STREAM 9: la gestione e la misurazione del rischio nel portafoglio. Il rischio e il portafoglio modello
Questo contributo è il primo di una serie (che Recce’d ha chiamato STREAM 9) dedicata al rischio finanziario ed al suo ruolo nella costruzione e nella successiva movimentazione del portafoglio modello.
Per ragioni che Recce’d ha già illustrato in altri contributi di altri STREAM, e che verranno ulteriormente approfondite in futuro, è un grave errore affidarsi a misure semplificate di rischio, quando si costruisce e gestisce il portafoglio in titoli.
In modo particolare, è un grave errore attribuire importanza alle misure che sono semplici statistiche del passato: come fanno quelli che, proponendo un asset allocation statica di tipo tradizionale, divisa tra azioni ed obbligazioni, raccontano che “le azioni sono sempre più rischiose delle obbligazioni”, e quindi che “se desideri ottenere un rendimento più elevato dal tuo portafoglio in titoli, allora devo aggiungere più rischio e quindi detenere una quota maggiore di azioni”.
Questa storiella, questa filastrocca ripetuta migliaia e migliaia di volte ai risparmiatori, non è basata su dati di fatto ma è invece una fantasia: non esistono statistiche (se non quelle ritoccate) che la supportano.
E’, molto più semplicemente, una storiella, facile da raccontare e da capire, che serve poi per passare a “quello che veramente conta”, che poi è il “piazzare” nel portafoglio dell’investitore UCITS, Fondi Comuni di Investimento, e certificati assortiti.
In questa serie, che chiamiamo STREAM 9, vi forniremo utili elementi di metodo per comprendere e poi misurare il rischio finanziario in modo attivo, e quindi in modo tale da portare un effettivo contributo alla vostra gestione degli investimenti e del portafoglio titoli.
In questo primo contributo dello STREAM 9, il nostro lavoro prende spunto dall’attualità: proprio dall’attualità di questi giorni, del luglio 2022.
Questo per una ragione specifica. Il 2022 ha dimostrato (se ce ne fosse stato bisogno) ancora una volta che il modo di misurare il rischio del portafoglio titoli che abbiamo descritto poco più sopra (media e varianza storica) è non solo inefficace, ma pure dannoso.
Da questa constatazione, sono scaturiti una serie di commenti e di analisi, alcune molto qualificate, e per voi ne abbiamo selezionata una. L’analisi che leggete qui sotto di seguito è stata pubblicata oggi dal Financial Times.
Come leggete qui sotto, lo spunto iniziale è esattamente quello da noi messo in evidenza: dice l’articolista che “In questo 2022 ho trovato particolarmente utile NON ragionare nei termini della tradizionale asset allocation per classi di attività”.
Piuttosto che utilizzare la tradizionale analisi per classi di attività, ho trovato particolarmente utile l'impiego di un approccio basato sui fattori di rischio per comprendere l'impatto dell'economia e della politica sui mercati di quest'anno, non solo per spiegare l'evoluzione delle valutazioni, delle correlazioni e della volatilità, ma anche per indicare cosa cercare nel breve termine.
Uno dei modi più semplici di concepire l'analisi dei fattori di rischio consiste nel suddividere un'attività finanziaria o una classe di attività in base agli attributi della sua sensibilità al mercato, ad esempio tassi di interesse, credito, liquidità o momentum. In questo modo si può dimostrare che alcune classi di obbligazioni, come l'high yield, sono più sensibili ai fattori di rischio che influenzano le azioni rispetto ai titoli di Stato.
L'analisi dei fattori di rischio può essere utilizzata anche per spiegare i movimenti generali quando, come è accaduto quest'anno, i mercati sono influenzati da fattori comuni top-down.
Per la maggior parte del 2022, i mercati hanno reagito alle oscillazioni dei tassi d'interesse di riferimento causate da un'inflazione persistentemente elevata e dalla consapevolezza che la Federal Reserve è costretta ad abbandonare il suo paradigma politico di lunga data che prevedeva tassi d'interesse prossimi allo zero e prevedibili iniezioni di liquidità.
