Finiti. Sono fi-ni-ti.
Qualcuno forse sarà sorpreso.
La settimana appena conclusa ha visto la BCE tagliare, per la prima volta dal 2019, il costo ufficiale del denaro. Grande fanfara dei TG, dei quotidiani, e grande risalto sul Web, ma pure sui social, nelle chat e nelle community di investitori. Noi parliamo poi dei promotori finanziari (private banker, personal banker, family banker, wealth managere, venditori porta a porta di prodotti finanziari): parole, parole, parole, parole a fiumi, una alluvione di parole.
Alla fine della settimana, la sera di venerdì 7 giugno 2024, i prezzi dei BTp e delle altre obbligazioni, però, erano più BASSI del lunedì precedente. La questione resta anche oggi il 4,50% di rendimento del decennale USA. E … NO, ancora una volta NO, non siamo nello “anno delle obbligazioni”.
E poi diamo uno sguardo alle Borse: in Europa, tutto fermo: la questione, non risolta, resta quella dei 500 punti dell’indice europeo Stoxx 600.
Qualcuno sarà sorpreso. Altri invece non sono sorpresi.
I Clienti di Recce’d, ad esempio: non sono sorpresi, e sanno come si può guadagnare da una situazione come quella attuale. Sono già posizionati a favore di vento.
Ma pure chi legge regolarmente la pagina MERCATI e la pagina TWIT - TWOO del nostro sito, sapeva già tutto grazie alle nostre anticipazioni.
Non solo non è successo nulla: si sono al contrario RINFORZATI tutti gli argomenti e le valutazioni che Recce’d propone da fine 2024: c’è una sola destinazione possibile, per i mercati del 2024, ed è OPPOSTA a quella che viene propagandata dalla macchina dei social, dei media e dall’esercito dei promotori finanziari delle Reti come Mediolanum, FINECO, Fideuram, Allianz, Generali, e tutte le altre in coro unanime.
Vi interessa di capire il perché?
Ritorniamo indietro di qualche settimana. Proprio qui, in Italia, qualche settimana fa, il il Ministro del Tesoro ha detto al pubblico: “i soldi sono finiti”.
Tutto parte da qui e tutto finisce qui.
I soldi sono finiti: sono finiti i soldi per il superbonus, per le sovvenzioni alle auto elettriche, i soldi da regalare ai consumatori per cambiare il telefono cellulare. Sono finiti anche i soldi per “AI” ed i chips di Nvidia, come tutti vedremo a breve.
Ed ovviamente sono finiti anche i soldi per fare i cretini in Borsa con le opzioni del tipo 0DTE, oppure con i cosiddetti “meme-stocks” come GME (Game Stop), di cui avrete certamente letto sui quotidiani.
Sono finiti i soldi che finanziavano tutte quelle assurdità che furono giustificate con il tema “pandemia” (ma non c’entravano nulla).
Grazie a quelle assurde iniziative di spesa all’eccesso, però, si è materializzato sui mercati finanziari uno scossone, che nel primo periodo sembrava euforia, ma che oggi si sta trasformando in altro. E proprio grazie a questo, tutti siamo entrati in una Nuova Era dei mercati finanziari, che noi di Recce’d vi abbiamo già raccontato, e che a noi permetterà di fare ottimi risultati grazie alle nostre strategie proprietarie di investimento.
I segnali sono numerosissimi, e noi di Recce’d li abbiamo messi con regolarità alla vostra attenzione sia alla pagina MERCATI sia alla pagina TWIT - TWOO del sito.
Il nostro Blog, che state leggendo, è dedicato alla visione (di breve e medio termine): aiuta i lettori ad alzare lo sguardo, e fornisce un supporto concreto alla costruzione di una strategia coerente.
Nel giugno 2024, per risultare di successo, la strategia di investimento deve restare lontana dal giorno-per-giorno, e dalla pressione asfissiante dei media, sei social e del Web. Deve avere respiro, prospettiva, visione.
E deve tenere conto anche della geopolitica, e di eventi politici come le Elezioni.
