Italia 2022
Oggi primo giorno del 2022 i quotidiani intrattengono il lettore con le “pagelle”: il calciatore più bravo del 2021, il film più bello del 2021, gli articoli più letti del 2021.
E poi, non può mancare, ci sono i voti ai politici.
La stampa generalista italiana si conferma anche oggi compatta nel supporto al Presidente del Consiglio in carica, come mai abbiamo visto nella storia recente e lontana dell’Italia repubblicana. Draghi prende voti alti, altissimi.
Come tutti sappiamo, anche i mercati finanziari esprimono giudizi: che non sempre coincidono con quelli dei quotidiani e delle TV.
Recce’d ne ha scritto nel Blog già la settimana scorsa, in questo Post, così come ne hanno scritto anche alcuni organi di informazione, in Italia ma soprattutto all’estero.
Vi abbiamo già messo in evidenza che il rialzo dello spread tra Italia e Germania, spread che ha chiuso il 2021 ai livelli massimi dell’anno (grafico sopra), ci colpisce soprattutto per una ragione: questo rialzo in genere è associato a momenti di visibile tensione sui rendimenti, tensione che invece è stata del tutto assente in dicembre.
Di certo, se ci limitiamo a leggere i dati del grafico qui sopra, non sembra proprio che dai mercati a fine anno sia arrivato un “8” in pagella per Draghi ed il suo Governo.
Forse, ci può essere utile allargare il periodo di osservazione? Guardiamo allora (grafico sotto) agli ultimi dieci anni,
Come vedete nel grafico sopra, il livello attuale dello spread è lo stesso della fine del 2019, e poi di inizio 2018, e poi anche del 2017, e del 2015.
Insomma, è il medesimo spread di numerosi precedenti periodi della storia economica italiana recente, e soprattutto è stato registrato con Governi in carica di diverso colore, e con diversi Presidenti del Consiglio.
Nel grafico qui sopra, non si vede alcun “effetto Draghi”. E quello che è peggio, non c’è alcun segno di “effetto Pnrr”. La sigla “Pnrr” sta a significare che dal cielo sono piovuti sull’Italia soldi in una quantità tale che, in assenza di una pandemia, mai avremmo potuto immaginare.
I media hanno fatto ogni possibile sforzo per spiegare al pubblico dei lettori che questo è il “punto di svolta per il Paese”. La stessa nomina di Draghi a Palazzo Chigi è stata spiegata da tutti i politici di ogni colore come mossa necessaria “per avere i soldi del Pnrr”.
E solo pochi mesi fa, tutti i quotidiani e tutti i TG avevano fatto i titoloni sull’effetto Draghi.
Poi si vanno a guardare i dati, e l’effetto Draghi non si trova.
Chi ha investito sull’effetto Draghi fino ad oggi ha fatto un buco nell’acqua: perde soldi su tutti i Titoli di Stato, e in aggiunta anche la Borsa di Milano è salita meno di altre Borse europee (pur partendo da livelli decisamente più bassi).
E adesso arriva il 2022: non c’è più un “effetto Draghi” né un “effetto Pnrr” a sostenere i mercati finanziari, e le Banche Centrali alzeranno i tassi di interesse ufficiali. Che cosa devo fare con i miei BTp? E con la Borsa di Milano?
I Clienti di Recce’d sono già da tempo posizionati, e nel modo migliore. Ai lettori del Blog, il suggerimento che possiamo dare oggi, 1 gennaio 2022, è di rileggere con grande attenzione l’articolo che segue, firmato da Carlo Bastasin e pubblicato da Repubblica, che in questo Blog noi abbiamo riportato la settimana scorsa, in questo Post .
A quella lettura, aggiungete questo nostro Post di oggi, ed i due articoli che nel Post di oggi vi mettiamo a disposizione.
E subito dopo, parlare di queste cose con i private banker, con il wealth manager e con il promotore finanziario: il quale sicuramente fino ad oggi con voi ha evitato accuratamente questo argomento.
Noi riprendiamo il nostro commento alla situazione dell’Italia e dei suoi mercati più in basso dopo l’articolo di Daniele Manca pubblicato sul Corriere della Sera che trovate qui di seguito.
