Gestione del portafoglio titoli (parte 2): quattro errori evitabili
Questo è il secondo Post di una serie dedicata alla gestione di portafoglio ed alle strategie di investimento
Nel primo Post di questa serie abbiamo messo in evidenza il fatto che utilizzare le medie storiche di rendimento per fare scelte di investimento e costruire il portafoglio è certamente un errore. Un errore evitabile, peraltro: si insiste su questo approccio al problema solo perché c'è la spinta costante di chi vende servizi di intermediazione e prodotti finanziari ad elevato margine commissionale. Non è il solo errore evitabile: ve ne possiamo segnalare altri: si tratta semplicemente di consuetudini, che nel tempo si sono stratificate fino a che il pubblico degli investitori non ha finito per considerale "buon senso comune". Sarà però la realtà dei mercati a metterne in luce la debolezza, come già fece tra il 2007 ed il 2009. Ecco un sintetico elenco.
Il portafoglio va suddiviso tra azioni ed obbligazioni. Questo è il punto da cui quasi tutti partono: se sei più avverso al rischio, compra più obbligazioni; invece se sei propenso al rischio, metti più azioni in portafoglio. La realtà però è che il rischio delle due macro classi di attività varia nel tempo, e che questo tipo di impostazione del portafoglio è troppo semplicistica per essere vincente. Questo è tanto più vero oggi, quando venti anni di eccessi (di mercato e di politica monetaria) hanno reso i livelli di rischio contenuti in ogni singola classe di asset del tutto diversi da quelli che si registravano prima del 1995. Misurare il contenuti di rischio in un portafoglio semplicemente sulla base della percentuale di obbligazioni è un errore che si può evitare: non siete obbligati ad avere "un tanto di obbligazioni ed un tanto di azioni".
Un portafoglio bilanciato è il compromesso ottimo che ci permette di guadagnare sempre. Questo è un altro argomento di "buon senso comune" che viene utilizzato dalla maggior parte delle Reti e dei private bankers. Ma un portafoglio statico, a percentuali più o meno stabili, è del tutto inadatto alle sfide che i mercati affrontano in questi anni. Ve lo dimostriamo: esaminate con attenzione i dati della tabella che segue.
Questi dati si riferiscono agli Stati Uniti, ed al periodo 1970 - 2014. Se utilizzassimo i dati per l'Italia, la nostra tesi ne uscirebbe ancora più forte: ma restiamo per ora agli USA. Qui vedete che un portafoglio con un 40% di azioni ed un 60% di obbligazioni (statico) ha reso in media lo 8,8% nel periodo 1970 - 2014, ma che lo stesso portafoglio ha subito una perdita massima annuale del 23%, ed un massimo drawdown (ovvero la distanza tra un massimo ed il successivo minimo) ancora più ampia. Ora, potete facilmente capire che, se il vostro portafoglio perdesse il 25%, per recuperare solo i vostri soldi (ammesso che i mercati negli anni successivi tornino in media a salire del 8,8% l'anno) ci impieghereste poco meno di tre anni. Qualcuno vi dice che si tratta di eventi negativi molto rari? Fategli notare che tra il 2002 ed il 2008 trascorsero solo sei anni. A noi questi dati storici dicono invece che la fase storica del "40/60" è finita, che il mondo è cambiato e che bisogna adeguare le proprie strategie di investimento alla realtà, invece di rimanere ancorati ai vecchi schemi mentali. Anche questo è un errore che può essere evitato.
Attenzione alle commissioni. John Bogle è un veterano dell'industria dei fondi, ed è anche un pioniere: la sua Casa di fondi, Vanguard, ha anticipato il tema degli ETF mettendo sul mercato fondi "passivi" e a "basso costo", che hanno avuto un ampio successo, fino ai 3 mila miliardi attuali di raccolta. Bogle è un attento osservatore, e di recente ha fatto notare che la performance media dell'8% annuo che molti attribuiscono ad un portafoglio bilanciato nel medio-lungo periodo si riduce al 2,5% per l'investitore finale. Perché? A causa delle elevati commissioni che vengono percepite dall'industria del Fondi Comuni Attivi e dei relativi advisors (oltre che per l'incapacità dei Fondi Attivi di generare sovra performance, come noi abbiamo documentato in un Post precedente). Anno dopo anno, la distanza tra la performance dei mercati e quella dell'investitore si amplia, fino a diventare enorme, a causa dell'effetto "rendimento composto". Trascurare la componente commissioni è un altro errore evitabile.
Farsi portare su e giù dagli indici di mercato. Anche questa è una cosa che molti considerano "comune buon senso": ma non è così. Non è vero che la performance del proprio portafoglio deve necessariamente riflettere gli alti e bassi dei mercati. Certo, se si parte dal una allocazione 40/60 azioni/obbligazioni, sarà inevitabilmente così. Ma non è il solo modo di investire sui mercati finanziari: quel metodo ha funzionato finché le economie crescevano grazie alla produttività ed all'innovazione, il debito (privato e pubblico) era al 50% del GDP o anche sotto quella soglia, e l'Occidente era il solo centro economico del pianeta. In quella situazione, il gestore faceva nulla e aspettatava che la marea salisse. Niente oggi è più come allora, e il parere di tutti è che ci aspettano anni ed anni di indici piatti o negativi. E' necessario rassegnarsi a questo stato di cose? Se si rimane su vecchi prodotti e vecchie strategie si, ma già oggi al mondo sono disponibili forti e valide alternative, al di fuori dell'industria tradizionale. Noi di Recce'd vi mettiamo a disposizione una di queste alternative.