A proposito delle Elezioni Europee che si svolgono proprio in questo weekend, noi oggi vi riportiamo le riflessioni e le valutazioni di un uomo politico dii fama, un ex Presidente del Consiglio spagnolo, José Maria Aznar. Fu Presidente di un Governo espresso da una coalizione di centro-destra, ma le considerazioni che leggete qui sotto non riflettono le idee di un particolare schieramento politico: si tratta di valutazioni, per una volta, che riguardano interessi generali, come la crescita delle economie e la stabilità dei mercati finanziari (e quindi dei nostri risparmi e dei nostri investimenti).
Lasciamo a Josè Maria Aznar di spiegarvi il senso autentico di questa tornata elettorale in Europa. I nodi da sciogliere. Il vero ed unico problema da affrontare e (se è ancora possibile) risolvere.
La legislatura europea che si sta per chiudere non è stata esattamente priva di forti emozioni.
Quando tanti analisti parlano di «ritorno della storia», possiamo dire che in Europa il suo ritorno si è fatto sentire: Brexit, pandemia e invasione russa dell'Ucraina rappresentano quegli «eventi» che Harold Macmillan diceva essere ciò che più temeva in politica.
L'Unione europea ha dovuto affrontarli tutti a partire da un Parlamento frammentato e da una Commissione ostacolata da questa frammentazione. L'ampia rappresentanza dei Verdi ha pesato sul processo decisionale, spostando il baricentro a sinistra, mentre l'emergere della destra «alternativa» ha contribuito ad offuscare gli equilibri classici su cui si è tradizionalmente basata la stabilità politica dell'Unione. Tutto ciò ha spinto il centrodestra europeo, rappresentato dal PPE, su posizioni difensive, comprensibilmente più preoccupato di levigare gli spigoli altrui che di sviluppare una propria leadership.
La verità è che gli «eventi» hanno avuto un impatto significativo - e una duratura inerzia - sulle politiche europee. La pandemia ha imposto un «fermo» generalizzato, congelando le economie; si sono dovute adottare misure di emergenza che hanno inciso, in alcuni casi, sulla vita parlamentare e sulla normalità istituzionale di alcuni Stati europei; tutti i sistemi sanitari sono stati sottoposti a uno stress test di ampiezza e portata senza precedenti; si sono dovute improvvisare risposte a tutti i livelli che hanno portato a un'ipertrofia del settore pubblico e a un massiccio interventismo di emergenza, soggetto a controlli alquanto precari. Nel dibattito pubblico, la divisione globale del lavoro è stata seguita dall'«autonomia strategica» come argomento di conversazione preferito, mentre gli Stati sono entrati in un limbo di sospensione delle regole fiscali, di ricorso illimitato al deficit, di indebitamento senza alcuna condizionalità...
In breve, un vero e proprio «open bar» della spesa pubblica per «riaccendere» un motore economico che si era bloccato perché la produzione doveva essere fermata. Keynes tornò di moda nelle librerie e qualcuno dimenticò troppo presto che le politiche di stimolo - il pump priming, l'intervento della spesa pubblica per incoraggiare investimenti privati - non rispondevano questa volta a un fallimento del mercato, ma a una causa esogena: un virus altamente infettivo, non una fase recessiva del ciclo economico.
Certo, i vaccini dovevano essere acquistati e distribuiti, e bisognava evitare che una recessione abissale si trasformasse in una depressione letale. Ma ogni trattamento ha effetti collaterali e controindicazioni se viene prolungato oltre quanto consigliato dalla terapia. I governi si sono assestati su un'eccezionalità molto comoda: spendere senza tassare, indebitarsi senza responsabilità e legiferare senza controllo. L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, che ha avuto un impatto sulle catene del valore, sull'approvvigionamento energetico e ha generato tensioni inflazionistiche, ha accentuato questa dinamica.
Il nuovo Parlamento e la nuova Commissione dovranno costruire una nuova realtà e un nuovo equilibrio di poteri.