Che qualcosa stia accadendo sui mercati finanziari, ancora una volta, ce lo segnala lo spread, il differenziale tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi. In altre parole, gli interessi in più che il nostro Paese deve pagare per farsi prestare soldi dagli investitori internazionali, dai risparmiatori e dalle istituzioni finanziarie italiane. Gli ordini di grandezza non sono nemmeno paragonabili ad altri periodi della storia quando si ragionava in termini di centinaia di punti. Al marzo scorso, lo spread viaggiava tranquillo attorno a quota 100. Una quota che gli analisti ritengono sia la corretta differenza di competitività tra il sistema Italia e quello tedesco. Ma dalla fine di novembre è iniziata una lenta quanto costante crescita fino a ieri mattina quando ha aperto a 143 punti.
E questo nonostante il Parlamento si appresti a dare il via libera alla legge di Bilancio. Legge considerata il prolungamento di una politica fiscale che da mesi sostiene la crescita dell’economia, condizione che i mercati considerano essenziale perché il debito sia sostenibile. Sarebbe poco saggio, allora, non tenere in conto che ci si sta avviando a un inizio di anno importante per l’assetto istituzionale del Paese. Gli ultimi due mesi le forze politiche, i partiti, li hanno trascorsi a discutere in modo più o meno palese di Quirinale. Prima chiedendo velatamente al premier Mario Draghi di chiarire le sue intenzioni. E poi reagendo con malcelata sopportazione alle parole del premier che ha ribadito come sia nelle mani del Parlamento e delle forze politiche l’onere della scelta.
È come se il messaggio che si sta dando ai mercati sia ancora una volta quello di un’Italia che considera il governo come un’attività di secondo piano. Di mera amministrazione se non attuazione di scelte politiche che possono prescindere dalla situazione del Paese. Come se avere un debito pubblico al 155% rispetto al prodotto interno lordo (la ricchezza che il Paese crea in un anno), sia lo stesso che averlo al 130 o addirittura sotto. Questo non per un generico richiamo al rispetto dell’equilibrio dei conti pubblici, o perché l’Italia non possa fare fronte alle prossime sfide. In questi mesi si è potuto vedere concretamente anche per merito dei partiti che hanno con responsabilità scelto di dare vita a un governo con una maggioranza non facile, che il Paese è meno diviso di quanto si pensi quando c’è da perseguire degli scopi che sono comuni. Ma se si torna a sentir parlare giustamente di «primato della politica», questo non può trasformarsi in astrazione dalla realtà della situazione. Siamo un Paese che sta godendo di un’inedita congiuntura positiva.
La Banca centrale europea con il suo ombrello di acquisti di debito pubblico ci sta dando una mano. Ma fino a che punto potrà farlo a fronte di un’inflazione che mostra chiari segni di ripresa? L’Europa ha finalmente compreso il valore della solidarietà che si è manifestata non solo con il Next generation Eu, ma anche con una certa disponibilità a rimettere in discussione le regole che sottendono all’Unione. Si inizia a intravvedere un percorso che può portare a una modifica delle regole di bilancio che hanno mostrato tutto il loro essere figlie di un’altra epoca. Il Patto di Maastricht data 1993. Di tutto questo c’è poca traccia nella discussione che dovrà portare a decidere assetti istituzionali importanti. Non si può pensare che basti decidere un nome per una carica o per un’altra senza che il tutto venga legato a politiche che necessariamente devono avere un orizzonte lungo per un Paese troppo spesso abituato a reagire alle emergenze. Affiora una certa superficialità nel parlare di incarichi istituzionali, di assetti di governo, come se non venissimo da durata medie degli esecutivi di circa un anno.
