STREAM 1: i portafogli modello di Recce'd. I criteri generali
Al centro del progetto Recce’d sta (come tutti i lettori del sito sanno) il processo innovativo di gestione e successiva gestione dei portafogli modello.
In questa serie di contributi (che abbiamo chiamato STREAM 1) offriremo al lettore una serie di concrete indicazioni di metodo allo scopo di chiarire in che cosa consiste questa nostra metodologia proprietaria, di quali strumenti di valutazione si avvale, e quali differenze si manifestano poi nei risultati degli investimenti.
Il punto di partenza è il portafoglio titoli: fin dai primi Anni Cinquanta del Secolo scorso, si diffuse anche presso il pubblico degli investitori la consapevolezza che i diversi investimenti finanziari debbono essere valutati nel loro insieme, e non singolarmente.
Questo vale anche, e diremo soprattutto, prima, e non dopo: ex-ante, piuttosto che ex-post.
La ragione? La ragione è che i comportamenti dei prezzi dei vari asset, e classi di asset, non sono (mai stati) tra di loro indipendenti: ognuno dei prezzi che vedete ogni giorno sui mercati finanziari influenza, in misura più o meno grande, anche tutti gli altri prezzi. Inclusi i prezzi degli altri asset che voi detenete nel vostro portafoglio.
E quindi, se volete essere consapevoli di ciò che fate con i vostri soldi, siete obbligati a valutare da un lato il rischio, e dall’altro lato il rendimento, dell’insieme delle vostre diverse posizioni nel portafoglio titoli.
Per dirla ancora in modo più chiaro: dovete costruirvi uno scenario, lo scenario a cui voi attribuite la maggiore probabilità, e sulla base di questo scenario individuare quali saranno, a vostro giudizio, i rendimenti ma pure i rischi (di ribasso) di tutte le maggiori classi di asset, ed asset, presenti nel vostro universo investibile.
E’ questo il solo modo per fare scelte consapevoli di investimento.
In Italia, oggi e da almeno venti anni a questa parte, il settore dei servizi al risparmiatore è stato messo nelle mani di un vero e proprio cartello commerciale: il settore è dominato da Reti di vendita di Fondi Comuni ed UCITS, alle quali è stato affidato (per convenienze che non approfondiamo qui ed oggi: lo faremo successivamente) il compito di stabilire nella prassi commerciale le “regole di settore”, che successivamente la normativa di settore ha “ritenuto” di recepire come “dato di fatto”.
Oggi, di fatto, le regole di settore sono regole a protezione di questo cartello commerciale: si vuole mettere l’investitore di fronte ad una situazione del tipo “non ci sono alternative”, ed è necessario “rivolgersi al promotore finanziario”.
E questo si vede, anche, per ciò che specificamente attiene ai metodi ed alle tecniche di gestione e successivo aggiornamento di un portafoglio titoli, di cui ci occupiamo nella pagina SCELTE DI PORTAFOGLIO. Pagina il cui scopo è proprio quello di informare l’investitore del fatto che l’orizzonte delle opportunità che lui ha di fronte è più ampio di quanto non gli venga prospettato.
Al Cliente italiano viene presentata una “unica possibile modalità” di gestione del portafoglio: ovvero la costruzione di un portafoglio “ad asset allocation” /azioni/obbligazioni/altro), con una componente spesso maggioritaria di investimenti LONG obbligazionari ed una componente secondaria ma quasi altrettanto importante di investimenti LONG azionari. L’orizzonte di investimento è sempre medio-lungo. Quanto lungo? Non viene spiegato.
Come operazioni di contorno, poi, si è da sempre destinato un 10% di questo “portafoglio ad asset allocation” alla voce “altri”. Voce irrilevante per il risultato finale, e composta di componenti il cui scopo è “creare una distrazione”.
Come già detto più sopra: al Cliente si fa credere che “non ci sono alternative”, e che questo è il solo modo di investire il denaro.
Ovviamente, non è così: questo modo di costruire i portafogli, molto semplicemente, è il modo più semplice per “piazzare i prodotti finanziari ad alto margine” nei portafogli dei Clienti. Questo modo di costruire i portafogli è la semplificazione (ad uso commerciale) di certe teorie sviluppate circa settanta anni fa, teorie che appunto sono non solo datate ma pure superate, sia nell’ambito teorico sia nella pratica dei mercati finanziari.
E qui ci ricolleghiamo a ciò che abbiamo scritto poco più in alto: le Reti di vendita dei “prodotti finanziari” hanno assoluta necessità di convincere il Cliente che non ci sono alternative, che è indispensabile “rivolgersi al promotore finanziario”, e che è necessario costruire il portafoglio nel modo che era stato indicato da quelle vecchie teorie: il che significa che è inutile costruirsi un proprio scenario futuro di riferimento, e che è inutile stimare i rendimenti ed i rischi (di ribasso) futuri.
Come vi giustificano questa forzatura? Spiegandovi che:
lo scenario di riferimento non conta nulla, perché si deve investire per il lungo periodo, e nel lungo periodo “tutto si riprende sempre”; e poi
rendimenti e rischi del futuro sono sempre uguali a quelli del passato; e quindi è sufficiente rivedere le medie storiche di rendimento e rischio, ed il problema si risolve. Ricorderete tutti: “nel lungo periodo le azioni rendono più delle obbligazioni”
Come già spiegato, si tratta dell’adattamento in forma semplificata di teorie degli Anni Cinquanta allo scopo di favorire una azione commerciale, che è quella di “piazzare i prodotti finanziari” come i Fondi Comuni, le polizze UCITS e i certificati.