Credo che nell'agenda strategica dell'Unione si possano individuare chiaramente quattro sfide principali. In primo luogo, è imperativo rafforzare lo Stato di diritto. Lo scivolamento verso forme illiberali di democrazia, l'effetto corrosivo del populismo e l'impatto della disinformazione sono gravi fattori di deterioramento istituzionale che minano la fiducia dei cittadini.
In secondo luogo, l'Europa deve affrontare un'enorme sfida sociale e culturale. La crisi demografica diventerà molto visibile nei nostri mercati del lavoro con il pensionamento della generazione del baby boom. Con l'attuazione del nuovo quadro europeo per l'immigrazione e l'asilo, la posta in gioco è alta per ottenere il giusto approccio all'immigrazione sia in termini di problema che di soluzione.
La terza sfida è di natura economica. L'Europa deve tornare a un percorso di equilibrio dei conti pubblici nazionali e generare più crescita per finanziare i costi crescenti del suo modello di welfare. L'Unione deve essere consapevole dell'ambiente competitivo globale in cui opera a tutti i livelli e agire di conseguenza. Molti programmi dovranno adattarsi a questa realtà inevitabile; altri dovranno essere sottoposti a una valutazione rigorosa per rendere conto dei loro effettivi risultati: l'utilizzo nazionale dei fondi Next Generation, ad esempio, dovrà essere monitorato, valutato e pubblicato.
La quarta sfida è senza dubbio strategica: che ruolo vuole avere l'Europa nel mondo? Con una guerra non alle porte, ma in Europa stessa; un conflitto in Medio Oriente che include attori pericolosi come l'Iran; un'elezione presidenziale negli Stati Uniti con un orizzonte incerto per le relazioni transatlantiche... In un simile scenario, l'Europa non può evitare una risposta udibile e comprensibile a livello globale se non vuole passare da soggetto a oggetto della storia. Russia e Cina, d'altra parte, non cesseranno di essere, da un giorno all'altro, una costante cartina di tornasole per la coesione interna dell'Unione e per ricordarci che, nel mondo di oggi, gli idilli autoreferenziali sono finiti.
Continuo a credere che la migliore guida per il futuro dell'Europa sia ciò che l'ha resa tale: la libertà ordinata e la razionalità critica. Un grande liberale italiano, il professor Nicola Matteucci, ha condensato le sue riflessioni sul ruolo della libertà nel mondo contemporaneo in un magnifico libro, Il liberalismo in un mondo in trasformazione. Il libro si apre con una citazione di Tocqueville sul timore di essere accusati di manifestare «un amore per la libertà un po' antiquato». Lì Matteucci argomentava la sua visione del liberalismo come, prima di tutto, una risposta a una sfida.
Credo che la visione di Matteucci del liberalismo come teoria empirica, non speculazione astratta, e quindi come «risposta alla sfida» di ogni sviluppo politico in un determinato momento storico, sia ancora oggi molto valida. Da qui si possono trovare soluzioni affidandosi al diritto e alle istituzioni che la civiltà europea ha costruito. Alla libertà non mancheranno mai sfide e avversari, come lo sono stati in epoche diverse l'assolutismo, il conformismo di massa e il totalitarismo.
La malattia delle nostre società, tentate di abbandonare l'eredità liberale a favore di due nemici fratelli - il populismo e la tecnocrazia - è stata diagnosticata molte volte; un italiano, Nicola Matteucci, e uno spagnolo, José Ortega y Gasset, hanno concordato sulla diagnosi. Sono felice di poter dire che erano d'accordo anche sulla ricetta: la limitazione del potere per legge come garanzia di libertà.
Questa idea centrale della civiltà europea deve continuare a ispirare la costruzione dell'Unione europea di oggi
Le “quattro sfide” indicate da Aznar sono ciò che dovete avere in mente, se e quando farete la vostra scelta elettorale nel weekend. Tutto il resto, conta poco o nulla.
Detto dell’Europa, il nostro tema di oggi deve essere completato con uno sguardo agli Stati Uniti.
