce’d, NON è il fattore principale del 2023, per i rendimenti attesi e per i rischi attesi del 2023.
Nel 2023, nelle restanti 50 settimane del 2023, tutti noi investitori dovremo occuparci quasi esclusivamente di economia REALE. L’inflazione, sarà solo una conseguenza, così come nel 2022 (e lo avete visto) le Banche Centrali sono in effetti state soltanto “una conseguenza di altri fatti”.
Il grafico sopra, e quello che segue, nel nostro Post servono ad un unico scopo: ricordare ai lettori la realtà dei fatti. Ed anche l’economia REALE della quale dicevamo sopra che sarà il fattore DECISIVO nelle prossime 50 settimane del 2023.
Non c’è il tempo e neppure lo spazio in questo Post per approfondire: lo faremo poi nel nostro quotidiano The Morning Brief. Qui segnaliamo ai nostri lettori che dal dato per il potere di acquisto delle famiglie, e dei consumatori in generale (immagine sopra) e dalla eventuale recessione (grafico sotto) arriveranno le spinte decisive, per decidere chi guadagnerà e chi perderà tra azioni, obbligazioni, valute e materie prime.
Come dicevamo in apertura, con questo Post Recce’d intende fare il punto sull’inflazione, e sull’utilizzo strumentale di questo argomento da parte dei media, delle banche globali di investimento, e dalla Rete dei finanzial advisors oppure wealth managers.
Dopo i disastri del 2022, con la “inflazione transitoria”, oggi ci riprovano, seguendo lo stesso metodo, ed in parte con i medesimi argomento, vendendo alla massa degli investitori la favola di una “inflazione al 2% a fine anno”.
Se correte dietro a questa storia, se vi lasciate inebetire di nuovo da un “miraggio” finirete per perdere ancora altri soldi.
Persino il quotidiano Wall Street Journal, che è il quotidiano finanziario a maggiore circolazione nel Mondo, si è sentito in dovere di prendere le distanze da una simile baggianata, ed ha pubblicato un articolo che critica (fin dal titolo) questo diffuso atteggiamento dei promotori finanziari, dei financial advisors e delle banche di investimento.
L’articolo lo leggete qui di seguito. Il titolo dice: “Perché gli investitori potrebbero essere troppo ottimisti riguardo all’inflazione”.
E il suggerimento di Recce’d? Dopo l’articolo, trovate l’immagine di chiusura, che contiene proprio il nostro suggerimento operativo, per la gestione del vostro portafoglio titoli.
Nel dicembre 1974, il celebre storico e talvolta autore di discorsi presidenziali Arthur M. Schlesinger Jr. riassunse il problema dei previsori contemporanei in un'unica, lunghissima frase sul Wall Street Journal: "A tutt'oggi la maggior parte degli economisti, degli uomini d'affari e dei funzionari governativi si ostina a considerare l'inflazione non come una vulnerabilità strutturale del capitalismo contemporaneo, ma piuttosto come il risultato accidentale di coincidenze sfortunate che richiedono solo pazienza, tempo (e disoccupazione) per essere alleviate".
Se il Prof. Schlesinger fosse vivo e scrivesse oggi non potrebbe esprimersi meglio. L'assunto di base del pensiero finanziario mainstream è che l'inflazione è un fenomeno temporaneo e che sarà curata da un rapido aumento dei tassi prescritto dalla Federal Reserve. Tuttavia, ci sono molti motivi per pensare che, proprio come nel 1974, il professore abbia ragione e che le pressioni inflazionistiche sul capitalismo di oggi dureranno.
Questo non vuol dire che non ci siano coincidenze sfortunate. Nel 1974, l'inflazione è stata favorita dalla combinazione di tassi troppo bassi per anni e dall'impennata dei prezzi dell'energia dovuta all'embargo petrolifero arabo. Negli ultimi due anni, l'inflazione è stata favorita da una combinazione di tassi troppo bassi, da una crisi postpandemica della catena di approvvigionamento e dall'impennata dei prezzi dell'energia dovuta all'invasione dell'Ucraina da parte della Russia. Come nel 1974, questi fattori temporanei passeranno, e l'ultimo calo dell'inflazione suggerisce che molti di essi sono già passati. Ma come negli anni successivi al 1974, le vulnerabilità strutturali radicate potrebbero far sì che l'inflazione rimanga un problema per gli anni a venire.
