Detox. La mala informazione (e le cattive previsioni)

Proprio come a volte noi di Recce’d facciamo per i nostri lettori, anche il Corriere della Sera nella persona di Federico Rampini

Le differenze, tra noi ed il Corriere della sera sono due.

la prima differenza è che noi utiliziamo sì articoli e brani di fonti esterne, ma unicamente allo scopo di mettere in evidenza le differenze tra il nostro modo. Noi non facciamo informazione, e neppure commentiamo l’informazione degli altri: per noi i contributi presi dall’esterno sono unicamente strumentali ad un discorso che riguarda l’analisi e la valutazione dei mercati finanziari

e la seconda, più importante, è che Recce’d quando utilizza brani ed articoli da fonti esterne lo fa unicamente per arrivare ad uno scopo, che è la gestione del portafoiglio titoli.

Noi non ci mettiamo alla pari: noi non facciamo e non rubiamo informazione.

Quella di Recce’d è unicamente informazione “di terzo livello”: ci sono le informazionbi, poi c’è lanalisi di quello che i canalidi di comunicazione scelgono di raccontare e di omettere, poi c’è luso di ciò che arriva dai canali di informazione.

Noi oggi prendiamo spunto da un articolo di Rampini che ripropone, conb alcuni suoi commenti, un articolo del WSJ. L’articolo originale lo leggerete più in basso: per il momento, leggiamo invece Rampini, e poi commentiamo leggendo insieme al Cliente i dati usciti negli ultimi quattro giorni di mercato.

Il più importante quotidiano economico americano, The Wall Street Journal (appartenente al gruppo Murdoch, ma con un’indipendenza editoriale comprovata), non ha mai fatto sconti a Donald Trump sui due punti decisivi della sua politica economica: i dazi e l’immigrazione. Il WSJ rimane fedele a un’altra tradizione del partito repubblicano, il liberismo del presidente Ronald Reagan negli anni Ottanta (che però fece vistose eccezioni alzando barriere contro il Giappone); sull’immigrazione il quotidiano è in sintonia con gli interessi del capitalismo americano che l’ha sempre considerata una risorsa.

In questo contesto è degna di nota l’autocritica in prima pagina con cui il giornale si avvia alla chiusura del 2025: un elenco di previsioni che aveva fatto, e che si sono rivelate errate

La categoria che ne esce più intaccata nella sua credibilità è quella degli economisti. Ci sono pure delle previsioni sbagliate da parte di Trump. Il bilancio è imparziale da tutti i punti di vista, non risparmia nessuno. Il bilancio è interessante perché lascia intuire che il 2025 si chiuderà con un’economia americana in buona salute, a differenza della sua principale rivale: è la Cina che sta frenando, anche per un calo dei suoi investimenti. 

La revisione autocritica sulle previsioni sbagliate da parte del WSJ ha un interesse specifico per l’Italia, in quanto il made in Italy non ha subito la temuta débacle, l’anno si chiuderà con risultati soddisfacenti anche grazie alla tenuta dell’export verso gli Usa, che si confermano (post-dazi) il principale mercato di sbocco per le nostre merci dopo l’Unione europea. Ecco alcuni estratti significativi dal Wall Street Journal.

«Nei giorni successivi al Liberation Day (l’annuncio della prima ondata di dazi, ndr), il contrasto tra l’ottimismo di Trump e le previsioni ben più cupe di esperti di commercio ed economisti è apparso evidente. Mentre imprese e consumatori cercavano di orientarsi tra messaggi contraddittori, il presidente ha rilanciato con forza le promesse fatte durante la campagna presidenziale del 2024. “I mercati esploderanno, la Borsa esploderà”, ha dichiarato il 3 aprile. Economisti e leader d’impresa, invece, hanno intensificato gli allarmi. Larry Fink, amministratore delegato di BlackRock, ha affermato: “La maggior parte degli amministratori delegati con cui parlo direbbe che probabilmente siamo già in recessione”. JPMorgan Chase ha sostenuto che una recessione globale era probabile. 