Questo improvviso e forte dominio dei mercati da parte del "fattore tasso d'interesse" ha fatto crollare la tradizionale correlazione inversa dei prezzi tra azioni e obbligazioni, provocando perdite significative sia nell'indice Nasdaq Composite che nel Treasury USA a 10 anni, ad esempio. Ha inoltre alimentato una volatilità inquietante, aumentando il disagio degli investitori e sollevando preoccupazioni per le ricadute negative sull'economia reale.
Mentre i mercati rivalutavano aggressivamente il percorso dei tassi di interesse per l'economia, la preoccupazione si è spostata sulle implicazioni per i consumi e gli investimenti. Ciò ha messo in gioco il "fattore di rischio del credito", mantenendo la pressione sulle azioni, alimentando ulteriore volatilità ma, con un netto cambiamento rispetto a quanto accaduto nei primi cinque mesi dell'anno, iniziando a ripristinare la tradizionale correlazione tra azioni e obbligazioni.
In prospettiva, sembra che i mercati continueranno a oscillare tra questi due fattori di rischio in attesa di prove su tre questioni economiche e politiche fondamentali:
Quanto successo avrà una Fed in ritardo nella lotta all'inflazione e quanti danni collaterali saranno associati al suo processo di recupero?
In che misura un mercato del lavoro forte proteggerà gli Stati Uniti da una recessione economica?
Quanto si dimostrerà appiccicosa l'inflazione in un contesto di calo della domanda aggregata?
I sostenitori di ampi aumenti generalizzati delle attività di rischio ipotizzano che le risposte a queste tre domande si combinino in quello che gli economisti chiamano un "atterraggio morbido", ossia una riduzione dell'inflazione effettiva e delle aspettative inflazionistiche senza danni rilevanti per l'economia reale.
In particolare, ciò deriverebbe dal fatto che la Fed riuscirà a recuperare la credibilità e l'efficacia delle sue politiche, che il mercato del lavoro sosterrà un'economia ancora vivace e che l'inflazione non sarà sostenuta da persistenti perturbazioni dell'offerta. È importante notare che ciò non solo consentirebbe di ridurre i rischi legati ai tassi d'interesse e al credito, ma garantirebbe anche che non entri in gioco un terzo fattore di rischio incombente, ossia un'interruzione della liquidità che comprometta l'ordinato funzionamento dei mercati.
Lo scatenarsi di un tale "fattore di rischio di liquidità" aggraverebbe i rischi di tasso d'interesse e di credito, rendendo la seconda metà del 2022 altrettanto impegnativa per gli investitori di quanto lo sia stata la prima. Tra questi due estremi, varie permutazioni tendono a favorire approcci di investimento selettivi e un'attenta selezione dei singoli titoli.
Per ora, e per quanto ci sforziamo tutti, non ci sono ancora risposte chiare e sicure alle tre questioni economiche e politiche chiave e, quindi, a come si evolveranno i vari fattori di rischio da qui in poi. È un dato di fatto da tenere presente mentre molti si affrettano a prevedere in modo assertivo cosa ci aspetta sui mercati.
Come avete letto, questo articolo propone di abbandonare la tradizionale suddivisione del portafoglio per classi di attività (un po’ di azioni, un po’ di obbligazioni, un po’ di materie prime). Suggerisce invece di costruire e gestire il portafoglio titoli sulla base di quelli che qui vengono chiamati i “fattori di rischio”.
L’articolo, quindi, ci ha interessati perché noi di Recce’d ci ritroviamo una nostra vecchia affermazione: ovvero che una gestione del rischio finanziario in modo attivo (e non con lo specchietto retrovisore) è tanto importante quanto la “caccia al rendimento” per ottenere dal proprio portafoglio titoli ciò che si desidera. Ovvero: un rendimento positivo stabile, pesato per un rischio tollerabile.
Affermazione che immediatamente ci porta ad una seconda analisi che Recce’d ha selezionato per voi. Anche questa, recentissima.
Ciò che troviamo della massima importanza, in questo secondo articolo, è questa cosa: l’articolo spiega, nel modo più chiaro, che quindi anni di “politica monetaria non convenzionale”, ovvero il QE, hanno privato quasi tutti gli investitori della capacità di gestire il rischio finanziario. Gli investitori, e quindi i mercati, non sanno più dare un prezzo al rischio.