Anche qui, lo scopo è convincervi che “non esiste alternativa”: si deve necessariamente investire utilizzando questi prodotti finanziari, che garantiscono alle Reti di vendita quei “ristorni commissionali” che ne garantiscono, da sempre l’esistenza. Senza le “retrocessioni di commissioni”, le Reti non esisterebbero più.
La scarsa utilità pratica (per il Cliente investitore) di queste modalità di costruzione del portafoglio in titoli era emersa, con chiarezza, già alla fine degli Anni Ottanta del secolo scorso.
Fin da allora, risultava chiarissimo il fatto che, investendo in questo modo, l’investitore finale sarebbe stato messo “al vento”: investire nel modo proposto dalle Reti di vendita equivale ad accettare il principio che “quando i mercati salgono, io guadagno, e quando i mercati scendono io perdo”. Fino da allora, erano disponibili statistiche non contestabili, da cui risulta che il 90% dei Fondi Comuni produce risultati peggiori dell’indice di mercato che dichiara di volere replicare.
Per conseguenza, non esiste alcuna ragione per pagare una cosa come questa: non è un servizio, e non produce valore. Ed è qui, che interviene una regolamentazione di settore che spinge l’investitore verso soluzioni di questo tipo, ed in pratica costringe la massa degli investitori a pagare quelle commissioni che successivamente vengono retrocesse a chi “piazza la merce”.
Come si diceva, fin dalla fine degli Anni Ottanta ciò che noi scriviamo qui oggi risultava evidente, ed era stato commentato in numerose sedi pubbliche, anche da esponenti delle Autorità del settore.
Fu questa presa di coscienza che, trent’anni fa, favorì la diffusione dei “Fondi alternativi”, che allora coincidevano con la categoria dei “Fondi Hedge”.
I “Fondi hedge” venivano presentati come “alternativi”, ed il loro essere “alternativi” si traduceva, in pratica, nell’essere “decorrelati”: al contrario dei tradizionali Fondi Comuni di Investimento, che si fanno pagare ogni anno il 3% per replicare semplicemente un indice (o una media di vari indici) senza aggiungere nulla, questi Fondi Hedge promettevano di generare risultati indipendenti dall’andamento dei maggiori indici di mercato, grazie ad una gestione di portafoglio di tipo “attivo.
Grazie a questo, il Cliente investitore avrebbe ottenuto una reale ed efficace “diversificazione” di rischio e rendimento, rispetto ai mercati maggiori
Con voi e per voi esamineremo successivamente le ragioni per le quali la categoria “Fondi Hedge” nel corso di tre decenni ha perso, progressivamente ma inesorabilmente, questa caratteristica, come viene raccontato in modo ironico dalla immagine che apre questo nostro contributo, e come viene documentato dal grafico che segue.
La vicenda dei “Fondi Hedge”, per ragioni diverse che esamineremo in seguito, ha perso una gran parte del suo iniziale impulso innovativo.
Questo, ovviamente, non significa che le esigenze, le necessità imperative degli investitori finali, che portarono alla diffusione di quella categoria di Fondi, siano nel frattempo scomparse. Al contrario, si sono fatte più forti.
L’industria dei Fondi Comuni, e la associata industria della vendita dei Fondi Comuni (il famigerato modello “fabbrica-Rete”) oggi come detto rimane in vita grazie ad una normativa a protezione delle posizioni dominanti insieme ad una serie di fattori esterni che hanno permesso al settore di sopravvivere.
In particolare, tra i fattori esterni vanno citate le politiche economiche (monetarie e fiscali) che per oltre dieci anni hanno gonfiato la “Bolla del Tutto” (The Bubble of Everything) sono state il decisivo fattore si supporto e sostegno, gonfiando artificialmente il valore dei portafogli “bilanciati azioni ed obbligazioni”, ovvero “60/40”, ovvero “ad asset allocation”, senza che la cosa avesse la minima giustificazione nella realtà economica sottostante.
Sono stati, per le Reti di vendita e per l’industria dei Fondi Comuni, anni facili e di baldoria. Non così per chi ha investito in quel modo e con quegli strumenti, a leggere oggi i dati.
Oggi quella fase storica che sinteticamente abbiamo descritto va inevitabilmente verso la sua chiusura: Recce’d ne scrive, in modo chiaro, anche qui nel nostro sito e da oltre due anni.
La chiusura di quella fase, e lo scoppio della “Bolla del Tutto”, inevitabilmente porterà con sé un riesame critico anche delle modalità di costruzione e successiva movimentazione dei portafogli titoli. Il pubblico si renderà conto che le teorie vecchie di settanta anni sono appunto superate dai fatti, e chiederà nuove modalità di costruzione e successiva gestione degli asset finanziari.
Recce’d lavora esattamente su questo dal 2007. E’ in grado di mettere sul mercato, a disposizione degli investitori, soluzioni alternative (non solo di nome, nel nostro caso: anche di fatto), rese disponibili attraverso strumenti quali i portafogli modello, le raccomandazioni generali di mercato, una asset allocation non di tipo tradizionale (descritta più in alto) e laddove utile anche il planning finanziario.
Recce’d illustra queste idee, anche con concreti riferimenti all’attualità dei mercati finanziari, in sede pubblica attraverso il nostro Blog, ed in generale con questo sito.
Nei successivi contributi alla pagina SCELTE DI PORTAFOGLIO, forniremo ai lettori specifiche informazioni in merito al nostro metodo di costruzione e successivo aggiornamento del portafoglio modello, ed alle tecniche impiegate.
Metodo e tecniche che fanno riferimento a quella che la letteratura in Finanza chiama “valutazione risk-neutral”.