Un collasso economico non si è materializzato. Ma non si è vista neppure una rinascita economica. L’economia statunitense ha retto. Le probabilità di una recessione nel prossimo anno sono scese sotto il 25 per cento. La promessa di Trump sul gettito dei suoi dazi si è in parte avverata. Altre si sono rivelate infondate. Negli Stati Uniti si sono visti pochi segnali di un rimpatrio su larga scala delle produzioni. Il costo del lavoro più basso all’estero continua a dare un vantaggio ai produttori stranieri, mentre l’incertezza interna sui dazi ha frenato molti investimenti rilevanti e il ritorno delle attività manifatturiere in patria… A settembre gli Stati Uniti hanno creato 119.000 posti di lavoro, molti più di quanto si aspettassero gli economisti. Ma il dato rappresenta un’eccezione rispetto ai mesi precedenti, in cui la crescita occupazionale era stata debole. A settembre il tasso di disoccupazione è salito al 4,4 per cento, il livello più alto degli ultimi quattro anni. Gli economisti ora non escludono che i dazi possano portare a più assunzioni in futuro…

Le paure peggiori sull’inflazione non si sono avverate. Da mesi l’inflazione si aggira intorno al 3 per cento, sopra l’obiettivo del 2 per cento fissato dalla Federal Reserve, ma comunque inferiore a quanto molti economisti temevano. I dazi incidono su una fascia relativamente ristretta di prezzi al consumo; il costo delle abitazioni e della benzina ha contribuito a mantenere sotto controllo l’inflazione complessiva. Un altro fattore è rappresentato dai continui cambi di rotta di Trump sulla politica tariffaria. Molte aziende hanno dichiarato di voler attendere di capire quale sarà l’assetto finale dei dazi prima di introdurre aumenti di prezzo. Il ricorso ancora pendente alla Corte Suprema sull’autorità di Trump di imporre dazi fornisce un ulteriore motivo per aspettare. Se non verranno annunciati nuovi dazi, la Fed stima che quelli attuali impiegheranno nove mesi per propagarsi pienamente nell’economia. Ciò potrebbe far scendere l’inflazione dei beni nella seconda metà del 2026. Ma, come ha ammesso il presidente della Fed Jerome Powell, “non siamo stati in grado di prevederlo con precisione. Nessuno lo è”...

Gettito dei dazi per il Tesoro Usa

Su questo punto l’Amministrazione può rivendicare un successo: i dazi hanno effettivamente prodotto entrate significative. Tra aprile e settembre le casse federali hanno ricevuto in media 25 miliardi di dollari al mese in dazi doganali. Nel 2024, la media mensile era stata di 6,6 miliardi di dollari. Trump si è però dimostrato meno lungimirante su un’altra previsione ambiziosa. “Potrebbero sostituire l’imposta sul reddito”, ha detto ad aprile. Nell’anno fiscale 2025 il totale dei diritti doganali raccolti ha raggiunto circa 195 miliardi di dollari, più del doppio dei 77 miliardi dell’anno precedente. Nel 2024, le imposte sul reddito delle persone fisiche hanno invece generato 2.400 miliardi di dollari, circa la metà delle entrate federali complessive.

Crescita economica: i dazi non hanno affossato l’economia. Anzi, nel secondo trimestre il Pil ha registrato la crescita trimestrale più forte degli ultimi due anni, con un tasso annualizzato del 3,8 per cento corretto per l’inflazione e la stagionalità. Il terzo trimestre è sulla stessa traiettoria, intorno al 3,5 per cento. All’inizio del 2025 pochi economisti hanno previsto che il boom degli investimenti nell’intelligenza artificiale avrebbe spinto l’economia oltre qualsiasi effetto negativo dei dazi. Il conseguente rialzo dei mercati azionari ha a sua volta sostenuto la spesa dei consumatori, un motore fondamentale dell’economia. …