Questa è la principale ricaduta di più di un decennio di QE. Questo è anche (a sua volta) un grande fattore di rischio, per ognuno di noi investitori e per tutti i portafogli in titoli.
Se i mercati non sono più capaci di dare un prezzo al rischio, allora non “vedono” il rischio: E quindi: possono esistere rischi finanziari, anche grandi, che oggi non sono nei prezzi perché nessuno li vede. E quindi, una volta che questi rischi si trasformassero in una crisi conclamata, la reazione dei mercati finanziari potrebbe essere scomposta, isterica e brutale.
La lettura di questo articolo, pertanto, vi sarà utile a comprendere perché Recce’d insiste così tanto, con i propri lettori, sulla gestione del rischio: oggi, più che mai, la gestione di un generico portafoglio in titoli deve tenere conto anche di “rischi che non sono prezzati dai mercati”.
Un esempio attualissimo è “la recessione”: del tutto inesistente, solo tre mesi fa. Un altro esempio è la “inflazione transitoria”.
Una gestione attiva del rischio, nel vostro portafoglio, vi impone di lavorare per comprendere se esiste una “inflazione transitoria” e poi di valutare se esiste “la recessione” della quale voi leggete sul giornale.
Non tutto quello che leggete sui giornali, infatti, si traduce poi in realtà. Ed anche questo, nella gestione di portafoglio, è un rischio, da NON subire, bensì da gestire in modo attivo, nel modo che illustreremo nei futuri contributi dello STREAM 9..
Giugno non è stato un gran mese per i gestori di fondi. Le azioni globali sono scese dell'8,8%, il secondo maggior calo in un decennio. I titoli obbligazionari, invece, sono sulla buona strada per il peggior anno dal 1865. La batosta è arrivata da più parti: prima la rapida ascesa dei tassi di interesse e poi i crescenti timori di una recessione negli Stati Uniti. Ma secondo alcuni investitori è intervenuto anche un altro fattore: la banca centrale più potente del mondo ha tolto la sua rete di sicurezza.
Dal 2008, i gestori di fondi azionari, obbligazionari e tutto il resto sanno che al loro fianco la Federal Reserve statunitense ha acquistato debito nell'ambito del programma di sostegno economico avviato dopo la crisi finanziaria. Quando è scoppiata la crisi, la Fed ha potenziato il cosiddetto programma di quantitative easing per salvare i mercati dall'orlo del baratro, contribuendo ad alimentare un enorme rally in tutti i settori, dai titoli di Stato alle criptovalute.
Ora, però, l'impennata dell'inflazione ha spinto i responsabili politici ad alzare aggressivamente i tassi di interesse. A sua volta, questo li ha spinti a tagliare le loro vaste riserve di asset, un processo che la Fed ha avviato all'inizio del mese scorso.
Insieme alla Banca d'Inghilterra e alla Banca Centrale Europea, la Fed prevede innanzitutto di smettere di reinvestire gli asset in scadenza, e alcuni economisti ritengono che alla fine potrebbe vendere del tutto parte di ciò che ha in portafoglio. Complessivamente, secondo le stime di Morgan Stanley, i bilanci delle banche centrali che hanno subito i maggiori contraccolpi si ridurranno di circa 4 milioni di dollari entro la fine del prossimo anno. L'inversione di tendenza è ormai ben avviata: solo la scorsa settimana il suo bilancio si è ridotto di circa 20 miliardi di dollari. E gli investitori dicono che la situazione sta già iniziando a farsi sentire. "La liquidità è guidata dalle banche centrali", afferma Guilhem Savry, responsabile delle soluzioni cross-asset presso il gestore svizzero Unigestion. "Negli ultimi 10 anni c'è stata una grande liquidità negli Stati Uniti e ovunque, e ora gli investitori sanno che è finita. È finita". Di conseguenza, le transazioni stanno diventando più difficili, afferma Savry, e le strategie di trading speculativo hanno subito "una fine della musica". Ma il pepe aggiunto a questo processo è che, come la maggior parte degli altri investitori, Savry dice di non avere un'idea chiara di come il quantitative tightening - il nome scioglilingua del processo di riduzione dei bilanci - influenzerà i mercati. "Non abbiamo ancora visto l'impatto completo. Non conosciamo tutti i dettagli", afferma. "Ma conosciamo la direzione ed è negativa".