La lettura dell’articolo che chiude il Post di oggi aiuterà il lettore a cogliere le numerose affinità, ed alcune differenze, tra la situazione attuale in Europa e la situazione in cui si trovano gli Stati Uniti.
La strada per i mercati finanziari, e per il vostro risparmio, è segnata: ed è segnata proprio dai fattori evidenziati nell’intervento di Aznar ed in questo che segue. Non esiste una via di fuga: se volte fare qualche soldo, invece di perderne, con i vostri investimenti, la strategia deve partire da qui. E poi fare le scelte giuste.
Nel suo discorso di addio, Ronald Reagan descrisse l'America come la “città splendente su una collina”, aperta a “chiunque abbia la volontà e il cuore di arrivare qui”. Sono stato uno di quelli ispirati a provare, e oggi il mix dinamico di accademici e imprenditori che danno energia al leader tecnologico mondiale mi colpisce ancora come una meraviglia. Delle 100 principali aziende statunitensi, 10 ora hanno amministratori delegati nati nel mio paese d’origine, l’India, una svolta che sarebbe potuta avvenire solo in una meritocrazia capitalista.
Ciò nonostante, mi preoccupa la posizione che gli Stati Uniti stanno guidando nel mondo adesso. La fiducia nel capitalismo americano, costruito su un governo limitato che lascia spazio alla libertà e all’iniziativa individuale, è crollata. La maggior parte degli americani non si aspetta di “migliorare la situazione tra cinque anni”: un minimo storico da quando l’Edelman Trust Barometer ha posto per la prima volta questa domanda più di due decenni fa. Quattro su cinque dubitano che la vita per la generazione dei loro figli sarà migliore di quanto lo sia stata per la loro, anche questa ad un nuovo minimo. Secondo gli ultimi sondaggi Pew, il sostegno al capitalismo è diminuito tra tutti gli americani, in particolare tra i democratici e i giovani. Infatti, tra i democratici sotto i 30 anni, il 58% ha ora una “impressione positiva” del socialismo; solo il 29% dice la stessa cosa del capitalismo.
Ciò non sorprende, visto quello che ci è stato detto. Quando Joe Biden vinse nel 2020, gli editoriali dei giornali di tutto il mondo salutarono la sua presidenza come una campana a morto per “l’era del piccolo governo”, che facevano risalire alla ribellione “neoliberale” contro lo stato sociale lanciata da Reagan e Margaret Thatcher . Le storie recenti del capitalismo delineano lo stesso arco narrativo, sostenendo che quei due leader hanno posto fine a tre decenni “gloriosi” del dopoguerra per la socialdemocrazia, quando governi ambiziosi collaboravano con leader aziendali e sindacali per generare una crescita più rapida e distribuire i proventi in modo più equo. In breve, questi pensatori considerano i piani di Biden per una nuova spesa e regolamentazione come una gradita pausa dal governo piccolo e spilorcio e una soluzione plausibile alla frustrazione popolare nei confronti del capitalismo.
C’è solo un problema: l’era del piccolo governo non è mai esistita. Il governo è in espansione da quasi un secolo praticamente sotto tutti gli aspetti misurabili, come spenditore, mutuatario e regolatore; l’unica breve ritirata, sotto Bill Clinton, dimostra la tendenza. Negli Stati Uniti, la spesa pubblica è aumentata di otto volte dal 1930, passando da meno del 4% al 24% del PIL – e del 36% includendo la spesa statale e locale. Ciò che cambiò sotto Reagan fu che con l’aumento della spesa, la riscossione delle tasse rimase stabile, così il governo iniziò a pagare la propria espansione attraverso il prestito. I deficit sono passati da rari a routine e di conseguenza il debito pubblico è quadruplicato negli Stati Uniti fino a superare oggi il 120% del PIL.