Gli importatori statunitensi stanno pagando meno del dazio dichiarato su molti prodotti, poiché hanno sostituito beni soggetti a dazi più elevati con altri meno tassati, talvolta cambiando paese di approvvigionamento. Il tasso effettivo è aumentato solo all’11,2 per cento. Nel 2024 il tasso effettivo era intorno al 2,5 per cento. …

Il deficit commerciale americano è aumentato bruscamente a marzo, quando le imprese si sono affrettate a fare scorte prima dell’entrata in vigore dei dazi del “Liberation Day”. È poi crollato ad aprile, dopo l’introduzione del dazio globale di base del 10 per cento. A settembre il deficit dei beni si è ridotto a 79 miliardi di dollari, in calo rispetto agli 86,1 miliardi di agosto. È stato il livello più basso da circa cinque anni...

Perché tutti hanno sbagliato sui dazi di Trump

Le previsioni sull'impatto dei dazi sull'economia erano ottimistiche o pessimistiche. Ecco la realtà.

Drew An-Pham

14 dicembre 2025, 21:00 ET

Nei giorni successivi al "Liberation Day", il contrasto tra l'ottimismo di Trump e le previsioni più pessimistiche di esperti di commercio ed economisti era netto.

Mentre aziende e consumatori cercavano di dare un senso ai messaggi contrastanti, il presidente ha ribadito le promesse fatte durante la sua campagna presidenziale del 2024. "I mercati prospereranno, il mercato azionario prospererà, il Paese prospererà", ha dichiarato il 3 aprile.

Economisti e leader aziendali hanno intensificato le previsioni di ricadute. Larry Fink di BlackRock ha affermato che "la maggior parte degli amministratori delegati con cui parlo direbbe che probabilmente siamo in recessione in questo momento". JPMorgan Chase ha addirittura affermato che una recessione globale era probabile. Un crollo economico non si è materializzato. Né una ripresa economica.

Molti dati federali sono in ritardo, ma i numeri finora mostrano che l'economia statunitense ha retto. Le probabilità di una recessione nel prossimo anno sono scese sotto il 25%.

Sebbene la promessa di Trump sui dazi doganali si sia in parte avverata, la maggior parte delle altre è rimasta delusa. Gli Stati Uniti hanno visto pochi segnali di un reshoring su larga scala. La manodopera più economica all'estero continua a dare un vantaggio ai produttori stranieri, mentre l'incertezza interna sui dazi ha impedito a molte aziende di effettuare investimenti importanti o di riportare la produzione in patria.

Esaminiamo sei previsioni audaci fatte da Trump, dalla Casa Bianca, da economisti e leader aziendali sull'economia, su cosa è successo e su cosa potrebbe succedere in futuro.

A otto mesi dall'entrata in vigore del regime tariffario, le politiche di Trump non hanno fatto molto per stimolare l'occupazione. Anzi, una serie di annunci di licenziamenti di massa e altri dati preoccupanti sul lavoro segnalano tempi difficili per i lavoratori. Gli Stati Uniti hanno creato 119.000 posti di lavoro a settembre, molto più di quanto previsto dagli economisti. Tuttavia, il dato rappresenta un'anomalia rispetto ai mesi precedenti, in cui la crescita dell'occupazione era stata inferiore. A settembre, il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 4,4%, il livello più alto degli ultimi quattro anni.

Gli economisti non escludono che i dazi possano portare a maggiori assunzioni in futuro, ma il quadro è complesso.

Molti produttori devono ancora importare materiali dall'estero, molti dei quali ora sono più costosi. Il settore ha tagliato circa 54.000 posti di lavoro da quando Trump è entrato in carica, sebbene sia difficile distinguere quali perdite potrebbero essere dovute ai dazi.