L'era degli acquisti di asset da parte delle banche centrali è iniziata nel 2001, quando la Banca del Giappone ha istituito questa politica nel tentativo di stimolare l'economia languente del Paese mentre i tassi di riferimento erano già vicini allo zero. Dai margini dello strumentario di politica monetaria, la pratica è passata al mainstream nel 2008, quando la Fed, la BoE e successivamente la BCE hanno istituito i propri programmi di acquisto di obbligazioni in risposta alla crisi che ha travolto il sistema finanziario globale. Attraverso l'acquisto su larga scala di titoli di Stato, le banche centrali hanno contribuito ad aumentare l'ammontare delle riserve in circolazione nel sistema finanziario. L'obiettivo era quello di incoraggiare le banche ad aumentare i prestiti alle famiglie e alle imprese in modo da favorire la spesa, gli investimenti e altre attività che contribuissero ad accendere la crescita.
Alcuni economisti sono sempre stati a disagio con il QE per una serie di ragioni, tra cui il timore che esso porti le banche centrali ad avere un'impronta troppo grande sui mercati finanziari, distorcendo potenzialmente il processo di determinazione dei prezzi degli asset. Ma la gravità dell'impatto economico dello scoppio della pandemia di Covid nel 2020 ha superato ogni preoccupazione. La Fed ha avviato acquisti illimitati di Treasury e di titoli garantiti da mutui ipotecari e si è avventurata per la prima volta in strumenti che consentivano l'acquisto di obbligazioni societarie e di debito municipale. L'aumento della scala e della portata del QE nel 2020 rispetto al 2008 è stato "completamente folle", afferma Tatjana Puhan, vice direttore degli investimenti del gruppo francese di gestione patrimoniale Tobam. Nel corso di due anni, la Fed ha acquistato circa 3,3 miliardi di dollari in titoli di Stato statunitensi e 1,3 miliardi di dollari in titoli garantiti da ipoteca. A marzo, la banca centrale statunitense possedeva un quarto di tutto il debito del Tesoro in circolazione e un terzo degli MBS. La BCE e la BoE possiedono ciascuna poco meno del 40% dei propri titoli di Stato, mentre la Banca del Giappone, unica nel suo genere a non avere intenzione di interrompere gli acquisti, possiede già quasi la metà del debito pubblico in essere a Tokyo. Oltre a espandere la base monetaria, gli acquisti ufficiali di asset allontanano gli investitori commerciali dagli asset più sicuri del mondo, costringendoli a sostenere i settori più rischiosi dell'economia che altrimenti potrebbero avere difficoltà.
Ma oltre un decennio di QE globale ha riscritto le regole per gli investitori di tutti i tipi. Mentre le banche centrali hanno contribuito a sostenere i prezzi delle obbligazioni e a far scendere i loro rendimenti a zero, o addirittura al di sotto, i gestori di fondi sono stati di fatto spinti ad assumere rischi sempre maggiori per ottenere i rendimenti attesi dagli investitori finali. "È stato il migliore e il peggiore dei tempi per i gestori di fondi", afferma David Riley, chief investment strategist di BlueBay Asset Management a Londra. "È stato difficile esplodere. Alcuni ci sono riusciti, ma bisognava impegnarsi a fondo. Nel settore del credito, la ricerca del rendimento era incessante. Potevi guardare una [obbligazione societaria] e comprarla perché la BCE l'avrebbe acquistata, anche se i tuoi analisti del credito dicevano che la storia fondamentale non gli piaceva".
