Vi diciamo per chi vota Recce'd (parte 2)

 

Completiamo con un secondo Post un lavoro la cui prima parte è stata pubblicata 48 ore fa qui nel Blog.

Ritorniamo sul tema delle prossime Elezioni Politiche: a favore di quale schieramento si schiera Recce’d? Ve lo chiariamo più in basso.

Il Post precedente riportava le dichiarazioni in TV (canale RAI) di un probabile candidato dello schieramento che oggi dai sondaggi risulta maggioritario.

Nel nostro primo Post, abbiamo sottolineato che all’interno di quello schieramento politico (così come accade anche negli altri) convivono visioni dell’economia e della politica economica decisamente distanti fra loro. Quando non conflittuali.

Nel tweet qui sopra, un esponente dello schieramento oggi maggioritario nei sondaggi affronta in pubblico un tema sul quale, per ragioni di esperienza e professione, ci sentiamo di dire qualche cosa.

L’industria del risparmio, per essere chiari, è l’industria che raccoglie sia le SGR (ovvero la fabbrica che “produce i Fondi Comuni di Investimento, le GPM, i certificati e le UCITS) sia le Reti di vendita che poi piazzano al risparmiatore italiano questi “prodotti finanziari” dal costo sempre mascherato, camuffato, nascosto all’investitore, e comunque sempre esagerato, eccessivo, non giustificato.

La “politica” italiana di “alto livello” (Governo e dintorni) raramente (molto raramente) si espone con parole chiare a proposito dell’industria del risparmio: si tratta del tipico argomento “da stanze chiuse”.

Questa è una eccezione, e merita di essere evidenziata: anche per la chiarezza.

La chiarezza sta in due affermazioni: la prima dove si dice che “il problema è politico”, come avete letto qui sopra. e la seconda, la leggete qui sotto, nei due tweet che abbiamo scelto di riportarvi..

Per chiarezza: noi sicuramente non intendiamo, con questo Post, prendere posizione a favore di Marattin (Italia Viva) contro Crosetto (Fratelli d’Italia): Recce’d non partecipa, in alcun modo, alla competizione elettorale.

Vogliamo tuttavia rendere un servizio al lettore del sito: che 8almeno, in una grande parte) non sa, e non si rende conto.

Quando nella seconda immagine qui sopra si scrive di “interessi strategici”, si vuole dire una cosa ben precisa: che la cosiddetta “industria del risparmio italiana”, nelle sue scelte di investimento, dovrebbe mettere davanti alle valutazioni di rendimento atteso e di rischio dei singoli, che stanno alla base di qualsiasi gestione di portafogli, altre valutazioni.

E precisamente, le valutazioni sugli “interessi strategici dell’Italia”, che appunto sono “un problema politico.

Moltissimi, la quasi totalità dei lettori non lo ha ancora capito, e allora spieghiamo: qui si sta scrivendo dei vostri soldi, dei soldi che voi avete affidato a questa oppure quella Rete di promotori finanziari.

E si sta pubblicamente contemplando di mettere la politica in una posizione di responsabilità, di attribuirle potere decisionale (“di indirizzo”), quando si tratta di decidere sul come vengono investiti i vostri soldi.

Rifletteteci: riflettete sul fatto che non c’è nulla, e nessuno, che possa garantire che gli “asset strategici” siano allo stesso tempo “buoni e fruttiferi investimenti del risparmio” e non piuttosto … delle “ciofeche”. Qualcuno di voi ricorda i titoli azionari delle Aziende IRI?

Rifletteteci: riflettete anche sul fatto che la politica dei partiti, in Italia, non sembra proprio possedere le qualità che sono necessarie per fare il “portfolio manager”, il “gestore di portafoglio”, sui mercati finanziari internazionali, e nel vostro interesse.

Affidereste i vostri denari in gestione a uno qualsiasi degli ultimi dieci Presidenti del Consiglio? Oppure a uno degli ultimi dieci Ministri del Tesoro?

Non stiamo scrivendo “contro” la parte politica di Crosetto. Non sarebbe, in ogni caso, questa la sede adatta. Non stiamo scrivendo neppure “a favore” di Marattin, il cui leader politico, che al tempo in cui era a Capo del Governo italiano, promosse e realizzo una spericolata, costosissima, e opaca operazione intorno al Fondo Atlante, che alla collettività costò molti miliardi, e fece il bene unicamente di un gestore di Fondi italiano, ma residente a Londra.

Un esito miserabile, una vicenda abbandonata a sé stessa dopo pochi mesi dai medesimi che la hanno progettata e realizzata.