Ci sono quattro grandi rischi quando si tratta di ridurre l'inflazione: la geopolitica, la politica interna, la demografia e la Fed. I primi tre contribuiscono a determinare il livello dei tassi per combattere le pressioni inflazionistiche, mentre la volontà della Fed di alzare i tassi al nuovo livello più alto e di mantenerli lì contribuisce a determinare l'aumento o la diminuzione dell'inflazione.
La grande frattura
La nuova geopolitica sta dividendo il mondo in due blocchi, invertendo parzialmente la globalizzazione degli ultimi tre decenni. Ciò significa che sono necessari maggiori investimenti per ricreare linee di produzione e catene di approvvigionamento che aggirino la Cina, mentre l'efficienza è destinata a diminuire, dato che sono le questioni di sicurezza piuttosto che i costi a dettare la localizzazione. I sussidi per le fabbriche di microchip negli Stati Uniti e in Europa sono l'ovvia spesa per la società, ma, a meno di una nuova distensione, è probabile che sussidi simili si diffondano ad altri settori ad alta tecnologia. Il raddoppio della produzione e delle catene di fornitura riduce direttamente la produttività, il che significa più inflazione a parità di crescita economica.
La geopolitica porterà probabilmente anche una maggiore spesa per gli armamenti. Il dividendo della pace che ha fatto seguito alla caduta del Muro di Berlino ha permesso una forte riduzione della spesa militare, ma ora la pressione va nella direzione opposta. La guerra ai confini dell'Europa ha portato a un aumento dei bilanci militari nella regione, anche senza il costo delle armi inviate in Ucraina. Poiché le forze armate non aumentano la produttività, l'aumento delle spese aumenta la pressione sull'inflazione.
Un terzo aspetto del modo in cui la geopolitica sta alimentando l'inflazione è la distruzione della posizione della Russia come fornitore leader di energia. Nessun Paese occidentale sarà disposto a dipendere nuovamente dalla Russia. Ciò significa nuovi investimenti significativi in altre fonti energetiche - ancora una volta, aggiungendo sicurezza al costo dell'efficienza ed esercitando una pressione al rialzo sui prezzi.
Sul fronte interno, gli sforzi per ridurre il riscaldamento globale continueranno ad aumentare la spesa per ridurre i combustibili fossili. Secondo le stime dell'Agenzia Internazionale dell'Energia, per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni, sarà necessario investire cifre molto elevate - 4.000 miliardi di dollari all'anno entro il 2030, circa il triplo di quanto si spende attualmente - in alternative ai combustibili fossili. Una parte di questi investimenti potrebbe aiutare l'efficienza, se i costi di produzione dell'energia scenderanno abbastanza al di sotto dei livelli attuali, ma la maggior parte non lo farà. Anche in questo caso, l'aumento della sicurezza avverrà a scapito dell'efficienza.
La politica interna degli Stati Uniti e dell'Europa sembra essere passata dal capitalismo del libero mercato a un maggiore intervento del governo e alla politica industriale. In passato questo ha spesso portato i governi a indirizzare in modo sbagliato i finanziamenti verso i sostenitori o verso progetti di tendenza. I governi trovano imbarazzante tirarsi indietro di fronte a fallimenti che nel settore privato porterebbero semplicemente alla bancarotta. Gli investimenti mal indirizzati riducono la produttività, aumentando la pressione inflazionistica.
Sul fronte interno, c'è anche una ritrovata disponibilità dei governi a prendere in prestito e a spendere. L'austerità che ha seguito la crisi finanziaria globale del 2008-2009 è stata giustamente abbandonata durante la pandemia, mentre i politici si sono dati da fare per far funzionare l'economia. Molti sembrano aver concluso che spendere di più è la strada giusta da percorrere. Il Congressional Budget Office, organo apartitico, prevede che, dopo un leggero calo l'anno prossimo, la spesa federale negli Stati Uniti aumenterà come quota dell'economia in ciascuno dei suoi periodi di previsione fino al 2052, e le tasse non terranno il passo. Ciò equivale a un risparmio negativo, che aumenta la pressione sul tasso di interesse necessario per tenere sotto controllo l'inflazione.