Rob Almeda, global investment strategist di MFS Investment Management, sostiene che ciò ha reso obsoleta la capacità di molti investitori di valutare il reale valore di azioni e obbligazioni. "Uno degli scopi dei mercati finanziari è quello di prezzare il rischio. Allochiamo le risorse di conseguenza", afferma. "Ma non stiamo più prezzando il rischio". Un territorio inesplorato
Gli investitori sapevano da mesi che l'allentamento era in arrivo, e un primo semestre negativo per la maggior parte dei mercati finanziari suggerisce che almeno una parte dell'impatto è già stata incorporata nei prezzi degli asset. Ma un processo di riduzione dei tassi da parte di più banche centrali allo stesso tempo non è mai stato testato seriamente prima d'ora. La Fed ha messo in scena una prova generale di QT a partire dal 2017, riducendo gradualmente i propri bilanci in un processo che, secondo l'allora presidente della Fed Janet Yellen, sarebbe stato così prevedibile da sembrare di "guardare la vernice asciugarsi". In realtà si è dovuto abbandonare dopo il settembre 2019, quando le tubature del sistema finanziario si sono intasate e i costi dei prestiti overnight sono saliti alle stelle. Questa volta nessuno, nemmeno la stessa Fed, sa davvero come funzionerà. "Ho trascorso del tempo con persone molto più intelligenti di me su questo tema", afferma Kate El-Hillow, chief investment officer di Russell Investments, nel tentativo di determinare se sia più importante il flusso di acquisti di asset o il totale del bilancio della Fed, e che cosa possa significare tutto questo per il tasso con cui i nuovi titoli di Stato arrivano sul mercato. Non si è avvicinata alla certezza. "Non ho una buona lettura di come si svolgerà il tutto", afferma.
Gli sforzi per quantificare esattamente l'impatto del QT sui mercati finanziari sono complicati da diversi fattori. In primo luogo, i piani della Fed per ridurre il proprio bilancio sono molto più aggressivi rispetto al tentativo del 2017. Entro settembre, la Fed intende accelerare il ritmo di riduzione del proprio portafoglio fino a un massimo di 95 miliardi di dollari al mese, suddivisi tra 60 miliardi di dollari di Treasury e 35 miliardi di dollari di MBS. Si tratta di un ritmo doppio rispetto a quello che la Fed si era prefissata nell'esperimento biennale iniziato nel 2017, dopo la crisi finanziaria globale, e la banca centrale raggiungerà il suo tasso massimo molto più rapidamente dell'ultima volta. Anche i buoni del Tesoro, che scadono in un anno o meno, serviranno da riempitivo, il che significa che la Fed taglierà le sue disponibilità di debito a breve scadenza ogni volta che la quantità di obbligazioni a più lunga scadenza in scadenza scenderà al di sotto del tetto mensile. Il più grande jolly è rappresentato da ciò che la Fed farà riguardo alle sue disponibilità di MBS di agenzie e se la banca centrale diventerà un vero e proprio venditore, come alcuni alti funzionari hanno lasciato intendere che potrebbe essere necessario. Si tratterebbe di una mossa senza precedenti, che scatenerebbe timori sulla capacità dei mercati di assorbire il nuovo debito lanciato sul mercato. Un'altra incognita è quanto sia potente lo strumento di politica monetaria dell'inasprimento quantitativo. Jay Powell, il presidente della Fed, ha recentemente sottolineato questo punto, evidenziando l'incertezza che smentisce qualsiasi stima sul suo effetto potenziale.
Tuttavia, funzionari e ricercatori della Fed hanno offerto stime approssimative. Secondo uno studio pubblicato a giugno dalla Fed, una riduzione del bilancio di 2,5 miliardi di dollari nei prossimi anni corrisponderebbe all'incirca a un aumento di poco più di mezzo punto del tasso di riferimento della politica statunitense, un intervallo in linea con la valutazione del vicepresidente della Fed Lael Brainard, secondo cui i piani della banca centrale ammontano a "due o tre rialzi dei tassi". Il presidente della Fed, Jay Powell, ha sottolineato l'incertezza che contraddistingue qualsiasi stima sull'effetto potenziale del QT
Secondo Solomon Tadesse, responsabile della ricerca quantitativa nordamericana di Société Générale, queste previsioni sottovalutano l'impatto potenziale. Secondo le sue previsioni, 100 miliardi di dollari di deflussi comporterebbero un inasprimento delle politiche di 0,12 punti percentuali, con effetti che si amplificherebbero con l'ulteriore riduzione del bilancio. In una ricerca separata, gli strateghi di Morgan Stanley hanno rilevato, in modo controintuitivo, che i rendimenti obbligazionari statunitensi tendevano a diminuire durante il precedente episodio di inasprimento quantitativo, mentre i prezzi aumentavano. "Si tratta chiaramente di una storia complicata, in cui la variazione di bilancio è solo uno dei tanti fattori che incidono sulla performance degli asset", hanno affermato, aggiungendo che l'analisi è "ostacolata da una grave carenza di dati". È possibile che il processo non sia così feroce come molti gestori di fondi temono. "La maggior parte degli operatori di mercato non scommette su un QT aggressivo", afferma Alex Veroude, chief investment officer (USA) del gestore globale Insight Investment. "Nessuno pensa che le banche centrali inizieranno a riversare centinaia di miliardi sul mercato".
