Dieci anni di indici negativi (parte 6): il rischio azioni

I tantissimi che scrivono e parlano di dieci anni di risultati scarsi per chi investe, basandosi sulla (facile) previsione che gli indici maggiori non potranno più salire, raramente si soffermano a spiegarci perché ci siamo cacciati in un simile cul-de-sac e chi ci ha portato a questa situazione paradossale e pericolosa.

I responsabili sono facili da individuare: sono quelli che hanno, in modo del tutto sbagliato, sostenuto che la massiccia creazione di moneta da parte delle Banche Centrali avrebbe fatto aumentare il valore degli assets, ed in particolare degli assets rischiosi. Noi di Recce'd abbiamo sostenuto, anche in tempi non sospetti (quando molti ci attaccavano) che le cose non funzionano così, che il meccanismo non è quello.

Ci sono stati momenti difficili: quando tutti citavano lo ERP, ovvero il "premio al rischio" dell'equity, senza avere capito (ma proprio per nulla) come si calcola e come funziona. E' tipico, delle pratiche commerciali in questo settore, adattare ai propri scopi strumenti di valutazione ricavati dalla Teoria della Finanza, senza averne capito il funzionamento.

Quello che poi mette tutto a posto è, per fortuna, la realtà dei fatti: il nostro suggerimento, all'investitore, è quello di guardare ai dati, come ad esempio quello del grafico qui sotto, che mette a confronto la performance dell'indice di Borsa USA più ampio (il Wilshire 5000 che comprende 5000 titoli) e la dinamica dei profitti negli USA. Negli ultimi 20 anni, i profitti sono cresciuti del 190%, l'indice di Borsa del 340%.

Il riequilibrio dei mercati dovrà passare necessariamente da qui: e questa è la ragione per cui si parla di un decennio "a crescita zero" per le Borse. Voi, come investitori, non fatevi catturare da questa trappola.

Mercati oggiValter Buffo