Infine, la demografia sta contribuendo a far salire l'inflazione. Dopo decenni in cui ha aggiunto all'economia globale decine di milioni di lavoratori istruiti e a basso costo ogni anno, la Cina ha visto la sua popolazione in età lavorativa iniziare a ridursi. Lo shock della produzione globale aggiuntiva che la Cina ha generato con la sua apertura ha contribuito a controllare l'inflazione durante gli anni della "grande moderazione", ma non si ripeterà. Insieme al rinnovato interesse per i sindacati, potrebbe portare a uno spostamento del potere di contrattazione verso i lavoratori, con una nuova pressione sull'inflazione.
Tutto questo non ha importanza se la Fed è disposta a fare il necessario per controllare l'inflazione, sottolinea Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale ora al Peterson Institute for International Economics.
"Le banche centrali sono totalmente impegnate a tenere sotto controllo l'inflazione", afferma. "Il problema è se tornano al 2% o se puntano a qualcosa di leggermente più alto".
Sono meno convinto che le banche centrali saranno disposte ad alzare i tassi d'interesse abbastanza da riportare l'inflazione a livelli bassissimi se le tendenze sopra descritte continueranno. Secondo Blanchard, una regola empirica approssimativa consiste nel ritenere che ogni 1% in più del PIL destinato agli investimenti implica un aumento di un punto percentuale del tasso di interesse reale al netto dell'inflazione. Se si considera la spesa militare come un investimento - anche se senza ritorno - si può facilmente aggiungere l'1% del PIL da sola, o più del doppio per tornare ai livelli della Guerra Fredda degli anni Ottanta. Uno sforzo serio per rispettare gli obiettivi di Parigi sul cambiamento climatico potrebbe aggiungere un altro 1% - 2% del PIL, e questo prima della spesa per eliminare la Cina dalle catene di approvvigionamento.
Segnale di allarme
Gli investimenti contribuiscono alla pressione inflazionistica. Gli investimenti totali negli Stati Uniti sono in calo dagli anni '80, nonostante una recente ripresa.
Gli investitori non pensano che questo sia un problema. I mercati obbligazionari si basano sulla premessa che l'inflazione scenderà rapidamente verso l'obiettivo del 2% della Fed e vi rimarrà, senza che la Fed debba fare nulla di veramente drammatico.
Certo, i rendimenti reali dei Treasury sono molto più alti rispetto ai minimi della pandemia, quando gli investitori erano disposti a bloccare un rendimento inferiore all'inflazione per 10 anni utilizzando i titoli del Tesoro protetti dall'inflazione, o TIPS. Ma il rendimento dei TIPS a 10 anni, pari all'1,3% circa, rimane ben al di sotto del 2,1% che ha registrato in media tra il 2004 e il 2007, un periodo in cui il commercio con la Cina contribuiva a ridurre l'inflazione e la spesa militare tedesca aveva raggiunto il minimo storico.
Non tutto ciò che frenava l'inflazione ora la spinge al rialzo. La tecnologia ha contribuito a tenere sotto controllo l'inflazione facilitando gli acquisti a confronto e rivoluzionando la gestione della catena di approvvigionamento. Anche tecnologie come l'intelligenza artificiale, la terapia genetica e la missilistica a basso costo potrebbero contribuire ad allentare le pressioni inflazionistiche.
Tuttavia, molti dei fattori che una volta aiutavano le banche centrali sono diventati inversi e gli investitori li stanno ignorando. I mercati non sono preparati ad affrontare il rialzo dei tassi necessario se le pressioni inflazionistiche si riveleranno persistenti, come mi aspetto.
Peggio ancora, i banchieri centrali potrebbero non essere pronti a subire le critiche di una società che si è affidata al denaro facile e potrebbero accettare tranquillamente aumenti dei prezzi superiori ai loro obiettivi. In entrambi i casi, i rendimenti obbligazionari saranno più alti e, molto probabilmente, le azioni più basse di quanto sarebbero altrimenti.
Mackintosh è editorialista senior del Wall Street Journal. Può essere contattato all'indirizzo james.mackintosh@wsj.com.