L’America sta sostituendo l’Europa come società meno tollerante nei confronti delle difficoltà finanziarie per chiunque, compresi i super-ricchi
Invece di invertire la rotta del governo, Reagan cambiò il discorso, che spesso si concentrava su un programma neoliberista di tagli alle tasse, ai deficit o alla regolamentazione. Ma anche quando i governi hanno tentato di deregolamentare, il risultato sono state regole più complesse e costose, che i ricchi e i potenti erano meglio attrezzati per gestire. Negli anni ’80, temendo che l’aumento dei debiti potesse sfociare in un’altra depressione in stile anni ’30, le banche centrali iniziarono a lavorare a fianco dei governi per sostenere le grandi aziende, le banche e persino i paesi stranieri, ogni volta che i mercati finanziari vacillavano.
Con buona ragione, i progressisti deridono questa nuova versione del capitalismo definendola “socialismo per i più ricchi”, ma i governi stavano distribuendo aiuti anche ai poveri e alla classe media. Più che socialismo per i ricchi, si tratta di “rischio socializzato”, una campagna per vaccinare un’intera società contro le recessioni economiche. Sebbene sia ancora ampiamente criticata come la terra del “grezzo” capitalismo reaganiano, l’America sta soppiantando l’Europa come società meno tollerante nei confronti delle difficoltà finanziarie per chiunque, compresi i super-ricchi.
Qualcosa è cambiato nella cultura. Proprio mentre la “rivoluzione nella gestione del dolore” americana, che insisteva nel trattare anche lesioni moderate con potenti oppiacei, stava agganciando la nazione all’OxyContin, il suo approccio alla gestione economica del dolore stava inducendo il sistema ad una flebo di sostegno governativo. Negli ultimi due decenni, gli Stati Uniti sono scesi dal quarto al 25° posto nella classifica della Heritage Foundation per la libertà economica, poiché sia la regolamentazione che il debito sono aumentati.
Qualcosa è cambiato nella cultura. Proprio mentre la “rivoluzione nella gestione del dolore” americana, che insisteva nel trattare anche lesioni moderate con potenti oppiacei, stava agganciando la nazione all’OxyContin, il suo approccio alla gestione economica del dolore stava inducendo il sistema ad una flebo di sostegno governativo. Negli ultimi due decenni, gli Stati Uniti sono scesi dal quarto al 25° posto nella classifica della Heritage Foundation per la libertà economica, poiché sia la regolamentazione che il debito sono aumentati.
Se l’era del piccolo governo fosse un mito, allora la maggioranza che vuole che il governo “faccia di più” farebbe bene a pensarci due volte. Un governo ancora più grande è più propenso ad amplificare che ad alleviare la loro frustrazione per le disfunzioni del capitalismo moderno.
La storia tende verso il grande governo
Reagan non ha sventrato lo stato sociale. Dal 1980, la spesa sociale è aumentata nella maggior parte delle economie sviluppate monitorate dall’OCSE – ed è cresciuta più velocemente della media degli Stati Uniti. Persino i liberali favorevoli a una maggiore spesa per il welfare non contestano questa tendenza. Matthew Desmond, lo studioso della povertà americana, ha scritto che si aspettava di scoprire che la spesa americana per i poveri era diventata “più avara nel tempo”, perché questa è la storia standard, ma ha scoperto invece che “è vero il contrario”.
L’idea keynesiana originale era che il governo dovesse risparmiare durante la ripresa, in modo da poter spendere pesantemente per alleviare le recessioni. Negli anni ’60, il partito salvifico era morto: un democratico, John F. Kennedy, aveva lanciato il primo grande stimolo per accelerare la ripresa. Ben presto il governo degli Stati Uniti si trovò a registrare deficit significativi sia nei periodi buoni che in quelli cattivi, con una media del 4% del PIL nelle recessioni e del 3% nelle riprese tra il 1980 e la fine del 2019. Questa epoca di “austerità” fiscale, spesso criticata, è più appropriatamente descritta come un’era di stimoli costanti.
