Diversificazione? Si, va bene: ma da che cosa?
Molti gestori, molti commentatori e molti analisti, ogni giorno più in difficoltà (evidente) a confrontarsi con nuovi mercati finanziari che non capiscono più (da molto tempo) si aggrappano al vecchio armamentario dei disegnini e delle formulette che insegnavano a scuola, quei disegnini che raccontano che tutto il mondo è perfettamente ordinato, che il rischio sale con il rendimento, e che quindi la gestione di portafoglio è una cosa da bambini, semplice e spiegabile in cinque minuti.
Non è vero, ovviamente: o meglio, sono semplificazioni degli anni Cinquanta, che le Reti di Private Banking e le Reti di promotori, ma anche molti consulenti indipendenti, propinano ai loro Clienti perché non sanno fare di meglio. Ed infatti, coi mercati ci prendono ... di rado.
Il simbolo di questo vecchio armamentario analitico è la DIVERSIFICAZIONE: che ancora oggi, nelle scuole di Finanza viene presentato come "lo strumento base per la gestione del rischio".
Che cosa si intende, in questo contesto, per diversificazione? Mettere nel vostro portafoglio un po' di tutto, con percentuali più o meno prefissate. Così, il consulente ed il gestore se ne lava le mani: se gli chiedete "perché c'è questa posizione nel mio portafoglio?", lui non dovrà convincervi con l'analisi, tanto "serve per la diversificazione", e fine del discorso.
Naturalmente non funziona, per nulla: la vera DIVERSIFICAZIONE è quella che fa riferimento alle fonti di rischio, e non è "metto un po' di Giappone, un po' di Stati Uniti, un po' di Sud Africa ed un po' di Emergenti". Perché poi magari si muovono tutti insieme, come è successo nelle ultime quattro settimane, e quelli della "diversificazione" si sono fregati da soli.
Investire sulla base di semplici regolette da libro di scuola, e senza capirne di gestione del portafoglio, è impossibile: come per qualsiasi altra professione. Forse l'investitore farebbe bene a diversificare, si: nel senso di cambiare interlocutore.