Longform'd. Maduro marcia su Francoforte

 

Ai nostri lettori, noi scrivemmo nell’agosto del 2020, quasi due anni fa: “Questi signori oggi sono diventati i peggiori nemici della vostra stabilità finanziaria”

Oggi, tutti lo vedono. Oggi, è facile attaccare con critiche anche aspre le Banche Centrali.

E infatti lo fanno quasi tutti: la sola esclusione, sono alcuni commentatori che debbono comunque ed in ogni caso cantare la lode di chi, in quel momento, muove le leve del Potere (economico e/o politico). Comunque: anche quando le scelte di questi signori ci portano ad una catastrofe economica. Sempre baciare l’anello, è la regola di questi commentatori.

Due anni fa, la situazione era molto diversa. Noi avevamo correttamente anticipato le implicazioni di alcune scelte, ma eravamo i soli: per questa ragione due anni fa, fummo noi ad essere sotto attacco. perché eravamo “contrarian”, perché “cercavamo l’attenzione con il catastrofismo” e perché “non bisogna mai andare contro le Banche Centrali”

Noi avevamo ragione, loro avevano torto, ed oggi sta scritto sulla prima pagina di un qualsiasi giornale.

Non è questo il punto, del nostro Post. Il punto sta da un’altra parte.

E dove sta? Sta nel fatto che non è ancora finita. Sicuramente non è finita qui.

Inevitabile: adesso arriva la fase del delirio.

Che è già iniziata, e (guarda che caso: chi avrebbe potuto immaginarlo?) c’entra proprio l’Italia.

Il violento aumento dei rendimenti delle obbligazioni, ed il parallelo aumento dello spread Italia-Germania, ha immediatamente mostrato i suoi risvolti in campo politico: ed immediatamente è scattata la reazione “da panico”. Una “riunione di emergenza” alla BCE non si teneva da 10 anni.

Ovviamente, la “riunione di emergenza” del mercoledì 15 giugno ha prodotto assolutamente nulla, che non siano parole, dichiarazioni di impegno e promesse: come viene sintetizzato alla perfezione dall’immagine che segue.

Il solo effetto (non pratico) di quella riunione “di emergenza” è stato quello di scatenare un (nuovo) dibattito sul tema “come intervenire”.

Rendendo, se ce ne fosse stato bisogno, ancora una volta evidente un fatto: senza “interventi”, l’Europa dell’euro non si regge in piedi.

Per gli appassionati del genere “che cosa farà la BCE” (che è l’equivalente del genere “horror” al cinema) ci sono moltissimi percorsi da approfondire. Noi non lo faremo qui nel Post, ma ne trovate citati alcuni dell’immagine sopra, e se siete interessati ad approfondire noi vi invitiamo, come sempre a contattarci.

Il dibattito, che è molto ampio, noi tenteremo qui di riassumerlo nei suoi tratti più concreti: il punto è “se vendo debito Germania per comperare debito Italia, che tipo di segnale se ne ricava per le politiche di gestione del debito? E che tipo di segnale arriva per l’inflazione?”. A cui immediatamente si aggiunge: “ma i tedeschi che cosa ne pensano?”.

Ma soprattutto, ed è la domanda centrale dell’intero discorso: “chi è che decide, e in che modo, quando lo spread è troppo ampio”?

E qui, appunto, si scivola rapidamente verso il delirio.

Perché c’è anche qualcuno che ha risposto. Il signore qui sotto.

Pare, sembra, si dice che sia il Grande Capo della Banca d’Italia. Pare che giovedì 16 giugno 2022 abbia rilasciato queste dichiarazioni, riportate ieri anche dai quotidiani del Gruppo GEDI (famiglia Agnelli). Se fosse vero allora tutti noi investitori saremmo davvero in un mare di guai.

Un oceano di guai.

Perché in questa difficilissima situazione, nella quale siamo stati trascinati da Banche Centrali non solo spregiudicate e poco competenti, ma pure prive del comune buon senso, manca una sola cosa: che da qualche parte, in un ufficetto magari a Roma oppure a Francoforte, ci sia un team di “tecnici” che decide “quale è lo spread giusto”-

Che senso avrebbe, una iniziativa del genere? Si vorrebbe fare credere al pubblico, e soprattutto alla massa degli investitori, che loro, quei “tecnici” nella stanza di Roma, ne sanno più di tutti: ne sanno più dei mercati, e ne sanno più della gente comune. Loro, sono Dio. Il Dio dello spread.

Questa è la strada per la distruzione dell’economia: creare un ufficio centrale che “ne sa di più”. La Storia del Mondo lo ha ampiamente dimostrato.