Ma in ogni caso, la maggior parte degli investitori teme di avere una scarsa comprensione di dove potrebbero apparire le tensioni. "Non è scontato che sia facilmente assorbibile", afferma Peter Rutter, responsabile del settore azionario di Royal London Asset Management. "Sembra che ci stiamo imbarcando in questa impresa in modo piuttosto casuale. 'Sì, beh, iniziamo e vediamo'. Stiamo osservando con molta attenzione. Ci rende nervosi". Bill Nelson, ex funzionario della Fed e ora economista capo del Bank Policy Institute, afferma che la banca centrale non intende utilizzare la liquidazione degli asset come strumento diretto per influenzare l'economia. "Non vogliono che nessuno pensi o parli veramente del bilancio...". Per raggiungere gli obiettivi di inasprimento che stanno cercando, non credo che lo farebbero mai con il bilancio". Ma condivide l'opinione diffusa che l'esercizio rischia di destabilizzare il mercato dei titoli di Stato statunitensi, la base su cui si fondano i mercati globali. "C'è molta incertezza su come si svolgeranno le cose sul bilancio della Fed e sui mercati del Tesoro nei prossimi sei mesi", afferma. "Parte del motivo per cui la Fed si è impegnata nel QE è stato quello di fornire un sostegno al mercato dei Treasury in un momento di forte indebitamento, e questo indebitamento continua. Alla fine, tutti dovranno scoprire la capacità del mercato di gestirlo".
Episodi di disfunzione o transazioni errate nel mercato del Tesoro sembrano un esito inevitabile, anche nonostante le nuove strutture che la Fed ha eretto lo scorso anno per alleviare la pressione sul mercato obbligazionario. "Siamo preoccupati per quello che considero l'eventuale accumulo di collaterale lungo questa strada, ovvero l'aumento della quantità di debito che deve essere detenuta dal mercato privato, anziché dalla Fed", afferma Mark Cabana, responsabile della strategia dei tassi USA presso Bank of America. "Temiamo che questo possa avere un impatto deleterio sul funzionamento del mercato nel tempo. Probabilmente può peggiorare la liquidità del mercato". Ad aggravare i timori c'è il fatto che la liquidità dei Treasury è già notevolmente compromessa, crollando quest'estate ai livelli peggiori dal marzo 2020, quando la pandemia ha scatenato una corsa al contante e le condizioni di negoziazione per l'asset più sicuro al mondo si sono impoverite. Anche il ricordo dell'ultimo tentativo della Fed di ridurre la liquidità è ancora fresco.
In queste ultime settimane del 2018, i mercati azionari hanno subito un brusco calo dopo che la Fed ha indicato che la riduzione del bilancio era in "autopilota". "Ricordate che ha avuto un impatto enorme, e questo solo sul QT", dice un senior trader obbligazionario di Londra. "Non c'è stata nessuna paura per l'inflazione, né per la crescita come adesso". Gli ottimisti del settore della gestione dei fondi sottolineano che, senza che le banche centrali tengano sotto controllo la volatilità e facciano incetta di asset quasi indiscriminatamente, la performance dei prezzi degli asset varierà più ampiamente, offrendo opportunità ai gestori di fondi. "Questo è salutare", afferma Andrea DiCenso, gestore di portafoglio presso Loomis Sayles. "Non sono sicuro che sia necessariamente divertente". Ma l'abitudine di fare scommesse con la rete di sicurezza della Fed al di sotto sarà difficile da spezzare, dice. "La gente pensa: 'Voglio tornare al QE'. Come facciamo a tornare al QE?".