E come ricordava ieri Sabino Cassese, l’architettura istituzionale di un Paese è decisiva per garantire quella dialettica democratica alle quali le forze politiche si richiamano. Un sondaggio condotto tra gli operatori finanziari dell’associazione che li raccoglie (Assiom-Forex con il Sole24 ore Radiocor) si aspettava nei prossimi mesi uno spread sotto quota 150, ma sottolineando la volatilità dovuta proprio agli snodi che il Paese si appresta ad affrontare. Un antico detto in Borsa dice che i risparmiatori e gli investitori hanno memoria di elefante e gambe di lepre. Sono pronti cioè a fuggire in fretta quando si ritrovano a vivere situazioni di cui hanno già avuto esperienza. È vero che non possono essere i mercati finanziari a decidere le politiche di un Paese. Hanno logiche diverse da quelle di comunità estese come una nazione. Ma spesso funzionano da termometro. E se la temperatura sale lo segnalano.
Trovate in questo articolo una grande quantità di spunti, che vi lasciamo liberi di approfondire a seconda dell’importanza che voi attribuite ad ognuno. Noi oggi ci limiteremo invece a mettere in evidenza un aspetto di questa vicenda, che ha una validità più generale.
In particolare, i occuperemo in questo Post di narrativa, di informazione, e di comunicazione. Prendendo a spunto un recente articolo dell’ex-Direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, giornalista tra i più competenti, in Italia, in materia di economia.
Nell’articolo che noi riportiamo qui di seguito, trovate esposta in modo chiaro una linea di politica economica, che si traduce poi in una narrativa, che è quella che è stata scelta dall’Italia e da molti altri Paesi negli ultimi due anni.
Si tratta di una linea di politica economica che trova nella narrativa il suo principale supporto: De Bortoli spiega in modo chiaro che NON SI DEVE dire la verità, non si devono raccontare le cose come sono, bensì si deve raccontare un Mondo che non è quello nel quale tutti viviamo, bensì quello che POTREBBE ESSERE, più avanti, se tutti mantengono un buon grado di fiducia ed ottimismo.
Come i nostri lettori sanno, Recce’d è del tutto contraria a questa politica, e considera questa scelta una scelta irresponsabile. Che ha, a nostro giudizio, un obbiettivo preciso: ovvero mantenere il più a lungo possibile le cose come stanno oggi, conservando quindi le posizioni di maggiore favore a chi le occupa attualmente. Parliamo qui di individui, di Aziende, di Istituzioni: il cosiddetto status quo. Bloccare l’evoluzione del sistema socio-economico.
Si blocca un Paese, lo si congela, e gli si impedisce in questo modo di crescere, di evolversi, di eliminare gli scarti, le inefficienze, i difetti.
L’articolo che leggete qui sotto si apre con queste parole: “Se ci avessero detto, quasi due anni fa, che alla fine del 2021 saremmo stati ancora nel pieno della pandemia, alle prese con una quarta ondata del Covid, l’effetto depressivo sulla società e l’economia sarebbe stato ancora più devastante. Per fortuna non eravamo in grado di prevederlo e di temerlo.”.
Che questa sia stata una fortuna lo dice solo De Bortoli, e lo vedremo nel 2022: noi siamo del parere opposto, e siamo certi del fatto che se questa situazione fosse invece stata anticipata e prevista già due anni fa, avremmo potuto preparaci e contrastarla attivamente.
Al contrario, la scelta di Draghi, del Parlamento, del Corriere della Sera e di de Bortoli è andata in un’altra direzione: “facciamo finta che tutto è come prima, facciamo finta che tutto è risolto, facciamo ripartire gli stadi e le discoteche, facciamo festa grazie ad un debito pubblico al 150%”.
Ci sarà mai, nel futuro, un momento nel quale chi ha fatto queste scelte viene giudicato per le sue responsabilità? Noi crediamo di no. Non verranno mai chiamati a risponderne.
Ma dobbiamo segnalare che l’articolo di de Bortoli che leggete qui sotto si chiude con un importante richiamo: dice De Bortoli che “è ora di dire la verità”.
Commento di Recce’d: meglio tardi, che mai? Oppure “non è mai troppo tardi”? Oppure “ormai è troppo tardi”? Non sappiamo ancora. Di certo, noi riteniamo che questo Paese necessiti di un cambiamento profondo, delle persone che occupano posizioni di responsabilità politica, sociale ed economica. Necessità di una discontinuità con il passato, della politica, dei giornali e del management delle Aziende, e non di essere tenuto “nel congelatore” per preservare le posizioni di vantaggio in ogni settore della vita pubblica.