Lo Stato onnipresente divenne una joint venture bipartisan tra il Tesoro e la Federal Reserve. Dopo il crollo del mercato azionario del 1987, la Fed, sotto la guida di un repubblicano, Alan Greenspan, fece la sua prima promessa pubblica di sostegno ai mercati finanziari in difficoltà, e nel decennio successivo si unì al progetto di stimolo costante con i primi tagli dei tassi per accelerare – e successivamente prolungare: una ripresa. Nel 2008, la Fed non riuscì più ad abbassare ulteriormente i propri tassi, così cercò di abbassare i costi di finanziamento in un nuovo modo, acquistando obbligazioni e altro debito sui mercati pubblici, in quantità di miliardi di dollari.
A poco a poco, accumulando debiti, le autorità hanno reso il sistema più fragile, esercitando pressioni su se stesse per offrire maggiore sostegno in ogni crisi. Presi in questo circolo vizioso, i governi hanno ampliato i piani di salvataggio – che erano rari e piccoli prima degli anni ’80 – fino ai salvataggi multimiliardari del 2008 e agli eccessi multimiliardari della pandemia, quando gli Stati Uniti hanno sparso aiuti come pioggia: offerte non richieste di aiuto per aziende grandi e piccole, in difficoltà o meno, centinaia di miliardi in contanti a più della metà del paese, 170 milioni di americani, disoccupati o meno, una buona parte di essi a persone che guadagnano più di 100.000 dollari all’anno.
La storia della contrazione del governo era basata sulle chiacchiere, non sui dati. I tagli fiscali di alto profilo sono stati controbilanciati anche sotto Reagan con aumenti di basso profilo, quindi la riscossione delle tasse è rimasta stabile in percentuale del PIL dagli anni ’50. Le campagne di “deregolamentazione” hanno finito per riscrivere le vecchie regole in modo più approfondito ma con “intento deregolamentazione”, creando una serie di scappatoie che favoriscono le banche più grandi con il maggior numero di avvocati. Negli ultimi tre decenni, la burocrazia ha eliminato un totale di appena 20 regole, aggiungendone di nuove a un ritmo quasi metronomico di circa 3.000 all’anno, sotto entrambi i partiti.
L’istinto pre-Depressione di “liquidare” le aziende deboli durante una crisi ha lasciato il posto all’eccesso opposto: “liquefare, liquefare, liquefare”.
Sebbene alcune deregolamentazioni del settore finanziario abbiano effettivamente aperto nuove opportunità per i grandi investitori, la fonte da cui scaturiscono i loro capitali sono stati i governi e le banche centrali. Includendo azioni e debito, la dimensione dei mercati finanziari è passata da poco più grande dell’economia globale nel 1980 a quasi quattro volte più grande oggi. Questo boom mondiale alimentò l’illusione che i mercati corressero liberi e selvaggi mentre i governi si ritiravano, quando in realtà la forza trainante dietro la galoppante “finanziarizzazione” del capitalismo era il denaro facile che scorreva dal governo.
Già negli anni ’80, un gruppo sempre più isolato di conservatori iniziò ad avvertire che un governo più grande avrebbe portato ad una crisi di scioglimento dei debiti o di aumento dell’inflazione – che non arrivò mai. La globalizzazione ha portato maggiore concorrenza, mantenendo un freno all’inflazione dei prezzi al consumo e consolidando la convinzione che i deficit e il debito pubblico non contano. L’istinto pre-Depressione di “liquidare” le aziende deboli in caso di crisi ha lasciato il posto all’eccesso opposto: “liquefare, liquefare, liquefare”. Perché non salvare tutti, in ogni momento, quando i governi possono prendere in prestito gratuitamente?
Molti osservatori ritengono che l’era del denaro facile sia finita con il recente ritorno dell’inflazione, che ha costretto le banche centrali ad aumentare i tassi di interesse. Ma quest’era non è stata definita solo dai tassi bassi e non è iniziata solo nel 2008; comprende l’insieme di abitudini – prendere in prestito, salvare, regolamentare, stimolare – che si sono sviluppate per un secolo. Non finirà finché le vecchie abitudini non cambieranno.
