Le banche italiane e il settore bancario globale (parte 1)
Domani 9 maggio si apre la settimana più importante per i risultati trimestrali delle banche italiane: pubblicheranno i loro risultati tutte le banche maggiori con l'esclusione di Intesa, che ha pubblicato la settimana scorsa ed ha già deluso le attese (per il CEO Messina un anno fa la vita era più semplice: i conti della banca li metteva in ordine Draghi comperando BTp).
Non potrà che emergere un quadro di aziende in difficoltà, non solo poco redditizie per i loro azionisti ma soprattutto prive di strategia, molte delle quali del tutto prive di un indirizzo, di una "missione aziendale".
Le difficoltà del settore bancario italiano non sono certo una nostra scoperta: ne parla tutta la stampa internazionale da anni. Ciò che colpisce è proprio il fatto che in questi anni la scelta dei vertici, e dei politici, è stata quella di "cambiare il meno possibile", di "tenere duro", e di restare ancorati ad un modello di business che (e qui non ci sono dubbi) ha fallito. I risultati zoppicanti delle banche non sono da attribuire alla "congiuntura internazionale sfavorevole": sono semplicemente il prodotto di una cattiva gestione e di un modello di business che ha fallito.
Tutto ciò detto, va riconosciuto che in tutto il mondo il settore delle banche è in difficoltà: quindi, per collocare nel modo più appropriato la crisi della banche italiane, dobbiamo farci aiutare da chi conosce il settore a livello internazionale.
Tra quelli che hanno una maggiore conoscenza ed esperienza c'è sicuramente Mervyn King, ex Governatore della Bank of England, che di recente ha pubblicato un libro molto interessante su questo argomento.
King osserva che la debolezza del settore bancario, oggi, è il risultato della totale mancanza di iniziative, cambiamenti e riforme dopo la crisi del 2007-2009, crisi che fu provocata proprio dalla cattiva gestione delle banche, ed in particolare delle "banche globali":
"(...) the 2008 crisis wasn’t an anomaly but the natural consequence of bad incentives that are still baked into money and banking -- and so quite likely to create another, possibly even greater, crisis. “The strange thing is that after arguably the biggest financial crisis in history nothing much has really changed in terms either of the fundamental structure of banking or the reliance on central banks to restore macroeconomic prosperity.”
Questa incapacità di incidere a fondo e modificare il settore è spiegata da un fatto molto preciso: l'esistenza di un vero e proprio cartello, gestito da un numero ristretto di persone, che puntano alla difesa delle rendite derivanti dalla posizione di dominio sui mercati finanziari:
"(...) a handful of well-connected people capture the benefits from risk-taking while the entire society bears the cost. Complexity was once used to disguise the risk in the financial system. Now it’s being used to disguise how little has actually been done to fix that system. Or, as King puts it, “Regulation has become extraordinarily complex, and in ways that do not go to the heart of the problem. … The objective of detail in regulation is to bring clarity, not to leave regulators and regulated alike uncertain about the current state of the law. Much of the complexity reflects pressure from financial firms. By encouraging a culture in which compliance with detailed regulation is a defense against a charge of wrongdoing, bankers and regulators have colluded in a self-defeating spiral of complexity.”
Notate bene: chi scrive queste parole non è un guerrigliero degli anni Settanta, bensì un Barone del Regno Unito: la dizione esatta è Baron Mervyn King of Lothbury. Che lo scrive oggi, ma non riuscì lui stesso ad ottenere risultati mentre guidava la Bank of England.
I risultati che sono mancati fino ad oggi, in futuro non li potranno produrre certo i politici, o una nuova generazione di Banchieri Centrali, perché sono troppi gli interessi in comune, coincidenti e sovrapposti. Ma sarà il mercato, con la sua positiva e creativa opera di "disruption", che è già cominciata, come abbiamo scritto nel Post precedente a questo.
Chiudiamo con l'Italia: in Italia è stata portata all'estremo la situazione che King ha definito con le parole "a handful of well-connected people capture the benefits from risk-taking while the entire society bears the cost". Il settore bancario in Italia si è schiantato perché (come disse Alessandro Profumo quando era a capo di Unicredit) funziona "per cooptazione" anziché essere aperto alla concorrenza ed alla innovazione. Ed anche la recentissima vicenda del Fondo Atlante ne è un esempio. Ma proprio la vicenda del Fondo Atlante ci dice che questa cattiva abitudine dei club ristretti e delle "stanze segrete" appartiene al passato e non funziona più. Volevano farci credere di avere in pugno la situazione, il settore, il mercato, di essere ancora i "Masters of the Universe": in pugno, oggi 8 maggio, hanno solo due banche venete di medie dimensioni di cui nessuno, al mondo, sa che cosa farsene. Complimenti!