E’ un Paese che a nostro giudizio necessita di dirigenti politici, aziendali e sociali che non abbiamo la paura di dire la verità, ma fino dal primo giorno: non nei talk show in TV bensì direttamente al cittadino.
Lo dobbiamo chiedere anche tutti noi investitori: che nel recente passato abbiamo vissuto episodi come quelli che vi abbiamo messo in evidenza qui sotto nel grafico, e che siamo coscienti che ogni giorno che arriva potrebbe ripresentare situazioni come quelle che nel grafico sono evidenziate.
DEBITO E RIFORME
Tassi in rialzo? Perché l’Italia non deve farsi trovare impreparata
di Ferruccio de Bortoli
Se ci avessero detto, quasi due anni fa, che alla fine del 2021 saremmo stati ancora nel pieno della pandemia, alle prese con una quarta ondata del Covid, l’effetto depressivo sulla società e l’economia sarebbe stato ancora più devastante. Per fortuna non eravamo in grado di prevederlo e di temerlo. E se ci avessero raccontato che Paesi con i quali ci confrontiamo spesso in negativo — dalla Germania alla Francia, al Regno Unito — si sarebbero trovati ancora più in difficoltà di noi, non ci avremmo creduto. Non è finita. Non possiamo immaginare che cosa sarebbe accaduto se poi qualcuno fosse saltato fuori ipotizzando che i nostri partner europei avrebbero replicato alcune nostre misure, come il green pass o il super green pass, e che Angela Merkel lasciando la cancelleria avesse lodato l’Italia come un esempio. E poi l’Economist mai così tenero con l’Italia. Incredibile. Eppure è andata così. Questo dimostra il grado di adattamento del Paese alle difficoltà, la sua straordinaria capacità di affrontare le emergenze sprigionando risorse sconosciute. Se dovessimo dire qual è il portato più positivo di questa drammatica stagione di sofferenze sanitarie ed economiche, non esiteremmo a indicarne una. Una sola, la più importante.
Capitale sociale
La conferma della ricchezza di un capitale sociale, fatto di relazioni, sentimenti, solidarietà, non inscrivibile in alcun bilancio, ma essenziale per definire il grado di civiltà di un Paese che si è scoperto più disciplinato e responsabile di quanto non si pensasse. La forza delle comunità è un indiscutibile vantaggio competitivo. A maggior ragione nel momento storico nel quale cambia il paradigma economico e sociale dello sviluppo e si ridisegnano le regole del capitalismo. Le comunità più sensibili ed evolute — insieme alle imprese migliori — sono già avanti sui temi della sostenibilità, dell’inclusione e della transizione ecologica. Peccato solo che manchi una sintesi, un coordinamento, fatichino a fare rete, e molte di loro inseguano fatui localismi e illusioni federaliste che il Covid ha inevitabilmente schiacciato. I presidenti di Lombardia e Veneto, Attilio Fontana e Luca Zaia, hanno tentato, sul Corriere di giovedì scorso, una difesa delle ragioni dell’autonomia differenziata, ma la risposta alla pandemia, e alla conseguente crisi economica, è stata tanto più efficace quanto più coordinata a livello nazionale ed europeo. E il successo del Piano nazionale di ripresa e resilienza, pur essendo le Regioni tra gli enti attuatori, è nelle mani di una guida accentrata. Non dovremmo avere timore di eventuali commissariamenti.