Sia questo scambio di tweet, sia la vicenda del Fondo Atlante appena citata, sono soltanto esempi, concreti e qualificati, ma solo esempi: l’investitore italiano deve agire però tenendo sempre in evidenza questa volontà, di chi arriva ad occupare posizioni di Governo, in Italia, di “mettere le mani” sul risparmio degli Italiani.

Perché gli “asset strategici” sono un “problema politico”, così come lo sono “le banche venete”.

Se invece si lasciasse fare liberamente ai mercati? Rendendoli ancora più liberi e trasparenti?

Un altro professore della Bocconi (bisogna riconoscere che sono numerosissimi, i professori “della Bocconi”, e che passano moltissimo tempo a scrivere su Twitter) ha di recente espresso le idee che leggete qui in basso, con le quali Recce’d è in sintonia, anche se soltanto per una parte (ed in ogni caso, precisiamo che noi di Recce’d scegliamo di NON scriverne su Twitter: non sono sufficienti quei 136 caratteri, che bastano appena per una “sentenza sbrigativa”).

Le forze politiche italiane, oggi in competizione elettorale, si oppongono tutte ed in modo compatto, al lasciare più libertà ai mercati di operare come mercati veri e propri: e ci spiegano che l’uomo politico ne sa di più, ha più informazioni privilegiate, è anche un analista di qualità superiore, parla nei salotti e nei circoli chiusi.

E quindi, il messaggio: non lasciamo decidere ai mercati, facciamo invece decidere all’uomo politico di turno.

Amici investitori, nel gestire il vostro portafoglio, anche e soprattutto nel 2022, tenete conto di questa inclinazione degli uomini politici italiani (di tutti gli schieramenti): “comando io, perché io ne so di più di tutti; i mercati non sono efficienti, mentre io uomo politico sono molto efficiente”.

Noi di Recce’d voteremmo sicuramente per quello schieramento politico che esprima in futuro una linea di politica economica opposta a questa, che abbiamo esposto in questo Post, e che oggi ritroviamo in tutti gli schieramenti in competizione.

Da questa linea politica, ogni investitore consapevole deve essere capace di proteggere il proprio patrimonio. per non fare la medesima fine di quelle banche venete.

Per chiudere il secondo Post dedicato alle Elezioni Politiche italiane del 25 settembre, vi proponiamo in lettura un articolo di Angelo Panebianco, pubblicato lo scorso weekend dal Corriere della Sera: articolo con il quale Recce’d, almeno in parte, è in sintonia, come già avete letto nel primo dei due Post.

È inevitabile che in campagna elettorale sia presente una certa dose di demagogia, sia da parte della destra sia da parte della sinistra, Dobbiamo sperare che qualche germoglio di razionalità sbocci persino in questa campagna elettorale

Promettere la luna ma con giudizio. È inevitabile che nelle campagne elettorali delle democrazie a suffragio universale sia presente una certa dose di demagogia. Fortunata è quella democrazia nella quale la sobrietà dei costumi e un’attitudine a pretendere dai politici razionalità da parte dell’opinione pubblica, riducono a dimensioni sopportabili il tasso di demagogia. Peraltro, democrazie così, per un insieme di ragioni, non ultimi i nuovi sistemi di comunicazione, tendono oggi a scomparire.

L’Italia, comunque, non è, non è mai stata, simile alla Svizzera o alla Norvegia. Le nostre campagne elettorali ricordano quelle variopinte e pittoresche dell’America Latina. Se non fosse così non avremmo accumulato nel corso dei decenni, con il consenso o la noncuranza dell’elettorato, un così grande debito pubblico, ossia una gravosissima tassa a carico delle generazioni successive (sulla base del principio «ma chi sono questi posteri e che cosa hanno mai fatto per noi?»). Né si sarebbe perpetuata per tanta parte della nostra storia una tragedia: il fatto che, per lo più, quando si scontrano l’anima riformista e quella massimalista della sinistra è quest’ultima a prevalere (il che spiega la democrazia bloccata, l’impossibilità dell’alternanza, per tutto il periodo della Guerra fredda). O, per venire a tempi recenti, non si spiegherebbe il trionfo populista nelle elezioni del 2018. Diciamo che abbiamo alle spalle tradizioni politiche che non favoriscono sobrietà e razionalità.

Prendiamo in considerazione alcune delle promesse della luna che sono già state fatte agli elettori come la flat tax, il bonus per i diciottenni o il presidenzialismo.