Arnold Kamler, proprietario di Kent International, importatore e produttore di biciclette, afferma che gli elevati dazi sui componenti per biciclette di fabbricazione cinese hanno portato alla chiusura della sua fabbrica in South Carolina e, con essa, alla perdita di 64 posti di lavoro. La sua attività continua a importare biciclette intere dalla Cina e da altre parti dell'Asia, ma i milioni di dollari di dazi che Kamler ha dovuto pagare quest'anno per telai e componenti importati hanno reso impossibile l'assemblaggio delle biciclette negli Stati Uniti.

"È stata una sfida", ha detto. "Dopo i dazi reciproci di aprile, eravamo a posto".

Trump e gli economisti hanno ampiamente mancato il bersaglio sull'inflazione.

I dazi hanno rapidamente colpito i portafogli degli americani, poiché i principali rivenditori al dettaglio, da Macy's a Best Buy, hanno aumentato i prezzi in risposta ai dazi.

"L'entità e la velocità con cui questi prezzi ci stanno arrivando sono in qualche modo senza precedenti nella storia", ha dichiarato al Wall Street Journal a maggio il direttore finanziario di Walmart, John David Rainey.

Ma i peggiori timori inflazionistici non si sono avverati. L'inflazione si è attestata per mesi intorno al 3%, superiore all'obiettivo del 2% della Federal Reserve, sebbene comunque inferiore alle aspettative di molti economisti.

I dazi toccano una ristretta fascia dei prezzi al consumo; l'edilizia abitativa e la benzina hanno contribuito a tenere sotto controllo l'inflazione complessiva. Un altro fattore in gioco: i ripetuti cambi di politica tariffaria da parte di Trump.

Molte aziende hanno affermato di voler vedere dove si stabilizzeranno i dazi prima di introdurre ulteriori variazioni di prezzo. La sentenza della Corte Suprema, ancora in sospeso, sull'autorità di Trump di imporre dazi offre loro un ulteriore motivo per aspettare ancora un po'.

Gli economisti prevedono prezzi più alti man mano che le aziende attingeranno alle loro scorte pre-tariffarie e rinegozieranno i contratti con rivenditori e distributori.

Se non verranno annunciati nuovi dazi, la Fed stima che quelli attuali impiegheranno nove mesi per farsi sentire nell'economia. Ciò potrebbe far scendere l'inflazione dei beni nella seconda metà del 2026. Ma "non siamo stati in grado di prevederlo con precisione", ha affermato il presidente della Fed Jerome Powell. "Nessuno lo è".

L'amministrazione segna punti su questo punto: i dazi hanno generato entrate significative.

Le casse federali hanno registrato in media 25 miliardi di dollari al mese in dazi doganali tra aprile e settembre, quando Trump stava rapidamente aumentando i dazi, secondo i dati del Dipartimento del Tesoro. Nel 2024, sono stati riscossi in media 6,6 miliardi di dollari di dazi doganali al mese.

Ma Trump si è dimostrato meno lungimirante riguardo alla sua altra audace previsione sulle entrate. "Potrebbe sostituire l'imposta sul reddito", ha dichiarato a Fox Noticias ad aprile.

Le entrate tariffarie non si avvicinano nemmeno ai livelli necessari per questo.

I dazi totali riscossi nell'anno fiscale 2025, che include sia i nuovi dazi di Trump che quelli esistenti, hanno raggiunto circa 195 miliardi di dollari. più del doppio dei 77 miliardi di dollari riscossi l'anno precedente. Nel 2024, le imposte sul reddito delle persone fisiche ammontavano a 2,4 trilioni di dollari, ovvero circa la metà delle entrate federali totali.

Le future riscossioni dipendono dalla decisione della Corte Suprema sull'autorità di Trump di imporre i dazi, prevista per i prossimi giorni.

Se la Corte annullasse i dazi imposti ai sensi dell'International Emergency Economic Powers Act, le entrate mensili riscosse si ridurrebbero di oltre la metà. Potrebbero inoltre essere rimborsati oltre 100 miliardi di dollari già riscossi.

