H2O, i Quant e gli algoritmi: quello che non vi hanno spiegato
Algoritmo è un termine di moda: in molti, pur non sapendo esattamente di che sa si tratta, e pur non sapendo neppure come si formula un algoritmo, ne parlano coi Clienti spiegando che gli algoritmi garantiscono risultati migliori perché isolano dall’emotività umana.
Premesso che l’emotività umana è una parte, importante, dei mercati finanziari, ciò che a noi sembra ancora più importante dire al lettore, è che gli algoritmi nella gestione di portafoglio non funzionano.
Chi lo dice? lo dicono gli stessi che li utilizzano. Facciamo anche in questo Post riferimento ad un recente articolo di Institutional Investor, per documentarvi che le stesse Case di gestione che utilizzano gli algoritmi poi … ci mettono dentro le mani, e vanno a correggere, in modo del tutto arbitrario, e quindi umano, e quindi emotivo, quello che l’algoritmo dice di fare. Abbiamo scelto di selezionare per voi una serie di estratti, in modo da documentare senza commentare. Noi però non possiamo trattenerci dal suggerire al lettore alcune domande:
se il gestore giudica utile una “correzione”, chi stabilisce la percentuale della correzione? Il 5%? e allora, perché non il 15%?
quando, in che momento, con che frequenza, vanno apportate le correzioni?
e chi stabilisce percentuale e frequenza? magari, potrebbe farlo … un secondo algoritmo! Ma poi, dovremmo correggere anche quello?
e poi, come ci dice la terza immagine che riportiamo in questa pagina, dobbiamo forse correggere l’algoritmo anche al momento dell’esecuzione degli ordini, e non soltanto al momento della decisione?
Siamo certi di trovare tutti i lettori d’accordo con noi: l’algoritmo, o è oppure non è. Pasticciare con le percentuali aggiunge, e non toglie, rischio, dal processo di investimento.
Processo che, in ogni caso, da ciò che si legge in questo articolo che vi abbiamo riportato sembra ancora più confuso in casa di chi si affida agli algoritmi piuttosto che nelle Case di Fondi tradizionali. Dove già la confusione era tantissima.
Insomma, invece di risolvere un problema, sembra che gli algoritmi ne abbiano aperti altri di nuovi.