Chi frena
L’Italia più efficiente — e che va bene — non può essere frenata da amministratori incapaci o distratti, per non dire peggio, solo per rispettare un’autonomia, forse virtuosa in condizioni normali ma non nello stato di emergenza prorogato alla fine di marzo del prossimo anno. Nel suo ultimo rapporto, pubblicato venerdì scorso, Prometeia stima una crescita italiana del 6,3 per cento quest’anno, contro una media europea del 5,2 per cento, mentre per il prossimo anno prevede un aumento del Prodotto interno lordo (Pil) del 4 per cento, in linea con la media Ue (4,1%). La ricerca, coordinata da Lorenzo Forni, dell’associazione bolognese, non esprime particolari preoccupazioni sull’andamento dell’inflazione ma richiama l’attenzione sull’andamento dello spread, cresciuto nelle ultime settimane a causa delle incertezze politiche sul rinnovo della presidenza della Repubblica e sul ruolo personale di Mario Draghi. Tutti i governi sono di fronte al grande dilemma del prossimo anno: come graduare gli aiuti a famiglie e imprese, che prima o poi andranno ridotti, se vi è il fondato pericolo, non solo per le varianti del virus, di frenare la ripresa o persino di spegnerla? Negli Stati Uniti — è scritto ancora nel rapporto di Prometeia — sono stati impiegati nel 2020 e nei primi mesi del 2021 circa 3 mila miliardi di dollari, pari al 15 per cento del Pil, senza contare le garanzie alle imprese. In Europa l’espansione fiscale, cioè la spinta all’economia, tra fondi comunitari e nazionali, è stata quest’anno pari all’1,75 per cento del Pil, del 2 per cento il prossimo anno.
Gli errori da non commettere
Ma se commettessimo — e qui arrivano le note negative a responsabilità solo di chi scrive — l’errore di ritenerci nelle stesse condizioni degli altri, dei partner europei (l’esempio americano è fuori scala), ci esporremmo a un rischio che questo periodo di bonanza (eccessiva) di risorse ha rimosso dalla memoria. Noi non siamo nelle stesse condizioni degli altri Paesi. Lo dimostra il fatto che risultiamo i maggiori beneficiari del Next generation Eu, proprio perché i più deboli (oggi non possiamo dire anche i più colpiti). Non va dimenticato che altri hanno preso solo i sussidi. Noi anche i prestiti. Conforta che il nostro debito pubblico sia cresciuto meno del previsto. Ma nell’ottobre scorso era comunque di 178 miliardi superiore a quello dello stesso mese dell’anno precedente pur essendoci una liquidità di cassa di 50 miliardi. In rapporto al Pil — è la previsione di Prometeia — si fermerà al 155,6% nel 2020 e calerà l’anno prossimo al 152,6. L’accelerazione della crescita nominale, anche grazie all’inflazione, crea una sorta di snow ball effect, di effetto palla di neve, questa volta positivo. Cioè il rapporto scende più velocemente. Ma nessuno può illudersi che se dovesse chiudersi più rapidamente del previsto la «finestra di luce» dei tassi bassi noi non ci troveremmo, nonostante tutto, in difficoltà. Con un brusco e improvviso cambiamento di clima. Sia la Federal Reserve, sia la Bce, anche se con tonalità diverse, hanno fatto capire che, con un’inflazione strutturale, la «finestra» è già socchiusa. Ma noi facciamo finta di niente, apparentemente convinti che quando i sostegni, le moratorie, gli anestetici verranno meno, saremo in grado di camminare con le nostre gambe, dimentichi di vecchi e radicati malanni.
La verità da dire
Dire la verità per tempo sul fatto che bisognerà rientrare da un deficit stimato da Prometeia a fine anno all’8,4 per cento e che non lo si potrà fare accogliendo ogni richiesta, sarebbe un atto di prudenza e responsabilità. Sveglierebbe chi si adagia sui sussidi e conforterebbe, sulla serietà a medio termine dell’azione governativa, chi si è impegnato lodevolmente per far crescere il nostro capitale sociale. Nel suo rapporto, Prometeia loda la grande reazione dell’industria manifatturiera. «Concentrandosi sulla produzione industriale — si legge — il nostro Paese è l’unico tra i grandi quattro dell’area euro ad aver recuperato e sopravanzato i livelli pre-crisi, nonostante le difficoltà persistenti in termini di approvvigionamenti di semilavorati e di pressioni sui costi». Anche al netto dell’andamento dei mezzi di trasporto (il cui calo in altri Paesi è stato, vista l’importanza del settore, maggiore) emerge una vivacità che sorprende. Di buon auspicio. Segno di un’Italia che non ha paura né del mercato né della concorrenza. A dispetto di un’altra che li teme. Al pari di gran parte, purtroppo, dei partiti di maggioranza e opposizione.
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