Le ragioni di un (forte) ottimismo
I nostri portafogli modello hanno messo a segno, fino ad oggi, performances molto buone, e molto solide, nel 2016. Nonostante questo, riteniamo che faranno ancora bene nei prossimi quattro mesi.
Da dove nasce il nostro ottimismo? Come si spiega questo ottimismo che contrasta con un generale, e generico, pessimismo sui mercati? Perché riteniamo che oggi ci siano più opportunità che rischi?
Per rispondere a questa domanda, oggi Recce'd si concede un lusso: come i nostri amici sanno molto bene, noi non proponiamo mai ai nostri lettori analisi "a lungo termine". Mai: perché le riteniamo del tutto inutili, o meglio buone solo per certi commerciali, certi venditori che devono "tenere tranquilli i Clienti" raccontando come sarà il Mondo tra cinque anni. Cosa di cui, purtroppo, questi commerciali ed i loro analisti/strategisti "di sostegno" non hanno la più pallida idea.
Detto che questa è la nostra (rigidissima) regola, esistono anche alcune (poche) eccezioni: ed oggi faremo un'eccezione, per spiegare perché essere ottimisti.
Si può essere ottimisti prima di tutto se si conoscono bene, in dettaglio i problemi che abbiamo di fronte: che sono enormi, immensi. Ma risolvibili. leggete qui sotto:
But the greatest change has been the partial nationalisation of capital markets. It has always been true that the stock, bond, commodity and currency markets are influenced by the actions of central banks. But in recent years that phenomenon has reached new extremes, leading to massive, crippling distortions in the most important prices in our economy.
Nobody can possibly begin to work out what securities would be priced at if central banks’ monetary policies were neutral and in the absence of the expectation of endless intervention. Everything – from property to bonds – is being priced differently to what would otherwise
Quando Recce'd scriveva queste cose, dal 2013 in avanti, veniva accusato di "disfattismo", "pessimismo" o semplicemente di stupidità: eravamo noi i soli a non capire che era appena scesa la manna dal cielo, sotto forma di soldi dalle Banche Centrali.
Oggi, dopo qualche anno, lo scrivono tutti, ma proprio tutti, che l'esperimento non solo è fallito, ma è pure dannoso: lo scrivono le grandi banche globali di investimento, e lo scrivono i maggiori quotidiani, come The Telegraph qui sopra. Tutti, insomma, a parte i pochi ottusi che ancora venerano Draghi come in Giappone venerano l'Imperatore (per la verità, neppure più quello).
Questa è la prima ragione per essere ottimisti: il pubblico, i media, si sono resi conto. Sanno che il problema esiste. O meglio sanno che la cura per i problemi è diventata oggi lei stessa il più grande dei problemi. Bene, avanti così.
Se questa fosse la sola ragione, non sarebbe sufficiente: ce ne è però una seconda, molto più importante, che ci fu spiegata già nel 1930 da John Maynard Keynes:
“We are suffering, not from the rheumatics of old age but from the growing-pains of over-rapid changes, from the painfulness of readjustment between one economic period and another.”
Come alcuni altri, anche Recce'd ritiene che siamo da tempo in una fase di drammatico cambiamento: il leader del World Economic Forum la ha chiamata "la Quarta Rivoluzione Industriale". Il quotidiano The Telegraph la descrive così:
The financial crisis was a hugely traumatic economic event with deeply destructive consequences. It’s effects were dramatic and wide-ranging: much conventional economic thinking was turned on its head; governments were toppled throughout the world; and in advanced economies a vicious and lasting blow was dealt to economic progress.
Recce'd è tra quelli che ritengono che i primi dieci anni del Nuovo Millennio siano stati il decennio buio della storia economica del Dopoguerra: proprio quel decennio, iniziato con il crollo della bolla Dot.com, caratterizzato dal dominio delle banche globali sull'economia reale, dominio fatto a pezzi dalla Grande Crisi 2007-2009, che si è concluso poi con le prime operazioni di QE negli Stati Uniti. Dieci anni neri.
Ora tutto è tornato a posto? No. Ci saranno sofferenze e traumi? Sicuramente si. Ma forse, dopo le sofferenze ed i traumi si uscirà dalla palude in cui ci ha gettato quel decennio buio ed i suoi protagonisti. Ed è quindi giustificato pensare che ci sia così tanto pessimismo in giro perché ci commenta e chi scrive sui giornali è pessimista in conto proprio, ovvero teme di vedere sparire la propria comoda posizione di rentier sociale e di dover tornare a produrre valore per essere pagato dal Cliente. Quello fu, anche secondo il Telegraph, l'effetto più distruttivo della Grande Crisi 2007-2009.
We are also seeing some evidence of resumed “creative destruction” in the economy, by which weaker companies are allowed to go bust so that more competitive players can come to the fore. This too was put on hold by the financial crisis, when banks would typically “evergreen” their loans because they couldn’t afford to write them off. If this key driver of productivity growth is coming back, it’s all to the good.
Yet the prevailing economic narrative is still stuck in the deeply pessimistic language of “secular stagnation” and the “new normal” – a world of seemingly permanently low growth and frozen, if not actually falling, earnings and living standards.