Trump probabilmente cercherebbe di recuperare le entrate perse aumentando i dazi tramite altre leggi.

Crescita economica

I dazi non hanno affondato l'economia. Anzi, nel secondo trimestre il PIL ha raggiunto la sua crescita trimestrale più forte in quasi due anni: un tasso annuo destagionalizzato e corretto per l'inflazione del 3,8%. Il terzo trimestre segue a ruota, attestandosi intorno al 3,5%. All'inizio del 2025, pochi economisti avrebbero potuto prevedere fino a che punto il boom degli investimenti nell'intelligenza artificiale avrebbe sostenuto l'economia, superando gli effetti negativi dei dazi. Barclays stima che la spesa legata all'intelligenza artificiale nella prima metà dell'anno abbia aumentato il PIL dello 0,8% annualizzato, circa la metà della crescita del periodo.

Il conseguente rally del mercato azionario ha, a sua volta, contribuito ad alimentare la continua spesa dei consumatori, un fattore economico chiave.

Anche Trump ha fatto marcia indietro e ha rinviato molti dei dazi minacciati. Ad esempio, ad aprile il presidente ha aumentato i dazi sulla Cina al 145%. Questa percentuale è stata ridotta al 30% poche settimane dopo e, a ottobre, a coronamento di una serie di accordi commerciali, l'amministrazione ha raggiunto un accordo in cui ha ulteriormente ridotto i dazi al 20%.

Gli importatori statunitensi stanno pagando meno dell'aliquota tariffaria dichiarata su molti prodotti, poiché hanno sostituito articoli con dazi più elevati con articoli a tariffe più basse, talvolta approvvigionandosi da altri paesi. La Tax Foundation stima che, mentre l'aliquota tariffaria ponderata applicata a tutte le importazioni è salita al 15,8%, l'aliquota effettiva è salita solo all'11,2%. Nel 2024, l'aliquota tariffaria effettiva era di circa il 2,5%.

Verso il 2026, gli economisti prevedono che i continui investimenti nell'intelligenza artificiale e i tagli fiscali sosterranno la crescita economica.

Industria manifatturiera

La strategia tariffaria di Trump potrebbe contrastare i suoi stessi obiettivi in ​​materia di industria manifatturiera.

L'attività manifatturiera statunitense si è contratta per nove mesi consecutivi, con l'indice dei responsabili degli acquisti per l'industria manifatturiera dell'Institute for Supply Management a 48,2 a novembre, al di sotto della soglia di 50 che separa l'espansione dalla contrazione.

Molti produttori hanno sottolineato il continuo cambiamento del panorama tariffario, che a loro dire rende impossibile pianificare in anticipo o procedere con importanti decisioni di investimento.

La Casa Bianca sottolinea gli annunci di una serie di aziende che intendono investire miliardi per rafforzare l'industria manifatturiera statunitense, tra cui Apple, Toyota, Nvidia e TSMC. Alcuni di questi piani potrebbero essere andati avanti nonostante i dazi. I grandi progetti richiederanno probabilmente anni per concretizzarsi, se mai si concretizzeranno, poiché le politiche governative potrebbero cambiare di nuovo in quel periodo.

Affinché i dazi riportino in auge la produzione delocalizzata all'estero nel corso di decenni, i dazi dovrebbero essere sufficientemente elevati da rendere competitiva la produzione statunitense di quei prodotti. Ma dazi così elevati potrebbero anche danneggiare il settore nel breve termine, poiché molte forniture e altri input produttivi attualmente necessari negli Stati Uniti possono essere reperiti solo all'estero.

Bilancia commerciale

I dazi hanno indubbiamente messo in difficoltà il commercio statunitense quest'anno. Il deficit di merci del Paese è aumentato a marzo, quando le aziende si sono affrettate a fare scorta prima dell'entrata in vigore dei dazi del "Giorno della Liberazione". È poi crollato ad aprile, dopo l'entrata in vigore del dazio globale di base del 10%.