Lungo la medesima linea di pensiero, si muove lo Amministratore Delegato di Banca Intesa, che lancia un’idea: “Con tutti i risparmi che hanno gli italiani, perché non li obblighiamo a comperare i BTP?”.

Visco e Messina non sono soli: in molte di quelle che vengono definite “le stanze del Potere” c’è fastidio per i mercati finanziari, c’è la voglia di metterli “sotto controllo”, di “farli andare dove vogliamo noi”. Perché “i mercati non possono certamente imporre a noi delle regole”.

Quando, al contrario, è proprio quella la funzione principale dei mercati.

Questo, moltissimi non lo capiscono. Alcuni lo capiscono, ed è proprio per questo, che odiano i mercati.

Il Presidente venezuelano Maduro, ad esempio, non ama i mercati: “decido tutto io, al centro, perché io ne so molto di più, di quello che serve veramente”.

Tra le cose “che servono” ci fu un momento in cui Maduro si dimenticò di mettere nella lista la carta igienica: e tutto il Venezuela rimase senza carta igienica.

Recce’d vorrebbe ascoltare da chi occupa posizioni di alta, altissima responsabilità affermazioni, appunto, più responsabili di quelle che vi abbiamo riportato più in alto (dettate evidentemente dal panico).

Vediamo in pratica di che cosa si tratta. Recce’d a favore dei suoi lettori riporta qui sotto una analisi recentissima di Nouriel Roubini, che è stata pubblicata dal Financial Times, che vi aiuterà a capire alcune cose, probabilmente determinanti per i risultati del vostro portafoglio titoli.

In particolare, leggendo attentamente questo articolo la vostra attenzione sarà richiamata sui temi seguenti:

  • perché la BCE non ha fatto ricorso allo strumento che esiste già: lo OMT; e poi

  • a quali condizioni, e limiti, dovrà comunque sottostare il “nuovo strumento per contrastare la frammentazione (ammesso che poi lo vedremo mai); ed infine

  • in che misura gli spazi di manovra della BCE sono effettivamente più ristretti, rispetto alla Federal Reserve ed alla Bank of England (sta in una situazione peggiore soltanto la Banca del Giappone, a cui dedichiamo in questo weekend un altro Post)


Faultlines in the eurozone are resurfacing. In response to a sharp widening of sovereign bond yield spreads in Italy and other states, the European Central Bank held an emergency meeting on Wednesday. Its governing council decided to work on designing a new facility to address “fragmentation risk”, or the idea that the effect of monetary policy on the 19 nations in the eurozone may vary widely, with potentially destabilising consequences. The dangers are real. Italian long-term yields have surged from below 1 per cent at the start of the year to above 4 per cent in recent days. But fragmentation risk is not the only serious problem for the ECB.

In recent months, inflation in the eurozone has also surged above 8 per cent. This is at a similar level to the US, but, unlike the Federal Reserve, the ECB plans to wait until next month to start raising interest rates. This lag behind the Fed and other central banks is due to a variety of reasons. There is more slack in labour and goods markets in the eurozone than the US as the area’s recovery from Covid-19 has been more sluggish.

Supply shocks, including soaring energy prices and those of other commodities following the Russian invasion of Ukraine, are a greater factor than excessive aggregate demand in driving eurozone inflation. Wage growth is more modest than in the US, and the rise in core inflation is smaller. Supply shocks that reduce growth and push up inflation present all central banks with a dilemma. To prevent inflation expectations from getting out of control, they should normalise monetary policy sooner and faster.

But that risks a hard landing of the economy, with recession and rising unemployment. If, on the other hand, the banks also care about economic growth and jobs — as even the ECB does, in spite of its single mandate of price stability — they may normalise more slowly and risk de-anchoring inflation from its expectations. The US and the UK are currently at serious risk of a hard landing as the Fed and Bank of England aggressively tighten rates. But this risk is at least as large, and most likely greater, in the eurozone than in the US. The recovery from Covid has been more anaemic in the region. It is more exposed to energy shocks from a long war in Ukraine. And given its reliance on exports to China, it is also more vulnerable to a slowdown of Chinese growth stemming from Beijing’s zero-Covid policy.

Moreover, the weakening of the euro that arises from the difference in ECB and Fed monetary policies is inflationary. The increase in borrowing costs for the eurozone periphery is larger. Some forward-looking indicators, such as German manufacturing data, signal that the area may be heading for a recession even before the ECB starts raising rates.

All of this is happening as ECB hawks, keen to raise rates sooner and faster, are gaining the upper hand in the governing council. The eurozone suffers from weak potential growth and job creation. A hard landing would not only exacerbate these problems but intensify market concerns about debt sustainability, or fragmentation risk. The “doom loop” between indebted governments and banks holding that debt, a feature seared into the minds of many by the eurozone crisis a decade ago, would come back into focus.