La proposta leghista della flat tax contiene una (nascosta) razionalità. Non nel senso che tale proposta possa trovare attuazione. Solo qualche sprovveduto può crederlo. La razionalità della proposta sta altrove. Da un lato, serve alla Lega per competere con Fratelli d’Italia: «Vedete, la luna che promettiamo noi è più grande di quella che promette Meloni». Dall’altro, serve a rassicurare gli elettori: se vinciamo noi state certi che non aumenteremo le tasse.

La proposta del bonus ai diciottenni da parte del Pd è altrettanto demagogica. Ma in più si scorge in essa anche un velo di malinconia. Il bonus non serve a cambiare la condizione giovanile. Occorrerebbe altro. Soprattutto un mercato del lavoro non irrigidito da troppi vincoli, capacità di attrarre investimenti, eccetera. La nota malinconica sta nel fatto che con la proposta di finanziare il bonus agendo sulla tasse di successione dei più ricchi, il Pd ha già messo in conto che perderà le elezioni. Tanto vale — si sono detti — dare un contentino a quella parte del nostro elettorato a cui piace l’idea di tassare i ricchi a prescindere. E pazienza se ciò dà alla destra un’arma in più per dipingere il Pd come il partito delle tasse. Per inciso, è buona l’idea del Pd di migliorare lo stato del capitale umano aumentando gli stipendi ai professori nel corso della loro carriera. Peccato che la proposta sia monca. Perché dovrebbe essere accompagnata dalla promessa di cacciare quei docenti che, mettendosi sotto i piedi l’etica professionale, regalano voti e diplomi anche ai non meritevoli. Commettendo così il reato di falso in atto pubblico (reato inequivocabilmente dimostrato dai risultati dei test Invalsi). Solo la somma di questi due provvedimenti potrebbe migliorare davvero quantità e qualità del capitale umano in Italia.

E perché non citare il blocco navale che viene di tanto in tanto proposto da questo o quello esponente della destra? Giudiziosamente, esso non viene esplicitamente evocato nel suo programma elettorale. Resta che questa idea ogni tanto ritorna. Ma è del tutto impraticabile. L’Onu, l’Europa, il Papa, la magistratura, tutti contro. Se vincesse le elezioni, sarebbe sensato, da parte della destra, cercare un accordo con i settori più responsabili dell’opposizione su come fronteggiare la piaga dell’immigrazione clandestina. Oltre a tutto, ciò metterebbe in difficoltà i massimalisti di sinistra. Ricordo che quando il miglior ministro dell’Interno che sia stato espresso dalla sinistra, Marco Minniti, provò a fare qualcosa, finì subito sotto il «fuoco amico» (amico si fa per dire) della sinistra medesima.

Da ultimo il presidenzialismo, cavallo di battaglia di Fratelli d’Italia e di Berlusconi. Il fascismo, le derive autoritarie di cui parlano i soliti noti, non c’entrano niente. La proposta non va bene per un insieme di ragioni che attengono a questioni di tecnica costituzionale (benissimo sintetizzate da Luciano Violante su Repubblica). La proposta ha senso solo se serve a lanciare un sasso in piccionaia. Archiviato, con il referendum del 2016, il progetto Renzi teso a rafforzare l’esecutivo, delle anomalie della nostra democrazia parlamentare non si discute più. Ma esse (a cominciare dal bicameralismo simmetrico: due Camere con uguali poteri) sono sempre lì.

Quando si sentono i soliti cantori della «Costituzione più bella del mondo» denunciare le solite derive autoritarie, bisogna resistere al (comprensibile) impulso di plaudire alle suddette derive. Costoro usano sempre le stesse parole, si tratti di attaccare la proposta di Renzi o il presidenzialismo di Meloni. Dal loro punto di vista, sono tutte varianti della «marcia su Roma». In modi diversi, tutte le grandi democrazie europee (eccetto l’Italia) hanno governi istituzionalmente forti. Perché solo noi dobbiamo subire la maledizione di governi deboli? Non è il presidenzialismo di Meloni che potrà risolvere il problema. Ma se consentirà, dopo le elezioni, di aprire un dialogo fra le forze politiche per trovare soluzioni istituzionali possibili e praticabili, tale proposta sarà comunque servita a qualcosa.

Senza bisogno di scomodare l’hegeliana astuzia della ragione, si può forse (sommessamente) auspicare che qualche germoglio di razionalità sbocci persino in questa campagna elettorale. Nonostante il solito diluvio di spacconate.


12 agosto 2022 (modifica il 12 agosto 2022 | 21:24)


Valter Buffo