A settembre, il deficit di merci si è ridotto a 79 miliardi di dollari, rispetto agli 86,1 miliardi di dollari di agosto. Si è trattato del livello più basso degli ultimi cinque anni, in gran parte dovuto alle contrattazioni a breve termine sull'oro. Da inizio anno, il deficit delle merci è ancora superiore a quello dello stesso periodo dell'anno scorso, secondo i dati del Dipartimento del Commercio.

Trump definisce il deficit commerciale come intrinsecamente dannoso e presenta il suo programma tariffario come la soluzione. Molti economisti sostengono che la sua premessa sia errata. Un deficit non è automaticamente un campanello d'allarme per l'economia, anzi, può essere positivo.

Quando gli americani spendono più di quanto risparmiano, il deficit risultante fornisce dollari agli investitori stranieri, che spesso vengono reinvestiti in attività statunitensi. Questo costante afflusso di capitali ha a lungo sostenuto la forza economica degli Stati Uniti, sostengono gli economisti.

Al contrario, il deficit si è tipicamente ridotto durante le recessioni, con il calo della spesa e della domanda di importazioni.

Finché Trump continuerà a sorprendere il mercato con i dazi, il commercio rimarrà volatile.

Scrivete a Chao Deng all'indirizzo chao.deng@wsj.com e a Drew An-Pham all'indirizzo drew.an-pham@wsj.com

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Apparso nell'edizione cartacea del 16 dicembre 2025 con il titolo "Perché tutti hanno capito male i dazi di Trump".

Una solidarietà incompiuta

Lunedì, i rendimenti dei titoli del Tesoro statunitensi sono aumentati "in sintonia con i rendimenti dei JGB". È un'espressione spesso usata, e molti che la usano sanno cosa intendono, ma è un po' strana. Gli operatori di titoli del Tesoro sono un gruppo duro e impassibile. Non è che abbiano deciso di vendere obbligazioni in segno di rispetto per il dolore che provavano per le perdite subite dagli operatori di obbligazioni giapponesi.

Il rendimento dei JGB a 10 anni è ora balzato all'1,868%, il livello più alto dall'estate del 2007, mentre il nuovo Primo Ministro Sanae Takaichi porta avanti i piani di espansione fiscale e la Banca del Giappone suggerisce che un aumento dei tassi potrebbe essere imminente. Il Paese ha un debito ingente e non sorprende che i suoi rendimenti stiano aumentando ora che sta tentando di normalizzarsi.

Ma cosa c'entra questo con il brusco rialzo di 7,3 punti base di lunedì del rendimento di riferimento statunitense a 10 anni? Diversi fattori stavano spingendo al ribasso i prezzi delle obbligazioni. Le scommesse sulla Federal Reserve nel mercato dei futures si sono ora spostate verso la totale certezza di un taglio dei tassi sui fed funds la prossima settimana. C'è stata una rapida inversione di tendenza e, a parità di altre condizioni, i rendimenti obbligazionari scenderebbero, come è successo ai rendimenti a tre mesi, ma non a quelli a 10 anni. Lo spread tra i due si è ampliato al massimo degli ultimi sei mesi:

Stavano seguendo i JGB, ma non è immediatamente chiaro il perché. Le notizie economiche del giorno sono state decisamente insipide. Il dato più importante, l'indagine ISM sul settore manifatturiero di novembre, è stato negativo. I nuovi ordini sono scesi in territorio restrittivo e sono scesi anche al di sotto delle scorte, sempre un brutto segno. Il titolo era in calo. Se c'era qualcosa di positivo, era il dato sui prezzi pagati, un buon indicatore anticipatore dell'inflazione. È sceso leggermente, ma rimane troppo alto per essere rassicurante. Nel complesso, c'erano tutte le ragioni per cui i rendimenti obbligazionari sarebbero stati inferiori dopo questa triste pubblicazione rispetto a prima:

E questo si è riflesso nelle aspettative per la Fed. In una brusca inversione di tendenza durante la settimana del Ringraziamento, le probabilità implicite di un taglio dei tassi sono passate dal 24% al 96%. Non è questo il terreno per una forte accelerazione dei rendimenti obbligazionari. È possibile ricavare qualcosa dalle crescenti speculazioni secondo cui Kevin Hassett, che si è presentato come il più accomodante tra i candidati principali, sarà presto nominato presidente della Fed. Polymarket stima ora le sue probabilità all'84%. Se fosse ritenuto pericolosamente accomodante, ciò potrebbe esercitare pressione sui rendimenti obbligazionari a lungo termine, che sarebbero maggiormente colpiti dall'inflazione. Ma le aspettative sui tassi dei Fed Fund per il prossimo giugno, che sarebbe la prima riunione del nuovo presidente in carica, sono state molto stabili e suggeriscono che ci sarà un solo taglio di 25 punti base durante la prima metà del 2026:

Quindi, l'impennata del rendimento decennale diventa difficile da spiegare senza invocare il Giappone. E qui, il punto chiave è che Tokyo ha fornito fondi affidabili e convenienti. Rendimenti più elevati dei titoli JGB metterebbero a repentaglio un'attività redditizia. Nei quattro anni trascorsi da quando la Fed ha iniziato a restringere i tassi nel 2022, il carry trade tra prestiti in yen e depositi in dollari è cresciuto del 12,6% annuo:

Se i JGB inizieranno a offrire un rendimento competitivo, allora quel denaro facile non esisterà più e avrà senso ritirare denaro dai titoli del Tesoro per riallocarlo al Giappone. Sembra proprio che stia succedendo.

Un ulteriore segnale inquietante proviene dai metalli preziosi. L'argento, il cugino più speculativo dell'oro, ha raggiunto un nuovo massimo storico, mentre il Bitcoin sta crollando. È un segnale di inquietudine monetaria, poiché i metalli preziosi diventerebbero più appetibili se il governo statunitense tentasse di fare pressione sugli investitori affinché acquistassero titoli del Tesoro, e testimonia i timori di un ritiro del denaro facile giapponese.

Que Nguyen, responsabile degli investimenti per le strategie azionarie di Research Affiliates, ha sostenuto che i titoli del Tesoro sono stati venduti non tanto per simpatia verso il Giappone, quanto "in previsione che il bagliore del denaro a basso costo per gli Stati Uniti venisse interrotto". Ha aggiunto:

Il problema è che se i tassi di interesse in Giappone si normalizzeranno, qual è l'incentivo ad acquistare titoli del Tesoro? Gli Stati Uniti non risparmiano abbastanza per finanziare il proprio debito e quindi abbiamo bisogno che persone provenienti da Giappone e Cina acquistino costantemente il nostro debito. Ha funzionato perché siamo la valuta di riserva, ma ci stiamo ritirando dal commercio globale.

Relativamente silenziosamente, il mondo si è capovolto negli ultimi cinque anni. Alla fine del 2020, i rendimenti dei titoli decennali cinesi erano ampiamente i più alti tra le principali economie. Ora sono stati superati persino da quelli giapponesi. I rendimenti dei Bund tedeschi erano negativi, ora sono superiori sia a quelli del Giappone che a quelli della Cina, con la pressione della forte espansione fiscale prevista per il prossimo anno. Gli Stati Uniti, con una crescita più stabile e un'inflazione più resiliente rispetto al resto del mondo, ora vantano i rendimenti significativamente più elevati:

Per quanto riguarda la Cina, per la quale i funzionari americani sembrano nutrire una minore simpatia, il calo dei rendimenti è un'altra storia...

Valter Buffo