Designing a new facility to deal with fragmentation risk is easier said than done. ECB doctrine argues that potentially unlimited purchases of some governments’ bonds are acceptable only if widening yield spreads are driven by unwarranted market dynamics. When poor policies rather than bad luck are the driver, ECB bond purchases need to come with conditions attached. This is how the Outright Monetary Transactions facility was designed in 2012 but no government requested it because none wanted to accept the politically fraught conditions.

Still, in order to pass legal muster, any new facility will need to include something along these lines. The recent widening in Italian and other spreads is not just driven by irrational investor panic. Italy has low potential growth, large fiscal deficits and a huge, possibly unsustainable public debt that has grown during the pandemic. Now a permanent rise in debt servicing costs looms as the ECB withdraws its ultra-accommodative policies.

The risk of a “doom loop” is higher in Italy than in the rest of the eurozone. Next year’s Italian elections may produce a rightwing coalition dominated by parties bristling with scepticism about the euro and the EU. In practice, any new ECB facility designed to rescue Italian bonds may come with conditions unacceptable to the country’s new leaders — and to any other eurozone states under pressure. Before this week’s ECB meeting, executive board member Isabel Schnabel stated that the bank’s willingness to deal with fragmentation risk had “no limits”. This echoed former ECB president Mario Draghi’s game-changing “whatever it takes” statement of 2012. But Schnabel also hinted at the need for policy conditionality when it comes to offering support.

Given the current volatility of financial markets, one can expect they will further test the ECB’s ability to protect the currency union by backstopping fragile eurozone states.

In chiusura, ritorniamo sulla figura di Maduro, e sulle politiche populiste e contrarie al libero mercato che da decenni dominano il panorama del Sud America.

Quello di Maduro potrebbe, forse e per alcuni lettori, sembrare un eccesso, oppure un colpo ad effetto: un personaggio che fa sorridere.

Ma questo invece non è un argomento che fa sorridere: almeno non nel contesto nel quale oggi ci troviamo, un contesto nel quale c’è chi si sente autorizzato (ma da chi? da che cosa?) ad affermare “lo spread sotto 150 è giustificato, mentre sopra 200 non è giustificato”. Ma chi lo dice? Ma chi prenderebbe sul serio una affermazione simile, in giro per il Mondo?

Recce’d identifica, in affermazioni di questo tipo, autentici attentati alla liberta degli investitori, e ritiene che si tratti di tentativi che debbono essere immediatamente respinti, ed a qualsiasi costo economico.

Non esiste benessere economico senza libertà di azione: la Storia, recente ed anche meno recente, è lì a dimostrarlo.

Lo ripetiamo: i peggiori nemici della vostra stabilità finanziaria, in questo momento sono chiaramente identificati. Invitiamo tutti i lettori ad agire di conseguenza, e subito. Occorre agire a protezione dei propri risparmi, ma pure per mandare via alm più presto queste persone dai posti che occupano attualmente, allo scopo di prevenire scenari tragici.

Per capire a quali “scenari tragici” noi qui ci riferiamo, e anche per concludere il nostro Longform’d, vi suggeriamo di leggere questa intervista di Repubblica pubblicata lo scorso 16 giugno a Ray Dalio, personaggio già più di una volta presentato nel nostro Blog.

Sono temi già toccati, in più occasioni, qui nel nostro Blog negli ultimi 24 mesi.

Ripetiamo, anche in questa occasione, il nostro suggerimento operativo: se volete immaginare il destino dei vostri investimenti, oggi dovete guardare molto POCO ai mercati finanziari e per quasi tutto il tempo FUORI dai mercati finanziari.

Una crisi finanziaria e geopolitica che porta ad enormi tensioni sociali all’interno delle grandi democrazie Occidentali e sfocia in un conflitto planetario tra Usa e Cina in cui la potenza asiatica mette fine all’“Impero Americano”. È uno scenario apocalittico, dipinto non da anonimi anarchici sull’internet o da uno sceneggiatore di Netflix, ma da Ray Dalio, uno dei più grandi investitori di sempre. Nel suo libro “Il Nuovo Ordine Mondiale”, in uscita in Italia, il fondatore di Bridgewater, il più ricco hedge fund del mondo, analizza la storia per capire come sorgono e come cadono gli imperi. La sua conclusione è da far paura: siamo alla fine dell’egemonia americana.

Perché dice che siamo alla fine dell’Impero Americano?
«Ci sono tre grandi forze che esistono ora che non sono state presenti nelle nostre vite, ma sono esistite molte volte in passato: l’enorme produzione di debito, la stampa di denaro per monetizzare quel debito, e i conflitti interni del populismo di sinistra e di destra causati dagli ampi divari di ricchezza e di valori. Queste forze stanno portando verso una guerra civile e un grande conflitto di potere tra gli Stati Uniti e i loro alleati e la Cina e i suoi alleati. Queste tre cose stanno accadendo simultaneamente. L’ultima volta che è successo è stato tra il 1930 e il 1945. Se guarda le notizie che arrivano mese dopo mese vedrà un movimento verso la combinazione di una crisi finanziaria con un grande conflitto interno e con un grande conflitto esterno».