La nuova spesa di Biden e i tagli fiscali di Donald Trump stabiliscono entrambi record di stimoli governativi in una fase di ripresa. Le loro amministrazioni hanno ideato congiuntamente salvataggi pandemici “qualcosa per tutti”, che saranno riproposti nelle crisi future come niente di nuovo.
Cosa c’è di sbagliato negli aiuti governativi?
La crisi del capitalismo non è speculativa o distante, è chiara e presente nei modi insidiosi in cui un governo iperattivo sta ampliando i principali difetti del capitalismo moderno: crescita più lenta, distribuzione meno equa.
Verso la fine del millennio, l’impatto del denaro facile ha cominciato a manifestarsi nel ciclo economico appiattito. Le recessioni erano meno frequenti e più distanti tra loro, cosa che a nessuno importa. Sorsero frustrazioni perché l’aumento del debito stava prolungando ma rallentando la ripresa. La ripresa degli anni 2010 è stata la più lunga e debole di sempre. Su un grafico, le oscillazioni della crescita americana assomigliano all’ECG piatto di un paziente morente.
Dietro il rallentamento della ripresa c’era il mistero centrale del capitalismo moderno: un collasso del tasso di crescita della produttività, o produzione per lavoratore. All’inizio della pandemia era diminuito di oltre la metà rispetto agli anni ’60. E un numero crescente di prove punta il dito contro un ambiente imprenditoriale denso di regolamenti governativi e debito, in cui le mega-aziende prosperano e sempre più aziende restano inerti sopravvivendo a ogni crisi.
Se ogni miliardario trincerato è un “fallimento politico”, come dice lo slogan, l’errore fondamentale è il sostegno statale eccessivo, non troppo scarso.
Sebbene le mega-aziende del settore tecnologico ricevano tutta l’attenzione, tre industrie statunitensi su quattro si sono fossilizzate in oligopoli, dominati da tre o quattro nomi. Quel che è peggio è che questi oligopoli sono sempre più spesso del “tipo cattivo”, e prosperano esercitando pressioni sui regolatori e uccidendo i concorrenti, non attraverso l’innovazione.
Il denaro facile ha anche generato gli “zombi”, una classe di aziende che non guadagnano abbastanza per coprire nemmeno il pagamento degli interessi sul proprio debito, e sopravvivono assumendo nuovi debiti. Sono difficili da identificare e monitorare e le stime variano, ma prima del 2000 gli zombi esistevano a malapena fuori dal Giappone e ora rappresentano una società pubblica su cinque negli Stati Uniti. Gli zombi tendono a essere essi stessi deboli e non redditizi e a ostacolare le prestazioni dei rivali nello stesso settore risucchiando talenti e finanziamenti.
Schiacciato dall’alto dagli oligopoli e dal basso dagli zombi, il centro aziendale è rimasto stagnante. Prima degli sconvolgimenti della pandemia, gli Stati Uniti creavano nuove imprese a un ritmo poco più della metà del ritmo e chiudevano quelle vecchie a soli due terzi del ritmo dei primi anni ’80.
Per funzionare, il capitalismo ha bisogno di un terreno di gioco in cui i piccoli e i nuovi abbiano la possibilità di sfidare – distruggere in modo creativo – le vecchie concentrazioni di ricchezza e potere. Oggi, mentre le industrie si concentrano e decadono sempre più, sempre più città e contee degli Stati Uniti fanno affidamento su un unico grande datore di lavoro. Prima del 1980, rispetto a oggi, gli americani avevano il doppio delle probabilità di spostarsi da uno stato all’altro e il 25% in più di cambiare lavoro nello stesso settore.
Nel complesso, la disuguaglianza dei redditi è andata ampliandosi, ma dal 2000 questa tendenza non è più spiegata principalmente dall’aumento degli amministratori delegati, che guadagnano più dei propri dipendenti. Deriva dall'ascesa di aziende superstar come Google, dove tutti i dipendenti guadagnano più di tutti i loro colleghi delle aziende più deboli.