Quanto tempo ci vorrà per arrivare alla conflagrazione?
«La stiamo già vedendo in questo momento, ma penso che probabilmente sarà molto peggiore nel 2024 o nel 2025, dopo le prossime elezioni negli Stati Uniti. C’è stata molta creazione di debito e denaro che ha prodotto molta inflazione. Il risultato è che le Banche centrali cercano di calmare l’inflazione sottraendo denaro e credito alle persone in modo che il loro potere d’acquisto sia inferiore, e questo, a sua volta, indebolisce l’economia».

Quindi una grave crisi è inevitabile?
«No. La destinazione finale può certamente essere cambiata, anche se è improbabile. Tutto dipende da come noi tutti vogliamo stare insieme. C’è molta ricchezza e gli standard di vita, in media, sono più elevati che nel passato. La capacità dell’uomo di inventare strumenti che migliorano la nostra vita non è mai stata così grande. Dobbiamo solo aumentare le dimensioni della torta e dividerla in maniera intelligente. Ma la storia suggerisce che non è probabile».

Ma nel libro lei spiega anche che questo è un processo ciclico. Quindi è possibile che stiamo semplicemente vivendo un periodo di transizione.
«È vero, ma questi periodi di transizione, che in genere durano circa dieci anni, includono depressioni e guerre».

Torniamo alla situazione finanziaria. Il debito da lei citato è il risultato diretto di uno stimolo creato per aiutare l’economia mondiale. Avrebbe fatto qualcosa di diverso?
«Quando i governi e le Banche centrali aumentano il potere d’acquisto della gente creando molto debito e denaro, ciò non aumenta la produttività e crea obblighi finanziari per il futuro che o portano alla recessione o all’inflazione».

Non è vero che le persone che ne hanno beneficiato sono state quelle che possedevano attività finanziarie e ora che le persone che soffrono di più sono quelle senza risorse finanziarie?
«Sì. È un fatto sfortunato che chi ha meno ricchezza soffra sempre di più nei momenti difficili».

Come possiamo rimediare?
«Se vuoi che i tuoi figli abbiano una vita finanziariamente stabile, devi dare loro una buona educazione, civiltà e una buona etica del lavoro».

Come ha cambiato le sue strategie d’investimento, alla luce di ciò che ha imparato?
«Non sto investendo in attività di debito e ho comprato beni che forniscono protezione dall’inflazione. Sto investendo in Paesi che sono in buona salute economica e non corrono il rischio di entrare in una guerra politica interna o in una guerra internazionale. Di conseguenza, mentre il mercato azionario e i mercati obbligazionari sono in forte calo quest’anno, noi siamo in forte aumento».

Perché la gente dovrebbe ascoltare i consigli di un miliardario?
«Nessuno ha bisogno di farlo. Quello che fanno dipende da loro. Io pubblico questa roba, poi sta alla gente decidere se crederci o meno. Tuttavia, se fossi nei loro panni, probabilmente penserei che, se questo signore è diventato miliardario scommettendo su queste cose, forse ha un buon track record e vale la pena ascoltare il suo ragionamento. Inoltre, se le persone pensano che, visto che sono un miliardario, ho perso il contatto con la realtà o ho una prospettiva distorta, dovrebbero sapere che ho iniziato con niente, e non molti anni fa. Nel 1982 non avevo soldi. Avevo così poco che ho dovuto prendere in prestito 4.000 dollari da mio padre per pagare le bollette».

Nel libro è chiaro che lei pensa che il prossimo impero alla fine della transizione sarà quello della Cina. Ha cambiato idea alla luce della guerra in Ucraina?
«No. Il movimento verso un conflitto internazionale sta avanzando ancora più velocemente di quanto mi aspettassi, di circa un paio d’anni. Cina e Russia sono quasi alleate e la potenza maggiore è la Cina. La Russia non ha il potere di competere economicamente. Per questo motivo mi aspetto che presto il conflitto includa la Cina».

Non ha paura di farsi dei nemici potenti con questo libro?
«È vero che parlare in modo schietto e controverso è sempre più pericoloso oggigiorno. Tuttavia, ho 72 anni e credo che in questa fase della mia vita devo fare la cosa giusta. Non mi sentirei bene con me stesso se non parlassi onestamente di ciò che penso perché ho paura di ciò che gli altri potrebbero farmi».

Valter Buffo