L’immobilità sta soffocando il sogno americano. Oltre agli inglesi, gli americani sono le persone che hanno meno probabilità di guadagnare molto di più dei loro genitori. In mezzo ai salvataggi pandemici record, i principali magnati statunitensi hanno visto le loro fortune crescere di decine di miliardi in 12 mesi. Ma se ogni miliardario trincerato è un “fallimento politico”, come dice lo slogan, l’errore fondamentale è il sostegno statale eccessivo, non troppo poco.
L'uscita
Continuando a fare crescere ciò che è già cresciuto in misura eccessiva, i leader di governo stanno cercando di accontentare tutti, ma è più probabile che minino ulteriormente la crescita delle economie, e che aumentino le disuguaglianze ed approfondiscano la sfiducia popolare. Tuttavia, anche solo per evitare il pessimismo di moda, vale la pena riflettere su come sarebbe un capitalismo rinvigorito.
Non esiste una soglia chiara oltre la quale il governo è diventato troppo grande, ma i leader devono essere consapevoli della posizione della loro nazione, rispetto al proprio passato e ai suoi pari.
I nostalgici dell’ottimismo americano degli anni Sessanta dovrebbero tenere presente che allora il governo era più piccolo e meno missionario. Riportare indietro l’era “gloriosa” della socialdemocrazia richiederebbe meno governo, non di più. Nelle crisi recenti, le autorità hanno promesso apertamente di fare troppo e troppo in fretta per prevenire un’altra Depressione, anche se la minaccia è minore (come nel caso del fallimento della Silicon Valley Bank lo scorso anno).
Fino ad oggi, il capitalismo è probabilmente andato più storto in Europa, dove lo Stato è stato più rapido nel salvare e regolamentare, e la crescita della produttività e dei redditi medi è rallentata più che negli Stati Uniti. Ora, però, le due sponde dell’Atlantico potrebbero scambiarsi di posto. Sotto Biden, gli Stati Uniti sono diventati un’anomalia estrema, con deficit e debito sulla buona strada per stabilire record e crescere molto più velocemente di quelli dei loro pari.
I politici di oggi sono “status quoisti”, indulgendo al solito vecchio impulso a salvare, regolamentare e spendere, e sperano in risultati migliori. Invece, è probabile che ottengano gli stessi risultati: giorni di piacere per i mercati e i miliardari, non per la società nel suo insieme. La premessa del capitalismo, secondo cui un governo limitato è una condizione necessaria per la libertà e le opportunità individuali, non è stata messa in pratica da decenni.
Una vera svolta richiederebbe moderazione, trovando una via di mezzo tra i liquidatori del XIX secolo e i liquefazionisti di oggi. Durante le recessioni, le autorità devono estendere gli aiuti ai disoccupati e mantenere il flusso di capitale e credito attraverso i mercati finanziari quando sono congelati dalla paura. Ma la loro recente ricerca sperimentale verso una crescita infinita è utopica, un passo troppo controproducente. Devono smettere di stimolare durante la ripresa e lasciare i mercati finanziari abbastanza liberi da vacillare, a volte.
Sebbene i nostri leader parlino spesso dell’economia come di un “motore” soggetto a “messa a punto”, è più simile a un ecosistema naturale in cui gli esseri umani si intromettono con grande rischio per il sistema e per se stessi. Le autorità non oseranno più provare a rimodellare foreste e oceani in nome del progresso, come fecero un secolo fa – le proteste sarebbero assordanti – ma possono contare sugli applausi quando sperimentano sull’economia. Questo modo di pensare deve cambiare.L’economia non è una scienza così difficile come molti immaginano.
Le vere scienze spiegano la vita come un ciclo di trasformazione, cenere dopo cenere, eppure i leader politici continuano ad ascoltare i consiglieri che affermano di sapere come generare una crescita costante. La loro eccessiva sicurezza deve essere contenuta prima che possa causare ulteriori danni. Il capitalismo è ancora la migliore speranza per il progresso umano, ma solo se ha abbastanza spazio per funzionare.